martedì 17 aprile 2012

Di Liberto e l'antipolitica

Una posizione di Di Liberto che critico
Trovo negativo e controproducente l'intervento di Di Liberto dentro il quale leggo un'ansia di rilegittimazione come si agognasse che qualcuno dei palazzi gli battesse una mano sulla spalla e gli dicesse: in fondo sei tanto bravo e poi sei un professore universitario ed un buon dirigente politico.
Di Liberto ma anche Vendola per non parlare di Bersani non capiscono che i partiti sono vissuti dalla gente come lontanissime oligarchie di privilegiati. Sezioni sciolte e preferenze abolite hanno staccato del tutto il contatto che con furbizia il PD tenta di riattaccare con le primarie che sono una indecente simulazione di democrazia per dare la sensazione alla gente di scegliere quando non sceglie un bel niente.
Tra poco avremo un'altra ondata di suicidi tra le persone anziane e tra quanti si accorgeranno che non potranno pagare la nuova IMU. Parla di centinaia di migliaia di nuclei familiari che hanno un reddito bassissimo ma avendo la casa in qualche modo sono sopravvissuti. Ora si renderanno conto di quanto sono poveri e vicini al baratro. Di questo tutti i partiti se ne fottono come se ne fotte il Presidente Napolitano che li difende.
Il popolo è solo. Non c'è nessuno che lo aiuta e che lo sollevi dalla sofferenza in cui è caduto.E Di Liberto si preoccupa di salvare i partiti. In Italia finirà male anche per colpa di una classe dirigente compresa la sinistra fatta di persone viziate e oramai prive di visione di quanto ci sta accadendo.
Pietro Ancona

La posizione che non condivido
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L’antipolitica di destra contro la democrazia

Il Bossi del celodurismo, della canotta e dell’ampolla del Po. C’è una sorta di strano amarcord a leggere editoriali e articoli sulle dimissioni di Bossi. Un retrogusto che non mi convince.

La Lega è il partito della xenofobia e del razzismo, che da tre decenni alimenta le peggiori pulsioni dell’Italia. Bossi ha portato il Nord in dote a Silvio Berlusconi, in un’alleanza che, tra rotture e riappacificazioni, ha segnato la seconda repubblica berlusconiana. La Lega Nord è la Bossi-Fini, ingiusta e ipocrita legge sull’immigrazione. È la Lega della Legge Maroni (Legge 30), quella della scandalosa precarietà del lavoro e della vita, che ha tolto il futuro ai giovani. Bossi e la Lega han votato tutte le leggi ad personam di Berlusconi e sono corresponsabili dello stato drammatico della crisi economica dell’Italia (compreso l’aver votato le due manovre economiche fatte da Berlusconi prima di Monti, non meno austere e recessive di quest’ultima). Sono responsabilità politiche che giudico gravissime, forse anche maggiori di quelle che stanno emergendo dalle inchieste in corso.

Troppo facile fare ironia adesso sui luoghi comuni del leghismo, sul ridicolo immaginario padano, sulle sparate da bar dello sport del Senatur. La Lega è stata ed è molto più di questo grottesco nella tragedia dell’Italia berlusconizzata. Perché i disastri prodotti dal leghismo sono serissimi e drammatici.

Con la caduta di Bossi tramonta un altro pezzo del berlusconismo. Si sfalda un’altra parta del blocco storico e sociale della destra italiana. Il Governo Monti, però, sta già ricostruendo, sotto altre spoglie, l’identità della nuova destra che scalza la precedente. Non più le macchiette populiste di Bossi e Berlusconi, ma le facce serie e presentabili di Monti e della Fornero che tanto piacciono ai mercati internazionali. Presentabili, ma altrettanto micidiali nel colpire i diritti dei lavoratori e, forse, ancor più audaci nell’estremizzare a destra il neoliberismo, verso limiti che neanche Bossi e Berlusconi avevano potuto raggiungere.

Ha terribilmente ragione Monti: gli imprenditori fino a tre mesi fa (come dire: con Bossi e Berlusconi) se la sarebbero sognata una riforma del genere sul lavoro.

Non ho misericordia politica per la caduta di Bossi: noi siamo tra quelli che hanno gioito per la fine del governo Berlusconi. Non siamo buonisti. La sconfitta del berlusconismo passa anche da una sconfitta della Lega Nord.

Ci sono due però.

Il primo. Non possiamo dare per finiti né Bossi, né Berlusconi. Sarebbe un errore di sottovalutazione: la transizione alla nuova destra italiana non è ancora compiuta.

Il secondo. I continui scandali legati alla ormai insostenibile corruttela che riguardano la maggioranza dei partiti politici, rischiano concretamente di infliggere un colpo mortale alla democrazia. Ogni nuovo scandalo sovrasta i confini degli schieramenti e avvalora la tesi del “sono tutti uguali”. Ci finiamo dentro anche noi della sinistra che stiamo fuori dal Parlamento.

L’antipolitica è sempre di destra ed è sempre contro la democrazia. Gli scandali, le ruberie e la corruttela producono, inevitabilmente, l’invocazione dell’uomo forte, del salvatore della patria. Così un colpo alla Lega finisce per essere un colpo alla politica tutta. Si può uscire da questa logica solo se i partiti si assumono la responsabilità di dimostrare la loro diversità dallo stato di cose presente, con comportamenti e atti concreti.

Oliviero Di Liberto

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