Il medioevo ai nostri giorni…
La balla dello Stato di diritto
e la ricerca del lavoro come via crucis
Carmelo R. Viola
Il potere pubblico attuale non è più certamente quello del principe e dei suoi cortigiani. Questo e la sua scorta essenziale devono essere eletti e il loro potere ha una durata nel tempo. Il pubblico potere è migliorato e di molto ma la differenza che lo separa dallo Stato di diritto è notevolmente più grande. Lo Stato di diritto, di cui si parla, è soltanto una balla ed è richiamato per ignoranza o per malafede. Lo Stato di diritto non è dato dalla costituzione e meno che mai dal giochetto elettorale e dalla possibilità di indire referendum.
Stato di diritto è il punto di arrivo della crescita dello Stato: è lo Stato adulto o compiuto, quello che, per meglio intenderci, mette i propri cittadini – tutti, nessuno escluso – nelle migliori condizioni per esercitare i propri diritti naturali. Altrimenti a che diritto si farebbe riferimento?
Premesso che la disuguaglianza si traduce nella possibilità, diretta o indiretta, di conculcare i diritti altrui e che in assenza di uguaglianza non ci possa essere esercizio universale (cioè di tutti) dei diritti naturali, la prova del nove dell’assenza dello Stato di diritto e della persistenza del medioevo a dispetto della costituzione, è la semplice nascita, in occasione della quale, la madre, se povera, e salvo rari interventi di carità (che non libera ma deprime ed offende), si ritrova sola con sé stessa. Le toccherà anzitutto notare come si nasca poveri come pesci o muniti di tutti i confort di questo mondo senza colpa né merito. Differenze accecanti e difficoltà drammatiche accompagneranno la madre povera per tutto il periodo scolastico. Si pensi solo al peso enorme dei soli libri di testo venduti a peso d’oro quando dovrebbero essere distribuiti gratis. La pratica della compravendita dei libri usati è un “uso e getta”, che insegna il disamore per la biblioteca e la cultura delle tradizioni e del ricordo.
Facciamo un salto alla maggiore età - ai fatidici diciott’anni! - qui la prova del nove è evidente come un giorno burrascoso. Al cittadino divenuto maggiorenne si ripete in coro: “cercati un lavoro! arrangiati!” E’ un invito ambiguo in un momento in cui lo Stato di diritto brilla per la sua assenza totale. Parlare di Stato di diritto in questa circostanza è come parlare di pace in un campo di guerra! Con lo scoccare del diciottesimo anno l’adolescente viene scaraventato nel mondo degli adulti, di coloro che, solo per avere raggiunta una certa età, dovrebbero potere provvedere a sé stessi: non si sa come. Si sa solo che dovrebbero!
L’università è vietata ai poveri. Alcuni, fra i più volenterosi (parlo sempre di poveri) pensano di potersela pagare da sé, lavorando. E, a tal fine, si lasciano sfruttare dal primo malaccorto ma legale predatore per quattro soldi, talora poveracci anche loro che tentano la via dell’impresa. I nostri eroici ragazzi si prestano ai lavori più umili se non usuranti, da quello del manovale a quello del volantinaggio di fogli pubblicitari. Qualcuno s’improvvisa perfino tecnico di computer e, con l’aiuto di un provetto, anche elettricista o imbianchino. E’ il multiforme rodaggio di cittadini di uno Stato, che sa ancora di medioevo. C’è chi conquista un’assunzione a tempo determinato: il lavoro precario è pur sempre una vittoria rispetto a quello effimero, che dura una stagione o una sola settimana. Ma, attenzione, dietro la rispettabile legalità, ci può essere un “datore di lavoro” che, per necessità o per convenienza, impegna il dipendente a restituire una quota perché non ce la farebbe altrimenti e il giovane, felice di avere trovato un “buco”, non esita a fare onore alla promessa!
La preoccupazione assillante di genitori poveri con figli in età da lavoro, è quella di un’amicizia “potente”. In caso di concorso - due posti contro mille concorrenti! – è meglio un’amicizia altolocata e magari in abito talare. Si è a caccia di buone raccomandazioni. La raccomandazione è un fenomeno bifacciale: da un lato toglie a qualcuno, dall’altro lato dà più del dovuto, magari dietro un adeguato compenso. Talvolta si scopre il crimine e si grida allo scandalo. Ma il vero scandalo – la vergogna senza attenuanti – è che lo Stato abbandoni i cittadini a sé stessi e purtuttavia pretende di essere “di diritto”! Finché non c’è lavoro per tutti la raccomandazione è inevitabile e, in certe situazioni, è perfino un atto di amore!
La ricerca di un lavoro è una vera via crucis, che va seminando mezze soluzioni irrazionali. I raccomandati sotto buona stella riescono con o senza mazzetta. Dopo la nascita quella dell’età del lavoro è il banco di prova di uno Stato che non è di diritto. Davvero c’è una differenza abissale fra il figlio di una ragazza madre indigente e il rampollo di una stirpe come Agnelli o Berlusconi. Un mio parente ha 21 anni ed è ancora come un fuscello su un mare che ondeggia. Il codice civile, che mi fa pensare ad una tovaglia al collo di un montone di montagna, esige che il genitore provveda allo stesso fino a quando questi non abbia conquistata l’autonomia economica, ma il genitore non ha un posto fisso né ancora, una pensione. Ma ha ancora un vecchio padre con una pensione da fame. Ebbene, lo stesso codice civile, concepito per disimpegnare lo Stato dai naturali doveri istituzionali, vuole che il nonno provveda al figlio e al nipote!
E’ inevitabile che in questa scaletta, in cui trova rifugio il miserabile Stato medioevale, non possano non attecchire le varie forme di delinquenza economica da recupero e di mafia. Il giovane “si arrangia”: è quanto gli è stato raccomandato. Per contro, in assenza di uno Stato di diritto, il codice penale di difesa del patrimonio e soprattutto l’Antimafia risultano due istituti a dir poco ridicoli dietro cui si nascondono l’ignoranza della scienza sociale e la malafede degli impostori.
Esistono ancora residui di quelli che furono “uffici del lavoro e della massima occupazione”: hanno sedi rarissime, spesso difficili da raggiungere, e con un’attività poco più che simbolica e dove c’è da attendere, magari in piedi, magari per ore, l’uscita di una graduatoria per un’occupazione di fortuna di qualche giorno di lavoro. E nessuno può sapere chi ci sia dietro! Ovunque preme la disoccupazione dovunque aleggia la corruzione! Di fatto ciò che ha pieno vigore è il mercato del lavoro che più che nelle agenzie è nei fatti. Nel libero mercato, appunto, ovvero nella libera – ma sì, legale - discrezione di questo o quell’uomo di affari.
Dove stia lo Stato nessuno lo sa. Il giovane non ha un interlocutore. Egli scopre la grande solitudine, dentro cui costruisce il proprio destino o la propria condanna. Stato di diritto e giovani abbandonati sono entità che si escludono a vicenda. A me fanno non poca tenerezza quei giovani, di cui sta per fare parte il parente di cui dicevo, che mentre nelle varie occasioni festive o ricreative inneggiano alla libertà, finiscono per fare la ressa per entrare nella marina militare o nell’esercito o nella finanza o in una di quelle polizie che hanno più volte contestato, e lo fanno – sentite un po’ – in nome di una patria, in cui non credono perché, per la verità, non ne hanno alcuna. Più che una balla lo Stato di diritto è una barzelletta che offende!
Carmelo R. Viola
(La balla dello Stato di diritto – 2 nov. 2009 – 2570)
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