sabato 12 giugno 2010

proposta di Giovanni Agnelli per fare della Fiat una cooperativa di operai

Negli anni venti la Fiat propose una trattativa per trasformarsi in cooperativa. Riteneva che questo avrebbe migliorato in clima interno alla fabbrica. Poi, fallito questo tentativo, venne il fascismo al quale si appoggiò.


LA FIAT DIVENTERÀ UNA COOPERAT1VA?

(Rapporto inviato nel luglio 1920 al Comitato esecutivo dell’Internazionale comunista)

Poiché ormai la voce circola tra operai e borghesi, poiché se ne è parlato in pubblico in una assemblea operaia, poiché gli stessi industriali interessati sembra che con i rappresentanti di fabbrica dei loro operai abbiano esposto le cose a viso aperto, possiamo noi pure sciogliere ogni riserbo e dire le cose come stanno. La Fiat, la maggior azienda industriale di Torino, l’azienda industriale che nel campo meccanico e metallurgico si avvia a diventare la pii importante di tutta Italia, l’azienda che ha un nome e un credito mondiali, è stata offerta alle organizzazioni operaie perché, se vogliono, facciano di essa un’azienda cooperativa. Non sappiamo dire se si tratta di iniziativa dovuta a una sola per sona, o a un gruppo di elementi direttivi, o a una parte degli azionisti. Sabato, 18 settembre, il cav. Agnelli, amministratore delegato della società Fiat, chiedeva di avere un abboccamento per questione urgente e grave col compagno on. Romita. Questi doveva il mattino del giorno dopo partire per Savona. Alla stazione ebbe luogo il primo incontro, in seguito al quale il compagno nostro rinviò il viaggio per potersi occupare della questione che gli era stata sottoposta. Il cav. Agnelli gli aveva offerto di iniziare trattative per trasformare la Fiat, l’azienda di cui egli si può dire il creatore e l’animatore, in una grande cooperativa di produzione. Alla stazione furono presi accordi per gli incontri successivi. Essi furono numerosi ed ebbero luogo in tutta la successiva settimana, a partire dalla domenica stessa. Ad essi dapprincipio presero parte soltanto il cav. Agnelli, altri due dirigenti la Fiat e l’on. Romita, in seguito intervennero alle riunioni anche altri compagni nostri in rappresentanza degli enti che potrebbero essere interessati nella cosa, qualora essa passasse dal cielo dei progetti al terreno della realtà: il Consorzio delle cooperative, la Camera del Lavoro, la Federazione metallurgica. Premettiamo subito che per espresso desiderio del proponente e per motivi facili a comprendersi ci si mantiene fino ad ora nel campo degli studi, delle proposte, delle ipotesi, degli schiarimenti. Il cav. Agnelli dichiarò di essere mosso da motivi perfettamente spiegabili e comprensibili. La sua azienda, dato il progressivo diffondersi tra le masse delle idealità rivoluzionarie, e dato soprattutto che queste idealità assumono per le masse la concreta forma della conquista della libertà e del governo di sé in fabbrica, non può più essere retta con metodi autoritari e secondo le norme del regime capitalistico. Da alcuni mesi a questa parte, per quanti sforzi abbiano fatto, i dirigenti la Fiat sono stati assillati dall’incubo di avere in officina alcune decine di migliaia non di collaboratori, ma di nemici. In condizioni simili non si può andare avanti, e queste condizioni si faranno sempre più gravi, contribuendo allo aggravamento anche l’esito della lotta attuale che è tale da umiliate i padroni davanti agli operai. Fatte queste premesse il cav. Agnelli prosegue dicendo che egli è animato soprattutto da un grande amore per la sua azienda, nella quale egli sente di aver dato vita a un’impresa che racchiude in s enormi possibilità di sviluppo. La Fiat potrà diventare una firma mondiale, potrà imporre nel mercato i suoi prodotti, potrà, quello che pi(s conta, dare per la prima volta in Italia un esempio di organizzazione industriale moderna e perfetta. Ma tutto ciò non potrà avvenire se non sarà superata la crisi interna attuale. Il cav. Agnelli disse di credere che, tentando un esperimento di gestione collettiva, in forma cooperativa, la crisi sarebbe superata, gli operai tornerebbero a essere dei collaboratori e la Fiat potrebbe riprendere il suo cammino ascensionale. Queste cose, su per giù, dichiarò Agnelli chiedendo in seguito schiarimenti ai nostri compagni tecnici della cooperazione e pratici delle forme e della possibilità del movimento operaio. Per conto nostro ricordiamo che