Portella della Ginestra: CGIL e ANPI nel nome dei braccianti morti per la libertà
mag 01, 2010 No Comments by admin Palermo – Il 1° maggio 1947 si tornava – dopo 21 anni – a celebrare la festa dei lavoratori, dopo che il fascismo l’aveva conculcata al punto da renderla un’appendice del natale di Roma, spostandola al 21 aprile
Circa duemila lavoratori della zona di Piana degli Albanesi, in prevalenza braccianti e contadini, decisero di riunirsi nella vallata di Portella della Ginestra per manifestare contro il latifondismo, a favore dell’occupazione delle terre incolte ma, anche per festeggiare la vittoria del “Blocco del Popolo” alle recenti elezioni per l’Assemblea Regionale Siciliana, svoltesi il 20 aprile di quell’anno e nelle quali la coalizione PSI – PCI aveva conquistato 29 rappresentanti (con il 29 per cento dei voti) contro i soli 21 della DC (crollata a meno del 20 per cento).
All’improvviso, sulla gente in festa, partirono – dalle colline circostanti – un numero incalcolabile di raffiche di mitra che lasciarono sul terreno, secondo le fonti ufficiali, 11 morti (9 adulti e 2 bambini) e più di 27 feriti, di cui alcuni morirono in seguito per le ferite riportate.
La CGL – allora gli mancava una “I” essendo ancora la Confederazione Generale del Lavoro un’organizzazione unitaria – proclamò lo sciopero generale, accusando i latifondisti siciliani di voler “soffocare nel sangue le organizzazioni dei lavoratori” ma questa tesi non fu sposata dal Governo che, per bocca dell’allora ministro dell’interno, Mario Scelba rispondendo alle interrogazioni in Assemblea Costituente, addossò l’intera responsabilità della strage agli uomini del bandito Salvatore Giuliano, già colonnello dell’Esercito Volontario per l’Indipendenza della Sicilia (EVIS) che, come veniva indicato chiaramente nel rapporto dei carabinieri sulla strage, “faceva riferimento ad elementi reazionari in combutta con i mafiosi locali”.
La posizione di Girolamo Li Causi
Una tesi che, invece, non convinceva Girolamo Li Causi, deputato siciliano del PCI che, in sede parlamentare, a nome di tutte le forze della sinistra e della stessa CGL, sostenne che il bandito Giuliano era solo l’esecutore materiale del massacro mentre i mandanti fossero gli agrari e i mafiosi, che avevano voluto lanciare un preciso messaggio politico proprio all’indomani della vittoria del “Blocco del Popolo” alle elezioni regionali.
Lo stesso Li Causi, in un articolo dal titolo “La belva scatenata”, apparso su “La voce della Sicilia” il 2 maggio, scriveva che: “Sconfitta sul terreno della democrazia, della civile competizione, la casta dominante della nostra Isola ha minuziosamente, freddamente premeditato il piano di provocazione e di aggressione contro le sane vive forze che hanno voluto con le elezioni del 20 aprile manifestare il loro profondo deciso desiderio di rinnovamento”. Lungi dal rassegnarsi alla sconfitta e di trarre le necessarie conseguenze dalla affermazione delle forze democratiche, il blocco monarchico-liberal-qualunquista è passato alla controffensiva e non potendo più contare sulla intimidazione ha ricorso alla aperta violenza”.
La lettera del bandito Giuliano
Ad avvalorare la tesi del deputato siciliano del PCI, nel ’49, arrivò una lettera autografa – che proprio Giuliano scrisse ai giornali – in cui affermava lo scopo politico della strage. Una tesi – prontamente smentita da Scelba – che il malvivente, però, non riuscì a dimostrare durante il processo di Viterbo (a cui la Cassazione aveva rimesso gli atti per legittima suspicione del tribunale di Palermo) perché, nel frattempo, il 5 luglio del ‘50, fu assassinato nel carcere di Castelvetrano dal suo luogotenente Gaspare Pisciotta, il quale morì, anch’egli avvelenato in carcere, quattro anni più tardi, dopo aver affermato di voler rivelare i nomi dei mandanti della strage”.
La sentenza senza mandanti
Il 3 maggio 1952, con la condanna all’ergastolo di 12 imputati – tutti esecutori materiali – si concluse il processo di primo grado con una sentenza che, a proposito della ricerca della causale, sostiene che Giuliano compiendo la strage e gli attentati successivi ha voluto combattere i comunisti e si richiama la tesi degli avvocati difensori secondo cui la banda Giuliano aveva operato come “un plotone di polizia”, supplendo in tal modo alla “carenza dello Stato che in quel momento si notò in Sicilia”. La sentenza di Viterbo, però, non toccava il problema dei mandanti della strage e dell’offensiva contro il movimento contadino e le forze di sinistra, affermando esplicitamente che la causa doveva essere ricercata altrove. La vicenda giudiziaria si concluse con una sentenza della Cassazione che, dichiarando inammissibile il ricorso del Pubblico MInistero, confermava la sentenza dl 10 agosto ’56 della Corte d’Assise d’appello di Roma con cui venivano confermate alcune condanne di primo grado e assolti altri imputati per insufficienza di prove.
63 anni dopo ANPI e CGIL insieme nel ricordo dei morti per la libertà
Da allora sono passati 63 anni in cui, alla mancata individuazione dei mandanti, ha fatto riscontro l’impegno della CGIL (non più unitaria) per mantenere viva la memoria di quei morti ammazzati per la libertà.
E, proprio nel ricordo di quei morti, quest’anno l’Associazione Nazionale Partigiani d’Italia e la CGIL si ritroveranno insieme, per la prima volta dopo 63 anni, a Portella della Ginestra per celebrare il Primo Maggio. “Per la prima volta nella tradizione delle iniziative commemorative di quella strage – sottolinea il sindacato – la lotta alla mafia si incontrerà con l’antifascismo e la Resistenza”.
Nell’appello dal titolo “Il dovere della memoria, il futuro dei diritti” con cui la CGIL di Palermo e l’ANPI hanno spiegato il senso della manifestazione si legge “Portella della Ginestra ha ancora oggi il volto e il sangue di una generazione disperata, privata di diritti, lavoro e democrazia. Ha il profilo inquietante di un emblematico buco nero della giustizia, della responsabilità collettiva, istituzionale. Politica. La prima strage nell’era repubblicana”.
L’appello, quindi, ritornando ai momenti e alle motivazioni di quella strage, afferma: “Tra i monti di Portella si intrecciano storie diverse: da un lato ambienti deviati dello Stato che si coniugano agli interessi degli agrari, della mafia e del banditismo in un unico progetto reazionario e criminale. Dall’altro – prosegue il testo – i lavoratori della terra, in festa per il 1° maggio, con il cuore pieno di ansia di progresso e la voglia di cambiare il loro mondo. Il fuoco assassino spegne la vita di 12 di loro e tenta di cancellarne le speranze”. Portella della Ginestra ha passato, e reclama futuro”.
Per un’Italia migliore
“Ecco perché – conclude l’appello sottoscritto, tra gli altri da: Bice Biagi, Giorgio Bocca, Andrea Camilleri, Pierluigi Bersani, Nichi Vendola, don Luigi Ciotti – questo Primo Maggio, 63 anni dopo, per la prima volta, la lotta alla mafia s’incontrerà con l’antifascismo e la Resistenza.
Il segno, il simbolo di un impegno comune: la memoria diffusa del sacrificio più alto, la libertà, il lavoro, la dignità. E il loro domani. Per un’Italia migliore. Delle radici: Resistenza, Costituzione, Democrazia”.
Da Dazebao
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