sabato 29 marzo 2008

Dalai Lama razzista

RAZZISMO DEL DALAI LAMA
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Il Dalai Lama accusa la Cina di "aggressione demografica" per l'immigrazione di cittadini cinesi nel Tibet. Una accusa disvelatrice
di una concezione di razzismo etnico che vorrebbe riservare ad una popolazione di 2.228.400 persone un territorio di un milione e duecentomila chilometri quadrati pari a Italia,.Francia e Germania messi insieme. Due abitanti per chilometro quadrato!!
I cinesi sono un popolo di emigranti presenti in tutto il mondo. Non si capisce perchè non dovrebbero stare nel Tibet che è una regione autonoma della Cina e che ha una millenaria comunanza culturale con essa.
L'accusa grottesca di aggressione demografica avviene nel pieno della globalizzazione di tutte le culture e di tutte le popolazioni del pianeta. Insomma il Tibet dovrebbe essere zona proibita a tutti i non autoctoni: Si dovrebbe preservare la purezza della razza e stabilire una volta per tutti che il Tibet può essere abitato soltanto da Tibetani. Le proteste inscenate dai monaci tibetani che hanno provocato la dura reazione cinese sono di natura etnica. I monaci hanno tentato un vero e proprio pogrom contro i cittadini cinesi
ed i loro beni riuscendo ad uccidere venti persone ed ad incendiare molti negozi ed abitazioni.
Noto con preoccupazione la pressione politica e mediatica di tutto l'Occidente verso la Cina che dovrebbe umiliarsi ricevendo il Dalai Lama e con ciò riconoscendogli lo status di legittimo rappresentante del popolo tibetano. Dalai Lama è un uomo ambiguo che dice di non volere l'indipendenza ma fa riferimento ad un governo ed un parlamento che la diaspora tibetana ha costituito all'estero.
Il progetto di indipendenza del Tbet viene perseguito dagli Usa ma purtroppo anche dall'Europa che partecipa all'obiettivo della spoliazione della Cina dei suoi diritti sul Tibet. Il movimento indipendentistico tibetano, largamente finanziato dalla Cia e sostenuto dalle maggiori cancellerie occidentali, si inscrive in un a linea di frammentazione della Cina e della Russia che fa leva sulle
etnie e sulle religioni. Si fomentano i musulmani del sud della Russia. La esperienza del Kosovo diventato indipendente ed abitato dalla sola etnia albanese e musulmana che ha umiliato la Serbia
ha innescato processi disgregativi in tutto il mondo. Anche la religione cattolica serve da ariete per la frammentazione come ab biamo visto a Timor Est con la costituzione di una enclave cattolica nell'indonesia musulmana.
La strategia statunitense non si fa scrupolo di utilizzare le religioni per il perseguimento dei suoi fini di divisione ed indebolimento degli Stati che considera potenziale nemici. In kossovo ha usato i musulmani dell'UCK ed in Tibet o in Birmania usa i monaci tibetani
come agenti di destabilizzazione. Molti di questi monaci vengono addestrati in basi militari e strategiche collocate nel Colorado.
Che differenza c'è tra la visione della immigrazione del Dalai Lama e quella dei xenofobi europei? Entrambi temono la contaminazione culturale e religiosa ed il meltingpot. Entrambi vogliono la purezza
della razza e l'isolamento culturale.
Ogni giorno di più l'Occidente in grande parte unificato volente o nolente alla politica di aggressione imperialistica e colonialistica degli Usa si avvicina ad una guerra sempre più estesa. La guerra regionale del Medio Oriente diventa una retrovia dello scenario
ben più sterminato del conflitto con i grandi paesi dell'Asia.
Pietro Anconawww.spazioamico.ithttp://pietro-ancona.blogspot.com/ http://medioevosociale-pietro.blogspot.com/

venerdì 28 marzo 2008

due codici penali?

,Caro Sansonetti,

ho notato che le sentenze penali riguardanti extracomunitari orevedono sempre il massimo della pena con esclusione sempre delle attenuanti normalmente applicate agli italiani. La rumena Doina Mattei fu condannata a 16 anni per un delitto preterintenzionale e , ultimo caso, 'il rumeno minorenne a dieci anni pena mai comminata prima. Nell'uso del minimo e del massimo della pena si stanno creando due codici penali diversi.

E' come se esistezze un codice diverso, assai più severo, per le persone immigrate giù abbondantemente criminalizzate da una stampa xenofoba e velenosa.


Pietro Anconahttp://pietro-ancona.blogspot.com/

domenica 23 marzo 2008

una conversione prodotta dall'odio

La conversione alla fede cattolica del noto opinionista del Corriere della Sera Magdi Allam conclude una tappa della sua personale campagna di odio contro l'Islam, contro le popolazioni di fede islamica che osano resistere al colonialismo occidentale, contro l'immigrazione specie quella clandestina che ha originato, anche per il suo personale e velenoso contributo, le recenti leggi razziali italiane paragonabili a quelle fasciste contro gli ebrei.

E' grave che Ratzinger in persona abbia voluto presenziare alla conversione. E' ancora più grave che abbia voluto dare pubblico risalto mondiale ad un evento di proselitismo e di concorrenza con la fede islamica, un evento destinato a fomentare rotture, incomprensioni e sospetti anche sulla presenza religiosa cattolica nei paesi islamici.

