sabato 18 settembre 2010
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TRŽAŠKA ŠKOFIJA
Intervista ad Alexian Santino Spinelli
Scritto da Davide Martini
Alexian Santino Spinelli è un Rom italiano appartenente alla comunità romanès di più antico insediamento in Italia.
Musicista (è un grande virtuoso della fisarmonica e ha al suo attivo vari lavori e molti riconoscimenti), compositore e poeta, insegna Lingua e Cultura Romaní all’Università di Trieste: è l’unico Rom al mondo ad avere due lauree (in Lingue e Letterature straniere moderne e in Musicologia, entrambe conseguite all’Università degli Studi di Bologna). Il 25 aprile di quest’anno è stato eletto rappresentante italiano dell’Ertf (European Roma Travellers Forum), che rappresenta il Popolo Rom al Consiglio d’Europa. Lo abbiamo interpellato in merito alla questione del campo nomadi che dovrebbe insediarsi a Pian del Grisa e alle successive proteste dei cittadini dell’altopiano.
Innanzitutto, prof. Spinelli, è a conoscenza del dibattito intorno al campo nomadi che dovrebbe insediarsi a Pian del Grisa?
No, ma credo che il problema non sia diverso rispetto ad altri luoghi d’Italia. I Rom e Sinti rappresentano la minoranza più discriminata in Italia e in Europa. Questo è il risultato di politiche secolari (inclusione, espulsione, reclusione, deportazione, sterminio, assimilazione) votate alla repressione nei confronti di tutte le comunità romanès, anche di quelle che vivono in Italia da oltre sei secoli.
Perché secondo lei c’è così tanta avversione da parte della gente (anche tra quelli che si definiscono «tolleranti») nei confronti degli «zingari»? E, per essere precisi, visto che il linguaggio è il mezzo per trasmettere la cultura ed è quindi veicolo di idee, modi di pensare, atteggiamenti, comportamenti, è corretto utilizzare indistintamente i termini nomadi, zingari, rom? Quali le differenze?
L’avversione è dovuta alla non conoscenza del mondo romanò e agli steriotipi negativi che si sovrappongono ormai da secoli. I mass media spesso presentano in maniera distorta la realtà romanì o addirittura vengono attribuiti ai Rom colpe che non hanno senza però smentire i fatti nel momento in cui gli stessi vengono accertati: mi riferisco alle vicende della piccola Denise, della piccola Celentano, dei due fratellini scomparsi in Puglia, delle due prostitute rumene che hanno ucciso la ragazza sulla metro… Questa disinformazione che diventa «propaganda» instilla il morbo dell’avversione nell’opinione pubblica, che non condanna solo il singolo colpevole ma stigmatizza un’intera popolazione. L’avversione è direttamente proporzionale alla politica repressiva. I termini zingari e nomadi sono eteronimi (la maniera con cui un popolo definisce un altro popolo) con accezione fortemente negativa; Rom, Sinti, Kalè, Manouches, Romanichals sono etnonimi (il modo in cui un popolo definisce se stesso) e sono sinonimo di «uomo, essere umano». Il termine zingaro deriva dal nome di una setta eretica, quella degli Athingani (detti anche Atsinganos o Atzinkanos), che a partire dall’VIII secolo si introdusse nell’Impero Bizantino; avevano fama di essere maghi e all’epoca chi aveva a che fare con la magia aveva a che fare con il Demonio. Da qui la forte repressione. I Rom, provenienti dall’India, furono confusi con gli Athingani da cui derivarono l’eteronimo e la cattiva fama che resta nei termini come zigeuner, cygan, zingaro, tzigano, tsigane etc. In realtà della lingua, dei costumi, delle differenti tradizioni, delle arti e della cultura delle diverse comunità romanès non si conosce nulla, perché l’aspetto sociale ed emotivo prevale su quello artistico-culturale.
L’errore del singolo si ripercuote su tutte le comunità romanès, che in realtà sono diversissime fra loro.
Il termine nomadi è un falso storico: le comunità romanès non sono nomadi per cultura, perché la loro mobilità è stata la conseguenza delle politiche persecutorie. Trattasi di itineranza coatta, non di nomadismo. I Rom e Sinti non hanno nessun problema ad insediarsi in una città se le condizioni lo permettono. I Rom e Sinti di antico insediamento in Italia (XV secolo) vivono nelle case, i Rom di recente immigrazione provenienti dai territori dell’ex-Jugoslavia e dalla Romania (per motivi sociali, economici e politici) sono costretti a vivere nei campi nomadi in Italia, quando invece nei loro Paesi vivevano nelle case.
Alcuni hanno detto che la creazione di questi campi nomadi è una forma di ghettizzazione, altri invece ritengono che un’assimilazione dei nomadi nel tessuto sociale della città determinerebbe un’assimilazione della loro cultura da parte della nostra. Qual è il suo parere a proposito?
