venerdì 30 settembre 2011

Eguaglianza e Libertà
L'Italia commissariata dai Thea Party europei
.pubblicata da Pietro Ancona il giorno venerdì 30 settembre 2011 alle ore 13.57.
L’Italia commissariata dai Tea Party europei Il programma dettato al governo con la lettera della Bce, di cui ora è noto il testo, è insensato e reazionario e usa la crisi per imporre la teologia neoliberista, dimostrando di ignorare la lezione degli anni Trenta. La sinistra deve uscire dalla sua pericolosa apatia e porre esplicitamente la questione del futuro dell’euro e della stessa Unione

Antonio Lettieri



Quando gli storici si occuperanno della crisi del 2007-2008 e delle sue conseguenze non potranno non stupirsi per l’inettitudine con la quale è stata affrontata dalle classi dirigenti occidentali e, in particolare, europee. Lo stupore sarà tanto più grande costatando che, almeno inizialmente, sembrava che tutti avessero maturato la lezione del 1929. Allora bisognò attendere tre anni per la grande svolta impressa all’America da Franklin Roosevelt. Oggi siamo alle prese con quella che viene considerata la minaccia concreta di una seconda e più grave recessione.

Il primo dato d’involuzione abbiamo dovuto registrarlo in America con la vittoria dei Repubblicani nelle elezioni di medio termine. Barack Obama aveva manifestato incertezze nel fronteggiare la crisi. Ma sin dal suo insediamento alla Casa Bianca aveva inaugurato una politica di forte iniziativa del governo. Basti ricordare gli ottocento miliardi stanziati per il rilancio dell’economia e, non ultimo, e sorprendente per la cultura americana, l’intervento diretto con l’impiego di cento miliardi per salvare General Motors e Chrysler.

Economisti di orientamento keynesiano come Krugman e Stiglitz criticarono il presidente per l’insufficienza delle misure di contrasto alla crisi. Avevano probabilmente ragione, ma rimaneva il dato di un approccio diverso da quello che affida al pareggio del bilancio e alla autoregolazione dei mercati la soluzione delle crisi.

In ogni caso, il quadro è radicalmente cambiato dopo che i repubblicani, sospinti dall’ala reazionaria dei Tea Party, hanno conquistato la maggioranza di uno dei due rami del Congresso. Il loro programma si concentra nell’opposizione al nuovo “stimolo” di 450 miliardi proposto da Barack Obama, salvo la parte che riguarda la riduzione delle tasse e dei contributi che favoriscono le imprese; nell’attacco ai pilastri dello Stato sociale americano, basati sulla Social Security (il sistema pensionistico pubblico), e sull’assistenza sanitaria per i poveri e per gli anziani; nella richiesta agli Stati di riequilibrare i bilanci licenziando e riducendo gli stipendi dei pubblici dipendenti; nel sostegno ai governatori degli Stati, primo fra tutti il Wisconsin, che stanno abolendo per legge la contrattazione collettiva nei settori pubblici, ultimo baluardo del sindacalismo americano, ridotto all’evanescenza nel settore privato.

Provate a leggere la lettera non più riservata della Bce al governo Berlusconi. Vi troverete in trasparenza tutti gli elementi di quello che in America è considerato un programma insensato o reazionario, o le due cose insieme. La differenza è che da quelle parti si tratta del partito di opposizione, in Europa delle autorità di governo dell’eurozona.

Ora che conosciamo nel dettaglio la lettera (meglio, l’ordine di servizio) inviata al governo Berlusconi, abbiamo la controprova di una politica che non ha nulla a che fare con una soluzione positiva della crisi, ma della crisi approfitta per dettare un programma economico e sociale ispirato ai canoni fondamentali della teologia neoliberista. Ciò che sorprende non è tanto la declinazione delle politiche quanto la certezza di poter intimare al governo italiano un vero e proprio programma politico come un tempo non lontano si faceva con gli Stati a “sovranità limitata” dell’Europa dell’est. Un programma tipico degli schemi neo-conservatori, tragicamente sperimentato negli ultimi due anni in Grecia col risultato di una lunga agonia verso un default annunciato e inevitabile.

Il contenuto della lettera non può nemmeno stupire più di tanto, trattandosi nella sua dettagliata articolazione del riflesso pavloviano di un’ideologia neoliberista che si riassume in “meno stato e più mercato”. Tralasciamo le pensioni, le privatizzazioni, la riduzione degli stipendi dei pubblici dipendenti e il mancato rimpiazzo del turnover; i tagli generali e “orizzontali” alla spesa pubblica. L’aspetto più straordinario e intrigante è ancora una volta la riforma del mercato del lavoro. Qui le prescrizioni sembrano scritte non da banchieri ma da agenzie di consulenza delle associazioni padronali: la riduzione dei salari mediante la liquidazione della contrattazione collettiva nazionale, lo spostamento del baricentro della contrattazione a livello aziendale con la fissazione di regole del lavoro frantumate senza coperture di livello superiore e, dulcis in fundo, la liberalizzazione dei licenziamenti.

Ci si può chiedere cosa c’entri tutto questo col risanamento del bilancio pubblico. Ma sarebbe una domanda scioccamente ingenua. Il futuro dei paesi aderenti all’euro è affidato alle “riforme strutturali”, formula quanto mai ingannevole per indicare una generale controriforma sociale. O, come in altre occasioni, abbiamo scritto, un New Deal rovesciato, se vogliamo riprendere il confronto con la crisi degli anni Trenta.


Intendiamoci, il governo Berlusconi, il peggiore e il più impresentabile governo di destra tra i tanti presenti in Europa, ha ritardato e allontanate le scelte necessarie fino a quando la speculazione finanziaria ha addentato la preda più grossa dopo i bersagli minori della periferia e dopo la Spagna.

Ma le sue responsabilità non ci possono far chiudere gli occhi di fronte al modo come le autorità europee stanno gestendo la crisi. Su questo punto la sinistra italiana è apparsa finora distratta o reticente nel timore di favorire l’inettitudine del governo in carica. La lettera dovrebbe aiutarci a uscire da questa pericolosa apatia.


E’ inutile, deprimente e senza costrutto continuare a lamentarsi delle incertezze o, se si preferisce, degli egoismi della Germania, se la sinistra non avrà insieme la credibilità e il coraggio necessari per porre esplicitamente la questione del futuro dell’euro e, in definitiva, dell’Unione europea. Il destino dell’Italia è legato a quello dell’euro, ma è anche vero il contrario.

A differenza della Grecia, nel caso italiano, si tratta di destini incrociati. Se, nella grande crisi che attraversiamo, difficilmente l’Italia potrà salvarsi da sola (anche con un nuovo governo), è altrettanto vero che l’eurozona senza l’Italia difficilmente potrebbe sopravvivere. La politica europea è un punto essenziale di un programma delle forze di opposizione che si candidano al governo. Se oggi il problema è come cacciare Berlusconi, un giorno dopo sarà, infatti, il “che fare”nei nostri rapporti con l’Europa.



(29/09/2011) articolo riproducibile citando la fonte stampa scrivi la tua invia la pagina ^ Inizio pagina

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martedì 27 settembre 2011

una intollerabile ingerenza

Una intollerabile ingerenza clericale

A leggere la prolusione all'Assemblea dei vescovi del Cardinale Angelo Bagnasco nonchè Generale di Corpo d'Armata dell'Esercito Italiano e come tale stipendiato o pensionato dello Stato non so bene, nella parte che riguarda la politica italiana, si sente una pesante, pesantissima sottolineatura fatta di aggettivi e di sostantivi inusuali nel felpato linguaggio cardinalizio odoroso d'incenso e fatto di distillati linguistici da gabinetto diplomatico. Si parla di "morbo che appesta, avvelena l'aria" di comportamenti "tristi e vacui". Insomma c'è la foto di Berlusconi, delle sue follie sessuali e della sua Corte anche se il Presidente del Consiglio non viene mai nominato.
Berlusconi ha reagito con stizza e si è lamentato della presa di distanza della Cei. Alcuni dei suoi collaboratori cercano ancora di minimizzare e sostengono che la rottura non è stata completa e che è ancora possibile ricucire il rapporto con la Chiesa. Ma i più si rendono conto che anche la Chiesa ha mollato Berlusconi e che i tempi di Monsignor Fisichella che "contestualizzava" la bestemmia del Capo del Governo sono ormai nel nostro passato.
C'è qualcosa di poco convincente nella sincerità delle pulsioni morali che hanno animato la requisitoria di Bagnasco e più che altro il suo addio a Berlusconi sembra la chiusura di un conto che non si poteva mantenere ancora aperto. Non è certamente il portato delle correnti progressiste della comunità dei cattolici che si raccoglie attorno a "Famiglia cristiana" ed alla Chiesa ribellistica di Don Gallo, ma la rottura di un sodalizio nella conduzione degli affari italiani del tutto simile a quello della Confindustria. Come la Confindustria che per un quindicennio si è spellata le mani ad applaudire l'Uomo che avrebbe "rivoltato l'Italia come un calzino", anche la Chiesa ha sostenuto appoggiato e sovrastato le scelte politiche del Governo e della sua maggioranza. Tutte le sue prescrizioni pre-moderne ed assurde contro la donna, i gay, contro il diritto a morire con dignità, contro la libera procreazione, sono state osservate da una maggioranza parlamentare la più distante da Dio che si sia mai avuta in questi anni e per questo clericale e bigotta e chiusa a qualsiasi cosa non gradita dalla Gerarchia.
Le speranze di quanti come Letta o Cicchitto lavorano per un recupero dello strappo potrebbero essere appagate dall'intervento del Cardinale Bertone che non sempre si è mostrato in sintonia con la Cei. Se questo tace vuol dire che anche le altissime sfere del Vaticano hanno fatto pollice verso per il più indecente ed impresentabile Presidente del Consiglio che l'Italia abbia mai avuto nella sua storia.
Ma il testo della prolusione del Cardinale è una delusione per quanti sperano in una Chiesa che si metta dalla parte dei poveri e dei giovani. Parla di una Europa che vive al disopra dei suoi mezzi avallando con questa affermazione la spinta liberista all'impoverimento del ceto medio e della classe operaia ed alla fine della civiltà del welfare con tutto il suo corollario di avvoltoi che si spolpano lo Stato con le privatizzazioni. Non c'è niente nella relazione del Cardinale che possa fare accendere una qualche speranza in una analisi della "crisi" economica e sociale diversa dalla vulgata dei dirigenti dell'Occidente capitalistico.
Cambiare Berlusconi perchè oramai puzza ed ammorba l'aria ma non la politica che ha interpretato e portato avanti. Guardarsi attorno per trovare una persona più presentabile.
L'impatto massmediatico che ha avuto la prolusione è la prova della sovranità limitata dell'Italia oramai un paese eterodiretto dal Vaticano, dalla Chiesa, dal FMI, dagli USA
La sinistra italiana, se ancora c'è, dovrebbe rammaricarsi di un Paese in cui è possibile che il Presidente del Consiglio venga strapazzato pubblicamente da un Cardinale e da una Chiesa lontana da Cristo ed in preda da anni ad una megalomania che non conosce freni o limiti.
Pietro Ancona

L'omino del capitalismo

Obama, l'omino del capitalismo, tenta di terrorizzare l'Europa addossandole la responsabilità della "crisi" e spingendola a fare presto sempre più presto a tagliare welfare (civiltà) e privatizzare. Uccisione del ceto medio e spoliazione degli Stati a vantaggio dei privati e delle multinazionali. Sperimentazione fatta in Argentina dove la proprietà è oramai tutta delle multinazionali USA!

I vescovi mollano Berlusconi

I vescovi hanno mollato Berlusconi dopo quasi un ventennio di sodalizio interessato e cinico! Lo hanno fatto con insolita rudezza, con brutalità verbale, trattandolo come un appestato che ammorba l'aria avvelenandola anche per le future generazioni! Naturalmente senza una sola parola di autocritica per le enormi corresponsabilità della Chiesa.
Non rinunziano al loro potere nella politica italiana ma non hanno compiuto la scelta pro PD! Aspettano profferte dai servizievoli e meschini "politici" della opposizione italiana!

sabato 24 settembre 2011

Intervista al sociologo Luciano Gallino sull'Europa e sull'Euro (dal Manifesto)

Gli errori dell'Europa Parla Luciano Gallino



Quali sono stati i punti deboli della formazione dell'Ue?



La Ue è nata con due gravi difetti strutturali, insiti nello statuto e relative funzioni della Commissione Europea e della Bce. La Ce opera di fatto come il direttorio della Ue, ma non è stata eletta da nessuno, le sue posizioni differiscono sovente da quelle del Parlamento europeo, organismo eletto, e appare in troppi casi funzionare come la cinghia di trasmissione dei dettami iperliberisti dell’Ocse e del Fmi.
Da parte sua la Bce è una banca centrale di nome, che però opera solo parzialmente come tale. I paesi entrati nell’euro hanno rinunciato al potere più importante che uno stato possa detenere: quello di creare denaro. Oggi solo la Bce può farlo. Ma lo fa male e in modo indiretto, ad esempio concedendo per anni imponenti flussi di credito alle banche che poi creano denaro privatamente con i prestiti che concedono a famiglie e imprese. Il maggior limite della Bce deriva dal suo statuto, che le impone come massimo scopo quello di combattere l’inflazione, laddove una banca centrale dovrebbe avere tra i suoi scopi anche la promozione dello sviluppo e dell’occupazione. Va notato ancora che la sua indipendenza dai governi maschera in realtà la sua dipendenza dal sistema finanziario e la sua mancanza di responsabilità sociale in nome di un ottuso monetarismo. Democratizzare la Ce e la Ue sarebbero compiti impellenti per i governi europei, se non fosse che per governi di destra, come di fatto son diventati quasi tutti, in fondo una governance non democratica e socialmente irresponsabile della Ue non è poi un gran male.

La centralità della moneta unica, come esclusivo campo d'unità europea, quali vuoti ha prodotto nello sviluppo economico degli stati membri?