Può darsi che qualcuno senta dentro di se il bisogno di cambiare fede, di riconoscersi in una Chiesa diversa da quella in cui ha adorato il suo Dio. Ma il percorso, l'itinerario di un simile evento non è certamente quello fatto da Magdi Allam . La via percorsa da Magdi Allam è stata simile a quella di altri propagandisti del conflitto di civiltà: un crescendo di attacchi parossistici contro i paesi arabi, una invettiva che diventa un urlo di guerra . Guerra reale che conta, dopo la menzogna dell'11 settembre, oltre due milioni di morti in Irak, Afghanistan, Palestina, Libano. Naturalmente Magdi Allam, ieri fedigrafo musulmano, oggi apostata e crociato investito direttamente dal Papa.
La Piazza San Pietro, luogo di raduno da milioni di fedeli che sono venuti durante tanti anni a testimoniarrvi la loro scelta di pace, di misericordia, di giustizia sociale, il loro anelito verso la libertà dalla povertà, dalle malattie, dallo sfruttamento è stata profanata dal cinismo di un Papa e di una Chiesa che perseguono finalità politiche di potenza, di egemonia mondiale.
Le conseguenze di questo evento non saranno positive. I musulmani vi leggeranno la provocazione di un proselitismo che non riguarda soltanto la loro religione ma il loro diritto a resistere al neo colonialismo occidentale. Insomma alla polemica "civile" dell'Occidente contro l'Islam si salda la polemica "religiosa" per intervento diretto del massimo rappresentante della Chiesa Cattolica.
Il Corriere della sera che ha conferito a Magdi Allam l'incarico "politico" di Vice Direttore è investito direttamente della questione.
L'attendibilità di Magdi Allam musulmano antimusulmano poteva avere un certo credito; l'attendibilità di Magdi Allam apostata convertito è zero. Farebbe bene a chiedergli di non occuparsi mai più di questioni riguardanti l'islam e le comunità islamiche in Italia.
Pietro Anconawww.spazioamico.ithttp://pietro-ancona.blogspot.com/ http://medioevosociale-pietro.blogspot.com/

sull'immigrazione

Domenica 23 Marzo 2008
Clandestini intercettati
Caro Romano, sono appena stato in Algeria dove ho letto su Watan del 4 marzo (forse l’unico quotidiano indipendente in Algeria), una notizia sconvolgente. Secondo la «Ligue del la défense des droits de l’homme» alcune migliaia di giovani clandestini sono intercettati al largo delle coste algerine e condotti in Libia e Tunisia per sparire in prigione. Le famiglie non hanno più alcuna notizia dei loro cari. Secondo quanto riportato, tutto ciò rientra in un piano finanziato dalla Ue che mette a disposizione della Libia materiali e supporto logistico (fregate, elicotteri, ecc.) per «pescare» al largo gli immigrati. Sappiamo che il governo italiano ha lungamente negoziato con Gheddafi la creazione di campi profughi in territorio libico, dove il governo di Tripoli avrebbe potuto trattenere gli emigranti clandestini che provengono dall’Africa a sud del Sahara. Con mezzi forniti dall’Europa i libici avrebbero dovuto esercitare una maggiore sorveglianza sulle loro coste e avrebbe in tal modo ridotto il numero degli sbarchi clandestini in Italia.Sergio Elia, Sergio.Elia@advantechamt.com
Sappiamo anche che i parlamentari europei, quando il problema fu discusso a Strasburgo, manifestarono preoccupazioni per la tutela dei diritti umani in questi campi libici. Ma da allora, salvo errore, la questione è uscita dal radar dell’attenzione pubblica. Anche ame piacerebbe saperne di più.
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Caro Onorevole,

la lotta dell'Italia e dell'Europa alla emigrazione clandestina sarà ricordata ( se il mondo futuro avrà memoria del passato) come una delle pagine più vergognose ed inquietanti della storia umana.
pagine fatte di leggi razziali (quelle perfezionate dal governo Prodi), CPT ovvero prigioni,campi di concentramento e non si sa quanti scomparsi nel Sahara e del mediterraneo.
Pietro Anconawww.spazioamico.ithttp://pietro-ancona.blogspot.com/ http://medioevosociale-pietro.blogspot.com/

