mercoledì 8 dicembre 2010

un grande italiano, un grande comunista: Maurizio Valenzi Sindaco di Napoli

Maurizio Valenzi è nato a Tunisi, il 16 novembre 1909, da una famiglia di origine livornese. Inizia l'atività di pittore frequentando per qualche anno l'Accademia di Belle Arti di Tunisi, diretta dal professore Vergeaud. Sotto l'influenza del pittore toscano Moses Levy aderisce,con Antonio Corpora, Loris Gallico e Jule Lellouch alle correnti d'avanguardia della pittura moderna. Espone i primi quadri al Salon Tunisien e poi a Roma, Parigi, Tunisi in mostre collettive con Boucherle, Louis, Ronco ed altri pittori francesi e tunisini. Fra il '30 e il '31 tiene studio a Roma, dove conosce Carlo Levi, Fausto Pirandello e Adriana Pincherle. Nel giugno del '32, rientrato in Tunisia, aderisce al Partito comunista; nel sud del paese nella zona di Chaffar, promuove la lotta sindacale dei braccianti arabi contro i grandi agrari europei. Qui porta a termine numerosi dipindi, andati poi perduti (ne rimangono solo alcuni disegni) che ritraggono la vita dei beduini della tribù Zlass. Nel 1937 è a Parigi, dove collabora alla " Voce degli Italiani", diretta da Giuseppe Di Vittorio. In questo periodo sono gli anni del Fronte popolare - incontra diversi protagonisti della nuova cultura francesce, come Tristan Tzara, Paul Eduard, Aragon, Andrè Wumser, J.R. Bloch e studia l'opera degli impressionisti e dell'Ecole de Paris. Nel Novembre del '41, in Tunisia, viene arrestato con altri comunisti e antifascisti italiani ed è rinchiuso nel nel campo di concentramento del Kef; processato per "attentato alla sicurezza dello stato", viene sottoposto alla tortura dell'elettricità dalla polizia del regime di Vicky. Fa l'esperienza del carcere in diverse prigioni tunisine e algerine fino all'ergastrolo di L'ambèze; sono di questi periodi numerosi ritratti, disegnti fortunosamente in carcere, che poi ispireranno i quadri dipindi a Napoli agli inizi degli anni settanta. Nel '44 torna in Italia; a Napoli, dirigente della Federazione del PCI, entra a far parte del comitato di liberazione nazionale. Nel '52 è eletto consigliere provinciale; per tre legislature, dal '53 al '68, è eletto al senato. Dopo una lunga pausa riprende in pieno nel '71 l'attività artistica, comunque mai del tutto abbandonata grazie ai continui contatti con Paolo Ricci, Renato Gottuso, Emilio Notte, Carlo Levi e Sebastian Matta, ai quali è legato da antica amicizia. Sono di questo periodo le prime mostre personali, a partire da quella ospitata nel '73 dalla Libreria Macchiaroli di Napoli. Nel '75 Maurizio Valenzi è eletto sindaco di Napoli. Assolve questo compito per otto anni; nel 1984 viene eletto al Parlamento Europeo. Negli ultimi anni il lavoro di artista è ripreso più intenso; lo dimostrano le recenti mostre di Strasburgo ('89) e di Napoli ('91) e la prima prova di scenografo per la commedia di Eduardi De Filippo messa in scena, nell'aprile scorso, alla Pergola di firenze dalla compagnia Teatrale degli "Ipocriti" per la regia di Ugo Gregoretti. Per la sua partecipazione alla lotta di liberazione contro il governo di Vichy e l'intensa attività svolta nel campo delle relazioni culturali tra Napoli e Parigi il presidente Mitterand, su proposta dell'allora ambascatore a Roma Gilles Martinet, lo ha insignito dell'ordine della "Legion d'Honneur". Su Maurizio Valenzi sono stati pubblicati due libri-intervista; il primo nel '78 a cura di Massimo Chiara, edito dagli Editori Riuniti di Roma, tradotto in francese dalla "Presses Universitaires Francaises" il secondo nel 1989 a cura di Attilio Wanderlingh dalle Edizioni Sintesi. Una raccolta dei suoi disegni dal carcere, dal titolo "i disegni di Lambeze", era apparsa nel 1975 a cura delle edizioni "LU"



