Ne “Il declino del Capitalismo” Emanuele Severino, il quale, come noto, è lontanissimo da una conoscenza critica del sitenma capitalistico, quale quella di Marx, svolge la tesi che la tecnica si va trasformando da mezzo-strumento del capitalismo nel suo scopo, per cui quest’ultimo “ è – egli dice – tale solo in apparenza, mentre in realtà è tecnocrazia”. Pertanto, scrive ancora ne “Il declino della tecnica”, la democrazia è “costretta a subordinare il proprio scopo alla tecnica, e, dunque, a non essere più democrazia”, ma tecnocrazia, governo dei tecnici. Anche qui Severino dimostra di avere della democrazia liberale - (nel senso in cui ne parla Lelio Basso) - una visione a-storica, non coglie cioè il suo essere funzionale all’economia di mercato, come insegnava già il giovane Marx ne “La questione ebraica”.
D’altra parte la sua superiore affermazione altro non è che un corollario della sua nota tesi di fondo sulla “inevitabilità della dominazione della tecnica” e della sua affermazione, contenuta ne “Il declino del Capitalismo”, che “la produzione capitalistica della ricchezza determina una devastazione della terra e dell’uomo, che, contrariamente - (secondo la sua visione a-storica) – alle intenzioni del capitalismo, distrugge le stesse condizioni di esistenza di quest’ultimo”. (Osserviamo pure qui che una conoscenza critica delle leggi della produzione capitalistica delle merci avrebbe condoto Severino a far proprie le conclusioni de “Il Manifesto” di Marx ed Engels e ed la lucida affermazione della Luxemburg : “o socilaismo o barbarie”).
Con chiara contrapposizione a quanto affermato ne “Il declino del Capitalismo” sulle presunte buone e sane “i n t e n z i o n i” del capitalismo, nel “Dialogo su diritto e democrazia” con Natalino Irti, Laterza 2001, p. 26, Severino più lucidamente afferma che “nelle democrazie occidentali la norma politico giuridica (ed anche religiosa e morale) è stata sì il principio ordinatore del capitalismo, ma altro non ha ordinato che una volontà di profitto, che, lasciata a se stessa, si sarebbe liberata e tuttora si libererebbe il più possibile dalla regola politico giuridica e imporrebbe essa la propria regola alla politica (al diritto, alla moirale, alla religione), cioè subordinerebbe gli interessi ed i bisogni della società al processo produttivo volto all’incremento del profitto. Il capitalismo tende alla deregulation”. (Tesi, questa, recentemente ripresa ed esposta su “Il Corriere” da un più modesto Piero Ostellino”).
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Partendo dai suddetti assunti, dice ora Severino:
“La magistratura non può portare la storia in tribunale ed incriminare il mondo democratico-capitalistico italiano che ha vinto il comunismo. Se essa si impegna in questa incriminazione, è a parole che lo fa in nome della giustizia, perché di fatto si schiera politicamente”. “Se i ladri - sostiene Severino - sono utili a salvare la vita della democrazia e del capitalismo - e la mafia è stata un anticomunismo doc -, perché non farne degli alleati e servirsene?”.
Severino lancia alla magistratura l’accusa di usare la giustizia a fini di potere.
