Voglio sperare che almeno la FIOM si unisca a questa denunzia e chieda conto e ragione della riduzione della persona dell'operaio a macchinario vivente....
Pietro ancona
I sottoscritti Luigi Aprea per la RSU - componente Slai cobas presso lo stabilimento Gianbattista Vico sito in via Ex Aeroporto in Pomigliano d’Arco - azienda della Fiat Group Automobiles spa avente sede legale in C.so G. Agnelli 200, 10135 Torino - congiuntamente ad Antonio Tammaro, Assunta Malavenda detta Mara e Vittorio Granillo, rispettivamente per coordinamento provinciale di Napoli, coordinamento ed esecutivo nazionali della denunciante e qui rappresentata organizzazione sindacale nonché, tutti, in funzione di rappresentanza collettiva dei lavoratori,
In sintesi l’azienda, per quanto riguarda la prestazione lavorativa, si prepara a tagliare ulteriormente i tempi morti e le pause del processo produttivo e ad aumentare le cosiddette saturazioni e ritmi individuali nonché la flessibilità tra mansioni, reparti, orari e giornate lavorative, tempi di vita e di lavoro degli addetti, per realizzare sostanziali incrementi di produttività a netto discapito dei lavoratori stessi e del loro essenziale diritto ad ogni ed adeguata tutela psico-fisica, sia specifica che generale.
La nuova organizzazione del lavoro che ha adottato la Fiat - World class Manifacturing (Wcm) e Sistema ErgoUas - è già attiva nello stabilimento Mirafiori di Torino dal settembre 2008 ed ha tra l’altro determinato la riduzione dei fattori di riposo ed il correlato aumento dei ritmi di lavoro.
Da un’indagine di rilevazione bio-statistica sulla presenza dei disturbi muscolo scheletrici tra i lavoratori addetti allo stabilimento Fiat di Pomigliano d’arco e commissionata da Slai cobas ad una idonea struttura tecnica di propria fiducia (che si deposita in allegato), indagine espletata nel 2005, si evidenzia la “presenza di sintomatologie a carico dell’apparato muscolo-scheletrico in oltre il 70% degli addetti totali al reparto montaggio, pertanto con indici di incidenza superiori di oltre 6 volte gli indici medi nazionali”... “negli altri reparti le stesse sintomatologie risultano complessivamente presenti in meno del 20% dei lavoratori. Tale dato, che comunque rappresenta il doppio delle relative medie nazionali complessive, riveste ancora maggiore rilevanza se si tiene conto che persino all’interno della medesima realtà aziendale un solo reparto, ovvero il reparto montaggio, presenta dati statistici collettivi di disturbi muscolo scheletrici con incidenza pari al 300% rispetto agli altri reparti aziendali: ciò non può non assoggettare tale reparto ad attenta revisione delle modalità tecnico procedurali, che sinora risultano del tutto disattese. L’ulteriore rielaborazione dei dati raccolti in funzione dell’età e dell’anzianità nel reparto stesso dimostra che la soggettiva presenza di sintomatologie muscolo scheletriche arriva a percentuali bulgare (circa 90%) oltre i 15 anni di permanenza nel reparto, e denota comunque significativo incremento tra i soggetti con meno di 5 anni di anzianità relativa e quelli con oltre 5 anni. Un’ulteriore conferma della effettiva presenza di rischio di lesioni muscolari e osteo-tendinee nel reparto è data dell’evidenza che quasi sempre la presenza di sintomatologie nei lavoratori attualmente in altri reparti è relazionabile a pregresse assegnazioni di tali lavoratori al reparto in parola, dove non risulta essere mai stata valutata secondo le norme di buona tecnica né la ripetitività forzata delle operazioni (direttamente connessa ai ritmi produttivi aziendali) né la valutazione dei parametri di movimentazione (flessio-estensione del tronco e/o degli arti) e l’eventuale presenza di posture forzate (in ginocchio, su piani differenziati, etc.). E’ stata altresì rilevata nel reparto montaggio significativa incidenza di disturbi localizzati al cinto scapolo-omerale, caratteristica delle lavorazioni ad alta ripetitività di movimenti degli arti superiori”.
Si fa presente che, a fronte di circa 4.500 addetti allo stabilimento Fiat di Pomigliano d’Arco con mansioni da operaio, sono circa 3.500 quelli ubicati nel reparto montaggio.
