SANTIFICARE IL XX SETTEMBRE
Giovanni Spadolini
(estratto dalla Prefazione al libro Il Tevere più largo – Da Porta Pia ad oggi – Ed. Longanesi & C. – Milano ,1970)
20 SETTEMBRE 1957: ottantasettesimo anniversario della breccia di Porta Pia. È ancora Papa, sia pure per poco più d'un anno Pio XII, non più il Pio XII della Humani generis e del tentativo di conciliazione fra cattolicesimo e democrazia, ma il Papa stanco e solitario e inaccessibile degli ultimi malinconici anni della chiusura e della intransigenza pacelliana, in quel Vaticano spogliato e jeratico in cui si agitano ombre di cortigiani e faccendieri.
I rapporti fra Chiesa e Stato in Italia non sono più quelli, pieni di fiducia e di speranza, dei primissimi anni della liberazione: coi grandi fervori del Cristo democratico e rinnovatore, coi primi brividi e fantasmi del " Papato socialista
". Le ferite dell' "operazione Sturzo", cioè del tentativo di alleanza con l'estrema destra che rimonta al 1952 ma prolunga ancora i suoi effetti al di là delle mura vaticane, sono tutt’altro che risarcite. Monsignor Montini, che incarna la linea "degasperiana" e democratica dell’episcopato, senza inibizioni e chiusure retrive, è stato esiliato a Milano, senza neppure – massima umiliazione – il cappello cardinalizio; De Gasperi è morto da tre anni, ma la sua eredità politica appare dilapidata e dispersa, a vantaggio di una lotta di tutti contro tutti nella stessa democrazia cristiana, di una contesa fratricida.
La repressione contro i fermenti del dossettismo è stata totale; e Dossetti stesso è fallito nell’ultimo tentativo di conquistare il Comune di Bologna, dopo aver perduto la battaglia per conquistare il partito. Al posto della prima sinistra democristiana, utopistica ma generosa, portatrice di un fermento di revisione e di rinnovamento totale della vita italiana, si agitano nuclei di potere, tanto più esasperati nella dottrina quanto più ambiziosi e disinvolti nella pratica, con la nuova mistica, massiccia e conquistatrice, degli enti di Stato alle spalle.
Ogni traccia di Risorgimento si allontana o si scolorisce: anche di Risorgimento cattiolico-liberale. I richiami di De Gasperi a Manzoni o a Croce sembrano lontani di qualche generazione. La biografia, l’esemplare biografia, del canonico Aubert su Pio IX, il Papa del Sillabo e dell’opposizione cattolica, non è tradotta né traducibile in Italia, per veti diretti o indiretti dell’autorità ecclesiastica. Nel clero i libri che vanno ancora per la maggiore sono quelli, semplificatori e intransigenti, dell’ultraguelfo Massé. Il solco con la cultura laica pare approfondirsi: la formula del "Risorgimento scomunicato" evade dai confini della pubblicistica; proprio nel ’57 si celebra un convegno su "Stato e Chiesa", dove voci anticlericali si uniscono a voci rigorosamente laiche ma rispettose della tradizione cattolica, come quella di un Salvatorelli. Eppure: proprio in quella ricorrenza della breccia di Porta Pia, in quella tensione e lacerazione estrema che doveva prefigurare i casi clamorosi del vescovo di Prato e dell’aspra polemica tra laici e cattolici per le elezioni politiche del maggio 1958, nel giornale da me allora diretto, Il Resto del Carlino, avanzo per la prima volta una proposta, fra seria e paradossale, che sarà poi ripresa tante volte negli anni di poi: la proposta di santificare il 20 settembre, di trasformarlo in festa religiosa.
E con quale motivazione ? Con la precisa motivazione che la liberazione di Roma da parte dei bersaglieri di Cadorna ha sollevato la Chiesa dal fardello del potere temporale, l’ha liberata da tutti gli impacci e i gravami del temporalismo alleato con la logica inesorabile del "Trono e Altare": quasi in omaggio ad un disegno provvidenziale, presupposto necessario del nuovo incontro fra la Chiesa e i popoli, della nuova unica Santa Alleanza possibile nel mondo moderno, l’alleanza del Pontificato con la democrazia. (…omissis…).
La proposta cadde nel vuoto: non mancò qualche segno di ironia o di sgarberia clericale (…omissis…).
20 settembre: è una data patetica nella storia d’Italia. Il momento più alto del Risorgimento, ma quasi vissuto in punta di piedi, con impacciata discrezione, con un diffuso senso di timore. "Il giorno più grande del secolo decimonono" : aveva detto un famoso storico tedesco, ma che la classe dirigente italiana farà il possibile per dimenticare o scolorire, quasi atterrita dal compito storico che la Provvidenza le aveva assegnato. (…omissis…).
Solo il fascismo, sprezzante di tutte le pregiudiziali risorgimentali, indifferente alle radici profonde dello Stato liberale e unitario, poteva cancellare con un tratto di penna quell’esile filo che collegava le vecchie e le nuove generazioni, il 20 settembre "giorno festivo per gli effetti civili". Porta Pia fu riassorbita nella Conciliazione: l’11 febbraio diventò la sola festa, la festa nazionale celebrante il trionfo della "ragion di Stato" fascista e vaticana, il suggello dei Patti lateranensi.
Quel giorno, già controverso e tormentato per la generazione dei nostri padri, perse quasi ogni significato per la generazione nata all’indomani della prima guerra mondiale. Il quadro di Cammarano tendeva a scomparire dai libri di testo, dove aveva pur dominato fino agli anni trenta; i riferimenti alla questione romana diventavano sempre più scarni o retorici, scarni per il passato, retorici per il ritorno all’incontro fra la Croce e l’Aquila sanzionato dalle guerre di Etiopia e di Spagna. Capire, in quel periodo, per uno studente ginnasiale, cosa fosse stata la legge delle Guarentigie, era estremamente difficile, per non dire impossibile. Il 20 settembre si dissolveva nell’ironia che avvolgeva l’"Italietta", la piccola Italia del trasformismo liberale e post-risorgimentale, incapace di marciare col ritmo guerriero del passo dell’oca. E i grandi problemi ideali del riscatto nazionale sopravvivevano solo in chi, pur in mezzo alle negazioni ufficiali, tentava di ritrovare il filo del nostro dramma unitario in certi scrittori pur accettati dal regime, in chi, da Oriani, sapeva magari risalire a Gobetti.
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