Infatti su “Il Corriere” del 25 gennaio 2010, svolgendo una chiara difesa delle tesi di Berlusconi e del suo predecessore, Craxi, Severino scrive così : “tutti siamo convinti che la “guerra fredda” è stata una lotta all' ultimo sangue, dove ognuno dei due mondi in lotta vedeva nell' altro “il Male” assoluto da cui ci si doveva difendere con ogni mezzo. Per quanto illegale e malvagio, qualsiasi mezzo sarebbe stato infatti un male ben minore del Male assoluto”. --- “Altre volte – continua Severino - ho ricordato una dichiarazione emblematica dell' ex direttore della Cia Wiliam Colby, intervistato da questo giornale agli inizi degli anni Novanta. L' intervistatore gli chiedeva se fosse stato proprio necessario, durante la «guerra fredda», mettere all' Italia la «camicia di forza anticomunista”. La risposta fu: “Sì. Meglio i ladri dei dittatori”. E con queste parole egli dichiarava nel modo più esplicito (anche se forse inconsapevolmente) che i “ladri» erano appunto la “camicia di forza” dell' Italia. Una camicia che si mette ai matti pericolosi - ossia alle forze di sinistra, Pci in testa - che avrebbero voluto rendere comunista l' Italia. I “ladri”, poi, erano la criminalità internazionale, mafia in testa. Ineccepibile, la risposta del direttore della Cia, portavoce della strategia globale del sistema democratico-capitalistico e della sua volontà di sopravvivenza. Se i ladri sono utili a salvare la vita della democrazia e del capitalismo - e la mafia è stata un anticomunismo doc -, perché non farne degli alleati e servirsene? Chi è in pericolo di vita fa di tutto per salvarsi ed è fuori luogo scandalizzarsi se fa anche cose sconvenienti. Certo, quell' alleanza con l' illegalità e la criminalità richiedeva l' instaurazione di tutto un insieme di rapporti tra la legalità statuale e l' illegalità criminale, e richiedeva anche sostanziose concessioni a quest' ultima da parte dello Stato, visto che nessuno fa qualcosa per niente. E quell' alleanza, quei rapporti, quelle concessioni richiedevano trattative condotte da uomini, non da puri spiriti, contatti personali tra i rappresentanti dello Stato e quelli della criminalità. E affinché l' alleanza funzionasse bisognava che i due gruppi si mettessero d' accordo e magari si creasse un clima di compiacimento per l' accordo raggiunto e il buon funzionamento della collaborazione. -- Lo scandalo è fuori luogo. Fenomeno analogo è stato il finanziamento illegale dei partiti. In Italia si è presentata a quel tempo la concreta possibilità che i comunisti andassero al governo in seguito a libere elezioni. Affinché ciò non accadesse, era necessario che il sistema capitalistico, per sopravvivere, sostenesse i partiti anticomunisti, gratificasse economicamente in modo più o meno diretto l' elettorato perché non votasse il Pci, a sua volta finanziato dall' Unione Sovietica. In questi giorni si è ricordato che Bettino Craxi ha raddoppiato il debito pubblico dello Stato italiano. Ma vale, per il raddoppio del debito, quello che vale per i ladri: se è servito a salvare dal comunismo la società italiana, il raddoppio era inevitabile come l' alleanza con i ladri. --- Dopo la fine dell' Unione Sovietica, a certi esponenti della società democratico-capitalistica italiana l'alleanza - o, se si preferisce, il matrimonio - della legalità statale con la criminalità è apparsa indecente; ad altri meno; altri intendono perpetuarla. E se l' abitudine fa l' uomo ladro, l' esser ladri che han fatto un buon colpo favorisce la propensione a ripeterlo. La quale - dato il sottofondo, diciamo così, “cattolico” della criminalità mafiosa - è anche propensione a ritenere indissolubili i matrimoni. ---- L' alleanza tra legalità statuale e criminalità-illegalità c' è stata, era inevitabile che ci fosse e che oltre a chi ha operato illegalmente per combattere il comunismo ci fosse stato anche chi ha combattuto il comunismo per accrescere il proprio patrimonio (o ha fatto l' uno e l' altro). D' altra parte, la magistratura non può portare la storia in tribunale. Se lo fa, si propone quanto essa stessa non può non ritenere impossibile: l' incriminazione del mondo democratico-capitalistico italiano (che in qualche modo ha vinto anche lui il comunismo) e di quanto rimane di quel mondo - che non è poco. Se, ciò nonostante, la magistratura si impegna in quella incriminazione, è a parole che lo fa in nome della giustizia, perché di fatto si schiera politicamente. E nemmeno di questo c' è da scandalizzarsi, perché, dal punto di vista dell' opposizione, rivendicare la giustizia è una delle armi efficaci di cui essa dispone per indebolire il proprio avversario”.