Nonostante la macroscopicità dei dati forniti dall’indagine in oggetto qui in sintesi relazionata, dati tra l’altro indirettamente suffragati costantemente negli anni dall’altissimo ed abnorme numero di lavoratori rivoltisi ai Medici Competenti e richiedenti visite ed accertamenti per la lamentata inidoneità alle mansioni svolte ed il collegato accoglimento della domanda per la massima parte delle istanze sottoposte dai lavoratori interessati e certificata da parte dei responsabili sanitari aziendali, alcuna utile, valida e funzionale azione di prevenzione ed abbattimento del rischio risulta mai attivata - a giudizio della qui rappresentata organizzazione sindacale - dalla direzione aziendale e dai preposti responsabili, che si sono semplicemente limitati a “declassare” a malattie sociali e non professionali le diffuse patologie senza, come d’obbligo, né allertare le preposte strutture pubbliche né attivare le doverose e basilari indagini di accertamento sanitario per la quantificazione e la rimozione dell’esposizione a rischio né alcuna funzionale iniziativa di idonea modifica lavorativa e preventiva.
Si è invece assistito, negli anni e senza sostanziale soluzione di continuità, al sistematico ricorso aziendale all’uso degli ammortizzatori sociali quali la cigs, utilizzati tra l’altro ed in maniera non certo secondaria, per “sfoltire” l’abnorme numero di lavoratori con ridotte capacità lavorative - molti ritenuti tali dallo stesso Servizio Sanitario Aziendale - tramite la collocazione periodica e cadenzata negli anni e degli stessi in mobilità e prepensionamento a carico dell’INPS e la loro sostituzione lavorativa con giovani assunti con contratti precari nonostante l’evidente collocazione “a rimpiazzo”, in mansioni e posti di lavoro con necessità produttive strutturali e non transitorie /o stagionali. E’ proprio di questi giorni è l’attivazione aziendale dell’ennesima procedura per la collocazione in mobilità di 500 addetti.
Altro sistema usato dalla Fiat per “sfoltire” il crescente numero di lavoratori rcl è dato - come già fatto in passato con le cosiddette U.P.A. - dalla creazione di unità produttive esterne dove allocare il personale del quale la società intende liberarsi: lavoratori maggiormente sindacalizzati nonché con ridotte capacità lavorative per evidenti e prevalenti patologie professionali e/o comunque correlate. Va in questo senso la creazione ad hoc, nel maggio 2008, del “reparto-confino” di Nola (così “battezzato” all’epoca dai lavoratori e da molte delle organizzazioni sindacali presenti in fabbrica). In tale reparto furono infatti trasferiti 316 lavoratori, tra cui ben 132 affetti da patologie invalidanti ovvero limitative della capacità di lavoro (come da precisi riscontri effettuati da Slai cobas) nonché circa 100 addetti iscritti e dirigenti sindacali di Slai cobas, e per la parte residua, iscritti ad altri sindacati.
Tanto premesso, e
a fronte di alcuna visibile, riscontrabile, idonea ed obbligatoria iniziativa aziendale a tutela della salute dei lavoratori e pur di fronte - ed in conseguenza di ciò - all’acclarata evidenza a “fenomenologia epidemica” dell’elevato grado di patologie e sintomi accusati dalla prevalenza dei lavoratori e di cui l’azienda è sempre ed indubitabilmente stata a conoscenza, la nuova organizzazione del lavoro prospettata dalla Fiat mira inequivocabilmente, e tra l’altro, a comprimere ulteriormente i cosiddetti “tempi morti” del lavoro degli addetti alle linee di montaggio e di quelli collegati alla alimentazione delle stesse al fine di realizzare quel cosiddetto “flusso teso della produzione” necessario ad ottenere la massima saturazione degli impianti e della prestazione lavorativa. Alle operazioni proceduralizzate di estrema ed insopportabile condizione lavorativa relativa alle saturazioni ed ai carichi di lavoro cui sono sottoposti gli addetti (è che già hanno contribuito a danneggiare la salute soggettiva e “collettiva” dell’insieme degli operai addetti alle linee di montaggio ed a quelle collegate) la Fiat intende aggiungere la pressione della responsabilità del corretto e continuo funzionamento degli impianti “caricando” ulteriormente gli addetti costretti così a svolgere un suppletivo numero di operazioni non proceduralizzate che richiedono un elevato e costante grado di vigilanza ed attenzione volto ad intervenire in tempi strettissimi in caso di anomalie e che si somma ai già elevati ritmi di lavoro.
