| di Sebastián Lacunza - BUENOS AIRES
LA VOZ
La Mercedes del popolo
Una folla in lacrime ha reso omaggio a La Negra, come veniva chiamata la cantante argentina Mercedes Sosa. Simbolo della lotta alla dittatura, si schierò contro i militari, fu arrestata e poi costretta all'esilio a Parigi. Tornata nel 1982, affrontò la desolazione del momento con «Solo le pido a Dios». L'ultimo album è «Cantora, un viaje intimo»
Le strade di Buenos Aires erano bagnate dopo una notte di tormenta, ma ieri mattina erano ancora piene di uomini e donne che si accalcavano per rendere l'ultimo omaggio a Mercedes Sosa, il cui corpo era vegliato nella camera ardente montata nel Congresso. «La Negra», come era conosciuta, icona per antonomasia della musica popolare latino-americana e dell'impegno contro tutte le dittature, era morta più di 24 ore prima, alle 5 e un quarto della mattina di domenica e il popolo, a decine di migliaia e molti di loro «morochos» dalla carnagione scura dell'Argentina profonda, era accorso silenzioso per il commiato.
Il feretro di Mercedes sarebbe stato poi salutato da cantanti di tutte le epoche e da una moltitudine nel tragitto dal Congresso alla Chacarita, il maggior cimitero della capitale argentina. Dai balconi gettavano fiori e sventolavano fazzoletti d'addio. Lacrime non solo qui a Buenos Aires. Era morta un'interprete ineguagliabile della musica popolare dell'America latina, e ancor di più. Lei stessa aveva detto poco tempo fa che i premi e gli allori ricevuti nel mondo «non sono solo perché canto ma anche perché penso. Penso agli esseri umani, penso alle ingiustizie. Credo che se io non avessi pensato a queste cose, il mio destino sarebbe stato un altro. Non mi sono sbagliata quando ho cominciato a pensare ideologicamente». Lula da Silva, Michelle Bachelet, Evo Morales, Hugo Chavez, i presidenti di Brasile, Cile, Bolivia e Venezuela, hanno espresso il loro cordoglio e la presidente argentina Cristina Fernandez, molto commossa, è andata di persona a rendere omaggio alla salma in Congresso.
Su richiesta della Negra, le sue ceneri saranno disperse nei tre estremi dell'Argentina: Tucuman, la provincia in cui nacque il 9 luglio del 1935, la capitale culturale del nord argentino e culla dei volti dai tratti indigeni come quelli di Mercedes; Mendoza, alla frontiera con il Cile, la provincia in cui insieme al suo ex-marito Manuel Matus e Armando Tejada Gomez diede nuova vita alla musica folcloristica negli anni '60; e Buenos Aires, la città che le diede una proiezione mondiale.
Il destino ha voluto che nella notte di domenica, poche ore dopo la morte di Mercedes Sosa, nella piazza centrale di Tucuman fosse in programma un concerto con Leon Gieco, autore di una canzone che la voce della Negra rese un inno all'umanità. Il concerto di Gieco si è trasformato inevitabilmente in un commosso omaggio a sua «sorella, madre e amica» quando lui e tutta la piazza hanno intonato le parole della canzone: «Solo le pido a Dios/ que el engaño no me sea indiferente./Si un traidor puede mas que unos cuantos/ que esos cuantos no lo olviden facilmente».
Rodolfo Braceli, biografo di Mercedes, le chiese una volta di definire in tre parole la sua infanzia a Tucuman: «Né tre né due, ma una: felicità», per poi spiegare che la povertà della sua casa natale non aveva mai significato la perdita della speranza. Un altro mondo.
La musica popolare è parte integrante della vita quotidiana delle famiglie e delle scuole del nord argentino. Mercedes lasciò Tucuman come maestra di danze folcloristiche e, dalla fine degli anni '50, Mendoza la trovò già identificata nel comunismo.
