Il Paese delle Piramidi, un coperchio saltato alla pentola “euro-atlantica” e alle sue strategie politico-militari
Crisi Egitto (1): Mubarak, il dittatore che piace all’occidente
di: Giancarlo Chetoni
(rinascita)
Dal Canale d’Otranto a Gibilterra lungo le coste dell’intero Mediterraneo, dallo stretto di Bab el-Mandeb al Golfo Persico, ad est, e più in là dall’Oceano Indiano al Pacifico, il vento impetuoso della storia sta arricciando a uragano l’orizzonte.
Da dove vogliamo cominciare?
Dal narco-criminale dell’Albania Sali Berisha, che appare in televisione con la bandiera Usa alle spalle oltre che a quella della Nato e della Ue, che non lo annovera ancora (!) tra i suoi partner, quando la sua “guardia repubblicana” spara per uccidere sulla folla che manifesta, o dal “re” torturatore e assassino, alleato di Obama e Barroso, che occupa con la forza militare la Terra del Fronte Polisario, Mohammad VI del Marocco?
Questa volta partiremo dal Canale di Suez, perché tra il Sinai, ad est, e il porto di Alessandria, ad ovest, è lì che si gioca la partita più importante e decisiva dei primi 50 anni del XXI secolo per gli equilibri geopolitici, economici e militari dell’intera area del Vicino Oriente.
Lo sconquasso del sistema di condizionamento euro-atlantico partito dalla Tunisia, che ha coinvolto con diversa intensità le regioni del Maghreb e del Mashreq fino allo Yemen, e sta investendo con una forza devastante in questi giorni l’Egitto, va analizzato con grande attenzione.
Anche se l’effetto che potrà produrre è lontano dal poter essere, oggi, adeguatamente inquadrato, dopo il terremoto manifestatosi con la fuga del despota Ben Ali in Arabia Saudita, quello che sta uscendo allo scoperto è il logoramento ormai traumatico, terminale del potere di un altro “amicissimo” a tutto campo di Stati Uniti e Europa: quello del “rais” Mubarak che dal 24 ottobre del 1981 ha imposto al popolo egiziano oltre che un brutale e sanguinoso pugno di ferro anche la fame e una corruzione dilagante dopo aver sbriciolato il sistema educativo e sanitario messo in piedi da Gamal Nasser.
Regalini che il “rais” si sta apprestando a lasciare al suo Paese a 30 anni dall’insediamento alla presidenza dopo la convalescenza causatagli da 3 proiettili dell’ Ak47 di Kalid al Islambudi che lo attinsero mentre affiancava Anwar el Sadat in una tribuna allestita durante una sfilata militare al Cairo.
Mettiamo insieme un po’ di dati.
I soli detenuti, politici, sulle sponde del Nilo sono al momento oltre 42.000, di cui 18.000 in detenzione amministrativa (senza accuse).
Il 45% della ricchezza nazionale è concentrato nelle mani delle oligarchie copte che dissanguano il Paese (il magnate Naquib Sawiris delle telecomunicazioni Wind è la testa del serpente), i 3/5 degli egiziani sopravvive con un reddito di 2 dollari al giorno, i senza lavoro sono quantificabili dai 18 ai 45 anni di età, secondo stime di esperti indipendenti, in oltre 21 milioni.
Il consumo di pane pro-capite è il più alto in assoluto a livello planetario.
In Egitto si usano semolati di granaglie per l’approntamento del 75% dei pasti alimentari. Il consumo di pollame, carne ovina, bovina o proveniente dalla macellazione di cammelli, in Egitto è considerato un bene usufruibile nelle sole occasioni delle festività dal 60% della popolazione.
File interminabili, dal primo mattino al tramonto, per acquistare pane sono ormai da anni “normalità” in Egitto. La prime sollevazioni popolari per la farina macinata arrivarono nel 1977. Anwar Sadat le definì con ributtante cinismo la “rivolta dei ladri”. Dal 1975 ad oggi la popolazione è aumentata da 45 a 80 milioni. I delitti commessi con armi bianche o da sparo dai fornai egiziani contro “rapinatori di pane” sono in costante aumento.
L’aumento vertiginoso del prezzo della farina passato da 3 a 15 piastre nel corso del 2010 è stata la scintilla che ha fatto esplodere l’ Egitto. Il pane cotto è lievitato nel costo d’acquisto da 5 a 20 piastre.
Dal 1977 ad oggi si contano a migliaia di morti per “fame” liquidati dalle forze di repressione del regime egiziano e a decine e decine di migliaia gli egiziani passati per un lungo soggiorno nelle galere del “rais” per spezzare le rivolte generate dalla miseria e dalla totale mancanza di qualsiasi libertà politica.
L’elenco della sequenza di stragi, da quelle numericamente ridotte a quelle di più ampia portata, effettuate, nell’arco di 30 anni, dalle forze di repressione della “vacca che ride” contro oppositori politici e egiziani alla disperazione sulle piazze e sulle strade dell’intero corso del Nilo non può non produrre sconcerto, disgusto.
Avete mai sentito mezza parola, sui giornali e tv in Italia, in Europa o negli Stati Uniti o all’Onu sulla violazione dei “diritti umani” nel Paese delle Piramidi o a un Forum come Davos delle catastrofiche dimensioni del disastro economico e sociale che morde alla gola, ormai da 15 anni, in crescendo, 48 milioni di bambini, giovani, uomini, donne e anziani?
Abbiamo saputo tutto, per anni, fino alla nausea, sugli arresti domiciliari della birmana San Suu Kyi ma mai niente, nemmeno un nome, di un oppositore di Mubarak messo a marcire in galera da un tribunale egiziano ad eccezione del “caso” Abu Omar, anche se con il sigillo paralizzante del “segreto di stato” opposto prima da Prodi e poi da Berlusconi.
Perché c’è un’enorme indulgenza per l’attuale presidente dell’Egitto a livello dell’intera “comunità internazionale”?
Perché l’Onu e l’Ocse non hanno mai mandato “ispettori” a monitorare la regolarità delle elezioni presidenziali, delle legislative e amministrative organizzate in Egitto dal “Dead Man Walking” dal 1981 ad oggi?
Perché le campagne di Amnesty International contro le illecite detenzioni e l’uso della tortura si spengono, senza troppo clamore, alle porte del Canale di Suez?
Perché nella Repubblica delle Banane l’Egitto non fa “cronaca” eccetto che in occasione delle ripetute visite del “rais” a Roma nei Palazzi del Potere?
Articolo letto: 444 volte (04 Febbraio 2011)
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