Gli stati della zona euro hanno ceduto il potere di creare denaro, com’era necessario per creare una grande realtà politica ed economica quale è la Ue, ritrovandosi poi senza una banca centrale che presti loro, in caso di reale necessità, il denaro occorrente. La Bce dovrebbe operare come un prestatore di ultima istanza - così sostengono vari economisti – non diversamente da quanto avviene con altre banche centrali quali la Fed o la Bank of England. Tuttavia il suo statuto per ora le impedisce di assumere in modo diretto un simile fondamentale ruolo e potere. Ciò ha influito negativamente in tutta la Ue sulla possibilità di condurre politiche economiche e sociali adeguate alla situazione dell’economia europea e mondiale. Le economie più forti, quali la Germania e la Francia, ne sono uscite meglio – non da ultimo perché i banchieri tedeschi e francesi che siedono nel consiglio della Bce han fatto tutto il possibile per evitare troppi danni alle banche dei loro paesi.

Cos'è mancato di più, nel processo unitario, dal punto di vista sociale?

Se c’è un elemento che più di ogni altro potrebbe e dovrebbe fondare l’unità della Ue è il suo modello sociale, cioè l’insieme dei sistemi pubblici intesi a proteggere individui, famiglie, comunità dai rischi connessi a incidenti, malattia, disoccupazione, vecchiaia, povertà. Sebbene il modello sociale europeo presenti notevoli differenze da un paese all’altro, nessun altro grande paese o gruppo di paesi al mondo offre ai suoi cittadini un livello paragonabile di protezione sociale – la più significativa invenzione civile del XX secolo. Ne segue che i governi Ue che attaccano lo stato sociale sotto la sferza liberista della troika Ce, Bce e Fmi, nonché del sistema finanziario internazionale, minano le basi stesse dell’unità europea, oltre a fabbricare recessione per il prossimo decennio e piantare il seme di possibili svolte politiche di estrema destra.

Alla luce della crisi attuale, perché l'Ue appare impotente?

Anzitutto perché non ha ancora alcuna istituzione che svolga qualcosa di simile alle funzioni di un governo centrale democraticamente eletto e riconosciuto dalla maggioranza dei suoi cittadini. Di conseguenza ciascun paese pensa per sé. A ciò contribuisce pure lo strapotere del sistema finanziario internazionale, in assenza di qualsiasi riforma che sappia arginarlo. Inoltre, se si guarda ai singoli paesi, i partiti al potere hanno un orizzonte decisionale di pochi mesi, ovvero pensano soprattutto alle prossime elezioni, mentre dovrebbero ragionare su un arco di più anni. Peraltro l’impotenza deriva anche da una diagnosi sbagliata – quando non sia volutamente artefatta - delle cause della crisi di bilancio. Quest’ultima viene concepita come se derivasse da un eccesso di uscite generato dai costi dello stato sociale, laddove si tratta in complesso di un calo delle entrate che dura da oltre un decennio. Esso è stato causato da diversi fattori: i salvataggi delle banche, che solo nel Regno Unito e in Germania sono costati un paio di trilioni di euro; le politiche di riduzione dell’onere fiscale concesse ai ricchi, che hanno sottratto centinaia di miliardi ai bilanci pubblici (in Francia, ad esempio, tra i 100 e i 120 miliardi nel decennio 2000-2009); infine il fatto che grazie alle delocalizzazioni le corporation pagano le imposte all’estero, dove tra l’altro sono minime, e non nel paese d’origine. Ancora in Francia, per dire, si è molto discusso del caso Total, il gigante petrolifero che nel 2010 ha conseguito 12 miliardi di utili, ma in patria – del tutto legalmente – non ha pagato un euro di imposte (salvo qualche milioncino che vale come indennizzo ai comuni dove opera ancora qualche suo impianto). Ora se un governo è ossessionato dall’idea che il deficit sia dovuto unicamente a un eccesso di spesa sociale punta a tagliare quest’ultima, cercando però al tempo stesso di evitare ricadute negative in termini elettorali, e per la medesima ragione si rifiuta di accrescere le entrate alzando le imposte ai benestanti, o alle imprese delocalizzate. E’ ovvio che non fa differenza se quel governo sa benissimo che la diagnosi è errata, ma la abbraccia per soddisfare le forze economiche cui ritiene di dover rispondere. In ambedue i casi il risultato sono manovre che picchiano soltanto sui più deboli, mentre le radici reali della crisi non sono nemmeno intaccate.

I vincoli di bilancio quali conseguenze hanno sull'economia «reale»?

Le più visibili sono l’aumento della disoccupazione e del lavoro precario. I licenziamenti in tanti paesi di centinaia di migliaia di dipendenti della PA, insegnanti compresi, i tagli alle spese dei ministeri ed ai servizi resi dai comuni, a partire dai trasporti pubblici, l’aumento delle imposte indirette come l’Iva, comportano nell’insieme una riduzione dei consumi e con essa una minor domanda di beni e servizi alle imprese. Queste reagiscono licenziando o assumendo quando capita solo con contratti a termine, il che genera altra disoccupazione, in un minaccioso avvitarsi dei processi economici verso il basso.

Ha senso, come alcuni fanno, auspicare il default o il ritorno alle monete nazionali?

Sarebbe una pura follia. In primo luogo il ritorno a diciassette monete diverse solleverebbe difficoltà tecniche assai complicate da superare, poiché l’integrazione economica, finanziaria e legislativa tra i rispettivi paesi ha fatto nel decennio e passa dell’euro molti passi avanti. Inoltre parecchi paesi avrebbero a che fare con tassi di scambio catastrofici. Tra di essi vi sarebbe sicuramente l’Italia. Il giorno dopo un eventuale ritorno alla lira ci ritroveremmo con il franco a 500 lire (era a 300 quando venne introdotto l’euro), il marco a 2000 (era a 1000) e la sterlina a oltre 3000. A qualche imprenditore simili tassi possono far gola, poiché favoriscono le vendite all’estero; ma essendo quella italiana un’economia di trasformazione, che all’estero deve comprare tutto, dal gas ai rottami di ferro, il costo degli acquisti dall’estero le infliggerebbe un colpo insostenibile.

Gli stati, i governi hanno ancora qualche margine di manovra e qualche peso sulle decisioni di fondo o tutto è nelle mani di Fmi, Bce o Commissione di Bruxelles?

La troika in questione ha di fatto espropriato i paesi Ue della loro sovranità – con l’eccezione della Germania per la sua capacità produttiva e del Regno Unito perché ha conservato una moneta sovrana. Senza le riforme strutturali della Ue, implicite in ciò che dicevo all’inizio, essa continuerà a dettar legge.

Che giudizio dà sulla manovra italiana? E sull'atteggiamento un po' rassegnato – sul merito - delle opposizioni parlamentari?

La manovra italiana è una fotocopia sbiadita delle solite ricette che la troika di cui sopra trasmette regolarmente ai paesi in difficoltà. Di certo essa accrescerà la disoccupazione, impoverirà ulteriormente il paese, ponendo così le basi per dieci anni di recessione – teniamo conto che il nostro Pil è ancora parecchi punti al disotto del livello raggiunto nel 2007 – e per giunta non servirà in alcun modo a ridurre il debito pubblico. Su questo fronte l’opposizione difficilmente poteva opporsi all’ultimo momento, poiché quando la nave sta affondando uno cerca di salvare il salvabile, piuttosto che continuare a insistere sui difetti di progettazione della nave. Peraltro le opposizioni hanno avuto anni per chiamare i cittadini a discutere su tali difetti, quelli della povera scialuppa del governo ma anche quelli della nave Ue, e provare a disegnare insieme con loro un progetto diverso. Non mi pare che finora le loro proposte abbiano lasciato traccia di sé, nella memoria dei cittadini o nei documenti.

giovedì 22 settembre 2011

Italia: sciopero generale politico

Sciopero generale politico

Prima di addentrarci nel calvario alla cui fine c'è il default dell'Italia per poi fare soltanto scioperi di protesta del tutto inconcludenti e di mera disperazione come quelli greci bisognerebbe fare uno sciopero generale politico per chiedere le dimissioni del governo e per attaccare le istituzioni internazionali che puntano all'annichilimento dell'Italia. Italia che deve essere punita per non avere voluto la privatizzazione dell'acqua e la costruzione di centrali nucleari e per avere osato stipulare accordi nel campo energetico con la Libia e la Russia ed avere in qualche modo avuto perplessità per l'aggressione imperialistica alla Libia.

Per l'Italia è stata decisa una lenta agonia alla fine della quale sarà come l'Argentina, una nazione dotata di grandi risorse naturali con una classe di miliardari padroni di centinaia di miliardi depositati all'estero ma che ha ridotto il suo ceto medio all'elemosina ed alla fame. Migliaia di persone sono stati ridotte a diventare raccoglitori di cartone e di carta per rivenderli ed acquistare un pò di pane. Persone che stavano relativamente bene ma che quando si sono presentate alla loro banca per fare un prelievo o riscuotere la pensione o lo stipendio hanno trovato muri costruiti nella notte che ne ostruivano l'ingresso.

Oggi i killers dei poteri internazionali che hanno fatto pollice verso per l'Italia hanno declassato sette tra le più importanti banche. Ieri è stata declassata la Fiat ed il debito pubblico italiano ha perso quattro punti e costerà molto più caro contrarlo. Il governo è nel pallone ed è afflitto da una contraddizione che lo paralizza. In effetti la coltellata alla schiena è arrivata all'improvviso alla fine di giugno e fino ad allora sembrava che navigassimo in acque tranquille.

Oggi una indecente Camera dei Deputati ha salvato dall'arresto Milanese ritenendo con ciò di salvare se stessa attraverso la conferma della maggioranza di governo. Si è messa la coda tra le gambe quando Feltri ha avvertito i peones che avrebbero perso 15 mila euro al mese di prebenda e tutto il resto se avessero votato per l'arresto di Milanese e quindi per la crisi. Non sappiamo che cosa ci aspetta oggi pomeriggio o domani. Oramai si vive giorno per giorno.

Dal momento che il Parlamento non vuole disarcionare il governo e mandarlo a casa qualcuno deve farlo. Non lo farà il Presidente della Repubblica che non intende chiedere a Berlusconi di dimettersi e ne subisce l'impresentabilità e la squalifica internazionale che non riesce più a compensare neppure con pesanti servizi all'imperialism come la guerra alla nostra alleata Libia.

Solo uno sciopero generale politico contro il governo e contro la speculazione può creare le condizioni per una discontinuità politica. Ma le forze dell'opposizione e le centrali sindacali non sono qualificate moralmente per dirigere questo sciopero. Il PD è liberista ed atlantista come la destra che sorregge il governo e le confederazioni sindacali hanno firmato accordi con la Confindustria contro gli interessi dei lavoratori. La sinistra comunista ed i sindacati di base potrnno fare qualcosa ma sono deboli. Insomma il paese non ha la guida necessaria per combattere e sconfiggere questo governo e la destra che lo sorregge. Eppure lo sciopero generale politico si deve fare lo stesso. Magari i dirigenti scaturiranno dal movimento che si creerà. L'alternativa allo sciopero politico è una agonia sempre più dolorosa che getterà nella più nera miseria i lavoratori i pensionati e le loro famiglie.

Pietro Ancona

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mercoledì 21 settembre 2011

15 ottobre 2011 Manifestazione a Milano per la Libia di Gheddafi e la Siria di Assad

15ottobre2011
MOBILITAZIONE A SOSTEGNO DELLA RESISTENZA DELLA GIAMAHIRIA E DELLA REPUBBLICA ARABA DI SIRIA CONTRO L'IMPERIALISMO DELLA NATO

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Appello per il 15 Ottobre 2011.
Posted on settembre 7, 2011 by 15ottobre2011
Dopo oltre sei mesi dal suo inizio, sembra non avere fine la guerra della NATO contro la Giamahiria di Muammar Gheddafi: migliaia di morti causati dai bombardamenti dal cielo contro la popolazione e le infrastrutture civili, uso di elicotteri Apache e droni, mercenari e truppe speciali, rifornimenti di armi micidiali e di ultima generazione ai terroristi qaedisti di Bengasi, tutti insieme non sono stati sufficienti per avere la meglio sull’eroica resistenza del popolo libico guidato da Muammar Gheddafi. I grandi media della NATO continuano a fare propaganda proclamando la vittoria da settimane, se non da mesi; eppure dovrebbe essere ormai chiaro a tutti che si tratta di disinformazione strategica a scopi militari. La realtà è che nei sobborghi di Tripoli, a Sirte come a Bani Walid, la resistenza continua, rifiutando la resa e il tradimento!

L’Italia, a cui è stato ordinato di partecipare al conflitto – anche contro i suoi interessi - dal suo padrone d’oltreoceano, per mezzo dei suoi politici servi e traditori continua a giustificare la partecipazione militare alla guerra in Libia con la disgustosa retorica dell’”azione umanitaria a difesa dei civili”.

“La Libia è invece vittima di un’ennesima aggressione della Nato, politicamente per nulla diversa da quella contro la Serbia nel 1999 e da quella contro l’Iraq nel 2003, per scopi totalmente geopolitici (approvvigionamento petrolifero e insediamento di un governo non ostile a Washington) e geo-strategici (espansione della sfera d’influenza della Nato, attraverso il comando Africom), volti al contenimento di potenze rivali nei fondamentali scenari del Vicino Oriente e del Mediterraneo”.
Contemporaneamente all’azione di aggressione militare alla Libia iniziata a Marzo, si è scatenata la macchina mediatica della NATO contro la Siria di Assad, replicando lo stesso schema utilizzato dalla propaganda di guerra contro Gheddafi per giustificare moralmente l’intervento militare di fronte all’opinione pubblica occidentale, invocando una nuova “azione umanitaria in difesa dei civili”: Assad sarebbe un feroce dittatore autore di abominevoli repressioni contro la popolazione civile che vuole democrazia e libertà; Assad sarebbe un uomo politicamente finito odiato dal suo popolo, etc,.etc. Non importa che i disordini siano in realtà dovuti anche qui a terrorismo armato guidato da componenti esterne alla società siriana; no, le falsità dei media della NATO sono fondamentali per spianare la strada alle sanzioni economiche, alle menzognere risoluzioni dell’ONU e, in ultimo, all’aggressione militare funzionale alle mire strategiche dell’occidente euro-atlantico. Come per la Libia, l’Italia ha seguito e segue supinamente passo dopo passo l’escalation pianificata dalla NATO contro la Siria e tutto fa pensare che l’ “Italian Repubblic” non si sottrarrà a partecipare ad una nuova aggressione militare contro un paese sovrano, laico e socialista, se le verrà ordinato di farlo dai suoi padroni di Washington e Londra. E dopo la Libia e la Siria, sarà il turno dell’Algeria, o magari della Russia, come auspicato dal senatore americano, ex candidato alla presidenza, John McCain? Dove condurranno l’Italia le strategie guerrafondaie di quei paesi, come gli Stati Uniti e la Gran Bretagna, che guidano e la fanno da padroni nella NATO?