venerdì 21 marzo 2008

la cia e le religioni

Mar 18Cosa ha a che fare la CIA con il Dalai Lama?NO WAR, Internazionale, RivistaIl 14 agosto il Dalai Lama (DL) - figura di spicco del buddismo tibetano - era aNew York in Central Park. In questa citta’ era gia’ apparso in tre incontri alTeatro Beacon (tutto esaurito) piu’ altre occasioni in cui persone benestantihanno potuto pagare fino a 1000 dollari un biglietto per poterlo ascoltare.Il Dalai Lama, con il considerevole aiuto dei maggiori media, e’ divenuto unafigura di culto. Lo si chieda a chiunque si sintonizza abitualmente sulleradio-televisioni piu’importanti. Anche se non si interessa di politica, costuidira’ che il Dalai Lama e’ una persona buona, santa ed una “forza spirituale”.Il suo nuovo libro “L’arte della felicita’”, scritto assieme con Howard C.Cutler, e’stato pubblicizzato fino a che non e’ entrato nella lista deibest-sellers per 29 settimane.Ma il Dalai Lama e’ veramente un uomo non-politico? Se cosi’ fosse, perche’questo “santo” che si ritiene non ammazzerebbe un insetto, ha appoggiato ibombardamenti NATO sulla Jugoslavia? Le persone interessate alle questioni dicarattere sociale dovrebbero sapere che, come Papa Giovanni Paolo II, il DLdenuncia l’aborto, tutte le forme di controllo delle nascite e l’omosessualita’.L’imperialismo USA ha molta esperienza nell’uso dei sentimenti religiosi dimilioni di persone. La CIA formo’ un blocco unico con il Papa, che aveval’appoggio di milioni di cattolici, per abbattere il socialismo in Polonia. Nondovrebbe stupire il fatto il DL sia utilizzato anche dalla CIA.D’altro canto, le figure religiose che si oppongono agli USA sono demonizzate odiventano obbiettivi degli assassini - dall’Arcivescovo Romero in Salvador aireligiosi musulmani in Libano e Palestina/Israele.Lo scorso anno Hollywood ha realizzato due importanti films sul Tibet. GliStudios amano il DL, che, come si e’ detto, incorpora lo spirito e leaspirazioni del popolo tibetano. I ricchi gruppi che ora controllano Hollywood -Disney e la Tristar - entrambi appoggiano l’organizzazione Free Tibet. Hollywoodglorifica la classe religiosa tibetana ed il suo presunto passato idilliaco allostesso modo in cui “Via col vento ” glorificava la classe dominate schiavista erazzista del vecchio sud.Uno di quest film, “Sette anni in Tibet”, e’ stato basato su di un libro scrittoda un nazista austriaco, Heinrich Harrer, coinvolto in alcuni dei crimini piu’brutali dei nazi-fascisti austriaci. Harrer fini’ in Tibet durante la secondaguerra mondiale in missione segreta per l’imperialismo tedesco, che stavatentando di competere con l’imperialismo britannico in Asia. Egli fu accettatonel circolo piu’ ristretto, fra la nobilta’ tibetana.L’imperialismo e le culture indigeneIn tutto il mondo le societa’ indigene dal Nord America, alla America Latina,l’Africa e l’Oceania sono state decimate. La ricca varieta’ di culture e’ statascalzata, calpestata, ridicolizzata. I nativi sono stati sterminati in tutto ilmondo da tutte le forze che adesso sembrano essere rispettosamente in adorazionedella cultura tibetana.Il Tibet e il buddismo tibetano sarebbero stati di scarso interesse perl’imperialismo britannico ed americano se non fosse stato per la granderivoluzione cinese, che ha spazzato via tutto il vecchio mondo e la corrottasocieta’ feudale.Questa e’ stata una rivoluzione che ha coinvolto movimenti di massa di milionidi contadini poveri organizzati per la distribuzione delle terre e per lacacciata dei vecchi signori feudali. Tale grade sollevamento sociale ha liberatole energie creative e la partecipazione di un quarto dell’umanita’. Tuttorapero’ i media occidentali glorificano il vecchio Tibet.L’era della divisione della Cina e del suo dominioPer oltre 100 anni, le potenze imperialiste dell’Europa occidentale ed ilGiappone hanno mantenuto la Cina nelle sfere di loro influenza, proprio comel’Europa ha mantenuto l’Africa fra le sue colonie. Gli Stati Uniti allora siopponevano a questo, ma solo in quanto esclusi dall’accesso in Cina per i loroaffari. Nell’ottocento la Gran Bretagna, potenza dominante, combatte’ due guerrecontro la dinastia Manchu per il diritto al controllo sulla vendita dell’oppioin Cina. Nel 1904 la GB lancio’ una invasione su larga scala del Tibet. Coltrattato di Lhasa la Cina fu costretta a concedere due aree di commercio allaGB, e a pagare un ingente somma per riparare alle spese militari della guerra.Nel 1949 l‘armata Rossa era vicina alla sconfitta definitiva dell’esercito delKuomintang del generale Chiang Kai-shek, aiutato dagli USA. Washington allorastava operando per far aderire il Tibet all’ONU come paese indipendente. Glisforzi fallirono perche’ il Tibet e’ considerato da oltre 700 anni comeprovincia cinese, ed anche il Kuomintang asseriva che la Cina includesse ilTibet e l’isola di Taiwan.Oggi mentre l’imperialismo USA cresce e diventa sempre piu’ aggressivo, esso sista muovendo su vari fronti per forzare la separazione dalla Cina del Tibet, diTaiwan e della provincia occidentale del