Lettere al Corriere
La lettera del giorno
|Domenica 7 Giugno 2009
NEL SUD DOPO L’UNITÀ FRA BRIGANTI E PATRIOTI
Lei ha usato l’espressione «guerra del brigantaggio» Penso che si sia semplicemente servito, per facilitare il lettore, di una espressione d’uso comune. Ma non sarebbe ormai ora di abolire il termine «brigantaggio» per quei tempi e quei luoghi, sostituendolo con «imponente sollevazione contadina»? Per quasi un anno ho raccolto materiale nel meridione, dove lavoro, e i 100.000 morti (almeno) che quella guerra provocò (oltre metà sicuramente tra la popolazione civile) meritano, a mio avviso, la cancellazione definitiva del termine «brigantaggio» e delle bugie ad esso collegate, o almeno la spiegazione di che cosa avvenne realmente tra il 1860 e il 1870 in quelle disgraziate terre.
Fulvio Capezzuoli , ciennefc@tin.it
Caro Capezzuoli, La parola «brigantaggio», con cui il governo italiano definì il conflitto che sconvolse alcune province del Sud, soprattutto fra il 1861 e il 1865, fu certamente partigiana. Rifletteva la sorpresa, la rabbia e l’indignazione dei piemontesi di fronte a una società arcaica, permeata da costumi e tradizioni che apparivano primitivi e incomprensibili. Vi fu ferocia da ambo le parti e vi fu soprattutto una pressoché totale incomunicabilità. Un più attento esame del fenomeno avrebbe forse permesso ai «torinesi » di capire che i «briganti » erano troppi per essere soltanto pericolosi fuorilegge. Ma lo Stato appena costituito era considerato con diffidenza, se non peggio, da alcuni Paesi europei, e il governo aveva fretta di terminare il più rapidamente possibile la conquista del Sud. Negli anni seguenti, quando gli storici cominciarono a ricostruire le varie tappe del Risorgimento, la «guerra contro il brigantaggio» finì ai margini del racconto: un brutto capitolo che nessuno aveva voglia di rievocare. Il giudizio cominciò a cambiare dopo la Seconda guerra mondiale quando alcuni studiosi di sinistra vollero vedere in quel fenomeno (nello spirito delle teorie di Eric Hobsbawm) una anticipazione «primitiva» delle lotte popolari del XX secolo. Sopraggiunse poi, con le nostalgie borboniche degli ultimi decenni, il mito del Sud prospero, felice, ben governato e progredito di cui i piemontesi si sarebbero brutalmente impadroniti. E alla fine di questo percorso revisionista la «guerra del brigantaggio» divenne l’equivalente italiano di un altro conflitto che si combatteva negli stessi anni al di là dell’Atlantico: la guerra civile americana. In realtà si trattò soprattutto di una grande «jacquerie», nello stile di quelle che scuotevano periodicamente le campagne francesi durante l’Ancien Régime. Durò a lungo perché fu ingrossata dai soldati smobilitati dell’esercito borbonico, sostenuta dai signorotti locali, benedetta dai parroci, foraggiata dagli esuli della corte borbonica che si erano rifugiati a Roma. Ma questo blocco di forze disparate e prevalentemente reazionarie non ebbe mai un programma, un leader, una strategia. I pochi legittimisti che giunsero al sud in quegli anni non riuscirono a prevalere sui capobanda locali e fecero come il povero Borjes, una brutta fine. Ammetto che «guerra del brigantaggio» sia una espressione sbagliata, ma temo che quella suggerita nella sua lettera («grande insurrezione popolare») sia troppo generosa.
Lettera a Romano
----- Original Message -----
From: pietroancona@tin.it
Sent: Sunday, June 07, 2009 10:49 AM
Subject: Briganti e patrioti nel Sud Italia
Caro Romano,
lei rispondendo ad un signore che parla della repressione dei "briganti"
del Sud ha scritto:
"Rifletteva la sorpresa, la rabbia e l’indignazione dei piemontesi di fronte a una società arcaica, permeata da costumi e tradizioni che apparivano primitivi e incomprensibili,,,,"
E' davvero straordinario che una persona della sua cultura e della sua conoscenza del mondo storico e contemporaneo possa descrivere il Sud post unitario come una società arcaica permeata di costumi primitivi ed incomprensibili."
Farebbe bene a rinfrescare le sue letture sul Regno dei Borboni che era certamente assai più ricco ed evoluto di quella dei montanari e pedemontani piemontesi a cominciare da Napoli che era una città europea sede di una grande scuola matematica e filosofica mentre Torino era una assai triste città di cortigiani e loro servi..
Le sole riserve auree del Regno di Napoli erano superiori a quelle di tutti gli stati italiani.
Si ricordi che la prima ferrovia fu tra Napoli e Portici.
Inoltre Napoli aveva avuto la nobiltà più illuminata che pagò con la vita la sua voglia di modernità cosa che non si può dire della lugubre corte dei Savoia.
Le ricordo inoltre che la Sicilia ebbe la flotta navale e le industrie legate
alla metalmeccanica ed all'agricoltura più avanzate d'Europa ( Florio etc..)
La verità è che anche a lei non sembra vero cogliere l'occasione per dire qualcosa di sgradevole sui meridionali.
Siamo davvero stanchi!
Pietro Ancona
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