Fonte:
Riportato in "Federalismo, socialismo e questione meridionale in Gaetano Salvemini" Lucchese, Salvatore, Manduria-Bari-Roma, Piero Lacaita, 2004, pp. 131-136"
LA QUESTIONE MERIDIONALE E IL FEDERALISMO
di Gaetano Salvemini
Nel vagone, che ci conduceva verso Bari, c'eravamo mia madre, io avevo quattordici anni - e, fra gli altri signori, un Piemontese figlio di un capostazione, e un altro settentrionale.
- Postacci, - diceva il Piemontese; - creda pure che qui non ci si vive; beato lei che ritorna nel Nord. Qui aria cattiva, acqua pessima, dialetto incomprensibile che par turco, popolazione ignorante, superstiziosa, barbara...
- Ma non siamo mica barbari, - interruppi io, - quando ci rubate i nostri quattr...
Un atroce pizzicotto materno mi richiamò a più miti consigli.
lo ero proprio convinto che quel Piemontese, il quale ci chiamava «barbari», ci rubava i nostri quattrini. Perché avevo questa convinzione? chi me lo aveva detto? quali elementi si erano a poco a poco accumulati nella mia coscienza quattordicenne per dar corpo a una opinione di quel genere?
Non saprei dirlo con sicurezza.
Certo vi avevano contribuito le querimonie di un mio zio borbonico, il quale ripeteva spesso e volentieri, ad ogni scadenza dei bimestre delle tasse, le parole di Francesco Il: «I Piemontesi vi lasceranno solo gli occhi per piangere»; vi avevano contribuito l'osservazione da me fatta sulla carta geografica dell'Italia che le ferrovie erano più numerose al Nord che al Sud, i racconti confusi e sbiaditi delle prepotenze che gli ufficiali piemontesi avevano commesso nei nostri paesi nel'60.
Di queste nozioni indeterminate e incoerenti, forse di qualche altro discorso, di cui non è rimasto più alcun ricordo nella mia mente, era materiata la mia convinzione.
Se il pizzicotto materno non mi avesse interdetto la discussione, e quel giovane Piemontese mi avesse domandato ragione della mia accusa, io non avrei saputo dir nulla; ma sarei rimasto egualmente fermo nella convinzione che i Settentrionali ci succhiavano il sangue, ci sfruttavano come bestie e per giunta ci chiamavano barbari.
Questo stato d'animo, nel quale io mi trovavo a quattordici anni, era ed è lo stato d'animo dei novantanove centesimi dei meridionali, di tutti i partiti: un sordo rancore verso quelli del Nord, una coscienza indeterminata e profonda di esser vittime della loro rapacità e prepotenza, una amara avversione, acuita di tanto in tanto dai segni di disprezzo, che dal Nord ci vengono, il desiderio ardente di farla finita una buona volta con questa situazione subordinata e disprezzata. Per dimostrare fino a che punto le idee antisettentrionali filtrano anche nelle menti, che dovrebbero essere più refrattarie - nelle menti dei socialisti - mi basterà ricordare le proteste astiose e sospettose, che vennero dai giornali e dai circoli del Sud, quando un compagno - per fortuna meridionale - sostenne che il giornale quotidiano del partito doveva pubblicarsi a Milano e non a Roma; le accuse che i compagni meridionali non si stancano mai di muovere al partito, che, secondo essi, si occupa solo del Nord e trascura il Sud; la ostilità, a volte sorda, a volte palese, che c'è fino nel nostro Consiglio nazionale fra i rappresentanti del Sud e quelli del Nord. E questi sentimenti - intendiamoci -in buona parte non sono che troppo giustificati dal contegno dei settentrionali, i quali non sanno che manifestare verso i compagni del Sud a volte del disprezzo, a volte del compatimento, non meno umiliante del disprezzo.
Perché è un fatto innegabile che, se i meridionali detestano i settentrionali, questi ripagano di egual, ed anche migliore, moneta gli altri. E' opinione diffusissima nel Nord che il Sud paghi molto meno tasse del Nord e goda di tutti i favori del governo: è un parassita che dà poco e prende molto.