“Come per la Libia, anche nel caso della Siria, nessun movimento, partito o gruppo è riuscito ad alzare una voce forte e decisa contro questo nuovo tentativo di aggressione, tanto più a sinistra e nel mondo tradizionalmente “pacifista”, dove si è sostenuta la linea imperialista e neo-colonialista imposta da Obama, da Cameron e da Sarkozy. Preso atto del fallimento storico e politico di queste componenti della società civile, e dell’impossibilità per le ragioni anti-imperialiste e della sovranità nazionale di avere una seria rappresentanza all’interno di istituzioni e grandi organi di stampa” (testo ripreso da qui), alcuni membri del comitato promotore della mobilitazione del 30 agosto 2011 hanno deciso di dare continuità all’aggregazione di forze ed intenti di quella manifestazione, allargandone la piattaforma, per organizzare un nuovo presidio unitario in difesa della Giamahiria e della Repubblica Araba di Siria contro la NATO.

E’ perciò convocato un :

PRESIDIO A MILANO,

DAVANTI AL CONSOLATO GENERALE DEGLI STATI UNITI D’AMERICA,

SABATO 15 OTTOBRE 2011,

DALLE 15.30 ALLE 17.30, CON CONCENTRAMENTO ALLE ORE 16.30,

PER CHIEDERE:

1.L’immediato ritiro delle forze militari italiane dalla missione criminale in Libia e da tutte le missioni per conto della Nato e degli Stati Uniti d’America;

2.Il ritiro di tutte le forze armate americane dalle basi militari in Italia, dall’Europa e dal Medio Oriente;

3. La fine di qualsiasi tipo di sostegno dell’Italia alle azioni terroristiche in Siria e ai tentativi di destabilizzazione del paese da parte della NATO.

4. Le dimissioni dei politici italiani servi della NATO e degli USA, come Napolitano, Frattini, La Russa e Berlusconi, che per esaudire i desideri atlantici continuano a violare l’art. 11 della Costituzione attaccando militarmente la Libia e attuando la destabilizzazione della Siria progettandone l’aggressione militare.

PER MANIFESTARE:

1. Il nostro appoggio all’eroica resistenza della Giamahiria di Muammar Gheddafi e della popolazione libica di fronte ai mercenari, ai tagliagole jihadistii, alle bombe e alle truppe speciali della NATO.

2. Il nostro sostegno alla Siria del presidente Assad, vittima degli attacchi terroristici delle bande criminali jihadiste fomentate dall’occidente e dalle squallide campagne mediatiche dei media della NATO.

3. Al mondo, ma soprattutto al popolo libico e siriano, che c’è un’Italia che non dorme e non subisce passivamente i diktat della NATO e che si ribella alle sue logiche criminali, che disprezza i propri politici servi e traditori e che vuole al più presto ristabilire dei rapporti di amicizia e cooperazione con la Grande Giamahiria Araba Libica Popolare Socialista e con la Repubblica Araba di Siria.




PER ADERIRE SCRIVERE A : sabato15ottobre@libero.it

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lunedì 19 settembre 2011

xx

XX Settembre di delusioni

Il XX settembre di quest'anno coincide con il 150 anniversario dell'Unità d'Italia che facciamo datare dal 1861 ma che in effetti si sarebbe compiuta nove anni dopo appunto con la presa di Roma nella quale dilagarono i bersaglieri attraverso la breccia di Porta Pia.
In queste occasioni si fanno bilanci e si tenta di darsi un'idea di che cosa ci è accaduto e come siamo arrivati al punto in cui siamo. Indubbiamente la fine del potere temporale del Papato è stata una enorme conquista ed ha liberato grande parte dell'Italia centrale di una dominazione dello Stato della Chiesa durato per molti secoli. Uno Stato che funzionava usando la forca ed il rogo verso tutti coloro che venivano dubitati nella loro fede cattolica e che nel corso di oltre un millennio era riuscito ad esercitare una influenza enorme su tutte le corti europee fino allo scisma inglese ed alla nascita degli stati protestanti. Il potere della Chiesa diminui in qualche modo dopo la rivoluzione francese e la diffusione della sua cultura in Europa attraverso i movimenti rivoluzionari e le armate napoleoniche. Nel 1849 ebbe vita breve ma molto significativa la Repubblica Romana fondata da Mazzini e difesa da Garibaldi, Mameli ed altri patrioti e che fu stroncata dopo quasi sei mesi dall'intervento della Francia oramai distante dagli ideali rivoluzionari. La Costituzione della Repubblica Romana è il documento più importante, più fulgido del Risorgimento (dimenticato).
Ma il bilancio di oggi è del tutto negativo per i valori della laicità dello Stato sempre più sottoposto alla tutela "spirituale" e politica del Vaticano. Il potere di interferenza della Chiesa nella legislazione italiana e nello svolgimento della sua vita politica e sociale è diventato enorme. Noi abbiamo un governo espressione di una classe politica che ama definirsi moderata ma in effetti è estremista nella negazione dei valori della socialità rappresentata da Berlusconi che è quanto di più distante ci possa essere dal cristianesimo. Una persona che mena scandalo ed è diventata imbarazzante per l'Italia che tuttavia gode dell'appoggio delle gerarchie ecclesiastiche che lo proteggono e lo sostengono in cambio dei cospicui finanziamenti che il Vaticano riceve e sopratutto della clericalizzazione della legislazione su punti fondamentali come la nascita, la morte, la sessualità, la donna, la scuola. Il cinismo di questo scambio del cattolicesimo con il berlusconismo è scandaloso e non c'è eccesso amorale della destra italiana e del suo leader che riesca a turbare la gerarchia e schiodare i cardinali
dalla loro alleanza.
Se da un lato c'è l'alleanza destra-vaticano dall'altro lato l'opposizione presente in parlamento ha rinunziato a qualsiasi rivendicazione di laicità in campi fondamentali come la scuola ed ha un atteggiamento non di critica e di richiamo ai valori del Risorgimento e della autonomia dello Stato ma di concorrenza. Offre alla Chiesa di più e di meglio di quanto Berlusconi oggi garantisce ai cattolici italiani.
L'Italia è un paese concordatario a sovranità limitata. Limitata dal Concordato che gli impone degli obblighi pesanti che ne limitano l'autonomia. Nonostante il chiaro orientamento laico e progressista della Costituzione l'articolo 7 costituisce la palla di piombo che tiene prigioniero il Paese. Bisognerebbe abolire l'art.7, una cosa richiesta anche dalla parte più illuminata del cattolicesimo ma che tuttavia non troverà alcun riscontro negli imminenti rimaneggiamenti della Costituzione che probabilmente porteranno ad un aggravio dei pesi della tutela religiosa sulla politica italiana.
Non possiamo che essere insoddisfatti. L'Italia affonda nel materialismo del connubio cinico destra-chiesa basato su scambi e sul mantenimento ed estensione del potere. Tutto si può dire della Chiesa Cattolica tranne che sia oggi una centrale di spiritualità in grado di aiutarci a venire fuori dalle gravi difficoltà che ci affliggono. I documenti della Cei apparentemente preoccupati per le questioni del lavoro, del salario, dello sviluppo, del Mezzogiorno in effetti sono soltanto pezzi di carta ai quali non viene attribuito alcun reale significato. Quello che conta per il Vaticano è la gestione dei suoi rapporti con Berlusconi e la sua cricca al potere.
La legittimazione che la Chiesa ha fatto delle oligarchie dominanti in Italia e la sua alleanza con esse hanno contribuito non poco alla crisi che stiamo vivendo che è certamente una crisi economica ma che si alimenta dall'assenza di valori, di prospettive, di centri di coesione capaci di dare orizzonti e traguardi.
Pietro Ancona

l'art.8 è contro la Costituzione! del Prof.Mario Rusciano

( da Eguaglianza e Libertà rivista diretta da Pierre Carniti)

L’articolo 8 è contro la Costituzione
Il governo ha approfittato della manovra finanziaria per infilare nel decreto una disposizione chiaramente anticostituzionale. Il diritto del lavoro deriva da norme quasi tutte previste nella Carta fondamentale e quindi vincolanti per lo stesso legislatore
Mario Rusciano

Stento a credere che, nell’infilare l’art. 8 nel decreto legge 138 del 2011, approfittando della manovra finanziaria, il ministro Sacconi non sapesse o avesse dimenticato (assieme ai suoi consiglieri) che il diritto del lavoro è un sistema complesso di regole, tenute insieme da quella logica stringente ed elementare, che i professori raccontano agli studenti di Giurisprudenza nella prima lezione del corso. Posto che un tizio disposto a lavorare per altri, nella stragrande maggioranza dei casi, è un soggetto debole sul mercato del lavoro – soprattutto se c’è crisi occupazionale – e che poi, se ha la fortuna di essere assunto, diventa debole perché sottoposto al suo datore di lavoro, non può essere un semplice contratto tra i due a stabilire le regole del loro rapporto. Infatti, il timore di essere senza lavoro vizia la volontà del lavoratore e, quindi, fa presumere che tali regole non siano concordate, ma dettate dal solo datore di lavoro.


Perciò occorre la legge a ristabilire, per quanto possibile, la parità contrattuale tra datore e lavoratore, vale a dire a fissare diritti e doveri nello scambio della forza-lavoro, in pratica sostituendo alla volontà dei contraenti norme legali, che ovviamente sono inderogabili: anche perché quasi tutte radicate in principi della Costituzione, dunque vincolanti per lo stesso legislatore.

Questa rigida inderogabilità delle norme legali può subire qualche attenuazione se a tutelare i lavoratori è la contrattazione collettiva, strumento ad hoc che la stessa Costituzione prevede all’art. 39. Se ne intuisce la ragione: se il lavoratore è garantito dal sindacato, è meno solo e, dunque, meno debole contrattualmente. Si tratta di un’attenuazione affermata dalla giurisprudenza e dalla dottrina e agevolata dalle politiche unitarie di una stagione sindacale, ispirata a quella concertazione sociale – tra governo, imprese e sindacati – che ha consentito al paese di crescere, superando più d’una crisi economico-produttiva.

Arriviamo così al punto centrale e più delicato del problema. Se è vero che il fondamento della contrattazione collettiva è la libertà sindacale – grazie alla quale, nel tempo, la contrattazione si è molto articolata e variegata, a seconda dei settori, delle categorie e dei livelli territoriali – è altrettanto vero che non può essere qualunque sindacato e qualunque contratto collettivo ad attenuare l’inderogabilità delle norme legali. Ciò si deduce inequivocabilmente dai commi successivi al primo dell’art. 39 della Costituzione: dove si prevede che a stipulare il contratto collettivo nazionale con efficacia erga omnes per tutti i lavoratori di una categoria, sia una rappresentanza unitaria, proporzionata al numero degli iscritti ai sindacati registrati della categoria medesima, aventi uno statuto a base democratica.

Il fatto che tali commi non siano attuati in legge ordinaria non vuol dire che non esistano. Vuol dire semmai che il legislatore, se e quando interviene nella materia, deve comunque rispettare almeno lo spirito della norma costituzionale, sintetizzabile in due requisiti irrinunciabili della contrattazione: effettiva rappresentatività e democrazia sindacale. E difatti si deve alla sapienza giuridica di Gino Giugni, estensore dello Statuto dei lavoratori nel 1970, aver dato spazio e voce, a livello aziendale, ai sindacati confederali più rappresentativi: in piena coerenza, appunto, con lo spirito della Costituzione, come più volte ribadito in quarant’anni dalla Corte costituzionale. Non a caso la legge 300 del 1970 viene indicata come legislazione di sostegno e di promozione dell’autonomia sindacale: essa valorizza il movimento confederale unitario e democratico dei lavoratori, selezionandone gli enti esponenziali degli interessi, secondo criteri di razionalità organizzativa e compatibilità con le esigenze produttive.

Fondamentale, in un simile contesto, è l’armonico equilibrio tra contrattazione nazionale e contrattazione aziendale, onde evitare il prevalere dell’aziendalismo e del corporativismo categoriale. Solo una feconda e continua dialettica tra Confederazioni, Sindacati di categoria e Rappresentanze aziendali può davvero giovare al sistema economico-produttivo nel suo complesso.

Un grave vulnus a questo equilibrio è stato dato dal nefasto referendum del 1995, dal quale l’art. 19 della legge 300 sulle rappresentanze sindacali aziendali è uscito monco della parte più significativa ed importante. Consentendo ad una qualsiasi aggregazione sindacale di firmare un qualsiasi accordo aziendale per vedersi riconosciuta la rappresentatività, non si fa altro che agevolare la frammentazione e la dispersione degli interessi dei lavoratori e dare spazio ad organismi sindacali estemporanei: simili – seppure, almeno per ora, di segno uguale e contrario – a quei gruppuscoli di estrazione (allora si diceva) “extraparlamentare”, particolarmente attivi all’epoca della conflittualità permanente del ‘68-69 del secolo scorso.

Ebbene, con l’art. 8 del decreto legge 138, in pratica si stabilisce una linea di continuità logica, dal punto di vista giuridico: con l’aziendalizzazione della rappresentanza, della contrattazione e della conflittualità; e, approfittando delle divisioni sindacali (il famoso divide et impera!), si tenta di soppiantare la contrattazione nazionale. Né serve indorare la pillola avvelenata intitolando l’art. 8 “sostegno alla contrattazione collettiva di prossimità”: un’oscura tipologia dalla equivoca configurazione! Mi chiedo come possa il legislatore di una Repubblica “fondata sul lavoro” dare sostegno ad una contrattazione aziendale sapendola a dir poco drogata: perché gestita con molta probabilità da sindacati di comodo del datore di lavoro e perché i lavoratori, impauriti dalla perdita del lavoro, sono disposti obtorto collo ad accettarla persino con un referendum, magari pilotato.