Xinjiang.Proprio come nei Balcani e nella ex-Unione Sovietica, le grandi corporationsamericane supportano ed incoraggiano i separatisti per rompere e controllarecompletamente le aree del globo che precedentemente erano libere dal dominioimperialista.La vita nell’antico TibetIl Tibet pre-rivoluzionario era una regione totalmente sottosviluppata. Nonpossedeva alcun sistema viario. Le sole piste erano quelle della preghiera. Erauna teocrazia feudale basata su agricoltura, servitu’ e schiavitu’. Oltre il 90%della popolazione era senza terra e ridotta in servitu’. Erano legati alla terrama senza alcuna proprieta’. I loro figli erano registrati fra le proprieta’ delloro Signore.Non vi erano scuole, eccetto i monasteri in cui (pochi) giovani studiavanocanti. Il totale degli studenti presenti in scuole private era di 600 studenti.L’educazione per le donne era totalmente sconosciuta. Non vi era alcuna forma diassistenza sanitaria, non vi erano ospedali in tutto il Tibet.Un centinaio di famiglie nobili e gli abati dei monasteri - anche essi membri difamiglie nobili - possedevano tutto.Il Dalai Lama viveva nelle 1000 stanze del palazzo di Potala. Tradizionalmenteera scelto nella sua infanzia fra i giovani delle famiglie potenti. Eglirimaneva poi come un pupazzo sotto il controllo del notabilato che lo seguiva.Per il contadino medio la vita era breve e misera, il Tibet aveva il piu’ altotasso di tubercolosi e mortalita’ infantile nel mondo. Oggi il Tibet ha 2380scuole primarie, moltissime scuole professionali e l’istruzione si svolge inlingua tibetana. Vi sono oltre 20000 dottori, 95 ospedali cittadini e 770cliniche.La lotta di classe in CinaNel 1949 la Rivoluzione Cinese stabili’ primariamente che il Tibet fosse unaregione autonoma con molti piu’ diritti di quanti ne avesse mai avuti inprecedenza. La politica del PC Cinese fu quella di attendere che sisviluppassero le condizioni fra le classi oppresse tibetane per il sollevamentoe la cacciata del regime feudale.La schiavitu’ fu dichiarata fuorilegge solo dal 1959, 10 anni dopo laRivoluzione. Cio’ avvene dopo un grande movimento di massa che isolo’ il DalaiLama. E’ vero, comunque , che il PC cinese abbia sfidato gli antichi costumitibetani.Prima di tutto il governo cinese pago’ un adeguato salario a tutti coloro chelavorassero alla costruzione delle strade. Cio’ distrusse totalmente l’usanzadella servitu’.Prima di cio’ un servo poteva sopravvivere lavorando per il Signore: non perguadagnare ma per il cibo.Ancora piu’ rivoluzionario fu pagare i ragazzi e gli ex-schiavi per frequentarele scuole; essi furono anche dotati di libri, vitto e alloggio. Nelle famigliepiu’ disperate avevano dovuto lavorare anche i bambini per sopravvivere.La nuova politica rivoluzionaria sollevo’ per la prima volta il livelloeconomico delle classi piu’ oppresse di questa societa’ cosi’ rigida.La Cia mobilita le resistenza delle classi-dominantiDal 1955 la CIA inizio’ a costruire un esercito controrivoluzionario in Tibet,molto simile ai Contras in Nicaragua e, piu’ recentemente, al finaziamento edaddestramento dell’UCK in Kosovo.Il 16 agosto 1999 su Newsweek e’ apparso l’articolo “Una guerra segreta sultetto del mondo - i monaci e l’operazione segreta della Cia in Tibet”, nel qualesi descrivono in dettaglio le operazioni CIA dal 1957 al 1965.Analogamente, il principale articolo del Chicago Tribune del 25 gennaio 1997descriveva lo speciale addestramento dei mercenari tibetani a Camp Hale nelleMontagne Rocciose in Colorado, per tutti gli anni ‘50. Tali mercenari furonoparacadutati in Tibet. In accordo ai famigerati “articoli del Pentagono” ci sonostati almeno700 di questi voli negli anni 50. Furono usati C-130, come piu’ tardi inViet-Nam, per portare munizioni ed armi. Vi erano anche basi speciali a Guam ead Okinawa, dove furono addestrati soldati tibetani. Gyalo Thumdup, fratello delDalai Lama, segui’ le operazioni, e non era certo un mistero. Se ne faceva unvanto.Il Chicago Tribune aveva titolato “La guerra segreta della Cia in Tibet” edafferma in modo chiaro che “ben poco sulle operazioni Cia in Himalaya e’veramente segreto, eccetto forse ai contribuenti USA che le hanno finanziate”.La CIA diede una rendita annuale speciale di 180000$ al Dalai Lama per tutti glianni 60; questa e’ ora una piccola fortuna in Nepal, ove aveva organizzato unesercito ed un governo virtuale in esilio. Gli USA hanno anche organizzato delleradiostazioni per proiettare in Tibet l’”immagine” del DL come quella di undio-re.Ralph McGhee, che ha scritto molti articoli sulle operazioni CIA, e mantieneanche un sito web, ha descritto in dettaglio come la “compagnia” abbia promossoil DL.L’ufficio CIA NATIONAL EDOWDMENT for DEMOCRACY ha procurato denaro per un fondoper il Tibet, per la Voce del Tibet, e per la campagna internazionale per ilTibet.di Sara Flounders(da Workers World, Aug. 26, 1999Web: http://www.workers.org)_________________________________________________________________Cerchi una palestra vicino a casa? La trovi con Live Search Mapshttp://maps.live.it

