sabato 12 marzo 2011

1911/2011: centenario della occupazione italiana della Libia

Nota a margine
Nel centenario (1911) dell'occupazione coloniale dell'Italia (di Giolitti) alla Libia seguita da trenta anni di ferocia ma anche dopo quaranta anni di bella e pacifica cooperazione, abbiamo di nuovo tradito il popolo libico. Lo ha ricordato Gheddafi junior minacciando vendette. In ogni caso di vittoria o sconfitta di Gheddafi l'Italia ha perso tutto: la dignità e trenta miliardi di interscambio commerciale!
Pietro Ancona




Una pagina sulle "prodezze" italiane in Libia

Ed è proprio su quest'oasi, dove si pensava fossero ancora i ribelli, che si concentrò l'attenzione italiana. Il 31 luglio 1930 quattro aerei al comando del tenente colonnello Roberto Lordi partono da Gialo con l'ordine di distruggere Taizerbo. Vengono lanciate 24 bombe da 21 chili caricate a iprite e 12 bombe da 12 chili e 320 da 2 chili con esplosivo convenzionale.
Anche Cufra, città santa dei senussiti nella Libia sudorientale, dove intanto si erano ritirate le bande ribelli di Abd el Gelli Sef en-Nasser e Saleh el Atèusc, subì un attacco dal cielo prima di essere presa nel gennaio del 1931 da una colonna di "meharisti", mercenari libici su cammelli e autocarri.
I guerriglieri sopravvissuti fuggirono con le proprie famiglie ma i reparti cammellati e l'aviazione li inseguirono per vari giorni fino ad annientarli in gran parte: tra le vittime anche donne e bambini.
Cufra fu sottoposta a tre giorni di saccheggi e violenze: 17 capi senussiti furono impiccati, 35 indigeni evirati e lasciati morire dissanguati, 50 donne stuprate; si registrarono anche 50 fucilazioni e 40 esecuzioni con ascia, baionette e sciabole. Le truppe vittoriose si abbandonarono a ogni atrocità: alle donne incinte venne squartato il ventre e i feti infilzati, giovani furono donne violentate e sodomizzate con le candele, teste e testicoli mozzati portati in giro come trofei, tre bambini immersi in calderoni di acqua bollente, ad alcuni vecchi vennero estirpate le unghie per essere poi accecati.
http://www.storiain.net/arret/num153/artic3.asp

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