venerdì 13 maggio 2011
riforndare la CGIL
Rifondare la CGIL
La riunione del Direttivo della CGIL dei giorni scorsi che apre la strada ad un forte ridimensionamento dei contratti collettivi ha chiuso ogni speranza di recupero della grande organizzazione che fu di Di Vittorio ad una linea di coerente difesa dei lavoratori. Inoltre sanziona lo smottamento a destra della sua collocazione internazionale. La CGIL è per i bombardamenti in Libia, condivide le "missioni militari" italiane all'estero, ha ribaltato le alleanze dai palestinesi ad Israele, non mette in discussione Mastricth e Lisbona e cioè l'assetto liberistico dell'Europa. E' uscita dal movimento pacifista. Non intende assumere una posizione contraria alla Legge Biagi e si limita a chiedere qualche elemosina di ammortizzatore sociale non arrivando neppure a proporre la flexisecurity. Ha accettato la demolizione del sistema pensionistico e la sua riduzione a prestazioni scadenti che faranno fare la fame ed innalzato anche in modo fraudolento (se n'è vantato Tremonti a Bruxelles). Ha cinto di assedio la Fiom appoggiando apertamente l'opposizione interna e suggerendo l'adesione alle proposte di Marchionne. Ha spinto la sua iniziativa contro la Fiom fino al sostegno della ribellione di esponenti delle RSU alla linea nazionale. La CGIL aderisce alla linea lavoro senza diritti ed avrebbe firmato gli accordi di Pomigliano, Mirafiori e ex Bertone.
Il governo ha varato un programma di riduzione di cinquecentomila dipendenti statali attraverso i tagli alla scuola ed alla università ed il turnover senza opposizione sociale. Gli insegnanti sono stati lasciati soli e la CGIL si è sempre rifiutata di organizzare una azione di sostegno con lo sciopero generale come è stato fatto in Francia ed altrove. Sostiene la linea delle privatizzazioni o al massimo si limita a non approvarle ma senza osteggiarle davvero.
Non c'è un solo punto del conflitto sociale in cui la CGIL abbia una posizione chiara. Tutta la vicenda della crisi occupazionale è gestita nel quadro delle convenienze confindustriali e gli stessi ammortizzatori sociali sono rimasti quelli di venti anni fa insufficienti e paternalistici ed arbitrari come avviene per la CIG.
Con il collegato lavoro che è stato fatto passare, con il consenso del PD, l'arbitrato che peggiora la condizione dei più deboli e cioè dei lavoratori e la loro possibilità di avere giustizia.
Questo e altro costituisce la lista delle doglianze da rivolgere alla CGIL. Bisogna aggiungere ad essa le questioni riguardanti l'organizzazione, il ricorso sistematico alla legge Biagi per il personale tecnico ed amministrativo della CGIL, i legami sempre più importanti con il padronato, la Cisl e l'Uil attraverso la cosidetta sussidiarietà e l'esistenza di migliaia di enti bilaterali.
La CGIL, pur essendo un sindacato fiorente ricco di quasi sei milioni di iscritti che pagano regolarmente le quote, non destina niente per il sostegno dei lavoratori e delle loro famiglie. Non una iniziativa per i figli dei disoccupati e dei cassi integrati, non un sostegno per le situazioni occupazionali di emergenza. Niente di niente.
Credo che sia necessario abbandonare questa organizzazione oramai incapace di essere di aiuto ai lavoratori per andare a ricostituire la CGIL da un'altra parte, magari con il sindacalismo di base. Fare quello che fece Di Vittorio nel 1911: andarsene. La gestione Camusso ha tratti drammaticamente in comune con quella D'Aragona che nel 1926 si sciolse nelle mani di Mussolini dopo avere approvare il Patto di Palazzo Vidoni. Allora Bruno Buozzi la ricostruiì da un'altra parte. Con questa CGIL, con la sua subalternità agli interessi del PD, con i suoi rapporti con la Confindustria e con Cisl ed UIL, i lavoratori italiani cesseranno di essere protagonisti della loro storia. Viene disconosciuta la loro funzione di classe sociale e con la fine del contratto collettivo nazionale si vuole concludere anche la storia del movimento operaio italiano. Niente più azioni collettive, niente più scioperi generali. Il sindacato come ausilio dell'ufficio risorse umane.
I lavoratori italiani hanno bisogno di un sindacato autonomo dai partiti e dai governi, un forte coraggioso prudente sindacato non riformista e non massimalista che li difenda davvero in una linea di pieno riconoscimento del loro ruolo sociale e dei loro diritti contrattuali e di cittadinanza.
E non abbiamo molto tempo davanti. Bisogna fare presto. Bisogna andarsene da un'altra parte.
Pietro Ancona
già dirigente della CGIL e membro del CNEL
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