Lo sfruttamento economico è accompagnato dalla corruzione politica, della quale il Sud è la inesauribile sentina. Un corrispondente vuol dare al suo giornale un'idea della corruzione elettorale del suo collegio? non mancherà di scrivere, per dare un'idea sintetica della situazione:
«Pareva di essere nel Mezzogiorno». Un sottoprefetto o un delegato fanno i prepotenti? gli si dice subito: «Caro lei, crede forse di essere nel Mezzogiorno?»
Crispi è il brigante «meridionale» per eccellenza. In un articolo - del resto ottimo - su La fine di un regno di Raffaele de Cesare, pubblicato non è molto nell'«Educazione Politica» di Milano, ho raccolto i seguenti fioretti meridionali: «Per chiunque ha un po' d'onore e un po' di sangue nelle vene, è una gran calamità molte volte nascere Napoletano» (parole di Carlo Filangieri, messe come epigrafe all'articolo); «uno scrittore di idee moderate, un meridionale per giunta, ha saputo ritrovare in se stesso tanta onestà scientifica»; «il racconto di questo viaggio [il viaggio trionfale di Ferdinando Il nel '52] può dar la misura di quel che valgano le acclamazioni del popolino meridionale», «quella povera plebe meridionale, ignorante e superstiziosa, alla quale manca ogni educazione politica ed ogni senso pur collettivo di dignità personale».
Per l'autore evidentemente uno scrittore moderato meridionale non può non essere peggiore di uno scrittore moderato settentrionale; le due idee: «plebe» e «meridionale» sono inseparabili; nel Nord di plebe non ce n'è; o se ce n'è, è plebe per bene, è plebe... settentrionale.
Un Romagnolo, col quale sono stretto da calda amicizia, credette una volta di farmi un gran complimento, dicendomi: «Pare impossibile che tu sia meridionale» Ergisto Bezzi, ottimo cuore di repubblicano e di cittadino, che fu aiutante di campo di Garibaldi nella spedizione di Sicilia e di Napoli, mi diceva un anno fa:
«Il mio più gran rimorso è quello di aver accompagnato Garibaldi nel Sud; il Sud doveva rimanere ancora sotto i Borboni».
Un fraterno augurio, che io ho sentito molto spesso fare dai settentrionali ai meridionali, è che le acque del mare coprano tutta l'Italia da Roma in giù.
I nordici disprezzano, come dicon essi, i sudici; e i sudici detestano con tutta l'anima i nordici; ecco il prodotto di quarant'anni d'unità.
Questo non impedisce naturalmente che nelle relazioni, diciam così, ufficiali fra le due sezioni del paese scorrano fiumi di fratellanza latte e miele; più profondo anzi si scava l'abisso fra Nord e Sud, i discorsi degli uomini politici e gli articoli dei giornaloni settentrionali traboccano di saluti alle terre del sole e di proteste di solida - pei figli prediletti della patria; e in compenso volano dal Sud verso il Nord applausi e auguri ai fratelli iniziatori del nostro - ahi! - Risorgimento.
A che cosa servirebbe - Dio buono! - la parola se non a nascondere le idee? Eppoi, non è forse legge fatale della nostra vita politica l'esser fuori sempre della realtà, il sostituire alla constataci fatti la retorica, l'andar innanzi alla cieca cullandoci al suono e prive di senso?
E' bensì vero che, da qualche anno a questa parte, la questione le è molto spesso agitata nei giornali del Nord e del Sud. Ma con quali compassionevoli metodi!
La stampa del Sud, mancipia delle camorre che dissanguano il paese, combatte a base di menzogne e di calunnie, spesso assolutamente cretine, contro il Nord.
Se non ci fossero tra i meridionalisti il Renda, il Ciccotti, il Colajanni, i quali han discussa la questione con indipendenza di giudizio, ci sarebbe da disperare sull'avvenire del nostro paese.
Ma anche quei meridionalisti onesti e sinceri, i quali pur riconoscono l'inferiorità del loro paese, di fronte al disprezzo umiliante e irritante, che traspira da ogni riga scritta nel Nord, finiscono spesso col perdere la pazienza, e si sentono fervere il sangue nelle vene, e provano una gran voglia di dar ragione ai rettili della stampa latifondista e camorrista.