chi è il dalai lama

CHI E' IL DALAI LAMA?dalla rivista L'Ernesto - http://www.lernesto.it Celebrato e trasfigurato dalla cinematografia di Hollywood, il Dalai Lama continua indubbiamente a godere di una vasta popolarità: il suo ultimo viaggio in Italia si è concluso solennemente con una foto di gruppo coi dirigenti dei partiti di centro-sinistra, che hanno voluto così testimoniare la loro stima o la loro riverenza nei confronti del campione della lotta di «liberazione del popolo tibetano».Ma chi è realmente costui? Tanto per cominciare, egli non è nato nel Tibet storico, ma in territorio incontestabilmente cinese, per l'esattezza nella provincia di Amdo che nel 1935, l'anno della nascita, era amministrata dal Kuomintang. In famiglia si parlava un dialetto regionale cinese, sicché il nostro eroe impara il tibetano come una lingua straniera, ed è costretto a impararla a partire dall'età di tre anni, e cioè dal momento in cui, riconosciuto come l'incarnazione del 13° Dalai Lama, viene sottratto alla sua famiglia e segregato in un convento, per essere sottoposto all'influenza esclusiva dei monaci che gli insegnano a sentirsi, a pensare, a scrivere, a parlare e a comportarsi come il Dio-Re dei tibetani ovvero come Sua Santità.1. Un «paradiso» raccapriccianteDesumo queste notizie da un libro (Heinrich Harrer, Sette anni nel Tibet, Mondadori, Oscar bestsellers, 1999), che pure ha un carattere di semi-ufficialità (si conclude con il «Messaggio» in cui il Dalai Lama esprime la sua gratitudine all'autore) e che ha contribuito moltissimo alla costruzione del mito hollywoodiano. Si tratta di un testo a suo modo straordinario, che riesce a trasformare in capitoli di storia sacra anche i particolari più inquietanti. Nel 1946, Harrer incontra a Lhasa i genitori del Dalai Lama, dove si sono trasferiti ormai da molti anni, abbandonando la natia Amdo. E, tuttavia, essi non sono ancora divenuti tibetani: bevono il tè alla cinese, continuano a parlare un dialetto cinese e, per intendersi con Harrer, che si esprime in tibetano, hanno bisogno dell'aiuto di un «interprete». Certo, la loro vita è cambiata radicalmente: «Era un grosso salto quello dalla loro piccola casa di contadini in una lontana provincia al palazzo che ora abitavano e ai vasti poderi che erano adesso di loro proprietà». Avevano ceduto ai monaci un bambino di tenerissima età, che poi riconosce nella sua autobiografia di aver molto sofferto per questa separazione. In cambio, i genitori avevano potuto godere di una prodigiosa ascesa sociale. Siamo in presenza di un comportamento discutibile? Non sia mai detto. Harrer si affretta subito a sottolineare la «nobiltà innata» di questa coppia (p. 133): come potrebbe essere diversamente, dato che si tratta del padre e della madre del Dio-Re?Ma che società è quella su cui il Dalai Lama è chiamato a governare? Sia pure a malincuore, l'autore del libro finisce col riconoscerlo: «La supremazia dell'ordine monastico nel Tibet è assoluta, e si può confrontare solo con una severa dittatura. I monaci diffidano di ogni influsso che possa mettere in pericolo la loro dominazione». Ad essere punito non è soltanto chi agisce contro il «potere» ma anche «chiunque lo metta in dubbio» (p. 76). Diamo ora uno sguardo ai rapporti sociali. Si direbbe che la merce più a buon mercato sia costituita dai servi (si tratta, in ultima analisi, di schiavi). Harrer descrive giulivo l'incontro con un alto funzionario: anche se non è un personaggio particolarmente importante, egli può comunque disporre di un «seguito di trenta servi e serve» (p. 56). Essi vengono sottoposti a fatiche non solo bestiali ma persino inutili: «Circa venti uomini erano legati alla cintura da una corda e trascinavano un immenso tronco, cantando in coro le loro lente nenie e avanzando di pari passo. Ansanti e in un bagno di sudore non potevano soffermarsi per pigliare fiato, perché il capofila non lo permetteva. Questo lavoro massacrante rappresenta una parte delle loro tasse, un tributo da sistema feudale». Sarebbe stato facile far ricorso alla ruota, ma «il governo non voleva la ruota»; e, come sappiamo, contrastare o anche solo mettere in discussione il potere della casta dominante poteva essere assai pericoloso. Ma, secondo Harrer, non ha senso versare lacrime sul popolo tibetano di quegli anni: «forse così era più felice» (pp. 159-160).Incolmabile era l'abisso che separava i servi dai padroni. Per la gente comune, al Dio-Re non era lecito rivolgere né la parola né lo sguardo. Ecco cosa avviene nel corso di una processione:«Le porte della cattedrale si aprirono e lentamente uscì il Dalai Lama […] Devota la folla si inchinò immediatamente. Il cerimoniale religioso esigerebbe che la gente si gettasse per terra, ma era impossibile farlo a causa della mancanza di spazio. Migliaia di persone curvarono invece la schiena, come un campo di grano sciabolato dal vento. Nessuno osava alzare gli occhi. Lento e compassato il Dalai Lama iniziò il suo giro intorno al Barkhor […] Le donne non osavano respirare».Finita la processione, il quadro cambia in modo radicale:«Come ridestata da un sonno ipnotico la folla in quel momento passò dall'ordine al caos […] I monaci-soldato entrarono subito in azione […] All'impazzata facevano mulinare i loro bastoni sulla folla […] Ma nonostante la gragnuola di colpi, i battuti ritornavano come fossero posseduti da demoni […] Adesso accettavano colpi e frustate come una benedizione. Fiaccole di pece fumosa cadevano sulle loro teste, urla di dolore, qui un volto bruciato, là i gemiti di un calpestato!» (pp. 157-8).Vale la pena di notare che questo spettacolo viene seguito dal nostro autore in modo ammirato e devoto. Non a caso, il tutto è contenuto in un paragrafo dal titolo eloquente: «Un dio alza, benedicendo, la mano». L'unico momento in cui Harrer assume un atteggiamento critico si verifica allorché egli descrive la condizione igienica e sanitaria del Tibet del tempo. Infuria la mortalità infantile, la durata media della vita è incredibilmente bassa, le medicine sono sconosciute, in compenso circolano farmaci assai singolari: «spesso i lama ungono i loro pazienti con la propria saliva santa; oppure tsampa e burro vengono mescolati con l'urina degli uomini santi per ottenere una specie di emulsione che viene somministrata ai malati» (p. 194). Qui si ritrae perplesso anche il nostro autore devoto e bacchettone: se pure dal «Dio-Ragazzo» è stato «persuaso a credere nella reincarnazione» (p. 