sabato 31 luglio 2010

Salvemini: mezzogiorno e federalismo

Fonte:
Riportato in "Federalismo, socialismo e questione meridionale in Gaetano
Salvemini" Lucchese, Salvatore, Manduria-Bari-Roma, Piero Lacaita, 2004, pp.
131-136"

LA QUESTIONE MERIDIONALE E IL FEDERALISMO
di Gaetano Salvemini




Nel vagone, che ci conduceva verso Bari, c'eravamo mia madre, io avevo
quattordici anni - e, fra gli altri signori, un Piemontese figlio di un
capostazione, e un altro settentrionale.
- Postacci, - diceva il Piemontese; - creda pure che qui non ci si vive;
beato lei che ritorna nel Nord. Qui aria cattiva, acqua pessima, dialetto
incomprensibile che par turco, popolazione ignorante, superstiziosa,
barbara...
- Ma non siamo mica barbari, - interruppi io, - quando ci rubate i nostri
quattr...
Un atroce pizzicotto materno mi richiamò a più miti consigli.
lo ero proprio convinto che quel Piemontese, il quale ci chiamava «barbari»,
ci rubava i nostri quattrini. Perché avevo questa convinzione? chi me lo
aveva detto? quali elementi si erano a poco a poco accumulati nella mia
coscienza quattordicenne per dar corpo a una opinione di quel genere?
Non saprei dirlo con sicurezza.
Certo vi avevano contribuito le querimonie di un mio zio borbonico, il quale
ripeteva spesso e volentieri, ad ogni scadenza dei bimestre delle tasse, le
parole di Francesco Il: «I Piemontesi vi lasceranno solo gli occhi per
piangere»; vi avevano contribuito l'osservazione da me fatta sulla carta
geografica dell'Italia che le ferrovie erano più numerose al Nord che al
Sud, i racconti confusi e sbiaditi delle prepotenze che gli ufficiali
piemontesi avevano commesso nei nostri paesi nel'60.
Di queste nozioni indeterminate e incoerenti, forse di qualche altro
discorso, di cui non è rimasto più alcun ricordo nella mia mente, era
materiata la mia convinzione.
Se il pizzicotto materno non mi avesse interdetto la discussione, e quel
giovane Piemontese mi avesse domandato ragione della mia accusa, io non
avrei saputo dir nulla; ma sarei rimasto egualmente fermo nella convinzione
che i Settentrionali ci succhiavano il sangue, ci sfruttavano come bestie e
per giunta ci chiamavano barbari.
Questo stato d'animo, nel quale io mi trovavo a quattordici anni, era ed è
lo stato d'animo dei novantanove centesimi dei meridionali, di tutti i
partiti: un sordo rancore verso quelli del Nord, una coscienza indeterminata
e profonda di esser vittime della loro rapacità e prepotenza, una amara
avversione, acuita di tanto in tanto dai segni di disprezzo, che dal Nord ci
vengono, il desiderio ardente di farla finita una buona volta con questa
situazione subordinata e disprezzata. Per dimostrare fino a che punto le
idee antisettentrionali filtrano anche nelle menti, che dovrebbero essere
più refrattarie - nelle menti dei socialisti - mi basterà ricordare le
proteste astiose e sospettose, che vennero dai giornali e dai circoli del
Sud, quando un compagno - per fortuna meridionale - sostenne che il giornale
quotidiano del partito doveva pubblicarsi a Milano e non a Roma; le accuse
che i compagni meridionali non si stancano mai di muovere al partito, che,
secondo essi, si occupa solo del Nord e trascura il Sud; la ostilità, a
volte sorda, a volte palese, che c'è fino nel nostro Consiglio nazionale fra
i rappresentanti del Sud e quelli del Nord. E questi sentimenti -
intendiamoci -in buona parte non sono che troppo giustificati dal contegno
dei settentrionali, i quali non sanno che manifestare verso i compagni del
Sud a volte del disprezzo, a volte del compatimento, non meno umiliante del
disprezzo.
Perché è un fatto innegabile che, se i meridionali detestano i
settentrionali, questi ripagano di egual, ed anche migliore, moneta gli
altri. E' opinione diffusissima nel Nord che il Sud paghi molto meno tasse
del Nord e goda di tutti i favori del governo: è un parassita che dà poco e
prende molto.
Lo sfruttamento economico è accompagnato dalla corruzione politica, della
quale il Sud è la inesauribile sentina. Un corrispondente vuol dare al suo
giornale un'idea della corruzione elettorale del suo collegio? non mancherà
di scrivere, per dare un'idea sintetica della situazione:
«Pareva di essere nel Mezzogiorno». Un sottoprefetto o un delegato fanno i
prepotenti? gli si dice subito: «Caro lei, crede forse di essere nel
Mezzogiorno?»
Crispi è il brigante «meridionale» per eccellenza. In un articolo - del
resto ottimo - su La fine di un regno di Raffaele de Cesare, pubblicato non
è molto nell'«Educazione Politica» di Milano, ho raccolto i seguenti
fioretti meridionali: «Per chiunque ha un po' d'onore e un po' di sangue
