Il tentativo di Napolitano di unire l'Italia in una celebrazione dei suoi 150 anni, qualcosa che riguarda tutto il suo passato compresa la rimossa guerra di conquista del Sud dopo la spedizione dei Mille, l'Italietta coloniale, la repressione dei fasci siciliani, la tragedia della grande emigrazione di milioni di persone, il fascismo, la resistenza, la Repubblica, la Costituzione, per quanto forte e perseverante di impegno civile, non è del tutto riuscito.
L'Italia che Napolitano vorrebbe in piedi salda e coesa non c'è ed alla fine lo sforzo del Presidente risulta retorico e financo patetico. Soltanto nei giovani è stato trasfuso un sentimento di italianità attraverso il tricolore e l'inno di Mameli. Ma è cosa che non durerà a lungo e che sarà travolto da un paese che è diventato una giungla per coloro che non hanno una forte difesa nel censo. Tutto cesserà appena i ragazzi usciranno dalla scuola per entrare nel precariato a vita a cui sono stati condannati da tutto l'establiscement compresi i sindacati.
La contraddizione e la debolezza dello sforzo del Presidente era palese e rappresentata plasticamente da alcuni momenti della giornata di ieri. Intanto la contestazione che i lavoratori del teatro dell'Opera hanna fatto del governo e della sua politica di tagli della spesa culturale. Anche altre volte ci sono state contestazioni ma questa volta appariva chiaro che sulla ritirata del governo dal sostegno alla cultura nazionale non si tornerà indietro. Duecento mila persona perderanno il lavoro e la loro serenità.
Altra debolezza di ieri è apparsa dalle persone che affollavano il palco presidenziale.
Accanto a Napolitano e signora Clio erano significativamente presenti i cardinali Bagnasco e Bertone a ricordare che l'Italia non è uno Stato sovrano ma concordatario e che le leggi
del suo Parlamento non saranno mai laiche ma avranno sempre un imprimatur dalla Chiesa e se non l'hanno non passeranno.
Sempre ieri, nello stesso teatro dell'opera si riunivano Napolitano, Berlusconi e la Russa per decidere come regolarsi sulla questione libica. Sebbene l'Italia sia colpita in giganteschi interessi economici di importanza strategica per il nostro futuro, si è deciso di fornire appoggio agli aerei che andranno a bombardare la Libia. Libia che ci ha garantito quaranta anni di tranquillo e prospero interscambio commerciale e che ha fatto dell'ENI un gigante mondiale dell'energia. Ora subentreranno i francesi che hanno foraggiato ed armato gli insorti che l'Occidente spaccia per campioni di libertà e di democrazia.
Se la giornata di ieri è stata commentata dalla stampa estera come una tiepida celebrazione
di una Nazione che non crede molto in se stessa questo non si deve soltanto all'assenza dei deputati della Lega o alle proteste dei neoborbonici che non arrivano oltre la soglia di internet quanto ad una mancata franca discussione sul Risorgimento ed alle crescenti difficoltà che possono far franare l'Italia. Ignorare Fenestrelle e Pontelandolfo e rubricare la resistenza del Sud come brigantaggio non ha fatto e non farà bene alla causa dell'unità. Inoltre il veleno del leghismo ha inquinato profondamente il diritto. Il grande Nord del Paese da sempre ammirato da tutti come il luogo della tecnica, della prosperità, della civiltà e financo del "vento del Nord" è riuscito a farsi odiare da tutto il Paese per le sue ripetute manifestazioni di egoismo, di antimeridionalismo, di razzismo. La Milano di oggi non è più riconosciuta come "nostra" da tutti gli italiani. Le leggi di Tremonti sulla scuola
hanno avvelenato di molto l'atmosfera.
Pietro Ancona
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