mercoledì 7 ottobre 2009

morte del diritto del lavoro

MORTE DEL DIRITTO DEL LAVORO
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A leggere e sentire i commenti che la batteria massmediatica ha imbastito sull'opera di Gino Giugni
sembrava di vedere lo Statuto dei Diritti dei Lavoratori lontanissimo nel tempo, una sorta di rudere giuridico datato che dovrebbe essere rimosso al più presto come un ingombro che impedisce alla Modernità di trainare le magnifiche sorti e progressive dell'economia . Qualcuno si è spinto fino ad insinuare che Gino Giugni fosse pentito di essere stato l'estensore di una legge che avrebbe legittimato financo l'assenteismo i lavoratori.
. In verità l'opera del nostro come successore di Brodolini e di Donat Cattin non è stata esaltante: gli accordi sulla concertazione stipulati durante la sua gestione del Ministero del Lavoro hanno creato le premesse di un inesorabile indebolimento, di una fatale degradazione della condizione salariale dei lavoratori italiani che, da allora, hanno perso un terzo e anche più di quanto percepivano
prima. I salari sono diventati talmente miseri da non consentire ad una famiglia operaia monoreddito di poter sopravvivere. C'è bisogno di un secondo salario, di una integrazione oppure di possedere l'abitazione.
Ma lo Statuto è stato un momento alto di riconoscimento della funzione sociale dei lavoratori e di loro integrazione in una società in cui le differenze di reddito non erano eccessive. C'è stato un momento nel ventennio 70/90 in cui la retribuzione di un ingegnere era soltanto del quaranta o cinquanta per cento in più di quella di un operaio specializzato. Anche il punto unico di scala mobile fungeva da grande omogeneizzatore sociale.
Dal pacchetto Treu in poi il diritto del lavoro è tralignato fino a diventare diritto "sul lavoro". Mentre
dalle esperienze del movimento operaio, dalle esperienze che si realizzavano nel vivo della produzione nascevano regole che adattavano i diritti, mantenendoli, alle novità del processo produttivo, era tutto è cambiato. Il sindacalismo fungeva da intellettuale collettivo che traduceva in regole il rinnovamento dei rapporti produttivi. Ora i lavoratori si debbono adattare ai bisogni finanziari e produttivi della azienda e sono questi a valere. E' nata una legislazione che
non è più di tutela del prestatore d'opera e che non garantisce più alcun diritto. Il lavoratore deve adattarsi al dominio assoluto ed implacabile di un datore di lavoro che,fin dall'assunzione, diventa arbitro della sua vita non solo lavorativa ma spesso tout court.
Per rendere ancora più evidente la condizione subalterna dei lavoratori gli stipendi dei managers e degli amministratori delle imprese si sono distanziati in misura incommensurabile. Un managers può guadagnare anche più di mille volte di quanto guadagna il suo dipendente medio e può determinarsi la fetta da ritagliarsi dall'impresa. Nello stesso tempo le retribuzioni dei dipendenti tendono a frastagliarsi verso il basso attraverso tipologie di rapporti di prestazioni che
sembrano concepite da una mente diabolica e malvagia.
Tutte le leggi sul lavoro approvate dal 93 in poi e tutte le proposte spesso bipartisan presentate al Parlamento testimoniano la fine del diritto del lavoro (restano da abbattere alcune cose importanti come lo Statuto) e la comparsa al suo posto di una legislazione funzionale ai bisogni delle aziende e del capitale. Questa tendenza non è solo italiana ma di tutto l'Occidente ed in Europa è stimolata da
un orientamento che ha già demolito molte cose a cominciare dall'orario di lavoro.
Alla demolizione dei salari si accompagna quella dei diritti. Non solo questi vengono cancellati o riscritti in senso favorevole alle imprese ad al management ma tendono ora a diventare costrittivi, obbliganti
per prestatori d'opera che non hanno più voce. Le Confederazioni Sindacali si sono prestate a questa rivoluzione copernicana e da anni concretizzando agende di "riforme" elaborate dagli uffici della Confindustria e delle altre organizzazioni padronati e governative.
A questo punto il Ministero del Lavoro potrebbe essere accorpato a quello dell'Industria e gli uffici studi dei Sindacati a quello della Confindustria. La solitudine dei lavoratori è tale da generare una vera e propria ondata di suicidi o reazioni di disperazione come quelle della INNSE e degli insegnanti e di tanti altri che le cronache registrano sempre più di malavoglia.
Stiamo tornando nei rapporti sociali alle condizioni preesistenti alla nascita del Sindacati, dei Parlamenti, delle moderne conquiste della società. I Sindacati, dopo aver raggiunto il massimo di potenza, non sono più dei e con i lavoratori. La pressione spoliativa del padronato e della società sta diventando sempre più intollerabile per chi vive di lavoro dipendente. Ma non si può tornare alla barbarie dei rapporti sociali dopo aver conosciuto la civiltà del novecento senza grandi traumi. La La torsione che si vuole imprimere alla condizione dei lavoratori che si vogliono ridurre a clochards può generare conflitti profondissimi.
pietro ancona
http://medioevosociale-pietro.blogspot.com/
www.spazioamico.it

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