nelle vene, è una gran calamità molte volte nascere Napoletano» (parole di
Carlo Filangieri, messe come epigrafe all'articolo); «uno scrittore di idee
moderate, un meridionale per giunta, ha saputo ritrovare in se stesso tanta
onestà scientifica»; «il racconto di questo viaggio [il viaggio trionfale di
Ferdinando Il nel '52] può dar la misura di quel che valgano le acclamazioni
del popolino meridionale», «quella povera plebe meridionale, ignorante e
superstiziosa, alla quale manca ogni educazione politica ed ogni senso pur
collettivo di dignità personale».
Per l'autore evidentemente uno scrittore moderato meridionale non può non
essere peggiore di uno scrittore moderato settentrionale; le due idee:
«plebe» e «meridionale» sono inseparabili; nel Nord di plebe non ce n'è; o
se ce n'è, è plebe per bene, è plebe... settentrionale.
Un Romagnolo, col quale sono stretto da calda amicizia, credette una volta
di farmi un gran complimento, dicendomi: «Pare impossibile che tu sia
meridionale» Ergisto Bezzi, ottimo cuore di repubblicano e di cittadino, che
fu aiutante di campo di Garibaldi nella spedizione di Sicilia e di Napoli,
mi diceva un anno fa:
«Il mio più gran rimorso è quello di aver accompagnato Garibaldi nel Sud; il
Sud doveva rimanere ancora sotto i Borboni».
Un fraterno augurio, che io ho sentito molto spesso fare dai settentrionali
ai meridionali, è che le acque del mare coprano tutta l'Italia da Roma in
giù.
I nordici disprezzano, come dicon essi, i sudici; e i sudici detestano con
tutta l'anima i nordici; ecco il prodotto di quarant'anni d'unità.
Questo non impedisce naturalmente che nelle relazioni, diciam così,
ufficiali fra le due sezioni del paese scorrano fiumi di fratellanza latte e
miele; più profondo anzi si scava l'abisso fra Nord e Sud, i discorsi degli
uomini politici e gli articoli dei giornaloni settentrionali traboccano di
saluti alle terre del sole e di proteste di solida - pei figli prediletti
della patria; e in compenso volano dal Sud verso il Nord applausi e auguri
ai fratelli iniziatori del nostro - ahi! - Risorgimento.
A che cosa servirebbe - Dio buono! - la parola se non a nascondere le idee?
Eppoi, non è forse legge fatale della nostra vita politica l'esser fuori
sempre della realtà, il sostituire alla constataci fatti la retorica,
l'andar innanzi alla cieca cullandoci al suono e prive di senso?
E' bensì vero che, da qualche anno a questa parte, la questione le è molto
spesso agitata nei giornali del Nord e del Sud. Ma con quali compassionevoli
metodi!
La stampa del Sud, mancipia delle camorre che dissanguano il paese, combatte
a base di menzogne e di calunnie, spesso assolutamente cretine, contro il
Nord.
Se non ci fossero tra i meridionalisti il Renda, il Ciccotti, il Colajanni,
i quali han discussa la questione con indipendenza di giudizio, ci sarebbe
da disperare sull'avvenire del nostro paese.
Ma anche quei meridionalisti onesti e sinceri, i quali pur riconoscono
l'inferiorità del loro paese, di fronte al disprezzo umiliante e irritante,
che traspira da ogni riga scritta nel Nord, finiscono spesso col perdere la
pazienza, e si sentono fervere il sangue nelle vene, e provano una gran
voglia di dar ragione ai rettili della stampa latifondista e camorrista.
Fra i giornalisti e gli uomini politici settentrionali, poi, non credo che
arrivino a due quelli che conoscono bene le condizioni del Mezzogiorno, e le
giudichino serenamente e senza pregiudizi. Specialmente la stampa
democratica dà a questo proposito uno spettacolo compassionevole: essa o fa,
come «Il Secolo», della retorica slombata sulla solidarietà fra Nord e Sud,
oppure si compiace di mettere in vista i mali del Sud, contrapponendoli alla
forza, alla moralità, al progresso del Nord.
Questo non è male; ma, quando avete fatto la descrizione più nera della
corruzione meridionale, a che scopo volete arrivare? che cosa vi proponete
di fare?
Il vostro disprezzo non è purtroppo che in gran parte giustificato, ma
disprezzare non basta; un rimedio, bene e male, bisogna trovarlo. Ora, chi
fra i settentrionali pensa ad alcun rimedio, all'infuori del solito augurio
che il mare ricopra le terre da Roma in giù?
E, mentre i partiti democratici non sanno affrontare risolutamente il
problema e sviscerarlo spregiudicatamente, quali che ne debbano essere le
conseguenze, i partiti reazionari hanno iniziato nel Mezzogiorno una lenta e
abilissima propaganda contro il Nord, dalla quale hanno molto da temere i
partiti democratici del Settentrione.
Ormai per il partito monarchico il Nord appare perduto; bisogna appoggiarsi
