martedì 29 giugno 2010

Una sentenza di assoluzione del berlusconismo

Una sentenza di assoluzione del berlusconismo

Il senatore Dell'Utri è stato condannato a sette anni di carcere per la sua collaborazione alla mafia precedente al 1992, anno fatidico e spartiacque politico della storia d'Italia. Dal 1992 inizia il ciclo di Forza Italia e del Berlusconismo che avrebbe rivoltato l'Italia "come un calzino" promessa fatta dal
grande leader e puntualmente mantenuta. In effetti, l'Italia è stata rivoltata, resa irriconoscibile: è oramai un immenso cimitero di rovine di ciò che fu una nazione con grandi tratti di civiltà e di modernità, seppur con le sue tare e le sue zone oscure. Ora siamo una una Repubblica controllata da un proprietario di televisioni come lo fu per qualche anno la città di Taranto, poi fallita, nella mani di un tale Giancarlo Cito, poi condannato a quattro anni per concorso esterno in associazione mafiosa. Non è da escludere che l'Italia, come Taranto, finisca con il fallire dopo essere stata depredata del suo patrimonio come sta avvenendo con il trasferimento alle Regioni dei suoi beni con il cosidetto federalismo demaniale. Intanto, una grossa corrente di destra alimentata dalle associazioni del padronato, è impegnata in una opera di demolizione della Costituzione e dei diritti dei lavoratori e delle persone ed una grassa Oligarchia bipartisan fatta da migliaia e migliaia di professionisti della politica e dai loro famuli divora fette sempre più grosse delle risorse del Paese e vive di privilegi inaccettabili.
In effetti si tratta di una assoluzione del Dell'Utri politico, fondatore di Forza Italia, referente della mafia e difensore dell'eroico stalliere di Arcore. Quello che ha fatto prima del 1992 può riguardare la giustizia e la cronaca giudiziaria. Non ci interessa se non come cronaca nera. Trattasi di relazioni di un cittadino qualsiasi, seppur influente, con la potente mafia siciliana. Interessa invece e moltissimo al Paese che cosa è stato Dell'Utri dal 1992 in poi e stabilire se è vero o no che alla base della formazione di Forza Italia ci sia stata una trattativa che avrebbe chiuso
il periodo stragista culminato nell'assassinio di Borsellino e Falcone e gli attentati al patrimonio artistico italiano. La sentenza ritiene il Senatore Dell'Utri innocente per quanto ha fatto nel corso degli ultimi venti anni che sono stati gli anni del grande potere berlusconiano. Insomma, non c'è niente di malavitoso e di mafioso nella sostanza del potere politico del ventennio trascorso e tutto va spiegato in chiave diversa
di come l'avevamo immaginato e, con buone ragioni, sospettato..
Ricordo la letizia della avvocatessa Bongiorno, oggi pezzo grosso del PDL e Presidente della Commissione Giustizia della Camera, nell'annunziare al senatore Andreotti l'esito del suo processo. Andreotti era stato condannato ma prescritto per le sue frequentazioni malavitose fino al 1982 ed assolto per tutto il periodo successivo. Anche Dell'Utri, come Andreotti, viene liberato dall'accusa che grava su di lui per tutta la sua lunga militanza politica. Una sentenza fotocopiata. Non andrà mai in galera e non si unirà ai settantamila infelici e disgraziati ristretti in carceri abominevoli che possono contenerne la metà. Non conoscerà mai questa terribile stazione del calvario di tante persone.
A quanti a sinistra sperano in un ribaltamento della sentenza in Cassazione osservo che trovo inaccettabile una giustizia con tre gradi di giudizio che possono esprimere tre sentenze diverse. Quello che conta è la constatazione di un sistema giudiziario in preda a spinte e pulsioni diverse e spesso opposte che non garantisce nessuno e che degrada a vista d'occhio e non solo per gli attacchi quasi quotidiani di Berlusconi e della destra.
Prendiamo atto che con la sentenza di oggi è stato mondato da ogni sospetto di radicamento nella mafia il movimento berlusconiano. Questo movimento da oggi è ancora di più legittimato a stravolgere quello che resta dell'ordinamento costituzionale italiano. Legittimato da una certificazione
antimafia rilasciata dalla Corte di Appello di Palermo.
Pietro Ancona

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