Ad ogni buon conto, il sistema dell’art. 8 è contrario alla Costituzione, perché la contrattazione nazionale di categoria, ove vengono fissati i minimi di trattamento economico e normativo dei lavoratori di una determinata categoria professionale, è uno strumento costituzionalizzato dall’art. 39 – quindi non disponibile dal legislatore ordinario – volto a garantire l’eguaglianza sostanziale, sancita all’art. 3 della Carta: non solo tra i lavoratori di una stessa categoria, ma anche – si badi – tra le imprese di uno stesso settore. Sorprende anzi che quest’ultimo aspetto non sia stato per nulla messo in luce dalle organizzazioni imprenditoriali, che pure lamentano continuamente la pesantezza della competizione globale, spinta da una concorrenza sleale proprio sull’uso della manodopera.

La verità è che il sistema del diritto del lavoro non può fare a meno, per funzionare, del collegamento tra la legislazione e la contrattazione nazionale, gestita unitariamente da soggetti sindacali effettivamente e democraticamente rappresentativi. Questa è una oggettiva esigenza tecnico-giuridica, oltre che politico-sindacale. La contrattazione aziendale può dettare regole per una certa azienda solo se autorizzata dalla contrattazione nazionale: modello peraltro ribadito dall’accordo tra le parti sociali confederati del 28 giugno 2011. Perché non tener conto di talune buone prassi sindacali che possono realmente giovare all’economia?

Il legislatore allora, anziché impegnarsi in interventi surrettizi, estemporanei e poco meditati, si applichi piuttosto ad agevolare senza ipocrisie la concertazione tra le parti sociali per un riordinamento serio e tecnicamente rigoroso della rappresentanza sindacale e della contrattazione collettiva. Sempre che la ragion politica non gli faccia preferire il disordine giuridico!

(Mario Rusciano è ordinario di Diritto del lavoro e presidente del Polo delle Scienze Umane e Sociali dell’Università di Napoli Federico II)
(08/09/2011)
articolo riproducibile citando la fonte

domenica 18 settembre 2011

L'insostenibile adesione della sinistra italiana ed europea all'imperialismo.

L'insostenibile adesione della sinistra italiana ed europea all'imperialismo.
Nota pubblicata su face book da Gaspare Sciortino il giorno sabato 3 settembre.
“Noi eravamo per la trattativa prima della guerra, siamo per la trattativa oggi. Pensiamo che la costruzione di una Libia democratica, liberata dal dittatore Gheddafi e dalle sue camarille senza diventare un protettorato dei bombardatori sia l’unico obiettivo legittimo. Prendiamo atto che non è così per coloro che hanno fatto l’ennesima guerra umanitaria e la distanza da loro non è solo politica ma anche morale”. Le precedenti parole sono del segretario di Rifondazione Comunista in un articolo pubblicato su Liberazione il 2 settembre. Nell'articolo il segretario di Rifondazione espone anche un punto di vista corretto circa l'ipocrisia della guerra umanitaria in realtà fatta per il puro interesse di impadronirsi del petrolio libico da parte dell'alleanza atlantica così come della resistibile menzogna sottesa alla risoluzione n. 1973 con la quale si dovevano “proteggere i civili. Parla naturalmente anche dell'informazione con l'elmetto e dell'attuale scomparsa del protagonismo dell'Onu nell'attuale frangente delle carneficine compiute dai mercenari della Nato, dopo aver aperto e legittimato lo scenario di aggressione e guerra..

Ma il punto dirimente dell'intero articolo che ne costituisce la sintesi e l'indirizzo politico è il passo finale da me citato. “Pensiamo che la costruzione di una Libia democratica, liberata dal dittatore Gheddafi e dalle sue camarille senza diventare un protettorato dei bombardatori sia l’unico obiettivo legittimo.”

Quindi nei fatti Ferrero concorda che era un obbiettivo legittimo costruire, da parte di soggetti terzi, diversi dal popolo libico, una Libia “democratica”. A questo punto l'interventismo della Nato e dei suoi bombardieri potrebbe essere soltanto un incidente di percorso, una contraddizione che poteva essere evitata! Bisognava, in effetti...”liberare la Libia dal dittatore Gheddafi e dalle sue camarrille !” In questa breve frase è concentrata tutta la miseria del pensiero della sinistra italiana (ma anche europea...leggere analoghi articoli del quotidiano dei comunisti francesi) e la sua perdita di orientamento nell'attuale assetto unipolare del pianeta contrapposto ai nuovi poli emergenti (Cina, India, Venezuela, nonché la vecchia Russia).

Nei fatti si confessa in maniera abbastanza palese l'adesione all'orizzonte euroamericano sia in termini ideologici, cioè i valori della democrazia e dei diritti civili, sia in termini economici il cui grimaldello è proprio la guerra imperialista, della quale però non si accetta l'efferatezza e l'ipocrisia !

Niente male Ferrero!

Adesso credo sia chiaro perchè la sinistra italiana, non ha mosso un dito (con l'onorevole eccezione della piccola area organizzata dell'Ernesto che quantomeno si è spesa in un'opera di controinformazione militante sui social network) prima e durante l'aggressione imperialista. Non a caso anche Ferrara (esponente di una destra antinterventista quantomeno a parole) se ne è accorto dalle pagine del suo quotidiano e ha potuto sbeffeggiare i pacifisti per la loro adesione all'oltranzismo della fazione democratica americana.

Il pacifismo senza se e senza ma di ieri (Iraq, Serbia) che non riusciva a distinguere tra aggressore e aggredito, ma che ad ogni modo portò in piazza centinaia di migliaia di persone si è trasformato in astensionismo critico (né con la Nato né con Gheddafi) circa la contesa geopolitica considerata affare interno agli assetti imperiali.

Nei fatti una posizione “foglia di fico” che nasconde la sostanziale adesione all'orizzonte strategico occidentale e atlantico (in politica non fare equivale ad aderire a qualcosa d'altro!) e l'adesione ad un' indifferenzialismo cinico e neoqualunquista quando, addirittura, non suffragato da analisi sedicente marxista (vedi le risibili produzioni di Antonio Moscato e Sinistra Critica nonché dei sedicenti trotzkisti francesi consulenti di Sarkozy che avvalorano la tesi della rivoluzione Libica e scoprono nientedimeno le magliette di Che Guevara tra i “ribelli”).

Non intendo spendere una parola in questa breve nota circa le ragioni geostrategiche dell'imperialismo nell'attuale fase di drammatica crisi del capitalismo occidentale come foriere dell'ennesimo scenario di aggressione e di guerra di inizio secolo. Presuppongo che i lettori di questa nota siano sufficientemente colti e informati.

Intendo piuttosto focalizzare l'attenzione su alcuni punti che a mio parere sono dirimenti per tutti coloro che vogliono continuare a credere nella possibilità della costruzione di una forza comunista modernamente attrezzata all'attuale fase.

a) la sinistra (eclettica plurale) dopo lunga agonia, è definitivamente morta a Tripoli e non è il caso di riesumarla.

b)I comunisti se vogliono avere un futuro (quantomeno di riorganizzazione nel breve periodo) devono riattrezzarsi sull'analisi di fase del nuovo assetto imperialista, in potenza multipolare, e riscoprire un riposizionamento, momento per momento, a fianco della lotta degli stati sovrani e legittimi aggrediti, abbandonando l'equidistanza pelosa e lo scimmiottamento dei contenuti dell'avversario (...sono dittature, manca la democrazia, non ci sono i diritti civili ...e tutte le altre nobili amenità propagandate dalle tv di Obama e degli sceicchi dell'Arabia Saudita che naturalmente di diritti e democrazia ne fanno un grande esercizio a Guantanamo o nelle bidonville di Detroit oppure nelle repressioni militari nel Golfo Persico e della penisola arabica).

c) L'imperialismo euroatlantico, nel quale il nostro paese è inserito nel reparto degli ufficiali di complemento senza potere decisionale, insieme all'esercizio della guerra permanente neocoloniale,per l'acquisizione delle fonti d'energia, insieme all'esercizio del banditismo predatorio per la sottrazione dei capitali (vedi fondi congelati della Libia) attua nelle sue cittadelle la definitiva graduale eliminazione dell'anomalia storica dello stato sociale novecentesco. L'avversario è lo stesso in Libia e in Italia.

I pentiti del comunismo novecentesco in servizio permanente effettivo (PD) e i gruppi di opinione delle formazioni democratiche ad essi legate (Di Pietro, Sel, ecc) costituiscono il polo politico che più coerentemente rappresenta il precedente blocco di interessi di cui al punto c. Inoltre costituiscono la punta avanzata e di sfondamento ideologico in seno al conflitto organizzato in funzione di un suo deragliamento verso falsi obbiettivi quali le campagne fintamente moralizzatrici, l'antipolitica, il leaderismo acritico e delegante nonché l'ennesima ristrutturazione delle regole elettive verso la completa blindatura del maggioritario.

d) Paradossalmente la destra presenta delle evidenti fratture al suo interno, sostanziate dall'agitazione dei gruppi di interessi populistico-protezionisti della Lega e dalle lobby che vedevano di buon grado una saldatura con l'asse Berlino-Mosca.

e) E' da rigettare per tutti coloro che ambiscono soltanto a costruire un'opposizione all'imperialismo con base di massa continuare a farneticare di alleanze democratiche (nei fatti con i partiti organizzati e le lobby dell'avversario).

Viceversa va scoperto e sperimentato un percorso inedito di alleanza democratica con tutti coloro che hanno a cuore l'indipendenza politica ed economica dall'imperialismo, secondo percorsi di sganciamento (vedere l'interessante movimento in Grecia rappresentato coerentemente dal KKE) e sollecitando l'aggregazione politica di organismi che abbiano l'obbiettivo della difesa dell'economia nazionale dalla fase predatoria e banditesca dell'imperialismo finanziario.

g) si pone all'ordine del giorno la necessità della ricostruzione del partito comunista, capace di innescare una battaglia di cambiamento radicale rispetto alle attuali linee politiche dei due partiti comunisti esistenti in Italia, per la riunificazione, sconfiggendo al loro interno le illusioni del radicalismo post-moderno manovrato dall'imperialismo. E' necessario ricostruire interesse nel paese circa la trasformazione radicale in senso socialista come obbiettivo attuale e risposta alla crisi del capitalismo euroatlantico.

gaspare sciortino 3/9/11


Di seguito l'articolo di Ferrero su Liberazione:

http://lnx.paoloferrero.it/blog/?p=3877

giovedì 15 settembre 2011

commenti fatti in Facebook

Con la legge sull'arbitrato ed ora con l'art.8 cambia radicalmente il ruolo del sindacato che diventa coadiuvante dell'azienda ed anche giudice dei lavoratori in caso di contenzioso. La strada del sindacato si è biforcata da quella dei lavoratori. Ha una funzione "terza" che agisce e si nutre dei diritti levati ai lavoratori.


A rimarcare il ruolo militare e politico della Ideologia Neocon il filosofo francese Bernard-Henri Levy oggi ha preso possesso di Tripoli assieme a Cameron e Sarcozy. Ma forse è stato troppo impaziente assieme ai due squali. Non è detto che la vittoria sia del liberismo armato dell'Occidente come dimostrano l'Irak e l'Afghanistan e la stessa Libia....




Nel giro di alcuni mesi il volpigno Sarkozy ha fatto fuori due Presidenti della Africa Libera per sostituirli con suoi schiavetti: il Presidente della Costa d'Avorio dopo averlo combattuto con una guerra civile durata dieci anni e non si sa quante centinaia di migliaia di morti Georges Gbaba ed ora il Capo Spirituale della Libia Gheddafi. La posta in gioco in Libia: petrolio, gas e Italia---
Vergogna per la filosofia se il filosofo francese Bernard Henry Levy fa ad insozzarsi i piedi con il sangue che ha contribuito a fare versare per la sua folle islamofobia colonialista.
Pietro Ancona
http://www.agi.it/in-primo-piano/notizie/201109151409-ipp-rt10132-cameron_sarkozy_in_libia_non_e_ancora_finita



L'Italia si avvia verso la catastrofe perchè non si è opposta alla guerra di Libia. La libia avrebbe aiutato l'Italia a galleggiare come ha fatto per quaranta anni (ricordo per tutti la partecipazione alla Fiat) Ora siamo nella merda fino al collo e nelle mani degli squali di WallStreet-Lo scenario è quello di una Italia bloccata nel suo polmone mediterraneo e chiusa nel sarcofago della sua crisi finanziaria

Il volpigno Sarkozy

Nel giro di alcuni mesi il volpigno Sarkozy ha fatto fuori due Presidenti della Africa Libera per sostituirli con suoi schiavetti: il Presidente della Costa d'Avorio dopo averlo combattuto con una guerra civile durata dieci anni e non si sa quante centinaia di migliaia di morti Georges Gbaba ed ora il Capo Spirituale della Libia Gheddafi. La posta in gioco in Libia: petrolio, gas e Italia---
Vergogna per la filosofia se il filosofo francese Bernard Henry Levy fa ad insozzarsi i piedi con il sangue che ha contribuito a fare versare per la sua folle islamofobia colonialista.
Pietro Ancona
http://www.agi.it/in-primo-piano/notizie/201109151409-ipp-rt10132-cameron_sarkozy_in_libia_non_e_ancora_finita

