giovedì 5 novembre 2009

41 BIS: la Guantanamo italiano

da Gli altri di oggi


41BIS, LA GUANTANAMO ITALIANA
di Andrea Armernante

«Il 41 bis, l’articolo entrato nell’ordinamento penitenziario sulla scia emergenziale dell’epoca stragista della mafia, è diventato lo strumento ordinario con il quale il sistema celebra la necessaria costruzione simbolica di un nemico», spiega Adalgiso Amendola, professore di sociologia del diritto all’Università di Salerno che, da anni, si occupa delle derive emergenzialiste nel diritto contemporaneo.

Dal punto di vista del diritto qual e la criticità dell’articolo 41 bis?

Il problema del 41 bis è che si tratta di una norma che si colloca ai limiti del disegno costituzionale: è un modo di vivere la pena come uno strumento volto alla neutralizzazione del soggetto, all’interruzione di ogni contatto con l’esterno. Un disegno che contrasta in modo netto con le finalità rieducative previste dalla Carta fondamentale, che di certo non immagina la reclusione come un ulteriore incentivo alla de socializzazione del soggetto. Con il 41 bis siamo, cioè, nel pieno del diritto dell’esecuzione. Ed è una norma che sembra in contrasto anche con la Convenzione europea dei diritti dell’uomo.

Ci sono state delle pronunce da parte della Corte europea su tale norma?

Si ci sono stati degli interventi, che non hanno avuto il coraggio di dichiarare la norma incompatibile con l’ordinamento comunitario, limitandosi a elaborare dei limiti alla sua applicazione. Ma umanizzare un istituto che si propone l’isolamento totale di una persona è un obiettivo così contraddittorio che finisce solo con il rafforzare l’istituto stesso, renderlo, per paradosso, meno accettabile. Analogo discorso può essere fatto con le pronunce della Corte costituzionale, eppure l’insofferenza per questa norma non è ascrivibile solo a giuristi malati di garantismo. La criticità del 41 bis viene ribadita continuamente, la ribadisce il vicepresidente del Csm Nicola Mancino, la ribadiscono i vari tribunali, come quello di sorveglianza di Napoli, secondo cui la norma finisce per creare una categoria differente di detenuti, in violazione del principio di eguaglianza.

Nel caso di Diana Blefari Melazzi quali sono state, a suo avviso, le incongruità nell’applicazione del 41 bis?

La norma è pensata come una misura di emergenza. Il fatto che sia stata rinnovata per tre volte la fa diventare una misura ordinaria, non più proporzionata all’esigenza di evitare i contatti con la precedente attività criminale. Le condizioni psichiche della Blefari rendono impossibile immaginare una continuità con l’attività associativa. Anche in questo caso, dunque, l’applicazione del 41 bis sembra aver servito soprattutto una “funzione di bandiera”: mettere la brigatista in un regime di carcere duro ha avuto, evidentemente, come scopo prevalente solo quello di marcare l’assoluta inaccettabilità del crimine dedotto. Difatti l’articolo, dinanzi all’opinione pubblica, non viene mai messo in discussione, mentre negli ambienti giudiziari se ne parla di continuo e a tutti i livelli. Perché quando l’eccezione diventa regola l’ordinamento giudiziario perde delle fondamentali garanzie. Inoltre la pratica ha rivelato che la disposizione non serve, nonostante i proclami espliciti, a isolare il detenuto dai suoi legami con l’associazione di provenienza. Serve, invece, a selezionare la figura di chi collabora da quella di chi non lo fa. Da qui il carattere più grave per tanti giuristi democratici, vale a dire il fatto che per uscire dal 41 bis occorre che sia provato che non esistano più tali legami. Sono delle minime considerazioni garantiste a volere, invece, che, a provare una persistente connessione con l’attività criminosa, sia chi vuole imporre e prorogare il 41 bis.

Perché l’opposizione al 41 bis continua a essere un “tabù generalizzato” tra i giuristi?

Credo che pesi molto la sua “origine” meridionale, il fatto di essere nato come risposta alla criminalità organizzata. Come tutte le strategie di “tolleranza zero” la criminalità deve essere vissuta come fosse un’alterità assoluta e qualsiasi tentativo di spiegazione sociale del fenomeno, qualsiasi intervento che non passi per il grado massimo di criminalizzazione viene vissuto come una giustificazione collaborazionista. Chi voglia essere accettato come interlocutore legittimo nella sfera pubblica non deve dubitare dell’essenzialità del 41 bis.

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