INTERVISTE


Intervista a Maurizio Valenzi



Io sono arrivato qui a Napoli nel gennaio del 1944 dopo essere stato liberato dall’ergastolo a cui ero stato condannato dai francesi per sabotaggio industriale. Ma prima però fui portato ad Algeri dove insieme ad altri prigionieri inglesi liberati feci una trasmissione radiofonica ispirata a quelle che faceva De Gaulle. Dopo tornai a Tunisi e ritrovai mia moglie - anche lei era in carcere ma ne era potuta uscire quando i francesi con l’occupazione tedesca e italiana aprirono le prigioni e scapparono verso i loro alleati - e mio figlio. Fu lì che ricevetti un messaggio da Spano e Reale che mi invitano a raggiungerli il prima possibile a Napoli. Così, grazie all’aiuto degli amici aviatori inglesi, riuscii a raggiungere il territorio italiano: prima Taranto, poi Bari e, finalmente, Napoli dove subito mi misi a lavorare con i miei compagni alla testa di una nuova organizzazione che stava nascendo. Allora, tra i nostri amici c’era, per esempio, un pittore, una persona molto in gamba e un intimo amico di Eduardo; spesso andavamo nel suo studio al Vomero ed era divertente perché c’era sempre della gente interessante. Ebbene, una delle prime sere che arrivai lì incontrai Eduardo De Filippo e assistetti a una discussione molto serrata. De Filippo aveva finito Napoli Milionaria e leggeva l’ultimo capitolo quando dice "ha da passà ‘a nuttata". Questa frase diventò motivo di una grande discussione perché secondo l’interlocutore di Eduardo era un’espressione di rassegnazione e non di lotta contro il fascismo. Malgrado la discussione fosse serrata loro si conoscevano bene e discutevano alla napoletana anche con battute spiritosissime. Ad un certo punto De Filippo disse: "Mi dispiace la commedia è mia e ci faccio quel che voglio e ci metto questa frase".



Di questo poi riparlammo al Festival di Spoleto, molto tempo dopo, e io raccontai di questa discussione e lui si arrabbiò con me perché la raccontavo nel momento in cui Napoli Milionaria era diventata un’opera lirica con la musica di Nino Rota. Naturalmente poi facemmo la pace, ed io feci di tutto perché lui facesse la pace, soprattutto, con Napoli, perché lui era in cattivissimi rapporti con Napoli. Era molto, molto arrabbiato per il fatto che aveva sperato, aprendo il San Ferdinando, di avere la possibilità di vivere per qualche tempo di seguito a Napoli; si illudeva che si potesse riempire il teatro tutte le sere per mesi e mesi, ma non era assolutamente possibile. La borghesia napoletana era quello che era e poi il periodo era molto difficile. Così si arrabbiò e se ne andò a Milano e non volle tornare neanche quando gli facemmo una medaglia d’oro, dovetti andare io a dargliela a Milano. Quando poi organizzammo, ispirati dall’esperienza romana, quelle feste la sera a Napoli a prezzi molto bassi e venne il Piccolo Teatro di Milano, vennero delle compagnie di danza da Parigi, dei musicisti da Vienna e facevamo degli spettacoli molto interessanti, allora, fu il momento in cui Eduardo tornò a Napoli. Allora, abitava non troppo lontano da casa mia e la sera spesso o io andavo da lui o lui veniva da me. Fu così che una sera ad un certo punto andai da lui in un momento in cui Eduardo aveva una visione molto brutta della situazione politica: diceva che c’era un grosso attacco che veniva dalla tv e dai giornali e che aveva finito per trovare un consenso nella popolazione e le cose andavano male. Fu una serata in cui mi creò molte preoccupazioni e di questo si accorse anche sua moglie Isabella. Qualche tempo dopo venne a cena da me e mi portò una poesia che dice quando il vicolo é storto é difficile andare avanti quando invece la strada è libera il cavallo vuole la redine... Però, alla fine, la conclusione è che quando il vicolo è storto c’è più sfizio. Voleva consolarmi e dirmi: va bene fai una cosa difficile ma c’è più soddisfazione. Una consolazione molto magra per dir la verità. Poi l’ultima volta che ci siamo visti è stato quando lui in seguito a questa riappacificazione voleva da me delle cose che non potevo fare, voleva che comprassi il San Ferdinando come se fossi un tipo che aveva i miliardi a disposizione. Poi facemmo la pace e il nostro rapporto fu sempre interessantissimo, molto divertente ma anche duro, aggressivo, difficile. Eduardo aveva un carattere veramente difficile.



