sabato 5 aprile 2008

Torture di Israele inflitte ai palestinesi

Il 20% della popolazione palestinese ha trascorso parte della sua vita nelle prigioni di Israeledi Isabel Vega * - 04/02/2008Fonte: uruknet [scheda fonte]


Il venti per cento della popolazione palestinese ha trascorso parte della sua vita nelle prigioni di Israele

Studio dell’organizzazione di sostegno ai prigionieri ADDAMEER

Isabel Vega - Europa Press

Il venti per cento della popolazione palestinese è passato in qualche momento della sua vita per le prigioni israeliani, una percentuale che arriva al 40% se si analizzano a parte le detenzioni maschili, secondo uno studio realizzato dalla ONG dei Diritti Umani ADDAMEER. In totale, più di 650.000 palestinesi hanno fatto l’esperienza della prigione dal 1967.

L’organizzazione ha calcolato che nel 2007 erano in carcere circa 11.300 palestinesi detenuti, 3.800 dei quali si trovano in prigioni civili di Israele, un paese la cui legislazione contempla le cosiddette "detenzioni amministrative", per cui si può incarcerare una persona all’infinito, rinnovando il fermo ogni sei mesi, fino a quando non venga formulata un’accusa formale e un processo preliminare. Nel caso delle donne, la situazione "è peggiore" perché in molti casi "sono detenute per potere esercitare pressione sui mariti, sospettati di qualcosa".

La situazione delle prigioniere palestinesi in carceri israeliane

In questa situazione si trovano 84 donne, alcune delle quali vivono con i propri figli piccoli in prigione (due vi hanno visto la luce) e la cui liberazione è stata sollecitata dall’organizzazione spagnola Piattaforma delle Donne Artiste contro la Violenza di Genere al Primo Ministro di Israele Ehud Olmert, attraverso una missiva in cui, inoltre, sollecitano un’udienza. L’organizzazione, sebbene non abbia ricevuto conferma formale dell’incontro con il premier, avrà comunque un colloquio con il viceministro degli Affari Esteri del paese e con il massimo responsabile dell’Autorità Nazionale Palestinese, Mahmud Abbas.

Secondo quanto ha denunciato a Ramallah un gruppo di ex detenute palestinesi e di familiari delle 84 recluse, la situazione nelle prigioni israeliane è caratterizzata dalla "flagrante violazione dei diritti umani" e "dall’omissione completa della legislazione internazionale" in materia. La portavoce del gruppo, che ha scontato nel corso della sua vita sette condanne in distinti centri penitenziari, ha spiegato alla delegazione spagnola quanto le torture e i maltrattamenti siano frequenti in questi centri e ha descritto la condotta del personale carcerario come simile a quella registrata nel carcere iracheno di Abu Ghraib nel 2005 e le cui immagini vennero diffuse.

Così, ha riferito quanto sia abituale il fatto che soldati e funzionari denudino le donne e le mettano di fronte a uomini arabi facendo loro credere che saranno violentate. "Utilizzano borse della medesima tela delle loro uniformi, ma più ruvida, per coprire la testa delle detenute"; in alcuni casi, costringono le donne "a stare due giorni in piedi sotto la pioggia senza potersi muovere", "le minacciano di portare via i figli per consegnarli a famiglie ebree", le "rinchiudono in celle di un metro quadrato con un water traboccante di liquami e le obbligano a vivere in questa situazione per più di un mese" e "alla fine consegnano loro un documento scritto in ebraico e, sapendo che non lo sanno leggere, fanno pressione perché lo firmino. Molte lo fanno", ha spiegato.

Tanto le detenute come le loro famiglie chiedono che le donne vengano considerate prigioniere politiche, mentre ora sono trattate come prigioniere comuni e convivono con recluse israeliane condannate per delitti di sangue. Allo stesso tempo, chiedono che una delle internate, che tra due settimane partorirà, possa farlo senza tenere esposti mani e piedi durante il parto, perché "è naturale che una donna possa averli liberi in questa situazione".

Sciopero della fame e affari di Israele

Tanto per le ex detenute come per le famiglie delle recluse, è chiaro che l’incarceramento dei palestinesi è "un affare" per Israele, che impone sanzioni economiche ai reclusi come punizione, obbligando così i loro parenti a consegnare quantità elevate di denaro. Con questi "introiti", lo Stato di Israele "non spende nulla" per il mantenimento degli internati, che soffrono in continuazione di anemia per denutrizione e non dispongono delle condizioni minime di salubrità e igiene.

Per le denuncianti, una prova di questa brama di incassi sta nel fatto che, mentre prima era permesso ai familiari di portare cibo tipico ai reclusi in ricorrenze come il Ramadan, ora "con il pretesto di proteggere la salute dei prigionieri" è vietato introdurre alimenti nelle prigioni. Quando gli stessi prodotti sono in vendita negli spacci delle prigioni.

In questo momento, una delle recluse, di nome Amu Nahrum, che si è trasformata in un simbolo della lotta di tutte loro, ha ripreso uno sciopero della fame che le ha già procurato il ricovero in ospedale dopo 33 giorni nel 2007. Ora sono quattro settimane che non ingerisce alimenti, rinchiusa in una cella di totale isolamento. Secondo i familiari, l’avvocata di Nahrum ha cercato di visitarla in prigione, ricevendo la risposta che era entrata in ospedale. La sua richiesta è quella di essere trattata come una prigioniera politica, poiché il suo delitto è quello di "opporsi all’occupazione".

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