La filosofia si insozza le mani di sangue

A rimarcare il ruolo militare e politico della Ideologia Neocon il filosofo francese Bernard-Henri Levy oggi ha preso possesso di Tripoli assieme a Cameron e Sarcozy. Ma forse è stato troppo impaziente assieme ai due squali. Non è detto che la vittoria sia del liberismo armato dell'Occidente come dimostrano l'Irak e l'Afghanistan e la stessa Libia....
Pietro Ancona

mercoledì 14 settembre 2011

campane a morto per i diritti

CAMPANE A MORTO PER I DIRITTI
In un clima convulso dominato dal terrorismo diffuso a piene mani dai massmedia sul possibile fallimento dell'Italia, con la fretta imposta da tempi minimi per il passaggio nelle due aule affollate da mille oligarchi ben pasciuti e distanti dalla realtà e dai bisogni della popolazione, la Camera dei deputati ha approvato la cosidetta manovra. Probabilmente non sarà l'ultima perchè l'Italia è nella morsa della speculazione che agisce senza regole e che può rovinare una nazione sovrana. Ci era capitato già con Soros che fece perdere all'Italia di Ciampi quarantamila miliardi di lire. Ci sta capitando ora con due manovre da cento miliardi quando fino ad un paio di mese fa non si sentiva il bisogno di nessun intervento correttivo. Il debito italiano per quanto alto non deve essere pagato tutto in un giorno ed è garantito da una situazione patrimoniale del Paese che lo vale per venti volte. Ed è appunto questo lo obiettivo della speculazione: costringerci a svendere il nostro patrimonio a cominciare dai gioielli della industria.
Nella manovra hanno infilato il famigerato articolo otto che privatizza la legge dello Statuto e ne affida la gestione ai padroni ed ai sindacati aziendali. L'articolo otto è un concentrato di illegalità perchè generalizza ed estende i contratti aziendali che per loro natura sono riferiti ad una realtà ben definita; perchè l'erga omnes e cioè il processo di generalizzazione della norma è stato condannato dalla Corte Costituzionale cinquanta anni fa con il respingimento della legge Vigorelli, perchè feudalizza il diritto che non è più del lavoratore ma affidato al suo datore di lavoro ed ai sindacati "maggiormente rappresentativi" esistenti in azienda. I lavoratori potranno essere licenziati senza giusta causa e non esiste neppure la possibilità di impugnare in unTribunale il licenziamento. Il marchingegno diabolico è stato inventato appunto per sfuggire alla competenza della Magistratura del Lavoro.
Cade l'art.18 lungamente difeso da uno schieramento che ora si è capovolto. La CGIL non è più quella di Cofferati ed ha scelto di partecipare al processo di corporatizzazione del diritto assieme a Cisl ed Uil. Si tratta del secondo strappo dopo la creazione dell'arbitrato. Il ricorso al giudice del lavoratore è reso ancora più difficile dalle tasse che sono state introdotte all'uopo dall'occhiuto regista di questo lunghissimo assedio vittorioso ai diritti delle persone. Annichilire i lavoratori per dare più potere ai sindacati ed ai datori di lavoro.
IL codice civile viene cancellato per i lavoratori. Dentro la fabbrica o in ufficio si hanno meno diritti dei comuni cittadini. In quanto lavoratori si è oramai imbrigliati in una rete inestricabile di norme repressive.
Viviamo in un universo assurdo e piuttosto che la CGIL a protestare contro la manovra e l'art.8 udiamo gli strilli della Confindustria. La signora Marcegaglia è scontenta per non avere riempito il carniere si altre sostanziose prede oltre l'art.8.
La Camusso ripete l'ipocrita annunzio già fatto in occasione di altri scippi del ricorso alla Corte Costituzionale. Serve a calmare le acque e fare intendere la continuazione di una difesa dello Statuto dei diritti che non c'è mai stata davvero. Lo sciopero è stato un espediente burocratico per mettere a tacere la Fiom e tenere le parti più critiche della Confederazione in un quadro unitario.
Il Presidente della Repubblica si è seccato per la richiesta della Fiom di bocciare l'illegale art.8. Non è un buon segno,.Può darsi che stasera stessa sentiremo suonare le campane a morte per l'art.18. Milioni di lavoratori che hanno accumulato anzianità potranno essere sostituiti da carne fresca, biagizzata, a metà salario. Che cosa è il lavoratore? E' una merce come ho sentito dire una volta in tv a Guglielmo Epifani.
Essere licenziati senza giusta causa fa regredire a tempi lontanissimi ed avrà effetti deleteri nell'ordine sociale. Il lavoro che oggi è base della repubblica diventa una cosa disprezzabile e maltrattabile.
Pietro Ancona

antologia di strisce su facebook

antologia di strisce Facebook

Ieri sera a La7 Lilli Gruber ha intervistato lungamente Giuliano Amato il quale si è intrattenuto a lungo sull'etica della politica e sulle responsabilità della classe dirigente. Alla fine gli ha chiesto a quanto ammontava la sua pensione mensile e Amato ha confermato che è di circa trenta mila euro. Ho pensato che dieci milioni di pensionati non arrivano a 500 euro al mese e mi sono chiesto in che cosa consista l'etica della politica.

Odio di concorrenti
L'opposizione è accecata dalla voglia di cacciare via Berlusconi e concentra contro di lui ogni critica ignorando come la rovina dell'Italia viene da fuori ,dalla speculazione manovrata dagli USA che sta impoverendo il ceto medio europeo e ne sta distruggendo il welfare....


Giudici
Credo che sia necessaria una llegge che sospenda e rinvii tutti i procedimenti giudiziari a carico del Primo Ministro.I "mercati" profittano della debolezza giudiziaria di Berlusconi per mettere in ginocchio l'Italia e volatilizzare anni di lavoro di sessanta milioni di persone.C'è un tempo per ogni cosa.....La drammatizzazione del debito italiano è strumentale alla nostra rovina.

Campane a morte per l'art.18
La guerra mai davvero combattuta dopo Cofferati per l'art.18 è stata perduta !!!! Domani sarà la fine della giusta causa nei licenziamenti con l'approvazione della manovra. Lo sciopero generale non è stato usato per difendere l'art.18! CGIL Cisl ed UIL assieme ai padroni gestiranno i licenziamenti liberi!!

Gli USA e la menzogna incallita e secolare
vecchio vizio del false flag americano risale al 1898 (autoaffondamento navecon 250 marinai a bordo). Leggere....

Il Parlamento giapponese riunito demolisce una per una le menzogne dell'11 settembre
http://www.youtube.com/watch?v=vyuk3UWZjLc

Maramaldesco
comportamento di Bersani che dichiara: tutto il mondo pensa che la rovina dell'Italia è Berlusconi! Avrebbe potuto dire che la rovina dell'Italia è la speculazione dei Soros e dei Rochefeller ordinata da suo amico Obama. Se l'Italia va a picco non importa purchè si trascini dietro Berlusconi........

Senza gli accordi con la Libia di Gheddafi noi perderemo trenta miliardi di euro di esport-import ed occasioni di lavoro per settanta mila imprenditori commercianti lavoratori specializzati.La guerra scatenata dai TRE (Obama,Cameron e sarkozy) alla Libia è stata guerra all'Italia che forse tornerà ad essere quella di Totò (miseria e nobiltà) morto di fame e con una fame atavica.....
Gheddafi ha settanta anni, l'età che aveva il Leone del Deserto che si battè per venti anni contro il colonialismo italiano quando fu impiccato da Graziani E' troppo anziano per resistere a lungo in una Libia avvelenata dall'uranio distrutta e piena di pazzi assassini protetti o mandati dalla Nato
alla prossima occasione introduranno il diritto delle imprese di legare con un braccialetto o un anello alla caviglia il lavoratore o la lavoratrice al suo posto di lavoro. Cisl ed UIl diranno che è giusto per salvare la "produttività" delle aziende e la CGIL dirà che è cosa sbagliata ma non farà niente per non farla passare.... intento dire niente di..... adeguato.
sono da sempre antiberlusconiano anche quando l'Unità cacciava via Furio Colombo perchè appunto antiberlusconiano come me ma mi sembra abnorme la minaccia dei magistrati napoletani di accompagnamento coatto per una cosa nella quale B.è parte lesa! Intanto l'Italia affonda anche con il concorso del PD!

in quarantasei milioni con le pezze al culo!
Il liberismo espressione politica del capitalismo è fallito! 46 milioni di poveri in America a fronte di alcuni milioni di miliardari che non vogliono pagare le tasse ed hanno la forza politica per non piegarsi ai bisogni dello Stato. Il capitalismo è fallito ed alimenta guerre perpetue per dare "lavoro" ad eserciti di professionisti che non vuole smobilitare. L'estensione del sistema americano all'Europa liquidando il welfare e aumentando le disparità sociali ci porta alla rovina.

Guerra di bande
Indecente e deleteria la campagna del PD e di repubblica di addossare la responsabilità dell'attacco ai nostri titoli di stato al governo ed alla impresentabilità di Berlusconi. N on difendere l'Italia dalla aggressione del capitalismo finanziario è davvero miope e suicida! Proporsi come alternativa di destra efficiente ai poteri finanziari mondiali è il massimo della viltà.

La riduzione della spesa pubblica sommata al regime di bassi salari e di precariato sta facendo aprire in Italia una crisi enorme dalla quale sarà difficile tornare indietro. La ricetta "uccidi la bestia" e riduci in catene i lavoratori ci farà affondare nel buio della recessione. Le manovre accelerano ed aggravano la crisi fomentata dalla speculazione.

Stamane rainew24 non ha potuto fare a meno di raccontare (lo ha fatto di corsa) le atrocità ed i crimini di guerra degli "insorti" libici campioni di libertà della rivoluzione araba per Rossana Rossanda ed altre anime belle della sinistra!
http://it.peacereporter.net/articolo/30416/Libia,+rapporto+Amnesty+denuncia+crimini+di+guerra+dei+ribelli

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Stamane rainew24 non ha potuto fare a meno di raccontare (lo ha fatto di corsa) le atrocità ed i crimini di guerra degli "insorti" libici campioni di libertà della rivoluzione araba per Rossana Rossanda ed altre anime belle della sinistra!
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domenica 11 settembre 2011

Intervista a Massimo Mazzucco sull'11 settembre

DI LUOGOCOMUNE
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nelle istituzioni, mentre in realtà costoro dovrebbero comprendere che è proprio grazie a un processo di giustizia completo e trasparente, contro gli eventuali mandanti interni dell’11 settembre, che tali istituzioni verrebbero rafforzate.

Nel 1898 gli americani si auto-affondarono la nave da guerra Maine, ancorata di fronte al porto di Cuba, uccidendo 250 dei propri marinai. Di questo attentato furono immediatamente incolpati gli spagnoli, e ciò servì a giustificare l’entrata in guerra degli Stati Uniti contro la Spagna, che portò alla conquista di Cuba da parte degli americani.

Nel 1941 gli Stati Uniti provocarono l’incidente di Pearl Harbor, e poi non fecero nulla per avvisare il comandante del porto dell’imminente attacco giapponese. La morte di 3000 marinai americani servì a Roosevelt per presentarsi in parlamento e chiedere i pieni poteri per entrare in guerra contro Germania e Giappone.

L’incidente del Golfo del Tonchino, che servì agli Stati Uniti per dare inizio alla guerra del Vietnam, fu totalmente inventato. Lo ammise lo stesso Robert McNamara, che al tempo era ministro della difesa americano, pochi anni prima di morire, nel 2005.
Questi sono solo i casi più evidenti. Nel film “Il nuovo secolo americano” ho anche descritto nel dettaglio i casi più recenti che permisero agli Stati Uniti di lanciare la prima invasione dell’Iraq, durante la prima guerra del golfo.

Molto sinteticamente, può elencarci quali sono le ragioni per cui sarebbe da ritenersi falsificata volontariamente la versione ufficiale sull’11 settembre?

Purtroppo non è più possibile elencarle modo sintetico, perché nel frattempo sono emerse tutte le contro-risposte da parte di coloro che difendono la versione ufficiale. Per cui a questo punto è necessaria una indagine che presenti non solo i nostri capi di accusa, ma anche gli argomenti sollevati dai difensori della versione ufficiale, e le nostre repliche a quegli argomenti. E’ quello che sto facendo nel nuovo documentario sull’11 settembre che sto preparando.

Lei afferma che le Torri Gemelle fossero state minate preventivamente. Dunque, le rivolgo una domanda che i paladini della versione ufficiale usano per respingere le argomentazioni alternative: come è potuta avvenire un’operazione così sofisticata senza che nessuno dei tanti frequentatori quotidiani delle Torri si accorgesse di nulla?

Molto probabilmente, l’operazione fu fatta alla luce del giorno, sotto gli occhi di tutti. Qualche mese prima ci fu la completa “ristrutturazione“ degli ascensori delle torri gemelle. Questa ristrutturazione permise agli “operai“ di accedere direttamente alle colonne portanti di tutto l’edificio, piano per piano. Inoltre, durante il weekend dell’8/9 settembre si registrò un completo distacco della corrente elettrica nella torre sud, che fece azzerare tutti i sistemi di sicurezza, proprio mentre veniva attuato un “ammodernamento” del sistema elettrico in tutta la torre.

È davvero possibile che per dieci anni le tantissime persone coinvolte in questa “cospirazione” così grave abbiano mantenuto un tenace silenzio tale da non consentirle una degna risonanza mediatica?

In realtà io devo ancora capire perché mai qualcuno di coloro che hanno partecipato al complotto dovrebbe offrirsi come volontario per la sedia elettrica. È un ragionamento che non ho mai compreso, e che viene proposto continuamente da chi difende la versione ufficiale. A mio parere questo ragionamento non offende nemmeno l’intelligenza di chi lo ascolta, offende direttamente l’intelligenza di chi lo propone.

Come giudica i risultati della Commissione ufficiale d’inchiesta sull’11 settembre?

I risultati della commissione ufficiale d’inchiesta sull’11 settembre sono esattamente il motivo per cui oggi l’intero Movimento per la verità chiede una nuova investigazione. Si tratta, a mio parere, dell’equivalente storico del famigerato Rapporto Warren, quello che incolpò Oswald coprendo i veri responsabili dell’assassinio del presidente Kennedy.

In termini strettamente geopolitici, quale interesse avrebbero avuto gli Usa a provocare quelle stragi l’11 settembre di dieci anni fa?

Le motivazioni ormai sono sotto gli occhi di tutti. Il rafforzamento del controllo militare americano su zone ricche di fonti energetiche come il Caspio, il cui gas naturale transita proprio in Afghanistan, e ovviamente le riserve petrolifere dell’Iraq. Questa ovviamente è solo una analisi superficiale.

Alla luce dell’attuale assetto geopolitico internazionale, del ruolo sempre meno egemonico degli Usa, esistono, a suo avviso, motivi validi per temere un altro attentato terroristico in stile 11 settembre?