Lei stessa raccontò che il mitico cantante Jorge Cafrune nel '65 l'adottò artisticamente, vinse pregiudizi e l'introdusse nei piani alti della musica popolare. Sarà stato per quello che Mercedes aprì la strada negli anni successivi a decine di cantanti che oggi la piangono. Era felice e senza remore quando sul palco poteva duettare con i suoi compagni: lo fece con oscuri cantanti locali e con gente del calibro di Charly Garcia, Fito Paes, Juan Manuel Serrat, Ariel Ramirez, Victor Heredia, Silvio Rodriguez, Pablo Milanes, Joaquin Sabina, Teresa Parodi, Chico Buarque, Caetano Veloso, Milton Nascimento e Luciano Pavarotti.
Tucuman, provincia devastata e traumatizzata dalla dittatura del '76-'83, sarebbe rimasta il punto di riferimento della sua vita. Nei suoi toni, nella naturalezza delle sue reazioni, nel suo repertorio (bisogna risentire Luna tucumana di Atahualpa Yupanki), nel poncho colorato e nei suoi ricordi.
In esilio negli anni '70 e '80, scelse un auto-esilio dalla sua provincia natale una volta tornata la democrazia, quando negli anni '90 i traumi del passato spinsero la società tucumana a eleggere con il voto il genocida Antonio Domingo Bussi (oggi condannato all'ergastolo) come governatore.
La crescita della sua fama nella decade dei '70 fu inarrestabile, però il suo repertorio, con canzoni di Violeta Parra, Armando Tejada Gomez, Eduardo Fallù, Atahualpa e Cesar Isella, diventava sempre più scomodo per quegli anni di dittature. Quando arrivò il golpe anche in Argentina, rimase nel paese fin quando fu arrestata, nel '79, dopo un recital a La Plata. Poi andò in esilio.
In questi giorni, la tv ha rimesso in onda un concerto intimo e bellissimo (ritrovabile in youtube cercando «Mercedes Sosa La cigarra»). Magra, giovane, malinconica, triste la si vede mentre intona, in Svizzera davanti a un pubblico silenzioso, in pieno esilio, la canzone di Maria Estela Walsh che dice: «Tantas veces me borraron/ tantas desaparecì,/ A mi proprio entierro fui/ sola y llorando./ Hice un nudo en el pañuelo/ pero me olvidé despues/ que no era la unica vez,/ y volvì cantando».
Nel 1982 l'Argentina contava già 30 mila desaparecidos, e fra loro una buona parte dei suoi intellettuali e dei suoi sindacalisti più combattivi. Le isole Malvine avevano significato la sconfitta più crudele davanti agli inglesi. Circa 800 ragazzini poveri di provincia avevano lasciato la vita in quella assurda guerra nel sud. La società era spezzata, mai più si sarebbe recuperato i livelli accettabili di eguaglianza sociale che aveva portato il peronismo. Gran parte della classe media cominciava a rendersi conto dell'orrore che non aveva voluto vedere, e che anzi aveva appoggiato. Come affrontare una simile desolazione?
Uno dei modi fu ascoltare Mercedes Sosa che cantava Solo le pido a Dios al teatro dell'Opera della calle Corrientes, a pochi metri dall'obelisco di Buenos Aires.
Era irrefrenabile. Negli anni seguenti, in democrazia, percorse il mondo davanti a teatri sempre gremiti. Roma, New York, Berlino, Tel Aviv. Prima, però, si lanciò a testa bassa contro le dittature del continente. Lo stadio Centenario di Montevideo l'accolse trionfalmente nell '83. Qualche anno dopo fu la volta di Santiago del Cile, dove si ricompose idealmente il duetto con Violeta Parra. Tuttavia l'esilio aveva lasciato una ferita irrimarginabile in Mercedes. Racconta suo figlio Fabian che la Negra lo chiamava da Madrid sull'orlo del suicidio, e 15 anni dopo il ritorno entrò in una depressione profonda, che lei stessa attribuì all'esilio. Ne uscì cantando, come La cigarra.
Iscriviti a:
Commenti sul post (Atom)
Nessun commento:
Posta un commento