mercoledì 9 settembre 2009

morire dentro un carcere nella indifferenza cinica del regime

. Il direttore medico: "Libero di farlo". La procura indaga
Tunisino, contestava una condanna per violenza sessuale
Sciopero della fame, detenuto muore a Pavia
I carcerati: "Ora facciamo come lui"
di DAVIDE CARLUCCI

PAVIA - La sua è stata una scelta lucida, portata avanti con ostinazione: voleva morire, Sami Mbarka Ben Gargi. Detenuto nel carcere di Pavia per reati di droga e violenza sessuale, aveva cominciato uno sciopero della fame e della sete il 16 luglio. Era stato trasferito per due volte in ospedale: la prima il 31 agosto per un trattamento sanitario obbligatorio che i medici però avevano ritenuto non necessario, giudicandolo lucido, la seconda il 2 settembre. Questa volta, assicura il direttore sanitario del San Matteo, Marco Bosio "il Tso c'è stato e il sostenimento delle funzioni vitali attraverso flebo anche". Ma è stato inutile: sabato sera il detenuto, ridotto a un fantasma dopo aver perso 21 chili, è morto.

Ora la procura di Pavia, che ha disposto un'autopsia, ha aperto un'inchiesta per accertare eventuali responsabilità. Aldo Egidi, l'avvocato che difendeva Ben Gargi, le individua nella struttura carceraria: "Il loro compito non è solo custodire i detenuti ma anche curarli per impedire le conseguenze estreme dei loro gesti". Ma anche nel comportamento dei magistrati: "Il 5 agosto ho presentato istanza per chiedere che il detenuto fosse visitato per valutarne le condizioni di salute. Sa quando è arrivata la relazione? Venti giorni dopo. E si richiedeva il trasferimento in una struttura con una diversa attrezzatura sanitaria". La relazione sottolineava le pessime condizioni di salute del detenuto (reduce, tra l'altro, da un infarto al miocardio). Ma il procuratore generale nel suo parere, ha respinto l'istanza di remissione in libertà, rigettata poi il 4 settembre dalla corte d'Appello.

Alle polemiche il direttore medico del carcere di Pavia, Pasquale Alecci, già nei guai per la morte di un altro detenuto, risponde in maniera sconcertante: "Un soggetto già privato della sua libertà, non puoi privarlo della facoltà di poter decidere e quindi di autodeterminarsi". Luigi Pagano, soprintendente regionale alle carceri lombarde, assicura però che nel carcere è stato fatto tutto il possibile per salvare il tunisino. "Far desistere dallo sciopero della fame un detenuto che si ritiene innocente è quasi impossibile. L'unico con il quale ci sono riuscito è stato il poeta Bruno Brancher".

Ben Gargi, invece, non toccava più cibo e acqua dopo che la corte d'Appello, il 16 luglio, l'aveva mandato in carcere per una condanna per violenza sessuale nei confronti della sua ex convivente. Lui in cella c'era già per un altro procedimento: una condanna per associazione per delinquere finalizzata allo spaccio. Stava però finendo di scontare la pena e la corte d'Appello aveva deciso di applicare la misura cautelare per lo stupro, ritenendo concreto il pericolo di fuga. Ma il tunisino, 41 anni, ristoratore ambulante, padre di tre figli e in procinto di sposarsi con la sua compagna italiana, riteneva infamante l'accusa. "Ha chiuso i rapporti con tutti e ha deciso di morire", racconta l'avvocato. Ora anche gli altri detenuti del sovraffollato carcere di Pavia sono in sciopero della fame. E Rita Bernardini, deputata radicale del Pd, chiede al ministro di giustizia Angelino Alfano di far luce. E di avviare un'indagine sulle morti nelle carceri italiane.

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