l’Agnelli è solito tenere atteggiamenti dissidenti dagli altri industriali. È però difficile trovare una coerenza in questi suoi atteggiamenti. Prima dell’aprile scorso egli aveva fama di essere liberale, e molti ricorderanno che gli altri industriali a lui ed alla sua condiscendenza davano la colpa dello sviluppo preso e della libertà conquistata dalle commissioni interne e dai commissari di reparto. Nella presente agitazione egli fece aspro lamento per la neutralità del governo, ma poi è stato dei più condiscendenti alle ultime richieste operaie. Di solito è facile a transigere su questioni di danaro, restio a cedere su questioni di autorità e di potere. Come organizzatore di aziende produttive egli è stimato dai suoi stessi operai. Come finanziere ha fama di essere privo di scrupoli. Ora che egli offre agli operai tutto, si può dire, il suo potere, è bene tenere a mente i suoi precedenti. I compagni nostri, ricevute le comunicazioni di Agnelli, dapprima non fecero altro che dargli schiarimenti sulla forma e sul modo di costituzione delle aziende cooperative e fargli presente quali erano le difficoltà che a prima vista si presentavano alla mente loro. Su queste difficoltà si iniziò la discussione, uno scambio di idee sulla possibilità e sui modi della cessione. Non bisogna dimenticare che la Fiat non è solo uno stabilimento in cui lavorano più di ventimila operai, ma è un’azienda capitalistica complicata. Come tale essa ha la base naturale di tutte le aziende Capitalistiche: gli azionisti. Come tale essa, oltre che un organismo produttivo, è un organismo commerciale che si dirama in tutti i mercati italiani, europei e mondiali. Di qui una complicazione e un intrecciarsi di rapporti della più varia natura. Rapporti di natura bancaria pel finanziamento (8, 10 milioni alla settimana?), rapporti di natura creditizia per gli scambi, ecc. La cessione di un’azienda simile non potrebbe farsi se non in modi specialissimi, con cautele e garanzie per ambe le parti. Di queste cose, più che discutersi, si discorse tra le diverse parti chiamate a conferire con il cav. Agnelli. È naturale del resto che da parte di chi ha intenzione di cedere si cerchino tutte le garanzie contro ogni perdita e contro ogni svalutazione dei beni che sarebbero oggetto della cessione, è naturale d’altra parte che gli eventuali cessionari si preoccupino di far s che queste garanzie e il modo stesso della cessione non vengano a gravare sulla nuova azienda e a farle perdere il carattere che le si vorrebbe dare. Di queste cose si poté trattare e si tratterà ancora, se si procederà nel concretare l’affare, tra i vecchi gestori della Fiat e quelli che potrebbero diventarne i nuovi. Fin d’ora però i compagni nostri i quali sono stati chiamati a ricevere le proposte dell’industriale torinese hanno sentito ed anche esplicitamente dichiarato che prima e al disopra delle questioni tecniche esiste e deve essere trattata e risolta una questione politica. La trasformazione in azienda cooperativa della Fiat quale valore potrà avere? Sarà veramente un acquisto per gli operai o non potrebbe invece risolversi in una diminuzione della loro forza politica e quindi in una perdita effettiva? E le difficoltà sono unicamente di tecnica, oppure non sono esse tali da rivelare che al di sotto del problema tecnico esiste un gravissimo problema politico che deve essere esaminato e risolto con animo di politici, e non soltanto di cooperatori di organizzatori? Non si sente di già dire che per il finanziamento di cos grande azienda occorrerebbe ricorrere allo Stato? E non si creerebbero in tal modo dei pericolosi rapporti attraverso i quali lo slancio rivoluzionario operaio verrebbe meno? Tutti questi problemi si sono presentati subito alla mente dei compagni i quali sono venuti a conoscenza delle proposte di Agnelli e in pari tempo essi hanno sentito che non si può risolvere la questione senza che essa sia largamente dibattuta in seno agli organismi interessati, i quali non sono solo gli organismi economici, ma anche quelli politici del proletariato. Quelli che noi diamo sono i primi elementi per un giudizio completo. La discussione aperta. E vogliamo che essa sia esauriente. (Non firmato, “Avanti!” ediz. piemontese, Io ottobre 1920, XXIV, n. 250).

In Opere di Antonio Gramsci 9
L’ordine Nuovo 1919 – 1920
1954 Giulio Einaudi Editore, pag.172

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