mercoledì 15 settembre 2010

morte di Norman

La morte di Norman

Qualche giorno dopo la contestazione dei ragazzi di Torino con lancio di fumogeno a Raffaele Bonanni leader della Cisl ed estensore con altri della legge trenta che traduce in norme l'orribile armamentario di Biagi per ridurre in schiavitù le nuove generazioni di lavoratori precarizzandole e pagandole meno, un bravo giovane palermitano ha deciso di uccidersi lanciandosi dal balcone della facoltà di lettere. Si chiamava Norman. Aveva tanto sperato di essere assunto dall'Università. Era dottorando in filosofia del linguaggio. Si era laureato con 110 e lode. Il padre, giornalista, funzionario della Regione Siciliana, si era messo in pensione . Un fratello lavorava al 118.
Norman aveva 27 anni era fidanzato e faceva anche il bagnino al circolo nautico di Palermo dove guadagnava saltuariamente 25 euro al giorno. Ha capito che non avrebbe avuto il posto al quale sperava e di non avere alternative. Si è stancato di vivere a carico della famiglia e l'ha fatta finita proprio nel luogo dove sperava di lavorare e di costruirsi un futuro. Sarei stato molto più contento se invece che uccidersi avesse lanciato in faccia
ad un boss del governo o del sindacato un fumogeno o una manciata di monetine, se avesse
frequentato un centro sociale, un circolo anarchico, una struttura di resistenza alla emarginazione ed alla disperazione. Ma Norman era soltanto un buon figlio di famiglia che aspirava ad una vita "normale", ad insegnare filosofia del linguaggio, qualcosa di estremamente specialistico e raffinato. Non aveva scelto una materia per una professione che gli avrebbe procurato molti soldi se usata cinicamente come fanno in tanti specialmente in medicina, gente venale che vive solo per il denaro in un sistema che sembra modellato per loro e che si adatta sempre più a loro. Il padre di Norman commentando la morte del figlio ha detto che è stata un delitto di Stato. Condivido questa affermazione. L'Italia è diventata un luogo orribile con un Presidente del Consiglio che invita i giovani ad andarsene all'estero. I processi di riproduzione e di mobilità delle classi sociali si sono bloccati, anzi, sono stati bloccati. Oggi i figli stanno tutti peggio dei genitori e sopravvivono con il loro aiuto senza il quale affonderebbero nella miseria. La laurea non è più il passaporto per una vita serena in una classe sociale migliore di quella di provenienza. Non è più un ascensore sociale. Non serve a niente se fuori ti aspetta un posto da precario pagato quasi niente al quaranta per cento in meno del minimo contrattuale e spesso senza nessuno dei diritti goduti da generazioni e generazioni di italiani quali la retribuzione in caso di malattia, le ferie e quanto altro. In meno di un decennio la legge Biagi è riuscita a precarizzare alcuni milioni di persone privandole della speranza di un futuro.
Altro elemento di imbarbarimento della società italiana sono state e sono le privatizzazioni. Queste hanno difatto abolito i concorsi per l'accesso alla pubblica amministrazione che erano la tappa obbligata post diploma o post laurea. I ragazzi partecipavano ad alcuni concorsi fino a quando non ne vincevano uno e si sistemavano. Ora tutti i servizi sono appaltati a privati amici dei politici o prestanome di questi.
Se vuoi un posto devi rivolgerti alla persona "giusta" la quale ti farà il favore di farti assumere magari con il quaranta per cento in meno del dovuto di stipendio. Diventerai un invisibile come tantissimi..
Legge Biagi e Privatizzazioni dovrebbero essere due obiettivi della iniziativa sindacale e politica. Ma sindacati e partiti sono stati reclutati tutti da anni dal "pensiero unico". Sono diventati liberisti, alcuni iperliberisti e fanno una lotta politica demagogica ed ignorante
al cosidetto "statalismo". D'Alema ingiunse ai giovani di non aspettarsi il posto fisso. Ebbene posto fisso e statalismo hanno fatto funzionare per anni l'Italia. Hanno creato una società relativamente felice, non angosciata dal futuro, coesa. Il liberismo ha sfasciato tutto ed ha creato enormi squilibri interni corrompendo le parti apicali dell'impiego con stipendi
sproporzionati rispetto la media delle persone occupate. Oggi managers e dirigenti hanno retribuzioni scandalose in un contesto in cui il 25 per cento delle persone guadagna da 500 a mille euro al mese ed altri addirittura meno di 500 euro.
Questa situazione non potrà reggere a lungo. E' stata aggravata dal progetto di licenziare duecentomila insegnanti. Il Sud che forniva all' Italia la maggior parte dei quadri della pubblica amministrazione e dell'insegnamento a differenza del Nord industrializzato e terziarizzato viene messo in croce. L'incubo della disoccupazione angoscia il ceto medio
e lo pone difronte al problema di uno scivolamento verso il basso, verso la povertà.
Non c'è speranza che questo Parlamento, questi partiti e questi sindacati affrontino la questione sociale che si è aperta in Italia da un'ottica diversa da quella di Marchionne e della Gelmini. Forse non hanno più neppure le categorie culturali per poterlo fare dopo anni di ammirazione estatica dei neocon, di Reagan, della Tathcher. Non so proprio chi
possa recuperare una linea di giustizia sociale sottraendo l'Italia ai pescecani che la stanno divorando come una loro preda.
Il coro ipocrita di riprovazione del gesto di Rubina, l'incitamento alla repressione che viene da tanti ed anche da certi vecchi birbanti fanatizzati dal berlusconismo che gridano al terrorismo, non fanno sperare niente di buono.
Questa gente non farà niente e non trarrà alcuna lezione dalla terribile morte di Norman
Zarcone. Dalla politica e dal sindacato non ci verrà alcun aiuto. Dovremo sperare nella germinazione di un movimento nuovo di liberazione della società italiana dalla montagna di ingiustizia che la sovrasta.
Pietro Ancona
http://medioevosociale-pietro.blogspot.com/
www.spazioamico.it

