PONZIO PILATO E LA FINE DELL'ART.18
Le acque sono state mosse dal Senatore Treu, giuslavorista, già ministro del Lavoro, ispiratore del famigerato "pacchetto treu" che iniziò la demolizione alla grande del diritto del lavoro in Italia dopo gli anni d'oro dello Statuto dei diritti che aveva garantito pace sociale, dignità ai lavoratori, sicurezza alle loro famiglie, prosperità al Paese. Il suo nome è legato all'ingresso nella legislazione italiana del lavoro interinale, una legalizzazione di quanto era previsto come reato da una legge dello Stato, che ha creato la categoria degli Invisibili, di coloro che lavorano nelle fabbriche, nelle aziende, negli ospedali fianco a fianco dei loro colleghi senza poterne condividere i diritti. Una condizione di umiliazione copiata da quanto c'è di più malvagio nella esperienza estera. Con il lavoro interinale la prestazione lavorativa diventa fonte di guadagni per le grandi compagnie multinazionali che lo gestiscono ed il salario del lavoratore viene decurtato della parte che incassa l'agenzia. Una sorta di caporalato gestito non da un mafioso armato di bastone, ma da un signore in giacca e cravatta che parla correntemente almeno due lingue. Dal pacchetto Treu si è quindi passati alla legge Biagi che aumenta a dismisura la possibilità di intermediazione parassitaria sul lavoratore ed accentua, fino all'inverosimile dell'assunzione settimanale senza festivi, la precarietà della prestazione diventata merce da vendere e rivendere.
Ebbene, il senatore Treu oggi ha reso noto, dopo anni di lavoro sottotraccia e spesso bipartisan svolto in Parlamento da squadre di guastatori del diritto capeggiati da Cazzola e Ichino, il disegno di legge quasi pronto per l'approvazione definitiva che, all'art.31 sottrae al lavoratore la possibilità di farsi scudo dell'art.18 in caso di licenziamento senza giusta causa. Inoltre per rendere la norma valevole non solo per i futuri contratti, ma anche per i lavoratori attualmente occupati, (vero obiettivo della riforma), ammette la possibilità di accordi sull'arbitrato "durante" il rapporto di lavoro . Non è difficile pensare che con un modulo preconfezionato le aziende chiederanno ai lavoratori, che difficilmente avranno la forza di negare il loro consenso, di accordarsi sulla introduzione dell'arbitro. Il lavoratore in quanto tale avrà meno diritti. Non potrà difendersi ricorrendo ad un Giudice ma ad un "paciere" forse pagato dalla stessa azienda che lo vuole licenziare. Non avrà come il famoso mugnaio di Dresda il suo giudice a Berlino.
Non è paranoico pensare che questo lavoro parlamentare di aggiramento dell'art.18 con un sotterfugio leguleio ed un intrigo di palazzo bipartisan ghigliottinerà la manodopera a tempo indeterminato, specialmente quella che i padroni ritengono "pesante" per dieci, venti anni di anzianità e che si vorrebbe sostituire con carne fresca e senza tante pretese e diritti acquisiti. Ciò è frutto anche della "consulenza" delle Confederazioni Sindacali, da tempo oramai collegate strettamente all'ufficio "risorse umane" delle aziende e collaborazioniste della Confindustria e del Governo.
Cisl ed Uil, accogliendo la linea della complicità coi padroni suggerita da Sacconi, sono già d'accordo mentre la CGIL che non può negare sè stessa e la sua storia e mettere nel dimenticatoio la grande manifestazione di milioni di lavoratori convenuti a Roma su invito di Cofferati appunto a difesa dell'art.18, non firma ma assiste come Ponzio Pilato. Il ruolo di Ponzio Pilato sembra essere diventato la sua vocazione. In occasione degli accordi separati sulla riforma dei contratti ha preteso appunto di presenziare senza firmare.