Sì per questa faccenda del San Ferdinando Eduardo era veramente molto amareggiato. Era un teatro per il quale lui si era indebitato l’indebitabile e che quando venne inaugurato era, anche tecnologicamente, all’avanguardia, era un grande teatro anche se messo in un quartiere un po’ periferico e pericoloso di Napoli. Anche questo gli nocque molto perché sapeva che la gente andava a teatro con la paura che intanto fuori gli venisse rubata la macchina.



Mi ricordo che era proprio dispiaciuto .Io andai a vederlo parecchie volte e quando andavo nel suo camerino lui si sfogava, ma non credevo che avesse tale rancore. Quando andai a Milano per la medaglia d’oro vidi che lui proprio non aveva perdonato a Napoli. Solo quando tornò alle feste che organizzammo nel teatro improvvisato del Maschio Angioino, lui venne e fece una serie di spettacoli durante l’estate e ebbe un grande successo. Venne con il figlio, lui a quell’epoca non recitava quasi più, ma la sua presenza faceva molto piacere ai napoletani e lui si riappacificava. Spero di aver contribuito a questa riappacificazione con i napoletani che lui sentiva negligenti nei suoi confronti. Certo la responsabilità non era tanto dei napoletani; il vero problema fu politico.



Ci fu una polemica tra Eduardo e il ministro Tupini, ci fu uno scambio di lettere con articoli sui giornali. Eduardo venne al nostro gruppo, io ero responsabile del gruppo comunista al senato, e facemmo delle sedute in cui discutemmo un progetto di legge assieme e poi purtroppo questo progetto di legge non passò. Lui, però, pensava che una certa categoria di napoletani, che poi erano suoi seguaci, avessero la forza di sostenerlo a lungo, ma questo non era possibile.



Eduardo era molto rabbioso per tutto quello che lo riguardava e anche il figlio. Ma era un uomo molto intelligente e aveva un gran senso dell’umorismo. Quando raccontava delle storielle era da crepar dalle risate. Raccontava che quando abitava in via dei Mille aveva un balcone che si affacciava sulla strada nel punto in cui tra via Filangeri e via dei Mille c’era una svolta, abbastanza netta. Quando il tram arrivava lì sferragliava nettamente, e lì c’era un musicista che suonava il violino, però suonava sempre quando passava il tram, e lui si affacciava per vedere se veramente stesse suonando o no. E siccome non riusciva a capire una volta scese e si mise accanto a lui. A un certo punto il violinista gli disse: "Aspetti sono un po’ stanco", e si fermò e quando passò il tram ricominciò di nuovo. Eduardo raccontava di avergli pure dovuto dare la mancia. Quando ricordava questa storia era divertentissimo.



Ma Eduardo è stato un personaggio molto complesso come autore e come attore. Ma, secondo me, soprattutto come attore, è stato ineccepibilmente un grande attore. Alcune cose come autore sono bellissime, ma come attore lui dominava sempre la scena, non c’era niente da fare. Ricordo sempre una scena nel primo atto di Uomo e galantuomo, quando c’è una specie di ripetizione, di prova che lui fa fare e lui dice che vuol chiudere la porta e fa: "Ahhh" e non si capisce cos’è e poi dice: "‘nserra ‘sta porta". E a questa battuta qua il teatro scoppiava a ridere. E questo era un pezzo molto bello, sembrava un pezzo che ricorda la migliore tradizione dalla Grecia agli inglesi ai guitti che provano le commedie. È bellissimo fa pensare, al Sogno di una notte di mezza estate e al teatro napoletano della migliore qualità. Eduardo mi chiese di fare le scenografie di Uomo e Galantuomo e andammo molto d’accordo perché entrambi eravamo convinti della necessità di fare delle scene semplici, perché a Eduardo interessava quello che dice l’attore e come lo dice e, su questo, io sono sempre stato d’accordo con lui.




