dal manifesto di domenica 6 settembre 2009
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APERTURA | di Fabrizio Tonello
STORIE DI SCONTRI DAGLI USA DI IERI ALLA CINA D'OGGI
Insorgenze OPERAIE
Le vicende che in agosto hanno opposto migliaia di lavoratori alla polizia nella provincia dello Henan richiamano alla memoria la battaglia di Homestead in Pennsylvania alla fine dell'800, narrata nel libro di Louis Adamic «Dynamite», da poco ripubblicato negli Stati Uniti. Una storia della violenza di classe in America che offre utili indizi anche per il presente
Alle 4 del mattino del 6 luglio 1892, un battaglione di guardie private della Pinkerton assunte dalla Carnegie Steel Company cercò di sbarcare da due chiatte che avevano risalito il fiume Monongahela fino a Homestead, una decina di chilometri da Pittsburgh, in Pennsylvania. Fu accolto da cinquemila cittadini in armi, che sostenevano gli operai della Amalgamated Association of Iron and Steel Workers, espulsi dallo stabilimento il 29 giugno, quando il manager Henry Clay Frick aveva deciso la serrata per spezzare le reni al sindacato.
La folla sulla riva davanti alla fabbrica si limitava a lanciare sassi e insultare i «detective» (in realtà mercenari: all'epoca la Pinkerton aveva più personale dell'esercito permanente degli Stati Uniti) ma dalle chiatte qualcuno cominciò a sparare, ferendo l'operaio William Foy e uccidendo altre due persone. Dalla folla si rispose al fuoco ed ebbe inizio la battaglia, che sarebbe durata tutta la giornata, con gli operai sufficientemente organizzati da utilizzare una flottiglia di barche, un cannone e decine di tiratori scelti per contrastare l'armata padronale.
I fatti di Homestead vengono alla mente quando si legge che a metà agosto, ad Anyang city, nella provincia dello Henan, alcune migliaia di lavoratori si sono scontrati per quattro giorni con la polizia per opporsi a un progetto di privatizzazione della loro acciaieria, piano ora provvisoriamente ritirato. Il 26 luglio, a Tonghua, nella provincia cinese di Jilin, trentamila lavoratori si erano battuti per varie ore con la polizia che difendeva la Jianlong Steel, il gruppo che voleva acquisire le acciaierie locali, di proprietà dello stato, e già aveva preso in mano la gestione della fabbrica. Nella mischia, il manager inviato dalla nuova proprietà, Chen Guojun, stipendio annuo tre milioni di yuan, è rimasto ucciso.
Una effimera vittoria
Non sbagliava Giovanni Arrighi nell'intitolare il suo ultimo libro Adam Smith a Pechino (Feltrinelli, pp. 460, euro 38): è la Cina il nuovo impero in ascesa, caratterizzato da una disuguaglianza estrema, da uno sfrenato galoppare degli animal spirits del mercato, da una corruzione onnipresente, da condizioni di quasi-schiavitù per i lavoratori. Lo spettacolare successo economico cinese degli ultimi anni, e la probabile uscita trionfante del paese dalla recessione mondiale che affliggerà Europa e Stati uniti ancora per parecchi anni, potrebbe avere come esito la promozione di Pechino a centro del capitalismo mondiale.
Il prezzo di questa fase potrebbe però essere alto e la storia americana ci aiuta a prevederlo: basta sfogliare le pagine del prezioso volume di Louis Adamic, Dynamite: The Story of Class Violence In America, recentemente ristampato dalla AK Press (pp. 380, $19,95) per capirlo (ne esiste anche una vecchia traduzione italiana, ormai introvabile: Dynamite, Collettivo editoriale librirossi, 1977). Adamic, uno sloveno arrivato negli Stati Uniti il 31 dicembre 1913, lavorò giovanissimo come pescatore in California, poi si arruolò nell'esercito americano, fece tutti i mestieri (bracciante agricolo, scaricatore, marinaio) e divenne poi giornalista per un periodico in serbocroato. Simpatizzante degli wobblies, i militanti dell'Industrial Workers of the World celebrati da Dos Passos nella sua trilogia Usa, Adamic negli anni Trenta divenne un autore di successo (degli wobblies si è occupato in Italia Bruno Cartosio, con il suo Lavoratori negli Stati Uniti. Storia e culture politiche dalla schiavitù all'Iww (1989).
Merita ricordare che Adamic, tra le altre cose, era amico del giallista Rex Stout. Se l'intramontabile Nero Wolfe è montenegrino di nascita, il merito va ad Adamic, che spiegò usi e costumi balcanici a Stout, nato nel Midwest e poco propenso a viaggiare fuori degli Stati Uniti, esattamente come il suo investigatore sovrappeso. Rex Stout onorò l'amico, morto suicida nel 1951, con il romanzo The Black Mountain del 1954 (in italiano Nero Wolfe fa la spia, Segretissimo, 1978).
Adamic racconta la battaglia di Homestead, che si concluse con una effimera vittoria degli operai: dopo una giornata di fucileria che fece vari morti da entrambe le parti, la sera del 6 luglio i Pinkerton alzarono bandiera bianca e furono portati in città e consegnati allo sceriffo, che avrebbe dovuto tenerli in prigione fino al processo. Furono invece liberati il giorno dopo e sostituiti da migliaia di riservisti della Guardia nazionale mandati dal governatore Robert Pattison a proteggere i crumiri. Nel giro di poche settimane, la resistenza del sindacato fu spezzata, anche a causa di un bizzarro tentativo di omicidio contro Henry Clay Frick, che ebbe luogo il 23 luglio a Pittsburgh. Alexander Berkman, un anarchico di origine russa, sparò a Frick nel suo ufficio, poi lo colpì con un pugnale e cercò di suicidarsi. Il manager sopravvisse con ferite superficiali e lo sciopero si concluse mesi dopo con la sconfitta dell'Amalgamated Association.