248), egli tuttavia non riesce a «giustificare il fatto che si bevesse l'urina del Buddha Vivente», e cioè del Dalai Lama. Solleva il problema con quest'ultimo, ma con scarsi risultati: il Dio-Re «da solo non poteva combattere tali usi e costumi, e in fondo non se ne preoccupava troppo». Ciò nonostante, il nostro autore, che si accontenta di poco, messe da parte le sue riserve, conclude imperturbabile: «In India, del resto, era uno spettacolo giornaliero vedere la gente bere l'urina delle vacche sacre» (p. 294).A questo punto, Harrer può procedere senza più impacci nella sua opera di trasfigurazione del Tibet pre-rivoluzionario. In realtà, esso è carico di violenza e non conosce neppure il principio della responsabilità individuale: le punizioni possono essere anche trasversali e colpire i parenti del responsabile di una mancanza anche assai lieve o persino immaginaria (p. 79). Ma cosa avviene per i crimini considerati più gravi? «Mi raccontarono di un uomo che aveva rubato una lampada dorata al burro da uno dei templi di Kyirong. Fu dichiarato colpevole del reato, e quella che noi avremmo considerato una sentenza disumana fu portata a compimento. Gli furono pubblicamente mozzate le mani, e il suo corpo mutilato ma ancora vivo fu avvolto in una pelle di yak bagnata. Quando smise di sanguinare, venne gettato in un precipizio» (p. 75). Ma anche reati minori, ad esempio «il gioco d'azzardo», possono essere puniti in modo spietato se commessi nei giorni di festività solenni: «i monaci sono a tale riguardo inesorabili e molto temuti, perché più di una volta è avvenuto che qualcuno sia morto sotto la rigorosa flagellazione, la pena usuale» (pp. 153-3). La violenza più selvaggia caratterizza i rapporti non solo tra «semidei» e «esseri inferiori» ma anche tra le diverse frazioni della casta dominante: ai responsabili delle frequenti «rivoluzioni militari» e «guerre civili» che caratterizzano la storia del Tibet pre-rivoluzionario (l'ultima si verifica nel 1947), vengono fatti «cavare gli occhi con una spada» (pp. 224-5). E, tuttavia, il nostro zelante convertito al lamaismo non si limita a dichiarare che «le punizioni sono piuttosto drastiche, ma sembrano essere commisurate alla mentalità della popolazione» (p. 75). No, il Tibet pre-rivoluzionario è ai suoi occhi un'oasi incantata di non violenza: «Dopo un po' che si è nel paese, a nessuno è più possibile uccidere una mosca senza pensarci. Io stesso, in presenza di un tibetano, non avrei mai osato schiacciare un insetto soltanto perché mi infastidiva» (p. 183). In conclusione, siamo in presenza di un «paradiso» (p. 77). Oltre che di Harrer, questa è l'opinione anche del Dalai Lama che nel suo «Messaggio» finale si abbandona ad una struggente nostalgia degli anni vissuti da Dio-Re: «ricordiamo quei giorni felici che trascorremmo assieme in un paese felice» (happy) ovvero, secondo la traduzione italiana, in «un paese libero». 2. «Invasione» del Tibet e tentativo di smembramento della CinaQuesto paese «felice» e «libero», questo «paradiso» viene trasformato in un inferno dall'«invasione» cinese. Le mistificazioni non hanno mai fine. Ha realmente senso parlare di «invasione»? Quale paese aveva riconosciuto l'«indipendenza» del Tibet e intratteneva con esso relazioni diplomatiche? In realtà, ancora nel 1949, nel pubblicare un libro sulle relazioni Usa-Cina, il dipartimento di Stato americano accludeva una mappa di per sé eloquente: con tutta chiarezza sia il Tibet che Taiwan vi figuravano quali parti integranti del grande paese asiatico, impegnato a porre fine una volta per sempre alle amputazioni territoriali imposte da un secolo di aggressioni colonialiste e imperialiste. Naturalmente, con l'avvento dei comunisti al potere, cambia tutto, comprese le carte geografiche: ogni falsificazione storica e geografica è lecita se essa consente di ridare slancio alla politica a suo tempo iniziata con la guerra dell'oppio e di avanzare cioè in direzione dello smembramento della Cina comunista.E' un obiettivo che sembra sul punto di realizzarsi nel 1959. Con un cambiamento radicale rispetto alla politica seguita sino a quel momento, che l'aveva visto collaborare col nuovo potere insediatosi a Pechino, il Dalai Lama sceglie la via dell'esilio e comincia ad agitare la bandiera dell'indipendenza del Tibet. Si tratta realmente di una rivendicazione nazionale? Abbiamo visto che il Dalai Lama stesso non è di origine tibetana ed è costretto ad imparare una lingua che non è la sua lingua materna. Ma concentriamo pure la nostra attenzione sulla casta dominante autoctona. Per un verso questa, nonostante la generale ed estrema miseria del popolo, può coltivare i suoi raffinati gusti cosmopoliti: ai suoi banchetti si scialacquano «squisitezze di tutte le parti del mondo» (pp. 174-5). A degustarle sono raffinati parassiti che, nell'ostentare il loro sfarzo, non danno certo prova di ristrettezza provinciale: «le volpi azzurre vengono da Amburgo, le perle coltivate dal Giappone, le turchesi via Bombay dalla Persia, i coralli dall'Italia e l'ambra da Berlino e Königsberg» (p. 166). Ma mentre si sente affine all'aristocrazia parassitaria di ogni angolo del mondo, la casta dominante tibetana guarda ai suoi servi come ad una razza diversa e inferiore; sì, «la nobiltà ha le sue leggi severe: è permesso sposare soltanto chi è dello stesso rango» (p. 191). Che senso ha allora parlare di lotta di indipendenza nazionale? Come possono esserci una nazione e una comunità nazionale se, per riconoscimento dello stesso candido cantore del Tibet pre-rivoluzionario, i «semidei» nobiliari, lungi dal considerare concittadini i loro servi, li bollano e li trattano quali «esseri inferiori» (pp. 170 e 168)?D'altro canto, a quale Tibet pensa il Dalai Lama, allorché comincia ad agitare la bandiera dell'indipendenza? E' il Grande Tibet, che avrebbe dovuto abbracciare vaste aree al di fuori del Tibet propriamente detto, annettendo anche le popolazioni di origine tibetana residenti in regioni come lo Yunnan e il Sichuan, da secoli parte integrante del territorio della Cina e talvolta culla storica di questa civiltà multisecolare e multinazionale. Chiaramente, il Grande Tibet costituiva e costituisce un elemento essenziale del progetto di smembramento di un paese che, a partire dalla sua rinascita nel 1949, non cessa di turbare i sogni di dominio mondiale accarezzati a Washington.Ma cosa sarebbe successo nel Tibet propriamente detto se le ambizioni