Questo dipenderà, a mio parere, dalla scelta o meno di attaccare l’Iran da parte delle potenze occidentali. Se prevarranno i falchi, sicuramente avranno bisogno di creare un nuovo incidente per giustificare la nuova aggressione. Questo non significa che il nuovo incidente debba per forza avvenire sul territorio americano. Proprio l’altra sera, alla CNN, la direttrice della Homeland Security, Janet Napolitano, ha detto che “oggi il nostro sistema di difesa non dovrebbe più permettere una nuova cospirazione, come quella dell’11 settembre.” Ha letteralmente usato il termine “cospirazione”. Curioso, vero?

dipendente da tutte le "veline" e le "versioni ufficiali"...


Da
"










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sabato 10 settembre 2011

La Magistratura americana e l'11 settembre

La Magistratura USA e l'11 settembre 2001



Mi domando se c'è mai stata una seria inchiesta giudiziaria sullo attentato dell'11 settembre che provocò la morte di 2.752 persone negli USA e poi di centinaia di migliaia di persone innocenti massacrate in Irak ed Afghanistan per vendetta dagli americani.

Mi domando se la Magistratura americana si sia mai chiesta come è stato possibile che due immensi grattacieli (e poi un terzo) grandi quanto città sparissero nel giro nel giro di pochissimi minuti sotto i nostri occhi quando ci sarebbero volute settimane per bruciare e come le mura del Pentagono siano state perforate da un buco inverosimilmente piccolo dove passa a mala pena una ala dell'aereo che avrebbe dovuto trapassarlo e che inoltre non è mai stato trovato.

C'è una inchiesta ed un responso della Magistratura americana?

Pietro Ancona

Al Qaeda legione straniera degli USA

Al Qaeda legione straniera degli USA

Obama ha fatto una concionata intrisa di vittimismo demagogia e sciovinismo sull'11 settembre- Ha detto che gli USA sono "più grande nazione del mondo" senza specificare in che cosa consista la loro grandezza. Sarebbe stato meglio se avesse detto "la più prepotente" ed anche la più vile se è vero che schiera tutta la sua potenza supertecnologica e tutti gli eserciti dell'occidente per massacrare la piccola ed indifesa Libia oggi ed ieri nazioni più o meno della stessa dimensione militare a cominciare dalla Corea.
Ha anche detto che il terrorismo di AlQaeda è scon fitto immergendoci nella menzogna se è vero come è vero che gli insorti libici che Obama finanzia e sostiene sono in gran parte, come aveva detto Gheddafi, uomini di AlQaeda. Il "governatore" di Tripoli "liberata" è un dirigente di AlQaeda de questo conferma il fatto che AlQaeda è la legione straniera degli USA, lo strumento del quale si servono per le operazioni sporche a cominciare dal lancio degli aerei sulle Torri Gemelli ed ora per la mostruosa carneficina di neri e libici in corso e che ha già fatta diecine di migliaia di vittime innocenti.
Pietro Ancona

http://rassegnastampa.difesa.it/110827/13KYD4.pdf

Via berlusconi e pugno di ferro con i corrotti

Via Berlusconi e pugno di ferro con i corrotti

Tra quarantotto ore la situazione dell'Italia potrà precipare sotto l'incalzare della speculazione che nessuno vuole fermare e basterebbe una tassa sulle transazioni ed il divieto degli acquisti e delle vendite al buio. In una situazione drammatica in cui si rischia il default e che genera allarme nelle famiglie il governo italiano resta inerte perchè la destra che lo sostiene vuole la fuoriuscita dell'Italia dall'Euro come ha sempre sostenuto e la Lega vorrebbe approfittare della crisi finanziaria del Paese per rilanciare il suo progetto secessionistico. Ricordo uno studio di non so quale istituto strategico statunitense che prevedeva la divisione dell'Italia entro il 2005. Il 2005 è passato ma non è detto che la profezia dei servizi segreti USA non si realizzi nel 2012.
In questa situazione bisogna agire innanzitutto facendo dimettere il governo. Il Presidente della repubblica se continua ad indugiare si renderà corresponsabile del disastro. In secondo luogo bisogna inasprire le pene carcerarie per coloro che portano capitali all'estero ed intervenendo anche il sequestro dei beni immobiliari .
Portare ad almeno venti anni la pena per coloro che esportano illegalmente i loro capitali e sequestrare immediatamente i loro beni in Italia.
Bisognerebbe anche inasprire le pene per la corruzione. Per esportatori di capitali all'estero e per corrotti bisognerebbe istituire una nuova sezione di magistratura, un gruppo specifico tipo quello che opera oggi contro la mafia ed avere procedimenti giudiziari che non durino millenni e finiscano in prescrizione.
Inoltre bisognerebbe raccogliere subito 200 miliardi di euro con una tassa patrimoniale che risparmi la piccola proprietà fino alle seconde case che, in tempi felici per l'Italia, sono state possibili anche per i lavoratori dipendenti ed il ceto medio basso. Tutto il resto va tassato immediatamente se vogliamo sottrarci ai tedeschi ed alla speculazione liberista che punta al default dell'Italia perchè deve realizzare i suoi programmi ideologici di uccisione della bestia. La bestia da uccidere è lo Stato anzi gli Stati nazionali che fanno ombra all'Impero statunitense ed alla sua moneta.
Inoltre bisognerebbe subito ridurre dell'ottanta per cento il costo della politica. Centinaia di migliaia di politici, consulenti, amministratori, bruciano qualcosa come 100 miliardi di euro l'anno. Questo deve cessare!
Temo che in mancanza di queste misure di emergenza i lavoratori e le famiglie verrano travolte ed il sessanta per cento dei titoli di stato in possesso degli italiani diventi carta straccia. Non è da escludere il mancato pagamento di stipendi e pensioni nei prossimi mesi se non si interviene immediatamente. Berlusconi sta studiando con i suoi un nuovo intervento sulle pensioni per esonerare i ricconi e la casta dal costo della crisi. Un nuovo sciopero generale per ottenere questa svolta e recuperare l'art.18 e lo Statuto dei diritti
Pietro Ancona

venerdì 9 settembre 2011

Memorial STATUTO DEI DIRITTI DEI LAVORATORI

Statuto dei diritti dei lavoratori

Legge 20 maggio 1970, n.300.
Norme sulla tutela della libertà e dignità dei lavoratori, della libertà sindacale e nell'attività sindacale nei luoghi di lavoro e norme sul collocamento.

(pubblicata nella gazzetta ufficiale n. 131 del 27 maggio 1970)



TITOLO I
DELLA LIBERTA' E DIGNITA' DEL LAVORATORE



ART. 1. (LIBERTA' DI OPINIONE)


I lavoratori, senza distinzione di opinioni politiche, sindacali e di fede religiosa, hanno diritto, nei luoghi dove prestano la loro opera, di manifestare liberamente il proprio pensiero, nel rispetto dei principi della costituzione e delle norme della presente legge.



ART. 2. (GUARDIE GIURATE)

Il datore di lavoro può impiegare le guardie particolari giurate, di cui agli articoli 133 e seguenti del testo unico approvato con regio decreto 18 giugno 1931, n. 773, soltanto per scopi di tutela del patrimonio aziendale. Le guardie giurate non possono contestare ai lavoratori azioni o fatti diversi da quelli che attengono alla tutela del patrimonio aziendale. E' fatto divieto al datore di lavoro di adibire alla vigilanza sull'attività lavorativa le guardie di cui al primo comma, le quali non possono accedere nei locali dove si svolge tale attività, durante lo svolgimento della stessa, se non eccezionalmente per specifiche e motivate esigenze attinenti ai compiti di cui al primo comma. In caso di inosservanza da parte di una guardia particolare giurata delle disposizioni di cui al presente articolo, l'ispettorato del lavoro ne promuove presso il questore la sospensione dal servizio, salvo il provvedimento di revoca della licenza da parte del prefetto nei casi più gravi.



ART. 3. (PERSONALE DI VIGILANZA)

I nominativi e le mansioni specifiche del personale addetto alla vigilanza dell'attività lavorativa debbono essere comunicati ai lavoratori interessati.



ART. 4. (IMPIANTI AUDIOVISIVI)

E' vietato l'uso di impianti audiovisivi e di altre apparecchiature per finalità di controllo a distanza dell'attività dei lavoratori. Gli impianti e le apparecchiature di controllo che siano richiesti da esigenze organizzative e produttive ovvero dalla sicurezza del lavoro, ma dai quali derivi anche la possibilità di controllo a distanza dell'attività dei lavoratori, possono essere installati soltanto previo accordo con le rappresentanze sindacali aziendali, oppure, in mancanza di queste, con la commissione interna. In difetto di accordo, su istanza del datore di lavoro, provvede l'ispettorato del lavoro, dettando, ove occorra, le modalità per l'uso di tali impianti. Per gli impianti e le apparecchiature esistenti, che rispondano alle caratteristiche di cui al secondo comma del presente articolo, in mancanza di accordo con le rappresentanze sindacali aziendali o con la commissione interna, l'ispettorato del lavoro provvede entro un anno dall'entrata in vigore della presente legge, dettando all'occorrenza le prescrizioni per l'adeguamento e le modalità di uso degli impianti suddetti.
Contro i provvedimenti dell'ispettorato del lavoro, di cui ai precedenti secondo e terzo comma, il datore di lavoro, le rappresentanze sindacali aziendali o, in mancanza di queste, la commissione interna, oppure i sindacati dei lavoratori di cui al successivo art. 19 possono ricorrere, entro 30 giorni dalla comunicazione del provvedimento, al ministro per il lavoro e la previdenza sociale.



ART. 5. (ACCERTAMENTI SANITARI)

Sono vietati accertamenti da parte del datore di lavoro sulla idoneità e sulla infermità per malattia o infortunio del lavoratore dipendente. Il controllo delle assenze per infermità può essere effettuato soltanto attraverso i servizi ispettivi degli istituti previdenziali competenti, i quali sono tenuti a compierlo quando il datore di lavoro lo richieda. Il datore di lavoro ha facoltà di far controllare la idoneità fisica del lavoratore da parte di enti pubblici ed istituti specializzati di diritto pubblico.



ART. 6. (VISITE PERSONALI DI CONTROLLO)



Le visite personali di controllo sul lavoratore sono vietate fuorché nei casi in cui siano indispensabili ai fini della tutela del patrimonio aziendale, in relazione alla qualità degli strumenti di lavoro o delle materie prime o dei prodotti. In tali casi le visite personali potranno essere effettuate soltanto a condizione che siano eseguite all'uscita dei luoghi di lavoro, che siano salvaguardate la dignità e la riservatezza del lavoratore e che avvengano con l'applicazione di sistemi di selezione automatica riferiti alla collettività o a gruppi di lavoratori. Le ipotesi nelle quali possono essere disposte le visite personali, nonché, ferme restando le condizioni di cui al secondo comma del presente articolo, le relative modalità debbono essere concordate dal datore di lavoro con le rappresentanze sindacali aziendali oppure, in mancanza di queste, con la commissione interna. In difetto di accordo, su istanza del datore di lavoro, provvede l'ispettorato del lavoro.
Contro i provvedimenti dell'ispettorato del lavoro di cui al precedente comma, il datore di lavoro, le rappresentanze sindacali aziendali o, in mancanza di queste, la commissione interna, oppure i sindacati dei lavoratori di cui al successivo articolo 19 possono ricorrere, entro 30 giorni dalla comunicazione del provvedimento, al ministro per il lavoro e la previdenza sociale.



ART. 7. (SANZIONI DISCIPLINARI)



Le norme disciplinari relative alle sanzioni, alle infrazioni in relazione alle quali ciascuna di esse può essere applicata ed alle procedure di contestazione delle stesse, devono essere portate a conoscenza dei lavoratori mediante affissione in luogo accessibile a tutti. Esse devono applicare quanto in materia è stabilito da accordi e contratti di lavoro ove esistano. Il datore di lavoro non può adottare alcun provvedimento disciplinare nei confronti del lavoratore senza avergli preventivamente contestato l'addebito e senza averlo sentito a sua difesa. Il lavoratore potrà farsi assistere da un rappresentante dell'associazione sindacale cui aderisce o conferisce mandato Fermo restando quanto disposto dalla legge 15 luglio 1966, n. 604, non possono essere disposte sanzioni disciplinari che comportino mutamenti definitivi del rapporto di lavoro; inoltre la multa non può essere disposta per un importo superiore a quattro ore della retribuzione base e la sospensione dal servizio e dalla retribuzione per più di dieci giorni. In ogni caso, i provvedimenti disciplinari più gravi del rimprovero verbale non possono essere applicati prima che siano trascorsi cinque giorni dalla contestazione per iscritto del fatto che vi ha dato causa. Salvo analoghe procedure previste dai contratti collettivi di lavoro e ferma restando la facoltà di adire l'autorità giudiziaria, il lavoratore al quale sia stata applicata una sanzione disciplinare può promuovere, nei venti giorni successivi, anche per mezzo dell'associazione alla quale sia iscritto ovvero conferisca mandato, la costituzione tramite l'ufficio provinciale del lavoro e della massima occupazione, di un collegio di conciliazione ed arbitrato, composto da un rappresentante di ciascuna delle parti e da un terzo membro scelto di comune accordo o, in difetto di accordo, nominato dal direttore dell'ufficio del lavoro. La sanzione disciplinare resta sospesa fino alla pronuncia da parte del collegio.
Qualora il datore di lavoro non provveda, entro dieci giorni dall'invito rivoltogli dall'ufficio del lavoro, a nominare il proprio rappresentante in seno al collegio di cui al comma precedente, la sanzione disciplinare non ha effetto. Se il datore di lavoro adisce l'autorità giudiziaria, la sanzione disciplinare resta sospesa fino alla definizione del giudizio.
Non può tenersi conto ad alcun effetto delle sanzioni disciplinari decorsi due anni dalla loro applicazione.



ART. 8. (DIVIETO DI INDAGINI SULLE OPINIONI)


E' fatto divieto al datore di lavoro, ai fini dell'assunzione, come nel corso dello svolgimento del rapporto di lavoro, di effettuare indagini, anche a mezzo di terzi, sulle opinioni politiche, religiose o sindacali del lavoratore, nonché su fatti non rilevanti ai fini della valutazione dell'attitudine professionale del lavoratore.



ART. 9. (TUTELA DELLA SALUTE E DELL'INTEGRITA' FISICA)


I lavoratori, mediante loro rappresentanze, hanno diritto di controllare l'applicazione delle norme per la prevenzione degli infortuni e delle malattie professionali e di promuovere la ricerca, l'elaborazione e l'attuazione di tutte le misure idonee a tutelare la loro salute e la loro integrità fisica.