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Ho ritenuto giusto riportare per esteso quanto scritto ora su “Il Corriere” da Severino, perché sia chiara in primo luogo la contraddizione con le sue “convinzioni” filosofiche. Se, infatti, il fine della conservazione del potere, elevato a “verità”, giustifica qualunque mezzo, anche criminale, non ha alcun senso svolgere un ragionamento critico, come quello riportato all’inizio di questo scritto, e dire, a mo’ di denuncia di una deriva ritenuta negativa, che “la tecnica si va trasformando da mezzo-strumento del capitalismo nel suo scopo, per cui quest’ultimo “ è tale solo in apparenza, mentre in realtà è tecnocrazia”; ed aggiungere che la democrazia è “costretta a subordinare il proprio scopo alla tecnica, e, dunque, a non essere più democrazia”, ma tecnocrazia. – Non ha senso, perché la giustificazione-esaltazione della democrazia salvata dal potere criminale, con cui la si identifica, altro non è che giustificazione della sua subordinazione al potere per il potere, sì da non essere più democrazia, ma tecnocrazia; ed è quindi pure giustificazione della tecnica del potere criminale come scopo consustanziale al capitalismo. – E’ poi illogico ed assurdo che Severino possa pensare e sostenere che la mafia, il potere politico criminale, siano utili a salvare il capitalismo – (da egli elevato, contraddittoriamente al pensiero professato, a scopo dell’agire umano) - dall’inevitabile suo declino, come da egli spiegato nell’omonimo libro, più sopra da noi citato.
-Va da sè, poi, che Severino è lontanissimo dall’insegnamento di Socrate, il quale diceva che “per nessuna ragione si deve fare ingiustizia”, come indubbiamente accade quando si violano le leggi dello Stato (Platone, “Critone”, 49 b – d); oltre ad essere abissalmente lontano dal Kant della “Ragion paratica”.
Egli, accusando la magistratura di usare la giustizia a fini di potere, ha voluto scimmiottare l’errore commesso da Sciascia su “Il Corriere” del 10 gennaio 1987, col suo infelice articolo “I professionisti dell’ntimafia”. Con una radicale e profonda differenza, però. Invero, Sciascia, che in quel caso sbagliò di grosso, sostenne sempre con forza e con grande coerenza, all’opposto di quel che scrive oggi Severino, che non si può mai perseguire la giustizia - o fini ritenuti di giustizia - con mezzi illegali.
-Ultima considerazione, per noi essenziale.
E’ segno della crisi di civiltà che stiamo vivendo, della barbarie a cui può condurre, in assenza di un’alternativa socialista, la profonda crisi mondiale del capitalismo, che Emanuele Severino scriva quanto sopra riportato sul più autorevole quotidiano della borghesia italiana. E’ la confessione della deriva politico-morale di quest’ultima, della sua identificazione prima col craxismo ed oggi col berlusconismo; e prima ancora col fascismo.
Severino ha scritto che il potere criminale politico-mafioso ha fatto bene ad ammazzare decine e decine di sindacalisti nella sola Sicilia, negli anni ’44 – ’48, per salvare il sistema democratico-capitalista dal pericolo dell’avanzata delle masse proletarie che si battevano per l’affermazione di una democrazia avanzata, largamente partecipata, che voleva inverare il principio di piena eguaglianza poi sancito nell’art. 3 della costituzione; quella costituzione che l’antidemocratico ed autoritario Berlusconi definisce comunista, sovietica.
Il potere criminale politico-mafioso ha fatto bene – dice sempre Severino - ad ammazzare Pio La Torre ed tutti i giudici “comunisti”, come li chiama il suo sponsor Berlusconi e con lui Dell’Utri. Infatti, come egli dimostra di sapere e scrive, “la mafia è stata ed è un anticomunismo doc”.
Padova 13 febbraio 2010 luigi ficarra
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