del Dalai Lama si fossero realizzate? Lasciamo pure da parte i servi e gli «esseri inferiori» a cui chiaramente non prestano molta attenzione i seguaci e i devoti di Sua Santità. In ogni caso, il Tibet pre-rivoluzionario è una «teocrazia» (p. 169): «un europeo difficilmente è in grado di capire quale importanza si annetta al più piccolo capriccio del Dio-Re» (p. 270). Sì, «il potere della gerarchia era illimitato» (p. 148), ed esso si esercitava su qualunque aspetto dell'esistenza: «la vita delle persone è regolata dalla volontà divina, i cui unici interpreti sono i lama» (p. 182). Ovviamente, non c'è distinzione tra sfera religiosa e sfera politica: i monaci permettevano «alle tibetane le nozze con un mussulmano solo alla condizione di non abiurare» (p. 169); non era consentito convertirsi dal lamaismo all'Islam. Assieme ai rapporti matrimoniali anche la vita sessuale conosce una regolamentazione occhiuta: «per gli adulteri vigono pene molto drastiche, ad esempio il taglio del naso» (p. 191). E' chiaro: pur di smembrare la Cina, Washington non esitava a montare in sella al cavallo fondamentalista del lamaismo integralista e del Dalai Lama.Ora, anche Sua Santità è costretto a prenderne atto: il progetto secessionista è sostanzialmente fallito. Ed ecco allora le dichiarazioni per cui ci si accontenterebbe dell'«autonomia». In realtà, il Tibet è da un pezzo una regione autonoma. E non si tratta di parole. Già, nel 1998, pur formulando critiche, Foreign Affairs, la rivista americana vicina al Dipartimento di Stato, con un articolo di Melvyn C. Goldstein, si è lasciata sfuggire riconoscimenti importanti: nella Regione Autonoma Tibetana il 60-70% dei funzionari sono di etnia tibetana e vige la pratica del bilinguismo. Naturalmente, c'è sempre spazio per miglioramenti; resta il fatto che, in seguito alla diffusione dell'istruzione, la lingua tibetana è oggi parlata e scritta da un numero di persone ben più elevato che nel Tibet pre-rivoluzionario. E' da aggiungere che solo la distruzione dell'ordinamento castale e delle barriere che separavano i «semidei» dagli «esseri inferiori» ha reso possibile l'emergere su larga base di un'identità culturale e nazionale tibetana. La propaganda corrente è il rovesciamento della verità.Mentre gode di un'ampia autonomia, il Tibet, grazie anche agli sforzi massicci del governo centrale, conosce un periodo di straordinario sviluppo economico e sociale. Assieme al livello di istruzione, al tenore di vita e alla durata media della vita cresce anche la coesione tra i diversi gruppi etnici, come è confermato fra l'altro dall'aumento dei matrimoni misti tra han (cinesi) e tibetani. Ma proprio ciò diventa il nuovo cavallo di battaglia della campagna anticinese. Ne è un esempio clamoroso l'articolo di Bernardo Valli su la Repubblica del 29 novembre. Mi limito qui a citare il sommario: «L'integrazione tra questi due popoli è l'ultima arma per annullare la cultura millenaria del paese sul tetto del mondo». Chiaramente, il giornalista si è lasciato abbagliare dall'immagine di un Tibet all'insegna della purezza etnica e religiosa che è il sogno dei gruppi fondamentalisti e secessionisti. Per comprenderne il carattere regressivo, basta ridare la parola al cronista che ha ispirato Hollywood. Nel Tibet pre-rivoluzionario, oltre ai tibetani e ai cinesi «si possono incontrare anche lhadaki, bhutanesi, mongoli, sikkimesi, kazaki e via dicendo». Sono ben presenti anche i nepalesi: «Le loro famiglie rimangono quasi sempre nel Nepal, dove anche loro ritornano di tanto in tanto. In questo differiscono dai cinesi, che sposano volentieri donne tibetane, conducendo una vita coniugale esemplare» (pp. 168-9). La maggiore «autonomia» che si rivendica, non si sa bene se per il Tibet propriamente detto ovvero per il Grande Tibet, dovrebbe comportare anche la possibilità per il governo regionale di vietare i matrimoni misti e di realizzare una purezza etnica e culturale che non esisteva neppure prima del 1949? 3. La cooptazione del Dalai Lama nell'Occidente e nella razza bianca e la denuncia del pericolo gialloL'articolo di Repubblica è prezioso perché ci permette di cogliere la sottile vena razzista che attraversa la campagna anticinese in corso. Com'è noto, nel ricercare le origini della razza «ariana» o «nordica» o «bianca», la mitologia razzista e il Terzo Reich hanno spesso guardato con interesse all'India e al Tibet: è di qui che avrebbe preso le mosse la marcia trionfale della razza superiore. Nel 1939, al seguito di una spedizione delle SS l'austriaco Harrer giunge nell'India del nord (oggi Pakistan) e di qui poi penetra nel Tibet. Allorché incontra il Dalai Lama, subito lo riconosce e lo celebra come membro della superiore razza bianca: «La sua carnagione era molto più chiara di quella del tibetano medio, e in qualche sfumatura anche più bianca di quella dell'aristocrazia tibetana» (p. 280). Del tutto estranei alla razza bianca sono invece i cinesi. Ecco perché è un evento straordinario la prima conversazione che Sua Santità ha con Harrer: egli si trovava «per la prima volta solo con un uomo bianco» (p. 277). In quanto sostanzialmente bianco il Dalai Lama non era certo inferiore agli «europei» ed era comunque «aperto a tutte le idee occidentali» (pp. 292 e 294). Ben diversamente si atteggiano i cinesi, nemici mortali dell'Occidente. Lo conferma ad Harrer un «ministro-monaco» del Tibet sacro: «nelle antiche scritture, ci disse, si leggeva una profezia: una grande potenza del Nord muoverà guerra al Tibet, distruggerà la religione e imporrà la sua egemonia al mondo» (p. 141). Non c'è dubbio: la denuncia del pericolo giallo è il filo conduttore del libro che ha ispirato la leggenda hollywoodiana del Dalai Lama.Torniamo alla foto di gruppo che ha concluso il suo recente viaggio in Italia. Fisicamente assenti ma idealmente ben presenti si possono considerare Richard Gere e gli altri divi di Hollywood, inondati di dollari per celebrare la leggenda del Dio-Re venuto dall'Oriente misterioso. E' doloroso ammetterlo ma bisogna prenderne atto: è ormai da qualche tempo che, volte le spalle alla storia e alla geografia, una certa sinistra si rivela in grado di alimentarsi solo di miti teosofici e cinematografici, senza prendere le distanze neppure dai miti cinematografici più torbidi.*********questo e molto altro sul Tibet al link:http://www.cnj.it/documentazione/cina.htm#mitosalutigabriele
Gio 20 Mar 2008 3:36 pm
Sei collegato come pietro