ART. 10. (LAVORATORI STUDENTI)

I lavoratori studenti, iscritti e frequentanti corsi regolari di studio in scuole di istruzione primaria, secondaria e di qualificazione professionale, statali, pareggiate o legalmente riconosciute o comunque abilitate al rilascio di titoli di studio legali, hanno diritto a turni di lavoro che agevolino la frequenza ai corsi e la preparazione agli esami e non sono obbligati a prestazioni di lavoro straordinario o durante i riposi settimanali. I lavoratori studenti, compresi quelli universitari, che devono sostenere prove di esame, hanno diritto a fruire di permessi giornalieri retribuiti. Il datore di lavoro potrà richiedere la produzione delle certificazioni necessarie all'esercizio dei diritti di cui al primo e secondo comma.



ART. 11. (ATTIVITA' CULTURALI RICREATIVE E ASSISTENZIALI)


Le attività culturali, ricreative ed assistenziali promosse nell'azienda sono gestite da organismi formati a maggioranza dai rappresentanti dei lavoratori.



ART. 12. (ISTITUTI DI PATRONATO)


Gli istituti di patronato e di assistenza sociale, riconosciuti dal ministero del lavoro e della previdenza sociale, per l'adempimento dei compiti di cui al decreto legislativo del capo provvisorio dello stato 29 luglio 1947, n. 804, hanno diritto di svolgere, su un piano di parità, la loro attività all'interno della azienda, secondo le modalità da stabilirsi con accordi aziendali.



ART. 13. (MANSIONI DEL LAVORATORE)



L'articolo 2103 del codice civile è sostituito dal seguente:
"il prestatore di lavoro deve essere adibito alle mansioni per le quali è stato assunto o a quelle corrispondenti alla categoria superiore che abbia successivamente acquisito ovvero a mansioni equivalenti alle ultime effettivamente svolte, senza alcuna diminuzione della retribuzione. Nel caso di assegnazione a mansioni superiori il prestatore ha diritto al trattamento corrispondente all'attività svolta, e l'assegnazione categoria superiore che abbia successivamente acquisito ovvero a mansioni equivalenti alle ultime effettivamente svolte, senza alcuna diminuzione della retribuzione. Nel caso di assegnazione a mansioni superiori il prestatore ha diritto al trattamento corrispondente all'attività svolta, e l'assegnazione stessa diviene definitiva, ove la medesima non abbia avuto luogo per sostituzione di lavoratore assente con diritto alla conservazione del posto, dopo un periodo fissato dai contratti collettivi, e comunque non superiore a tre mesi, egli non può essere trasferito da una unità produttiva ad un'altra se non per comprovare ragioni tecniche, organizzate e produttive. Ogni patto contrario è nullo".



TITOLO II
DELLA LIBERTA' SINDACALE



ART. 14. (DIRITTO DI ASSOCIAZIONE E DI ATTIVITA' SINDACALE)


Il diritto di costituire associazioni sindacali, di aderirvi della libertà sindacale, è garantito a tutti i lavoratori all'interno dei luoghi di lavoro.



ART. 15. (ATTI DISCRIMINATORI)

E' nullo qualsiasi patto od atto diretto a:
a) subordinare l'occupazione di un lavoratore alla condizione che aderisca o non aderisca ad una associazione sindaca le ovvero cessi di farne parte;
b) licenziare un lavoratore, discriminarlo nella assegnazione di qualifiche o mansioni, nei trasferimenti, nei provvedimenti disciplinari, o recargli altrimenti pregiudizio a causa della sua affiliazione o attività sindacale ovvero della sua partecipazione ad uno sciopero. Le disposizioni di cui al comma precedente si applicano altresì ai patti o atti diretti ai fini di discriminazione politica o religiosa.



ART. 16. (TRATTAMENTI ECONOMICI COLLETTIVI DISCRIMINATORI)


E' vietata la concessione di trattamenti economici di maggior favore aventi carattere discriminatorio a mente dell'art. 15.
Il pretore, su domanda dei lavoratori nei cui confronti è stata attuata la discriminazione di cui al comma precedente o delle associazioni sindacali alle quali questi hanno dato mandato, accertati i fatti, condanna il datore di lavoro al pagamento, a favore del fondo adeguamento pensioni, di una somma pari all'importo dei trattamenti economici di maggior favore illegittimamente corrisposti nel periodo massimo di un anno.



ART. 17. (SINDACATI DI COMODO)


E' fatto divieto ai datori di lavoro e alle associazioni di datori di lavoro di costituire o sostenere, con mezzi finanziari o altrimenti, associazioni sindacali di lavoratori.



ART. 18. (REINTEGRAZIONE NEL POSTO DI LAVORO)


Ferma restando l'esperibilità delle procedure previste dall'articolo 7 della legge 15 luglio 1966, n. 604, il giudice, con la sentenza con cui dichiara inefficace il licenziamento ai sensi dell'articolo 2 della legge predetta o annulla il licenziamento intimato senza giusta causa o giustificato stessa, ordina al datore di lavoro di reintegrare il lavoratore nel posto di lavoro.
Il lavoratore ha diritto al risarcimento del danno subito per il licenziamento di cui sia stata accertata la inefficacia o l'invalidità a norma del comma precedente. In ogni caso, la misura del risarcimento non potrà essere inferiore a cinque mensilità di retribuzione, determinata secondo i criteri di cui all'articolo 2121 del codice civile. Il datore di lavoro che non ottempera alla sentenza di cui al comma precedente è o l'invalidità a norma del comma precedente. In ogni caso, la misura del risarcimento non potrà essere inferiore a cinque mensilità di retribuzione, determinata secondo i criteri di cui all'articolo 2121 del codice civile. Il datore di lavoro che non ottempera alla sentenza di cui al comma precedente è tenuto inoltre a corrispondere al lavoratore le retribuzioni dovutegli in virtù del rapporto di lavoro dalla data della sentenza stessa fino a quella della reintegrazione se il lavoratore entro trenta giorni dal ricevimento dell'invito del datore di lavoro non abbia ripreso servizio, il rapporto si intende risolto.
La sentenza pronunciata nel giudizio di cui al primo comma è provvisoriamente esecutiva.
Nell'ipotesi del licenziamento dei lavoratori di cui all'articolo 22, su istanza congiunta del lavoratore e del sindacato cui questi aderisce o conferisca mandato, il giudice, in ogni stato e grado del giudizio di merito, può disporre con ordinanza, quando ritenga irrilevanti o insufficienti gli elementi di prova forniti dal datore di lavoro, la reintegrazione del lavoratore nel posto di lavoro.
L'ordinanza di cui al comma precedente può essere impugnata con reclamo immediato al giudice medesimo che l'ha pronunciata. Si applicano le disposizioni dell'art. 178, terzo, quarto, quinto e sesto comma del codice di procedura civile.
L'ordinanza può essere revocata con la sentenza che decide la causa.
Nell'ipotesi di licenziamento dei lavoratori di cui all'articolo 22, il datore di lavoro che non ottempera alla sentenza di cui al primo comma ovvero all'ordinanza di cui al quarto comma, non impugnata o confermata dal giudice che l'ha pronunciata, è tenuto anche, per ogni giorno di ritardo, al pagamento a favore del fondo adeguamento pensioni di una somma pari all'importo della retribuzione dovuta al lavoratore.



TITOLO III
DELL'ATTIVITA' SINDACALE



ART. 19. (COSTITUZIONE DELLE RAPPRESENTANZE SINDACALI AZIENDALI)


Rappresentanze sindacali aziendali possono essere costituite ad iniziativa dei lavoratori in ogni unità produttiva, nell'ambito:
a) delle associazioni aderenti alle confederazioni maggiormente rappresentative sul piano nazionale;
b) delle associazioni sindacali, non affiliate alle predette confederazioni, che siano firmatarie di contratti collettivi nazionali o provinciali di lavoro applicati nell'unità produttiva.
Nell'ambito di azienda con più unità produttive le rappresentanze sindacali possono istituire organi di coordinamento.



ART. 20. (ASSEMBLEA)


I lavoratori hanno diritto di riunirsi, nella unità produttiva in cui prestano la loro opera, fuori dell'orario di lavoro, nonché durante l'orario di lavoro, nei limiti di dieci ore annue, per le quali verrà corrisposta la normale retribuzione. Migliori condizioni possono essere stabilite dalla contrattazione collettiva.
Le riunioni - che possono riguardare la generalità dei lavoratori o gruppi di essi - sono indette, singolarmente o congiuntamente, dalle rappresentanze sindacali aziendali nell'unità produttiva, con ordine del giorno su materie di interesse sindacale e del lavoro e secondo l'ordine di precedenza delle convocazioni, comunicate al datore di lavoro.
Alle riunioni possono partecipare, previo preavviso al datore di lavoro, dirigenti esterni del sindacato che ha costituito la rappresentanza sindacale aziendale.
Ulteriori modalità per l'esercizio del diritto di assemblea possono essere stabilite dai contratti collettivi di lavoro, anche aziendali.



ART. 21. (REFERENDUM)


Il datore di lavoro deve consentire nell'ambito aziendale lo svolgimento, fuori dell'orario di lavoro, di referendum, sia generali che per categoria, su materie inerenti all'attività sindacale, indetti da tutte le rappresentanze sindacali aziendali tra i lavoratori, con diritto di partecipazione di tutti i lavoratori appartenenti alla unità produttiva e alla categoria particolarmente interessata.
Ulteriori modalità per lo svolgimento del referendum possono essere stabilite dai contratti collettivi di lavoro anche aziendali.



ART. 22. (TRASFERIMENTO DEI DIRIGENTI DELLE RAPPRESENTANZE SINDACALI AZIENDALI)


Il trasferimento dall'unità produttiva dei dirigenti delle rappresentanze sindacali aziendali di cui al precedente articolo 19, dei candidati e dei membri di commissione interna può essere disposto solo previo nulla osta delle associazioni sindacali di appartenenza.
Le disposizioni di cui al comma precedente ed ai commi quattro, quinto, sesto e settimo dell'articolo 18 si applicano sino alla fine del terzo mese successivo a quello in cui è stata eletta la commissione interna per i candidati nelle elezioni della commissione stessa e sino alla fine dell'anno successivo a quello in cui è cessato l'incarico per tutti gli altri.



ART. 23. (PERMESSI RETRIBUITI)


I dirigenti delle rappresentanze sindacali aziendali di cui all'articolo 19 hanno diritto, per l'espletamento del loro mandato, a permessi retribuiti.
Salvo clausole più favorevoli dei contratti collettivi di lavoro hanno diritto ai permessi di cui al primo comma almeno:
a) un dirigente per ciascuna rappresentanza sindacale aziendale nelle unità produttive che occupano fino a 200 dipendenti della categoria per cui la stessa è organizzata;
b) un dirigente ogni 300 o frazione di 300 dipendenti per ciascuna rappresentanza sindacale aziendale nelle unità produttive che occupano fino a 3000 dipendenti della categoria per cui la stessa è organizzata;
c) un dirigente ogni 500 o frazione di 500 dipendenti della categoria per cui è organizzata la rappresentanza sindacale aziendale nelle unità produttive di maggiori dimensioni, in aggiunta al numero minimo di cui alla precedente lettera b).
I permessi retribuiti di cui al presente articolo non potranno essere inferiori a otto ore mensili nelle aziende di cui alle lettere b) e c) del comma precedente; nelle aziende di cui alla lettera a) i permessi retribuiti non potranno essere inferiori ad un'ora all'anno per ciascun dipendente.
Il lavoratore che intende esercitare il diritto di cui al primo comma deve darne comunicazione scritta al datore di lavoro di regola 24 ore prima, tramite le rappresentanze sindacali aziendali.



ART. 24. (PERMESSI NON RETRIBUITI)


I dirigenti sindacali aziendali di cui all'articolo 23 hanno diritto a permessi non retribuiti per la partecipazione a trattative sindacali o a congressi e convegni di natura sindacale, in misura non inferiore a otto giorni all'anno.
I lavoratori che intendano esercitare il diritto di cui al comma precedente devono darne comunicazione scritta al datore di lavoro di regola tre giorni prima, tramite le rappresentanze sindacali aziendali.



ART. 25 (DIRITTO DI AFFISSIONE)


Le rappresentanze sindacali aziendali hanno diritto di affiggere, su appositi spazi, che il datore di lavoro ha l'obbligo di predisporre in luoghi accessibili a tutti i lavoratori all'interno dell'unità produttiva, pubblicazioni, testi e comunicati inerenti a materie di interesse sindacale e del lavoro.



ART. 26. (CONTRIBUTI SINDACALI)


I lavoratori hanno diritto di raccogliere contributi e di svolgere opera di proselitismo per le loro organizzazioni sindacali all'interno dei luoghi di lavoro, senza pregiudizio del normale svolgimento dell'attività aziendale.
Le associazioni sindacali dei lavoratori hanno diritto di percepire, tramite ritenuta sul salario, i contributi sindacali che i lavoratori intendono loro versare, con modalità stabilite dai contratti collettivi di lavoro, che garantiscano la segretezza del versamento effettuato dal lavoratore a ciascuna associazione sindacale.
Nelle aziende nelle quali il rapporto di lavoro non è regolato da contratti collettivi, il lavoratore ha diritto di chiedere il versamento del contributo sindacale all'associazione da lui indicata.



ART. 27 (LOCALI DELLE RAPPRESENTANZE SINDACALI AZIENDALI)


Il datore di lavoro nelle unità produttive con almeno 200 dipendenti pone permanentemente a disposizione delle rappresentanze sindacali aziendali, per l'esercizio delle loro funzioni, un idoneo locale comune all'interno della unità produttiva o nelle immediate vicinanze di essa.
Nelle unità produttive con un numero inferiore di dipendenti le rappresentanze sindacali aziendali hanno diritto di usufruire, ove ne facciano richiesta, di un locale idoneo per le loro riunioni.