Fra i giornalisti e gli uomini politici settentrionali, poi, non credo che arrivino a due quelli che conoscono bene le condizioni del Mezzogiorno, e le giudichino serenamente e senza pregiudizi. Specialmente la stampa democratica dà a questo proposito uno spettacolo compassionevole: essa o fa, come «Il Secolo», della retorica slombata sulla solidarietà fra Nord e Sud, oppure si compiace di mettere in vista i mali del Sud, contrapponendoli alla forza, alla moralità, al progresso del Nord.
Questo non è male; ma, quando avete fatto la descrizione più nera della corruzione meridionale, a che scopo volete arrivare? che cosa vi proponete di fare?
Il vostro disprezzo non è purtroppo che in gran parte giustificato, ma disprezzare non basta; un rimedio, bene e male, bisogna trovarlo. Ora, chi fra i settentrionali pensa ad alcun rimedio, all'infuori del solito augurio che il mare ricopra le terre da Roma in giù?
E, mentre i partiti democratici non sanno affrontare risolutamente il problema e sviscerarlo spregiudicatamente, quali che ne debbano essere le conseguenze, i partiti reazionari hanno iniziato nel Mezzogiorno una lenta e abilissima propaganda contro il Nord, dalla quale hanno molto da temere i partiti democratici del Settentrione.
Ormai per il partito monarchico il Nord appare perduto; bisogna appoggiarsi al Mezzogiorno. Ma le masse meridionali non potranno mai essere mobilitate contro la democrazia del Nord sotto la bandiera conservatrice e monarchica: della monarchia ad esse non importa nulla, e dall'essere conservatrici ci corre e di molto.
Sotto questo punto di vista, il meglio, che i conservatori possano desiderare dal Mezzogiorno, è che se ne stia tranquillo e non si muova; il can che dorme, lascialo dormire.
Il regionalismo si presta invece molto bene allo scopo: bisogna approfittare dell'ostilità, che i meridionali di tuffi i partiti sentono acuta verso i settentrionali, bisogna far leva sugli interessi regionali, trasformando la lotta fra democrazia e reazione in lotta fra Nord e Sud.
Distratti dal miraggio di scuotere l'oppressione dei settentrionali, gli stessi democratici e socialisti del Sud - la cui coscienza politica è purtroppo appena in via di formazione - dovranno unirsi ai conservatori meridionali; i conservatori del Nord, sbattuti dalla montante marca democratica, si aggrapperanno al Mezzogiorno come all'ultima ancora di salvezza, sacrificando magari gli interessi del Nord pur di salvare la propria esistenza.
Sarà una nuova unità a profitto del Sud, che comincerà a sfruttare il Nord. Ma che importa?
il «porro unum necessarium» è che si salvino le istituzioni, cioè che si salvi l'attuale impalcatura politica amministrativa, condizione indispensabile al predominio delle consorterie conservatrici del Nord e del Sud.
Ed ecco che i giornali monarchici del Sud, capitanati dal «Mattino» di Scarfoglio, iniziano apertamente l'agitazione regionalista a base di odio contro il Nord e specialmente contro Milano, la quale vuol diventare capitale d'Italia; di calunnie contro tutti i principali democratici dei Nord, le cui parole sulle condizioni del Mezzogiorno vengono riprodotte, commentate, contorte, falsificate; e su tutta questa minuta propaganda di bugie, di insinuazioni, di abili suggestioni, grandeggiano i due concetti, che l'unità d'Italia deve essere difesa ad ogni costo e che la monarchia per difendere l'unità deve appoggiarsi necessariamente sul Mezzogiorno.