al Mezzogiorno. Ma le masse meridionali non potranno mai essere mobilitate
contro la democrazia del Nord sotto la bandiera conservatrice e monarchica:
della monarchia ad esse non importa nulla, e dall'essere conservatrici ci
corre e di molto.
Sotto questo punto di vista, il meglio, che i conservatori possano
desiderare dal Mezzogiorno, è che se ne stia tranquillo e non si muova; il
can che dorme, lascialo dormire.
Il regionalismo si presta invece molto bene allo scopo: bisogna approfittare
dell'ostilità, che i meridionali di tuffi i partiti sentono acuta verso i
settentrionali, bisogna far leva sugli interessi regionali, trasformando la
lotta fra democrazia e reazione in lotta fra Nord e Sud.
Distratti dal miraggio di scuotere l'oppressione dei settentrionali, gli
stessi democratici e socialisti del Sud - la cui coscienza politica è
purtroppo appena in via di formazione - dovranno unirsi ai conservatori
meridionali; i conservatori del Nord, sbattuti dalla montante marca
democratica, si aggrapperanno al Mezzogiorno come all'ultima ancora di
salvezza, sacrificando magari gli interessi del Nord pur di salvare la
propria esistenza.
Sarà una nuova unità a profitto del Sud, che comincerà a sfruttare il Nord.
Ma che importa?
il «porro unum necessarium» è che si salvino le istituzioni, cioè che si
salvi l'attuale impalcatura politica amministrativa, condizione
indispensabile al predominio delle consorterie conservatrici del Nord e del
Sud.
Ed ecco che i giornali monarchici del Sud, capitanati dal «Mattino» di
Scarfoglio, iniziano apertamente l'agitazione regionalista a base di odio
contro il Nord e specialmente contro Milano, la quale vuol diventare
capitale d'Italia; di calunnie contro tutti i principali democratici dei
Nord, le cui parole sulle condizioni del Mezzogiorno vengono riprodotte,
commentate, contorte, falsificate; e su tutta questa minuta propaganda di
bugie, di insinuazioni, di abili suggestioni, grandeggiano i due concetti,
che l'unità d'Italia deve essere difesa ad ogni costo e che la monarchia per
difendere l'unità deve appoggiarsi necessariamente sul Mezzogiorno.
Questa propaganda sfugge quasi completamente agli uomini politici e ai
giornalisti dei Nord, prima perché i giornali meridionali sono quasi
sconosciuti nel Settentrione, e poi perché la propaganda regionalista è
fatta in forma ipocrita: essa sfugge quasi sempre gli articoli di fondo
firmati, che richiamano l'attenzione, e si annida nei Giri pel mondo, nei
«mots de la fin», nei brevi «entrefilets» sperduti nelle seconde pagine,
nelle cronache locali, in quelle parti del giornale le quali si sottraggono
all'occhio frettoloso dei forestieri, ma che sono i migliori veicoli per far
penetrare inavvertitamente le idee nelle menti, già ben disposte, dei
lettori locali.
D'altra parte, quand'anche i settentrionali avessero agio di sorvegliare
attentamente l'opinione pubblica del Sud, essi non potrebbero influire in
alcun modo su di essa col mezzo ordinario della stampa, perché i giornali
del Nord sono quasi tutti sconosciuti nel Sud.
E i gazzettieri meridionali citano della stampa nordica solo ciò che può
servire a rinfocolare gli odi locali, ma non sarebbero mai tanto minchioni
da ammannire ai loro lettori delle citazioni contrarie.
In quest'ambiente, pieno di diffidenze e di recriminazioni, di ostilità e di
disprezzi, è uscito il recente libro di F. S. Nitti, intitolato Nord e Sud,
Prime linee di una inchiesta sulla ripartízíone territoriale delle entrate e
delle spese dello Stato in Italia (Torino 1900).
Questo libro dice molte verità, che è bene sieno conosciute specialmente nel
Nord; ma ne trascura molte altre, che meritano di esser conosciute non meno
delle prime.
Può fare molto bene ai partiti popolari, se questi non lo lasciano passare
inosservato e se sanno attingere in esso la loro linea di condotta di fronte
alla questione meridionale.
Contribuirà invece potentemente alla formazione definitiva di un movimento
antinordico nel Mezzogiorno, e preparerà un magnifico campo d'azione ai
partiti reazionari, se la democrazia del Nord si disinteresserà della
questione, lasciandone, come ha fatto finora, il monopolio agli Scarfogli
più o meno bacati della stampa del Mezzodí.
Ho detto che il libro del Nitti dice molte verità, che è bene sieno
conosciute specialmente nel Nord e, aggiungo, specialmente dai partiti
democratici del Nord. Esso infatti distrugge, in base a dati inconfutabili,
la leggenda che il Sud sfrutti il Nord, e dimostra che, nella famigerata
unità mazziniana-cavouriana, gl'interessi del Sud sono stati fin dai prirni
tempi e sono ogni giorno sacrificati agl'interessi del Nord.
[...]