Concordo nel dire che i campi nomadi rappresentano una forma di Apartheid o segregazione, così come il nomadismo della popolazione Romanì in Europa non ha una connotazione culturale, ma è stato la conseguenza delle politiche persecutorie, che obbligavano le comunità romanès a spostarsi continuamente. Il presunto nomadismo dei Rom e Sinti diventa così il pretesto per la creazione dei campi nomadi e per giustificare la segregazione razziale e la discriminazione a vantaggio di associazioni di pseudovolontariato che ne traggono benefici a discapito di Rom e Sinti.
Rinchiudere delle persone in una struttura, che molto ricorda i lager nazisti, il cui unico scopo è quello di toglierle dalla vista della società, non significa costringerle all’assimilazione, ma all’annientamento come esseri umani. Bisogna considerare che degli individui costretti a sopravvivere nel degrado di un campo nomadi difficilmente potranno inserirsi positivamente nel tessuto della società ed essere soggetti attivi e produttivi. Purtroppo all’opinione pubblica, che è una vittima tanto quanto i Rom e Sinti che vivono nei campi, non arriva la giusta informazione, tutto viene distorto e l’errore del singolo condanna un’intera popolazione. Certa propaganda ha l’interesse a far passare il messaggio che sono i Rom e Sinti che scelgono di vivere in condizioni disumane. La realtà così viene stravolta.
Perché secondo lei nel terzo millennio c’è ancora tanta paura per il cosiddetto «diverso», sia che si tratti una diversità di genere, culturale, razziale, linguistica, religiosa, di opinioni politiche o di condizioni personali o sociali, citando l’articolo 3 della nostra Costituzione?
La cultura Romaní è «forzatamente» confusa con gli aspetti più deleteri della sua comunità, come se solo le comunità romanès avessero difetti. Con le buone intenzioni si affronta la cultura romaní associandola ad handicap e droga, e quindi una cultura diventa un problema sociale. Questo atteggiamento, o meglio questa strategia, alza barriere razziali e una contrapposizione violenta. L’opinione pubblica così non solo resta ignara e nella più completa disinformazione, ma viene privata del diritto alla conoscenza di una civiltà. Faccio un esempio: cosa si conosce realmente della lingua, della letteratura, della pittura e della scultura, della musica della popolazione Romanì? La risposta purtroppo è facile: poco, pochissimo, per non dire quasi nulla. E ancora: come vivono le comunità romanès gli eventi della vita quali la nascita, la morte, il matrimonio? Quanti e quali articoli o programmi radiofonici o televisivi sono stati prodotti per promuovere realmente l’enorme ricchezza culturale e artistica del mondo romanò che è patrimonio dell’umanità tutta? Quante opportunità ha il soggetto Rom di potersi mettere in evidenza positivamente? E quante per offrire la propria cultura fraternamente? Perché, quando si parla delle comunità romanès, le immagini sono sempre volutamente pietistiche, provocando danni spesso irreparabili? Perché generalizzare continuamente? Perché l’errore del singolo porta alla condanna di tutta la popolazione romanì? Queste sono riflessioni profonde di chi ha realmente intenzione di migliorare la situazione in meglio per tutti.
Eppure le comunità romanès, nonostante la segregazione, le discriminazioni e gli eccidi (oltre 500 mila Rom e Sinti massacrati dai nazi-fascisti, ma dimenticati dalla storia) hanno contribuito a costruire l’Europa. La cultura romaní ha ispirato alcuni tra i più importanti artisti a livello mondiale: in campo musicale celeberrimi compositori (da Brahms a Liszt, da Bizet a De Falla, da Schubert a Debussy fino ai compositori contemporanei); in particolar modo l’arte romani ha contribuito notevolmente al folklore nazionale in Spagna, in Ungheria, in Romania, in Yugoslavia, in Russia; in campo letterario ha ispirato celebri scrittori: da Cervantes a Victor Hugo, da Molière a Puskin, da Garcia Lorca a Hesse...; la stessa alta moda vi attinge usando colori, ampiezze d’abito o eccentrici gioielli. Bisogna ricordare che persino la moda di indossare orecchini a cerchio è stata portata in Europa dalle donne Rom. Tutta la tradizione circense s’avvale del loro essere domatori e ammaestratori d’animali o saltimbanchi nelle corti d’altri tempi.
Il mondo rom ha prodotto artisti di fama internazionale come Django Reinhardt, chitarrista inarrivabile, El Camaron de la Isla, il più importante interprete del flamenco contemporaneo, Joaquin Cortes, Gypsy King, Moira Orfei, Charlie Chaplin, Yul Brinner, tantissimi altri artisti e celeberrimi calciatori ancora oggi in attività.
http://www.alexian.it
Ultimo aggiornamento ( venerdì 30 gennaio 2009 )
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