L’incremento dell’intensità del lavoro fisico prospettato dall’azienda si va così a cumulare con la conseguente “pressione di responsabilità e carico di forzato coinvolgimento psichico e correlato stress” del singolo e dell’insieme dei lavoratori addetti in relazione all’obbligo di consentire la “tenuta costante” del flusso produttivo.
L’insieme dei richiamati fattori ambientali che espongono (hanno esposto, continuano ad esporre, ed esporranno ulteriormente in progressione) i lavoratori ad evidenti ed inammissibili livelli di rischio professionale e sanitario si intreccia inoltre con l’annunciata modifica degli orari e delle turnazioni articolata su tre turni di lavoro con rotazione a ciclo continuo, compresa la notte, per sei giorni la settimana e con riposo a scorrimento che matura ogni tre settimane per cui a due settimane di sei giorni lavorativi segue una settimana di lavoro di tre giorni con tre giorni di “riposo compensativo” cumulati alternativamente a fine o inizio settimana e da “memorizzare” tramite “prospetto di calendarizzazione” indispensabile per consentire la conoscenza variabile dei turni nell’arco del tempo. Questi “tempi irregolari e non lineari” dell’orario e dei turni di lavoro incidono certamente non solo sui bioritmi degli addetti ma si cumulano all’insieme della già insostenibile esposizione a rischio, ed al disagio, dell’ambiente di lavoro, inducendo un diretto e forte riflesso aggiunto, che condiziona e destruttura in modo costante e negativo l’intera sfera relazionale, familiare, affettiva e amicale degli addetti costretti alla continua modifica dei propri tempi personali ed all’alienazione dall’intero contesto sociale extralavorativo. Tutto ciò non può non conseguire ulteriori e nuovi rischi lavorativi da stress-lavoro correlato che si cumulano - come fattore fortemente moltiplicante dell’insieme degli effetti patologici- a quelli, già noti, gravi ed evidenti, tutti qui esposti e denunciati.
I sottoscritti, come in epigrafe generalizzati, in rappresentanza degli interessi collettivi dei lavoratori ed in ragione delle cariche sindacali ricoperte, alla luce dell’inquietante ed elevata diffusione delle patologie tra gli addetti operai alla Fiat, stabilimento Gianbattista Vico di Pomigliano d’Arco e collegate e/o indotte dagli ambienti e dall’organizzazione del lavoro, nonché in relazione all’allarme sociale suscitato dalla nuova organizzazione del lavoro prospettata dal cosiddetto “piano Marchionne”, presentano un formale
richiedendo l’avvio di tempestive ed efficaci indagini in relazione agli obblighi datoriali di tutela preventiva della salute dei lavoratori, l’ accertamento di eventuali ipotesi di reato e, nel caso, la definizione delle responsabilità ai vari livelli dirigenziali aziendali.
Richiedono inoltre efficaci e congrui accertamenti preventivi atti a scongiurare l’annunciato e prevedibile incremento esponenziale della diffusione delle patologie professionali, da lavoro e correlate dato dai prospettati piani aziendali di radicale modifica delle modalità lavorative.
Nel porgere distinti saluti chiedono di essere avvertiti, come previsto dalla vigente normativa in materia, in caso di improbabile archiviazione del presente atto e si rendono inoltre disponibili a fornire all’ A.G. ogni ulteriore e dettagliata informazione e documentazione necessaria alla indagini e relativa ai fatti tutti qui esposti e denunciati.
Pomigliano d’Arco, 3/5/2010
all’interno di un piano industriale di ristrutturazione globale del Gruppo Fiat, e come da comunicazione datoriale del 27/4/2010 (che si deposita in allegato) l’azienda ha predisposto, per lo stabilimento di Pomigliano d’Arco, l’attivazione di un piano di modifica delle modalità organizzative del lavoro e della metrica collegata. Nell’insieme delle modalità concrete di lavoro, e indipendentemente dall’enfasi mediatica, tale strategia presuppone di fatto il netto ed inaudito restringimento dell’insieme dei diritti dei lavoratori e l’insostenibile peggioramento, intollerabile sul piano psico-fisico, delle condizioni di lavoro, relazionali e sociali degli addetti.
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