http://www.ilsecoloxix.it/p/italia/2010/09/15/AM2pkE3D-universita_uccide_avevano.shtml

1 commento:

Gaetano ha detto...

Grazie per la sua lucida analisi. Sono un precario della scuola e dell'Università e conosco da vicino la realtà di cui parla nel suo articolo. A me, come a molti amici e colleghi, non resta che lasciare questo Paese se vogliamo avere un futuro. Perché, a conti fatti, e come lei ben dice, questo Paese NON ci vuole. Noi, giovani o meno giovani, fra i 25 e i 40 anni, diplomati, laureati o iperspecializzati siamo un problema. Soprattutto se "pensiamo". Siamo un pericolo e un peso. Soprattutto se non abbiamo "zii", "nonni", "genitori" invischiati in (orrendi) clientelismi che continuano a imputridire la nostra terra regalando - ai pochi fortunati che ne possano beneficiare - vantaggi più o meno immediati. Il futuro? Ipotecato. L'omicidio di Stato si dovrebbe estendere anche a tutte le centinaia di migliaia di figli che non nasceranno mai, dato che i loro genitori (noi...) devono pensare ad assicurarsi la sopravvivenza. Mi piacerebbe sentire pronunciare anche a qualche politico le parole che lei ha scritto. Ma nessuno, neppure in accessi di populismo, ha il coraggio di ammettere che questa Italia, così com'è, sta sprofondando verso il baratro. Per chiudere, vorrei ricordare che l'alternativa della fuga all'estero non è un modo per "guadagnare di più". Spesso, nel mio caso o in quello di molti altri come me, è l'unica scelta possibile per "sopravvivere". E' una nuova forma di esilio.