UN COLPO DI TEATRO IPOCRITA
L'arbitrato non deve intervenire in materia di licenziamento
La "velina" della batteria massmediatica di oggi sul rinvio alle Camere della legge 1167 è: si tratta di motivi di "opportunità" e non di "anticostituzionalità". La velina poi suggerisce di parlare molto della ipotesi "risarcitoria" in caso di licenziamento senza giusta causa.
Gli stessi opinionisti che, fino a ieri, a fronte delle bestialità delle leggi ad personam, sostenevano, con piglio assai arcigno, che il Presidente della Repubblica non ha alcun diritto di entrare nel merito delle leggi approvate ma soltanto quello di verificarne la costituzionalità, oggi si diffondono in prose assai suadenti e comprensive su un rinvio che sarebbe dovuto soltanto a ragioni di "opportunità politica". Ma come? Il Presidente esprimerebbe quindi una valutazione "politica" e suggerisce al governo un approccio diverso al problema?
La verità è che Napolitano, pur rinviando il testo alle Camere, non ha citato le ragioni per le quali è davvero incostituzionale e cioè che l'arbitrato non può sostituirsi alla sentenza di un Magistrato in materia di licenziamento e che il risarcimento non è alternativo al diritto al reintegro, ma si è limitato
a sollevare le ragioni per le quali Ichino e Treu si sono dichiarati contrari alla 1167 e cioè la confusa
e leguleia formulazione dell'art.31 della 1167. In sostanza si vuole un testo meno attaccabile dal punto di vista del diritto costituzionale. Infatti Napolitano mette l'accento sulla "volontarietà" dell'arbitrato appellandosi ipocritamente al concetto di minus habent. Dico ipocritamente perchè la soluzione che suggerisce non cambia sostanzialmente lo scopo della legge che lo stesso Napolitano dice di "apprezzare"- L'avvio della privatizzazione della gestione del diritto con strumenti della cosidetta sussidiarietà non viene contestato. Non viene ricordato il diritto di ogni cittadino di avere un giudice a cui ricorrere.
In sostanza, se la Camera accoglie i rilievi di Napolitano senza escludere l'arbitrato dai contenziosi per licenziamenti, l'art.18 si può considerare spacciato.
La posta in gioco è costituita da alcuni milioni di lavoratori di una età compresa tra i quaranta ed i sessanta anni con una anzianità maturata da dieci anni a salire. Questi lavoratori costituiscono ancora il nucleo forte della classe operaia meno ricattabile perchè protetta appunto dall'art.18 e più "costosa"
nonostante i bassi salari per via dei diritti maturati in azienda. Si vorrebbe un gigantesco turn over con la sostituzione con giovani e stranieri magari interinali e con i malvagi contratti della legge Biagi che
consentono il dimezzamento della paga contrattuale. La parola magica per questa carneficina che
getterebbe nel pozzo della disoccupazione milioni di lavoratori è "flessibilità". Lavoratore "usa e getta" e non ha importanza se è padre di due o tre figli e se uno questi studia e se c'è un mutuo da pagare. Quello che conta è mettere il volitivo e rampante imprenditore nelle condizioni di massimizzare al massimo il plusvalore del lavoro per magari accumulare all'estero ingenti ricchezze sottratte al fisco. La morale asociale del nuovo diritto del lavoro scritto dai Sacconi, Cazzola, Ichino e compagnia bella è questa: il profitto a qualsiasi prezzo.
I felloni sindacati italiani che hanno accompagnato tutto il processo di degradazione dei diritti dei lavoratori fino a questa punultima stazione di Via Crucis (la prossima sarà il sotterramento dellla legge 300, Statuto dei Diritti dei Lavoratori) dovrebbero prendere atto che l'Italia della "modernizzazione" del lavoro è povera fino all'indigenza, infelice, disperata, senza futuro. Le stesse classi imprenditoriali e commerciali dovrebbero riflettere sulle conseguenze della diminuita capacità di acquisto delle famiglie dei lavoratori dipendenti, sui negozi vuoti (tranne quelli di lusso). Se l'Italia è in crisi lo deve alla legge Biagi ed alla concertazione che ha abbattuto i salari del quaranta per cento in pochi anni.
La flessibilità tanto decantata anche a sinistra da personaggi come D'Alema è un disvalore mentre la "rigidità " è un valore perchè consente di accumulare esperienza e sicurezza. La rigidità per quasi un secolo ha spinto l'economia all'innovazione tecnologica ed al vero ammodernamento. La flessibilità scarica i difetti dell'azienda sul costo del lavoro e tarpa le ali della ricerca di nuove vie.
Spero che la CGIL, piuttosto che celebrare con avversari dichiarati dei diritti come la Cisl e l'Uil il Primo Maggio, voglia presentare al Parlamento una proposta chiara e limpida di risposta alla nota del Quirinale: l'arbitrato non deve intervenire in materia di licenziamento. Ogni proposta diversa da questa
è di cedimento alle oscene voglie del padronato.
Pietro Ancona
http://medioevosociale-pietro.blogspot.com/
www.spazioamico.it
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