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«[ ... ] Ogni giorno che passa diventa sempre più vivo in me il dubbio, se
non sia il caso di solennizzare il cinquantennio [dell'Unità] lanciando nel
Mezzogiorno la formula della separazione politica. A che scopo continuare
con questa unità in cui siamo destinati a funzionare da colonia d'America
per le industrie del Nord, e a fornire collegi elettorali ai Chiaraviglio
del Nord; e in cui non possiamo attenderci nessun aiuto serio né dai partiti
conservatori, né dalla democrazia del Nord, nel nostro penoso lavoro di
resurrezione, anzi tutti lavorano a deprimerci più e a render più difficile
il nostro lavoro? Perché non facciamo due stati distinti? Una buona barriera
doganale al Tronto e al Carigliano. Voi si consumate le vostre cotonate sul
luogo. Noi vendiamo i nostri prodotti agricoli agli inglesi, e comperiamo i
loro prodotti industriali a metà prezzo. In cinquant'anni, abbandonati a
noi, diventiamo un altro popolo. E se non siamo capaci di governarci da noi,
ci daremo in colonia agli inglesi, i quali è sperabile ci amministrino
almeno come amministrano l'Egitto, e certo ci tratteranno meglio che non ci
abbiano trattato nei cinquant'anni passati i partiti conservatori, che non
si dispongano a trattarci nei prossimi cinquant'anni i cosiddetti
democratici». Cfr. Lettera di G. Salvemini ad A. Schiavi, Pisa 16 marzo
1911, in C. Salvemini, Carteggi, I. 1895-1911, cit., pp. 478-81.

Riportato in Federalismo, socialismo e questione meridionale in Gaetano
Salvemini Lucchese, Salvatore - Manduria-Bari-Roma, Piero Lacaita, 2004,
pag. 117

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