INTERVISTE


Intervista a Maurizio Valenzi



Io sono arrivato qui a Napoli nel gennaio del 1944 dopo essere stato liberato dall’ergastolo a cui ero stato condannato dai francesi per sabotaggio industriale. Ma prima però fui portato ad Algeri dove insieme ad altri prigionieri inglesi liberati feci una trasmissione radiofonica ispirata a quelle che faceva De Gaulle. Dopo tornai a Tunisi e ritrovai mia moglie - anche lei era in carcere ma ne era potuta uscire quando i francesi con l’occupazione tedesca e italiana aprirono le prigioni e scapparono verso i loro alleati - e mio figlio. Fu lì che ricevetti un messaggio da Spano e Reale che mi invitano a raggiungerli il prima possibile a Napoli. Così, grazie all’aiuto degli amici aviatori inglesi, riuscii a raggiungere il territorio italiano: prima Taranto, poi Bari e, finalmente, Napoli dove subito mi misi a lavorare con i miei compagni alla testa di una nuova organizzazione che stava nascendo. Allora, tra i nostri amici c’era, per esempio, un pittore, una persona molto in gamba e un intimo amico di Eduardo; spesso andavamo nel suo studio al Vomero ed era divertente perché c’era sempre della gente interessante. Ebbene, una delle prime sere che arrivai lì incontrai Eduardo De Filippo e assistetti a una discussione molto serrata. De Filippo aveva finito Napoli Milionaria e leggeva l’ultimo capitolo quando dice "ha da passà ‘a nuttata". Questa frase diventò motivo di una grande discussione perché secondo l’interlocutore di Eduardo era un’espressione di rassegnazione e non di lotta contro il fascismo. Malgrado la discussione fosse serrata loro si conoscevano bene e discutevano alla napoletana anche con battute spiritosissime. Ad un certo punto De Filippo disse: "Mi dispiace la commedia è mia e ci faccio quel che voglio e ci metto questa frase".



Di questo poi riparlammo al Festival di Spoleto, molto tempo dopo, e io raccontai di questa discussione e lui si arrabbiò con me perché la raccontavo nel momento in cui Napoli Milionaria era diventata un’opera lirica con la musica di Nino Rota. Naturalmente poi facemmo la pace, ed io feci di tutto perché lui facesse la pace, soprattutto, con Napoli, perché lui era in cattivissimi rapporti con Napoli. Era molto, molto arrabbiato per il fatto che aveva sperato, aprendo il San Ferdinando, di avere la possibilità di vivere per qualche tempo di seguito a Napoli; si illudeva che si potesse riempire il teatro tutte le sere per mesi e mesi, ma non era assolutamente possibile. La borghesia napoletana era quello che era e poi il periodo era molto difficile. Così si arrabbiò e se ne andò a Milano e non volle tornare neanche quando gli facemmo una medaglia d’oro, dovetti andare io a dargliela a Milano. Quando poi organizzammo, ispirati dall’esperienza romana, quelle feste la sera a Napoli a prezzi molto bassi e venne il Piccolo Teatro di Milano, vennero delle compagnie di danza da Parigi, dei musicisti da Vienna e facevamo degli spettacoli molto interessanti, allora, fu il momento in cui Eduardo tornò a Napoli. Allora, abitava non troppo lontano da casa mia e la sera spesso o io andavo da lui o lui veniva da me. Fu così che una sera ad un certo punto andai da lui in un momento in cui Eduardo aveva una visione molto brutta della situazione politica: diceva che c’era un grosso attacco che veniva dalla tv e dai giornali e che aveva finito per trovare un consenso nella popolazione e le cose andavano male. Fu una serata in cui mi creò molte preoccupazioni e di questo si accorse anche sua moglie Isabella. Qualche tempo dopo venne a cena da me e mi portò una poesia che dice quando il vicolo é storto é difficile andare avanti quando invece la strada è libera il cavallo vuole la redine... Però, alla fine, la conclusione è che quando il vicolo è storto c’è più sfizio. Voleva consolarmi e dirmi: va bene fai una cosa difficile ma c’è più soddisfazione. Una consolazione molto magra per dir la verità. Poi l’ultima volta che ci siamo visti è stato quando lui in seguito a questa riappacificazione voleva da me delle cose che non potevo fare, voleva che comprassi il San Ferdinando come se fossi un tipo che aveva i miliardi a disposizione. Poi facemmo la pace e il nostro rapporto fu sempre interessantissimo, molto divertente ma anche duro, aggressivo, difficile. Eduardo aveva un carattere veramente difficile.