ART. 28. (REPRESSIONE DELLA CONDOTTA ANTISINDACALE)


Qualora il datore di lavoro ponga in essere comportamenti diretti ad impedire o limitare l'esercizio della libertà e della attività sindacale nonché del diritto di sciopero, su ricorso degli organismi locali delle associazioni sindacali nazionali che vi abbiano interesse, il pretore del luogo ove è posto in essere il comportamento denunziato, nei due giorni successivi, convocate le parti ed assunte sommarie informazioni, qualora ritenga sussistente la violazione di cui al presente comma, ordina al datore di lavoro, con decreto motivato ed immediatamente esecutivo, la cessazione del comportamento illegittimo e la rimozione degli effetti.
L'efficacia esecutiva del decreto non può essere revocata fino alla sentenza con cui il tribunale definisce il giudizio instaurato a norma del comma successivo.
Contro il decreto che decide sul ricorso è ammessa, entro 15 giorni dalla comunicazione del decreto alle parti, opposizione davanti al tribunale che decide con sentenza immediatamente esecutiva.
Il datore di lavoro che non ottempera al decreto, di cui al primo comma, o alla sentenza pronunciata nel giudizio di opposizione è punito ai sensi dell'articolo 650 del codice penale.
L'autorità giudiziaria ordina la pubblicazione della sentenza penale di condanna nei modi stabiliti dall'articolo 36 del codice penale.



ART. 29. (FUSIONE DELLE RAPPRESENTANZE SINDACALI AZIENDALI)


Quando le rappresentanze sindacali aziendali di cui all'articolo 19 si siano costituite nell'ambito di due o più delle associazioni di cui alle lettere a) e b) del primo comma del l'articolo predetto, nonché nella ipotesi di fusione di più rappresentanze sindacali, i limiti numerici stabiliti dall'articolo 23, secondo comma, si intendono riferiti a ciascuna articolo 19 si siano costituite nell'ambito di due o più delle associazioni di cui alle lettere a) e b) del primo comma dell'articolo predetto, nonché nella ipotesi di fusione di più rappresentanze sindacali, i limiti numerici stabiliti dall'articolo 23, secondo comma, si intendono riferiti a ciascuna delle associazioni sindacali unitariamente rappresentate nella unità produttiva.
Quando la formazione di rappresentanze sindacali unitarie consegua alla fusione delle associazioni di cui alle lettere a) e b) del primo comma dell'articolo 19, i limiti numerici della tutela accordata ai dirigenti di rappresentanze sindacali aziendali, stabiliti in applicazione dell'articolo 23, secondo comma, ovvero del primo comma del presente articolo restano immutati.



ART. 30. (PERMESSI PER I DIRIGENTI PROVINCIALI E NAZIONALI)


I componenti degli organi direttivi, provinciali e nazionali, delle associazioni di cui all'articolo 19 hanno diritto a permessi retribuiti, secondo le norme dei contratti di lavoro, per la partecipazione alle riunioni degli organi suddetti.



ART. 31 (ASPETTATIVA DEI LAVORATORI CHIAMATI A FUNZIONI PUBBLICHE ELETTIVE O A RICOPRIRE CARICHE SINDACALI PROVINCIALI E NAZIONALI)

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I lavoratori che siano eletti membri del parlamento nazionale o di assemblee regionali ovvero siano chiamati ad altre funzioni pubbliche elettive possono, a richiesta, essere collocati in aspettativa non retribuita, per tutta la durata del loro mandato.
La medesima disposizione si applica ai lavoratori chiamati a ricoprire cariche sindacali provinciali e nazionali.
I periodi di aspettativa di cui ai precedenti commi sono considerati utili, a richiesta dell'interessato, ai fini del riconoscimento del diritto e della determinazione della misura della pensione a carico della assicurazione generale obbligatoria di cui al regio decreto-legge 4 ottobre 1935, n. 1827, e successive modifiche ed integrazioni, nonché a carico di enti, fondi, casse e gestioni per forme obbligatorie di previdenza sostitutive della assicurazione predetta, o che ne comportino comunque l'esonero.
Durante i periodi di aspettativa l'interessato, in caso di malattia, conserva il diritto alle prestazioni a carico dei competenti enti preposti alla erogazione delle prestazioni medesime.
Le disposizioni di cui al terzo e al quarto comma non si applicano qualora a favore dei lavoratori siano previste forme previdenziali per il trattamento di pensione e per malattia, in relazione all'attività espletata durante il periodo di aspettativa.



TITOLO IV
DISPOSIZIONI VARIE E GENERALI



ART. 32. (PERMESSI AI LAVORATORI CHIAMATI A FUNZIONI PUBBLICHE ELETTIVE)


I lavoratori eletti alla carica di consigliere comunale o provinciale che non chiedano di essere collocati in aspettativa sono, a loro richiesta, autorizzati ad assentarsi dal servizio per il tempo strettamente necessario all'espletamento del mandato, senza alcuna decurtazione della retribuzione.
I lavoratori eletti alla carica di sindaco o di assessore comunale, ovvero di presidente di giunta provinciale o di assessore provinciale, hanno diritto anche a permessi non retribuiti per un minimo di trenta ore mensili.



TITOLO V
NORME SUL COLLOCAMENTO



ART. 33. (COLLOCAMENTO)


La commissione per il collocamento, di cui all'articolo 26 della legge 29 aprile 1949, n. 264, è costituita obbligatoriamente presso le sezioni zonali, comunali e frazionali degli uffici provinciali del lavoro e della massima occupazione, quando ne facciano richiesta le organizzazioni sindacali dei lavoratori più rappresentative.
Alla nomina della commissione provvede il direttore dell'ufficio provinciale del lavoro e della massima occupazione, il quale, nel richiedere la designazione dei rappresentanti dei lavoratori e dei datori di lavoro, tiene conto del grado di rappresentatività delle organizzazioni sindacali e assegna loro un termine di 15 giorni, decorso il quale provvede d'ufficio.
La commissione è presieduta dal dirigente della sezione zonale, comunale, frazionale, ovvero da un suo delegato, e delibera a maggioranza dei presenti. In caso di parità prevale il voto del presidente.
La commissione ha il compito di stabilire e di aggiornare periodicamente la graduatoria delle precedenze per l'avviamento al lavoro, secondo i criteri di cui al quarto comma dell'articolo 15 della legge 29 aprile 1949, n. 264. Salvo il caso nel quale sia ammessa la richiesta nominativa, la sezione di collocamento, nella scelta del lavoratore da avviare al lavoro, deve uniformarsi alla graduatoria di cui al comma precedente, che deve essere esposta al pubblico presso la sezione medesima e deve essere aggiornata ad ogni chiusura dell'ufficio con la indicazione degli avviati. Devono altresì essere esposte al pubblico le richieste numeriche che pervengono dalle ditte.
La commissione ha anche il compito di rilasciare il nulla osta per l'avviamento al lavoro ad accoglimento di richieste nominative o di quelle di ogni altro tipo che siano disposte dalle leggi o dai contratti di lavoro. Nei casi di motivata urgenza, l'avviamento è provvisoriamente autorizzato dalla sezione di collocamento e deve essere convalidato dalla commissione di cui al primo comma del presente articolo entro dieci giorni. Dei dinieghi di avviamento al lavoro per richiesta nominativa deve essere data motivazione scritta su apposito verbale in duplice copia, una da tenere presso la sezione di collocamento e l'altra presso il direttore dello ufficio provinciale del lavoro. Tale motivazione scritta deve essere immediatamente trasmessa al datore di lavoro richiedente.
Nel caso in cui la commissione neghi la convalida ovvero non si pronunci entro venti giorni dalla data della comunicazione di avviamento, gli interessati possono inoltrare ricorso al direttore dell'ufficio provinciale del lavoro, il quale decide in via definitiva, su conforme parere della commissione di cui all'articolo 25 della legge 29 aprile 1949, n. 264.
I turni di lavoro di cui all'articolo 16 della legge 29 aprile 1949, n. 264, sono stabiliti dalla commissione e in nessun caso possono essere modificati dalla sezione.
Il direttore dell'ufficio provinciale del lavoro annulla d'ufficio i provvedimenti di avviamento e di diniego di avviamento al lavoro in contrasto con le disposizioni di legge. Contro le decisioni del direttore dell'ufficio provinciale del lavoro è ammesso ricorso al ministro per il lavoro e la previdenza sociale.
Per il passaggio del lavoratore dall'azienda nella quale e occupato ad un'altra occorre il nulla osta della sezione di collocamento competente.
Ai datori di lavoro che non assumono i lavoratori per il tramite degli uffici di collocamento, sono applicate le sanzioni previste dall'articolo 38 della presente legge.
Le norme contenute nella legge 29 aprile 1949, n. 264, rimangono in vigore in quanto non modificate dalla presente legge.



ART. 34. (RICHIESTE NOMINATIVE DI MANODOPERA)


A decorrere dal novantesimo giorno dell'entrata in vigore della presente legge, le richieste nominative di manodopera da avviare al lavoro sono ammesse esclusivamente per i componenti del nucleo familiare del datore di lavoro, per i lavoratori di concetto e per gli appartenenti a ristrette categorie di lavoratori altamente specializzati, da stabilirsi con decreto del ministro per il lavoro e la previdenza sociale, sentita la commissione centrale di cui alla legge 29 aprile 1949, n.264.



TITOLO VI
DISPOSIZIONI FINALI E PENALI



ART. 35. (CAMPO DI APPLICAZIONE)


Per le imprese industriali e commerciali, le disposizioni dell'articolo 18 e del titolo III, ad eccezione del primo comma dell'articolo 27, della presente legge si applicano a ciascuna sede, stabilimento, filiale, ufficio o reparto autonomo che occupa più di quindici dipendenti. Le stesse disposizioni si applicano alle imprese agricole che occupano più di cinque dipendenti. Le norme suddette si applicano, altresì, alle imprese industriali e commerciali che nell'ambito dello stesso comune occupano più di quindici dipendenti ed alle imprese agricole che nel medesimo ambito territoriale occupano più di cinque dipendenti anche se ciascuna unità produttiva, singolarmente considerata, non raggiunge tali limiti.
Ferme restando le norme di cui agli articoli 1, 8, 9, 14,15, 16 e 17, i contratti collettivi di lavoro provvedono ad applicare i principi di cui alla presente legge alle imprese di navigazione per il personale navigante.



ART. 36. (OBBLIGHI DEI TITOLARI DI BENEFICI ACCORDATI DALLO STATO E DEGLI APPALTATORI DI OPERE PUBBLICHE)

Nei provvedimenti di concessione di benefici accordati ai sensi delle vigenti leggi dallo stato a favore di imprenditori che esercitano professionalmente un'attività economica organizzata e nei capitolati di appalto attinenti all'esecuzione di opere pubbliche, deve essere inserita la clausola esplicita determinante l'obbligo per il beneficiario o appaltatore di applicare o di far applicare nei confronti dei lavoratori dipendenti condizioni non inferiori a quelle risultanti dai contratti collettivi di lavoro della categoria e della zona. Tale obbligo deve essere osservato sia nella fase di realizzazione degli impianti o delle opere che in quella successiva, per tutto il tempo in cui l'imprenditore beneficia delle agevolazioni finanziarie e creditizie concesse dallo stato ai sensi delle vigenti disposizioni di legge. Ogni infrazione al suddetto obbligo che sia accertata dall'ispettorato del lavoro viene comunicata immediatamente ai ministri nella cui amministrazione sia stata disposta la concessione del beneficio o dell'appalto. Questi adotteranno le opportune determinazioni, fino alla revoca del beneficio, e nei casi più gravi o nel caso di recidiva potranno decidere l'esclusione del responsabile, per un tempo fino a cinque anni, da qualsiasi ulteriore concessione di agevolazioni finanziarie o creditizie ovvero da qualsiasi appalto.
Le disposizioni di cui ai commi precedenti si applicano anche quando si tratti di agevolazioni finanziarie o creditizie ovvero di appalti concessi da enti pubblici, ai quali l'ispettorato del lavoro comunica direttamente le infrazioni per l'adozione delle sanzioni.



ART. 37. (APPLICAZIONE AI DIPENDENTI DA ENTI PUBBLICI)

Le disposizioni della presente legge si applicano anche ai rapporti di lavoro e di impiego dei dipendenti da enti pubblici che svolgono esclusivamente o prevalentemente attività economica. Le disposizioni della presente legge si applicano altresì ai rapporti di impiego dei dipendenti degli altri enti pubblici, salvo che la materia sia diversamente regolata da norme speciali.



ART. 38. (DISPOSIZIONI PENALI)

Le violazioni degli articoli 2, 4, 5, 6, 8 e 15, primo comma, lettera a), sono punite, salvo che il fatto non costituisca più grave reato, con l'ammenda da lire 100000 a lire un milione o con l'arresto da 15 giorni ad un anno. Nei casi più gravi le pene dell'arresto e dell'ammenda sono applicate congiuntamente.
Quando, per le condizioni economiche del reo, l'ammenda stabilita nel primo comma può presumersi inefficace anche se applicata nel massimo, il giudice ha la facoltà di aumentarla fino al quintuplo.
Nei casi previsti dal secondo comma, l'autorità giudiziaria ordina la pubblicazione della sentenza penale di condanna nei modi stabiliti dall'articolo 36 del codice penale.



ART. 39. (VERSAMENTO DELLE AMMENDE AL FONDO ADEGUAMENTO PENSIONI)


L'importo delle ammende è versato al fondo adeguamento pensioni dei lavoratori.



ART. 40. (ABROGAZIONE DELLE DISPOSIZIONI CONTRASTANTI)


Ogni disposizione in contrasto con le norme contenute nella presente legge è abrogata.
Restano salve le condizioni dei contratti collettivi e degli accordi sindacali più favorevoli ai lavoratori.



ART. 41. (ESENZIONI FISCALI)


Tutti gli atti e documenti necessari per la attuazione della presente legge e per l'esercizio dei diritti connessi, nonché tutti gli atti e documenti relativi ai giudizi nascenti
dalla sua applicazione sono esenti da bollo, imposte di registro o di qualsiasi altra specie e da tasse.
La presente legge, munita del sigillo dello stato, sarà inserita nella raccolta ufficiale delle leggi e dei decreti della repubblica italiana. E' fatto obbligo a chiunque spetti di osservarla e di farla osservare come legge dello stato.(pubblicata nella gazzetta ufficiale n. 131 del 27 maggio 1970)
data a Roma, addì 20 maggio 1970
Saragat
Rumor - Donat-cattin - Reale
visto, il guardasigilli: Reale