Questa propaganda sfugge quasi completamente agli uomini politici e ai giornalisti dei Nord, prima perché i giornali meridionali sono quasi sconosciuti nel Settentrione, e poi perché la propaganda regionalista è fatta in forma ipocrita: essa sfugge quasi sempre gli articoli di fondo firmati, che richiamano l'attenzione, e si annida nei Giri pel mondo, nei «mots de la fin», nei brevi «entrefilets» sperduti nelle seconde pagine, nelle cronache locali, in quelle parti del giornale le quali si sottraggono all'occhio frettoloso dei forestieri, ma che sono i migliori veicoli per far penetrare inavvertitamente le idee nelle menti, già ben disposte, dei lettori locali.
D'altra parte, quand'anche i settentrionali avessero agio di sorvegliare attentamente l'opinione pubblica del Sud, essi non potrebbero influire in alcun modo su di essa col mezzo ordinario della stampa, perché i giornali del Nord sono quasi tutti sconosciuti nel Sud.
E i gazzettieri meridionali citano della stampa nordica solo ciò che può servire a rinfocolare gli odi locali, ma non sarebbero mai tanto minchioni da ammannire ai loro lettori delle citazioni contrarie.
In quest'ambiente, pieno di diffidenze e di recriminazioni, di ostilità e di disprezzi, è uscito il recente libro di F. S. Nitti, intitolato Nord e Sud, Prime linee di una inchiesta sulla ripartízíone territoriale delle entrate e delle spese dello Stato in Italia (Torino 1900).
Questo libro dice molte verità, che è bene sieno conosciute specialmente nel Nord; ma ne trascura molte altre, che meritano di esser conosciute non meno delle prime.
Può fare molto bene ai partiti popolari, se questi non lo lasciano passare inosservato e se sanno attingere in esso la loro linea di condotta di fronte alla questione meridionale.
Contribuirà invece potentemente alla formazione definitiva di un movimento antinordico nel Mezzogiorno, e preparerà un magnifico campo d'azione ai partiti reazionari, se la democrazia del Nord si disinteresserà della questione, lasciandone, come ha fatto finora, il monopolio agli Scarfogli più o meno bacati della stampa del Mezzodí.
Ho detto che il libro del Nitti dice molte verità, che è bene sieno conosciute specialmente nel Nord e, aggiungo, specialmente dai partiti democratici del Nord. Esso infatti distrugge, in base a dati inconfutabili, la leggenda che il Sud sfrutti il Nord, e dimostra che, nella famigerata unità mazziniana-cavouriana, gl'interessi del Sud sono stati fin dai prirni tempi e sono ogni giorno sacrificati agl'interessi del Nord.
[...]
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«[ ... ] Ogni giorno che passa diventa sempre più vivo in me il dubbio, se non sia il caso di solennizzare il cinquantennio [dell'Unità] lanciando nel Mezzogiorno la formula della separazione politica. A che scopo continuare con questa unità in cui siamo destinati a funzionare da colonia d'America per le industrie del Nord, e a fornire collegi elettorali ai Chiaraviglio del Nord; e in cui non possiamo attenderci nessun aiuto serio né dai partiti conservatori, né dalla democrazia del Nord, nel nostro penoso lavoro di resurrezione, anzi tutti lavorano a deprimerci più e a render più difficile il nostro lavoro? Perché non facciamo due stati distinti? Una buona barriera doganale al Tronto e al Carigliano. Voi si consumate le vostre cotonate sul luogo. Noi vendiamo i nostri prodotti agricoli agli inglesi, e comperiamo i loro prodotti industriali a metà prezzo. In cinquant'anni, abbandonati a noi, diventiamo un altro popolo. E se non siamo capaci di governarci da noi, ci daremo in colonia agli inglesi, i quali è sperabile ci amministrino almeno come amministrano l'Egitto, e certo ci tratteranno meglio che non ci abbiano trattato nei cinquant'anni passati i partiti conservatori, che non si dispongano a trattarci nei prossimi cinquant'anni i cosiddetti democratici». Cfr. Lettera di G. Salvemini ad A. Schiavi, Pisa 16 marzo 1911, in C. Salvemini, Carteggi, I. 1895-1911, cit., pp. 478-81.
Riportato in Federalismo, socialismo e questione meridionale in Gaetano Salvemini Lucchese, Salvatore - Manduria-Bari-Roma, Piero Lacaita, 2004, pag. 117
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