Sì per questa faccenda del San Ferdinando Eduardo era veramente molto amareggiato. Era un teatro per il quale lui si era indebitato l’indebitabile e che quando venne inaugurato era, anche tecnologicamente, all’avanguardia, era un grande teatro anche se messo in un quartiere un po’ periferico e pericoloso di Napoli. Anche questo gli nocque molto perché sapeva che la gente andava a teatro con la paura che intanto fuori gli venisse rubata la macchina.



Mi ricordo che era proprio dispiaciuto .Io andai a vederlo parecchie volte e quando andavo nel suo camerino lui si sfogava, ma non credevo che avesse tale rancore. Quando andai a Milano per la medaglia d’oro vidi che lui proprio non aveva perdonato a Napoli. Solo quando tornò alle feste che organizzammo nel teatro improvvisato del Maschio Angioino, lui venne e fece una serie di spettacoli durante l’estate e ebbe un grande successo. Venne con il figlio, lui a quell’epoca non recitava quasi più, ma la sua presenza faceva molto piacere ai napoletani e lui si riappacificava. Spero di aver contribuito a questa riappacificazione con i napoletani che lui sentiva negligenti nei suoi confronti. Certo la responsabilità non era tanto dei napoletani; il vero problema fu politico.



Ci fu una polemica tra Eduardo e il ministro Tupini, ci fu uno scambio di lettere con articoli sui giornali. Eduardo venne al nostro gruppo, io ero responsabile del gruppo comunista al senato, e facemmo delle sedute in cui discutemmo un progetto di legge assieme e poi purtroppo questo progetto di legge non passò. Lui, però, pensava che una certa categoria di napoletani, che poi erano suoi seguaci, avessero la forza di sostenerlo a lungo, ma questo non era possibile.



Eduardo era molto rabbioso per tutto quello che lo riguardava e anche il figlio. Ma era un uomo molto intelligente e aveva un gran senso dell’umorismo. Quando raccontava delle storielle era da crepar dalle risate. Raccontava che quando abitava in via dei Mille aveva un balcone che si affacciava sulla strada nel punto in cui tra via Filangeri e via dei Mille c’era una svolta, abbastanza netta. Quando il tram arrivava lì sferragliava nettamente, e lì c’era un musicista che suonava il violino, però suonava sempre quando passava il tram, e lui si affacciava per vedere se veramente stesse suonando o no. E siccome non riusciva a capire una volta scese e si mise accanto a lui. A un certo punto il violinista gli disse: "Aspetti sono un po’ stanco", e si fermò e quando passò il tram ricominciò di nuovo. Eduardo raccontava di avergli pure dovuto dare la mancia. Quando ricordava questa storia era divertentissimo.



Ma Eduardo è stato un personaggio molto complesso come autore e come attore. Ma, secondo me, soprattutto come attore, è stato ineccepibilmente un grande attore. Alcune cose come autore sono bellissime, ma come attore lui dominava sempre la scena, non c’era niente da fare. Ricordo sempre una scena nel primo atto di Uomo e galantuomo, quando c’è una specie di ripetizione, di prova che lui fa fare e lui dice che vuol chiudere la porta e fa: "Ahhh" e non si capisce cos’è e poi dice: "‘nserra ‘sta porta". E a questa battuta qua il teatro scoppiava a ridere. E questo era un pezzo molto bello, sembrava un pezzo che ricorda la migliore tradizione dalla Grecia agli inglesi ai guitti che provano le commedie. È bellissimo fa pensare, al Sogno di una notte di mezza estate e al teatro napoletano della migliore qualità. Eduardo mi chiese di fare le scenografie di Uomo e Galantuomo e andammo molto d’accordo perché entrambi eravamo convinti della necessità di fare delle scene semplici, perché a Eduardo interessava quello che dice l’attore e come lo dice e, su questo, io sono sempre stato d’accordo con lui.

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