Dal 1880 fino allo scoppio della prima guerra mondiale, gli Stati Uniti furono teatro di una serie di scontri violenti tra lavoratori e Pinkerton, polizia ed esercito di cui si è poi persa la memoria, se non per episodi celebri come il massacro di Haymarket a Chicago (una bomba colpì otto poliziotti, quattro anarchici furono processati e condannati a morte). Meno nota la lunga resistenza popolare in Nuovo Messico contro gli espropri e le violenze dei grandi proprietari attraverso l'associazione segreta Gorras blancas (ne ha scritto Bruno Cartosio in Contadini e operai in rivolta, Shake, 2003, euro 13,50).
Il ruolo della Pinkerton nella repressione dei sindacati è assolutamente chiave, e i suoi agenti operano quasi sempre al di fuori della legalità: un personaggio tipico dell'epoca è James McParland, che iniziò la sua carriera in Pennsylvania negli anni '70 dell'Ottocento contro i minatori di carbone irlandesi che cercavano di migliorare le spaventose condizioni di lavoro. McParland si infiltrò nel sindacato e creò il mito di un'associazione segreta, i Molly Maguires, che sarebbe stata responsabile di rapimenti e uccisioni. Con l'aiuto di squadre di vigilantes, e di processi pilotati, l'organizzazione dei minatori fu decapitata.
Ritroviamo McParland come organizzatore dell'infiltrazione di un agente nei Knights of Labor in Nuovo Messico nel 1891 e, soprattutto, come responsabile del rapimento e dell'arresto di «Big Bill» Haywood, il leader della Western Federation of Miners. Nel 1906 Haywood fu rapito da agenti della Pinkerton in Colorado e portato in Idaho, dove fu accusato dell'assassinio del governatore Frank Steunenberg, avvenuto il 30 dicembre 1905 (la Corte Suprema, con la vergognosa sentenza Pettibone v. Nichols, accettò il fatto compiuto). Dopo uno spettacolare processo, in cui fu difeso da Clarence Darrow, Haywood fu assolto nel 1907 (ne parlano estesamente Big Trouble, di Anthony Lukas, 1998, e Roughneck di Carlson Peter, 1984, entrambi disponibili su Amazon).
In cima ai grattacieli
Nonostante gli arresti, le condanne e le deportazioni la resistenza operaia con mezzi pacifici, ma anche con la dinamite, accompagnò l'intera ascesa degli Stati Uniti al rango di potenza mondiale. Leggiamo cosa scrisse Adamic: «Via via che le costruzioni diventavano sempre più alte le mansioni diventavano sempre più rischiose e, improvvisamente, quello degli operai siderurgici divenne il più avventuroso e romantico di tutti i mestieri dell'edilizia. Soltanto uomini armati di estremo coraggio e resistenza fisica potevano lavorare ai grattacieli; mettendo ogni giorno in pericolo la propria vita si sviluppava in loro una psicologia di temerarietà e di violenza che difficilmente poteva essere capita da chi apparteneva a professioni meno rischiose».
Avendo come controparte una delle organizzazioni padronali più «testarde e brutali», la National Erectors' Association, gli Iron Workers «facevano personalmente uso delle pallottole e della dinamite» contro i crumiri e contro gli stessi edifici che stavano costruendo. «A quei tempi - scrive Adamic - nei conflitti di lavoro la distruzione della proprietà era un fatto comune». Queste forme di lotta, però, condussero al rapido declino del sindacato dopo che, il primo ottobre 1910, qualcuno fece saltare in aria la sede del Los Angeles Times.
Arresti e condanne
L'esplosione uccise venti persone e diede origine a un clamoroso processo, che avrebbe segnato la fine del sindacalismo rivoluzionario negli Stati Uniti: i fratelli McNamara, dirigenti della Structural Iron Workers Union, furono rintracciati dalla Pinkerton a Detroit e portati, di nuovo illegalmente, a Los Angeles. Il loro difensore era sempre Darrow ma stavolta l'esito fu diverso: l'avvocato si convinse che i McNamara erano colpevoli e, per salvarli dalla pena capitale, accettò il patteggiamento. La notizia che i due dirigenti del potente sindacato erano davvero responsabili dell'attentato distrusse immediatamente la candidatura del candidato socialista Job Harriman a sindaco di Los Angeles e aprì la strada alla repressione del movimento dei lavoratori in tutti gli Stati Uniti, una repressione che culminò negli arresti, nelle condanne e nelle deportazioni della Red Scare nel 1919-20.
Nonostante la censura e il disinteresse dei media occidentali, in Cina sembra stia accadendo qualcosa di molto simile: l'anno scorso sono stati registrati 23mila «incidenti di massa», cioè scontri violenti tra contadini e operai contro la polizia. Una cifra probabilmente sottostimata, visto che nel 2005 erano stati 84mila e, nel 2004, 74mila. Non più tardi del marzo scorso, ventimila lavoratori si erano scontrati per parecchi giorni con la polizia a Hunan, nella regione dello Yongzhou, per protestare contro l'aumento dei prezzi dei trasporti, mentre in giugno, a Bazhong nel Sichuan, i conducenti di autobus avevano paralizzato la città per ottenere migliori salari e orari di lavoro più brevi.
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