Le dichiarazioni rese oggi da Epifani sono stupefacenti e quasi provocatorie. Sostanzialmente dice
che se la legge sarà fatta la CGIL la impugnerà davanti la Corte Costituzionale ("faremo ricorso se ci sono le condizioni di legittimità costituzionale"). Ma per fare questo non c'è bisogno di una Confederazione di sei milioni di iscritti. Questa non è opposizione ma accettazione di un cambiamento radicale a danni dei lavoratori. Sulla stessa linea si muovono Cisl e Uil. Insomma le tre Confederazioni hanno lasciato via libera a questa mostruosa modifica.
Se non fosse così, almeno per la CGIL, la difesa dell'articolo 18 sarebbe al centro dello sciopero generale del 12 Marzo. Ma il 12 Marzo si sciopererà soltanto per chiedere l'elemosina di una tantum di 500 euro di sgravio fiscale che se fosse concessa, varrebbe la revoca della manifestazione.
E' per me sempre motivo di stupore l'acquiescenza della CGIL alle richieste del governo e del padronato anche le più inique. Se lo stesso Epifani ritiene che nell'art.31 del ddl governativo ci siano gli estremi per ricorrere alla Corte Costituzionale ammette che c'è una lesione dei diritti e della dignità dei lavoratori.
E' terribile che i lavoratori italiani siano governati da tre Confederazioni Sindacali che da venti anni a questa parte campano sulle loro spalle riducendo i loro diritti ed accrescendo la loro fetta di gestione di percentuali consistenti di salario con gli enti bilaterali. Bastava vedere in TV il parterre del Congresso dell'UIL per respirare aria di ministerialismo e di collaborazionismo subalterno. La signora Marcegaglia troneggiava in prima fila ad ascoltare la relazione di Angeletti che tirava la volata alle sue richieste al Governo e condivideva la stessa visione per la spesa pubblica senza dire una sola parola sulla condizione del lavoro in Italia.
Avere reso pubblica la questione dell'art.31 soltanto ora, dopo anni di silenzio complice, è averla già accettata.
Quanto si potrà fare da ora in avanti sarà soltanto tardivo e fuori tempo massimo. Soltanto un grande e convinto sciopero generale potrebbe bloccarne l'approvazione. Ma questo Epifani si guarda bene financo dal pensarlo.
Pietro Ancona
http://medioevosociale-pietro.blogspot.com/
www.spazioamico.it
http://www.adnkronos.com/IGN/Lavoro/Politiche/Art18-e-polemica-sul-ddl-Lavoro-in-approvazione-al-Senato_78127177.html
http://archivio.rassegna.it/2002/speciali/sciopero-generale/prima.htm
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1 commento:
Arbitri privati, come se fosse una partita a calcio.
La motivazione è la solita: la lentezza della giustizia; in materia di cause di lavoro ci sono casi di attesa anche superiori a 900 giorni.
Il ricorso al Giudice del lavoro era già stato mitigato dal tentativo di conciliazione presso l’Ufficio del lavoro, questa procedura ha fatto diminuire il contenzioso presso il giudice del lavoro; ma evidentemente gli organici di tali giudici sono ancora insufficienti.
Il problema dal punto di vista logico può essere risolto aumentando l’organico dei magistrati, tanto quanto basta. Ma si sceglie la logica di fare intervenire nella giustizia l’arbitrato privato.
Il ricorso all’arbitro privato è diffuso in materia di controversie commerciali e civili, ma in quel campo i contendenti sono spesso su un piano di parità, appartengono alle stesse organizzazioni di categoria commerciale e industriale, scelgono come arbitri membri delle confederazioni di appartenenza. Di ben altra natura sono le controversie tra datore di lavoro e lavoratore: i due contendenti non sono certo inseriti negli stessi organismi, non sono su un piano di parità, il licenziamento pone problemi vitali al lavoratore.
Lo Stato si ritira da una materia delicatissima e di garanzia come quella del lavoro, l’arbitro pubblico cede il posto a quello privato. Ma l’amministrazione della giustizia, l’essere arbitro, è un compito primario e fondativo dello Stato. Uno di quei compiti che sono stati alla base della concezione illuminista dello Stato moderno. Un compito che fino a qualche decennio fa non avrebbero posto in discussione né la sinistra né la destra.
francesco zaffuto www.lacrisi2009.com
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