Dopo la forzatura sull’articolo 18 la luna di miele del Governo Monti è terminata. Certamente è terminata per una parte importante del mondo del lavoro e dell’opinione pubblica.
Le conseguenze, anche politiche, si vedranno meglio nelle prossime settimane.
Ora è legittimo interrogarsi se è accettabile che un Governo di “tecnici”, che peraltro compie scelte politicissime come quella di manomettere l’articolo 18 dello Statuto dei diritti di lavoratori e approva “riforme” che entreranno in vigore nel 2017, si vanti di non dovere rispondere agli elettori delle sue scelte, tanto più che i provvedimenti del Governo debbono essere approvati da chi con la prova elettorale bene o male si è misurato. Evidentemente il Governo Monti ritiene di sapere, motu proprio, cosa è bene e cosa non lo è per il paese. Anche se in democrazia il consenso ad una strategia politica lo possono dare solo gli elettori attraverso i loro rappresentanti in parlamento.
Monti dichiara di volere tirare diritto sulla sua impostazione non solo senza il consenso della Cgil ma anche ignorando i reiterati inviti del Pd a cercare un’intesa con tutti su una proposta che non apra il varco ai licenziamenti come avverrebbe con l’attuale proposta del Governo sull’articolo 18. Va detto che la fermezza dichiarata da Bersani è apprezzabile.
Nei reiterati inviti del Pd era chiaro l’intento di evitare il manifestarsi di una continuità imbarazzante con il Governo precedente, che aveva fatto della discriminazione anti Cgil il suo credo. Va sottolineato che la tenuta della Cgil ha portato altre confederazioni a rivedere posizioni precedenti e soprattutto ha dato alla protesta dei lavoratori un punto importante di riferimento.
Invece si è arrivati esattamente al punto tanto temuto. Perché ?
Perchè su alcune materie come l’articolo 18 il Presidente Monti si è impegnato fin dall’investitura con la Bce e con la Commissione Europea, oltre che con la Germania. Ora è chiaro cosa aveva tanto impressionato la signora Merkel quando aveva parlato con Monti, dopo la fiducia al Governo.
Monti si era evidentemente impegnato con questi interlocutori a manomettere l’articolo 18, altrimenti non si capisce perché su altre materie coma la riforma Rai, le frequenze (beauty contest), la giustizia, le stesse liberalizzazioni, l’atteggiamento sia stato morbido e dialogante. Per di più Monti deve essersi convinto che se la Cgil dichiara di essere contraria alle proposte del Governo sull’articolo18 i ben noti mercati aumenteranno la loro fiducia.
Anche questa convinzione sembra destituita di fondamento visto che lo spread tra Btp e Bund tedeschi è risalito proprio nel momento in cui il Governo ha scelto la durezza sull’articolo 18 e ha dichiarato sepolta la concertazione.
Come opinione naturalmente è legittima, ma non si capisce perché dovrebbe ricevere consensi in parlamento.
La linea del Governo è in realtà una linea fin troppo conservatrice che, archiviate le velleità populiste berlusconiane, punta con determinazione a riscrivere i rapporti di forza nei luoghi di lavoro e nella società, di cui l’endorsement di Marchionne verso il Governo Monti è la pelosa conferma.
Perfino una parte di Confindustria è risultata più prudente del Governo rispetto all’attacco all’articolo 18 e alla velleità di sbaraccare la mobilità lunga e la Cig straordinaria, proprio in questa pesantissima fase di crisi economica e occupazionale. Padroni si, ma non fessi. Gli ammortizzatori nelle fasi di ristrutturazione e di crisi servono alle aziende non meno che ai lavoratori.
Il Governo ha deciso di seppellire la concertazione, che era stato un vanto del “tecnico” Ciampi.
Perché tanta prudenza nel dichiarare con chiarezza che il tempo della disponibilità ad accettare questo equilibrio politico è esaurito ? Pesa ceratemente lo spauracchio di finire come la Grecia, agitato sapientemente da mesi.
E’ giunto il momento di pensare seriamente a come e quando chiedere il parere degli elettori. La scadenza naturale del 2013 è molto lontana. Scelte di fondo vengono decise ora, per di più senza concertazione sociale. Questa è una pesante contraddizione. Se dovesse proseguire questa situazione è quanto meno necessario garantire che ci sia un mandato elettorale per legittimare le scelte.
Le elettrici e gli elettori debbono potere esprimere la loro opinione su quale strada ritengano migliore per affrontare i problemi del nostro paese.
Del resto Monti ha affermato con chiarezza che i conti pubblici del nostro paese sono in ordine, sotto controllo perfino di fronte alla recessione, che non è più una minaccia, ma purtroppo una realtà.
Bce, Commissione Europea e Fmi confermano questo giudizio. Benissimo. E’ quindi possibile immaginare che si possa andare a votare anche prima della scadenza naturale in relativa tranquillità finanziaria.
Il Governo potrà sostenere le sue tesi e, se prevarranno, potrà, con un mandato democratico, continuare a governare.
Approvare una nuova legge elettorale è necessario, ma non fino al punto da vedere sconvolti assetti politici e sociali in nome di questa esigenza.
Il paese deve potere decidere tra 2 scelte possibili, quella conservatrice che ridisegna i rapporti di forza consegnando le scelte di fondo alle classi dominanti e quella progressista che vuole rinverdire i fasti dell’Europa sociale, che non ritiene lo stato sociale obsoleto ma anzi un punto di forza per la ripresa. Una scelta progressista che ritiene che le risorse per uscire dalla crisi ci sono ma occorre avere il coraggio di prenderle dove sono, invece di continuare a scaricare colpi verso il basso.
Per di più la ripresa non si vede. L’Italia nel 2012 subirà una dura recessione e avrà una pesante contrazione occupazionale. Occorre certamente un impegno dell’Europa per la ripresa economica e occupazionale. Questo è un terreno decisivo di lotta politica per imporre una svolta alla politica europea prevalente. Ma questo non può essere un alibi per non fare nulla in Italia ed è del tutto evidente che il Governo finora non ha avnzato proposte per guidare l’Italia su un nuovo e diverso percorso economico. Per aiutare la ripresa economica occorre ben altro che i provvedimenti fin qui adottati e prospettati. Occorre una politica di sviluppo e di investimenti pubblici e privati innovativa e coraggiosa, con al centro la valorizzazione del lavoro, non l’aperura di varchi ai licenziamenti facili.
Alfiero Grandi
ex vice ministro finanze governo prodi
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