mercoledì 19 marzo 2008

lettera a Valdo Spini

Original Message -----
From: pietroancona@tin.it
To: info@valdospini.it
Sent: Wednesday, March 19, 2008 6:04 PM
Subject: Menzogne americane sul Tibet
Caro Spini,

mi meraviglio molto che una persona perbene come te si presti alla divulgazione della menzogna americana dei diritti civili calpestati dalla Cina in Tibet,
Sai benissimo che la polizia cinese è intervenuta dopo l'assassinio di tredici civili cinesi ad opera dei sanguinari e fanatici monaci.

Sai bene come da qui alle olimpiadi gli americani renderanno difficile la vita alla Cina mettendola alla gogna per tante ragioni dai giocattoli velenosi (che poi erano di fabbriche usa) ai diritti dei monaci tibetani feroci oppressori medioevale del popolo tibetano.

Ti ricordo che il Tibet è parte integrante della Cina anche se
il tristo arnese americano DalaiLama ha costituito un Parlamento ed un Governo in esilio.

E' noto come gli Usa aspirino ad un Tibet autonomo dove installare una base militare e controllare da vicino la Cina che tentano in tutti i modi di destabilizzare.

Pietro Ancona

domenica 9 marzo 2008

il ritiro di prodi

Il ritiro di Prodi.
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Prodi comunica di lasciare la politica, lasciandosi la porta aperta ad un lucroso incarico internazionale. E' il segno della resa definitiva della borghesia liberale, una volta aperta al dialogo con la classe lavoratrice ed il movimento socialista, alla borghesia predatrice sociale che si raccoglie attorno a berlusconi e Montezemolo e che Veltroni ed il gruppo dirigente del
PD vorrebbero servire a cominciare dalle candidature dei falchi della Confindustria. Se Berlusconi promette all'orda dei capitalisti d'assalto l'abolizione dello Statuto dei Diritti dei Lavoratori, Veltroni liscia il pelo a Ichino che vorrebbe abolire l'art.18, l'ultima difesa dei lavoratori dalla loro riduzione in merce. Si apre una oscura prospettiva di isolamento per i lavoratori, i socialisti,
la sinistra italiana.
Considero il gesto di Prodi una presa d'atto di una situazione terribilmente compromessa
e squilibrata verso un regime confindustriale. Purtroppo la democrazia italiana ha perduto quello che una volta era il PCI e, dopo gli accordi sul welfare, anche la CGIL.
L'Italia corre verso un regime di protezionismi di parte a spese dei lavoratori dipendenti e dei pensionati. La prossima vittima sarà la Costituzione.
Con questo gesto di rinunzia Prodi dimostra di essere più che uno Statista un Manager della Politica per si apre ad un futuro riposante ed opulento. Una pensione di lusso!!
Pietro Anconawww.spazioamico.ithttp://medioevosociale-pietro.blogspot.com/http://pietro-ancona.blogspot.com/

giovedì 6 marzo 2008

Statuto dei diritti dei lavoratori





  1. Ha quasi quarant’anni, ma funziona ancora

    Bruno Ugolini





  2. Ha quasi quarant’anni, ma funziona ancora

    Bruno UgoliniLo ha detto in modo sornione Silvio Berlusconi «bisognerebbe cambiare l’intero Statuto dei lavoratori». Una frase gettata lì, non racchiusa nei programmi ufficiali della destra. Quasi una minaccia, capace di far sobbalzare. Perché il ricordo va subito al 23 marzo del 2002, alla folla che occupava il Circo Massimo a Roma, attorno alla Cgil di Cofferati. Anche allora si parlava di norme moderne adeguate ai tempi. Presto si era però capito che l’unica cosa che si voleva colpire era il diritto dei lavoratori, nelle aziende con più di 15 dipendenti, a non essere licenziati senza una giusta ragione.“Ad nutum”, con un cenno del dito, come si scrisse allora. Era solo un articolo dello Statuto, il numero 18. Ora il tema torna a occupare la campagna elettorale. E attraverso quella frase, tutta al condizionale (“bisognerebbe”), s’intuisce che quel che sta a cuore non è certo una tutela più adeguata del mondo del lavoro. L’obiettivo è riscrivere lo Statuto, per cancellare alcune regole. Perché è vero che quella legge è vecchia. È nata il 20 maggio del 1970, attraverso ministri e studiosi come Giacomo Brodolini, Gino Giugni, Carlo Donat Cattin, ma prima ancora (nel 1952) era stata proposta da Giuseppe Di Vittorio. Quelle che oggi però appaiono inadeguate, non sono le tutele assegnate ai lavoratori dipendenti. È, invece, l’assenza o l’inadeguatezza di tutele per quell’esercito via via ingrossatosi dei lavoratori cosiddetti atipici. Sono i collaboratori coordinati continuativi, i lavoratori a progetto, i lavoratori in “associazione in partecipazione”, quelli con contratto a termine, gli interinali (oggi si chiamano “somministrati”). Molti di loro sono privi oltre che dell’articolo 18, di tutele primarie, come quella di poter aderire a un sindacato senza rischiare, o di potersi ammalare, o di partecipare ai corsi di formazione aziendale. Sono i figli del post fordismo, orfani di Statuto.Ma non è per loro che si batte la destra. Si muove contro i padri per intrappolare anche i figli. Non è su queste tematiche che è intervenuto il governo di centrodestra nei cinque anni prima di Romano Prodi. Ha operato per moltiplicare le possibilità di estendere le forme contrattuali flessibili e poi ha infierito sull’unico articolo che premeva: il diciotto, per ottenere i licenziamenti facili. Come se passasse da lì la ricetta capace di imprimere una svolta nell’assetto economico e sociale del Paese, impegnato nella gara della competitività internazionale. E invece il tema dovrebbe essere quello relativo a come costruire un capitale umano capace davvero di ridare slancio alla società e all’economia. Non certo togliendo o ridimensionando le grandi conquiste del 1970. Parliamo del diritto all’assemblea in azienda; il diritto a non subire indagini sulle proprie opinioni politiche, religiose o sindacali; il diritto quando si è studenti- lavoratori a turni agevolati; il diritto a non essere obbligati a fare gli straordinari; il diritto a svolgere attività sindacali. Nonché il divieto alla concessione di trattamenti economici di maggior favore aventi carattere discriminatorio. Sono conquiste di civiltà, sono alcuni aspetti di quel vituperato Statuto del resto non sempre rispettato.Uno Statuto che, ripeto, avrebbe bisogno di coinvolgere anche quella parte dimenticata del mondo del lavoro. Come? C’è una parte della sinistra ­ oggi rappresentata nella lista Arcobaleno ­ che giudica in sostanza l’esercito post-fordista solo frutto di una macroscopica truffa. Per cui tutti o quasi gli atipici sarebbero da ricondurre nell’esercito dei normali salariati a posto fisso. Negando così l’esistenza, sia pure parziale, di forme produttive e di nuove tecnologie collegate a esigenze di vera flessibilità (da risarcire con diritti e redditi adeguati) e non la conseguenza di un complotto. O l’esistenza di fasce di giovani lavoratori che non sognano il cartellino da timbrare tutte le mattine, preferiscono mirare a lavori di qualità, accumulando esperienze e culture anche queste, però, ricche di tutele. Un'altra parte della sinistra ­ quella confluita nel Pd ­ ha ipotizzato una “Carta dei diritti” (integrante lo Statuto) che desse una risposta a tali problematiche. Basti ricordare le elaborazioni di Tiziano Treu e Cesare Damiano al tempo dell’Ulivo, o alle prime misure varate dal governo Prodi. Ma altri prima - da Gino Giugni, a Massimo D’Antona, a Bruno Trentin - avevano lavorato attorno a questo tema.Ed ora che cosa succederà? È probabile che Berlusconi come il solito si rimangi quanto ha detto, spinto da preoccupazioni elettorali. Rimane un oscuro presagio. La vittoria di un governo di centrodestra, anzi di destra, porterebbe con sé il seme inquinante di nuovi scontri sociali. Non certo di soluzioni eque, costruttive e moderne. Un guaio per il Paese mentre si avvicina una tempesta dai connotati recessivi.
    Pubblicato il 06.03.08


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