domenica 13 aprile 2008

Tali Fahima pacifista israeliana

http://www.ilmanifesto.it/Quotidiano-archivio/10-Aprile-2008/art41.html
Tali Fahima pacifista israeliana

Vivere in mezzo «al nemico», l'ultima eresia di Tali Fahima
La pacifista israeliana lascia Tel Aviv e si trasferisce nel villaggio palestinese di Ar'ara. Dopo la sua visita shock alla famiglia di un attentatore era diventata uno dei personaggi più odiati del Paese
Michelangelo Cocco
Inviato ad Ar'ara (Israele)


Il materasso appoggiato sul pavimento, un paio di tavolini e qualche libro, il computer portatile a tenerle compagnia nelle notti insonni: la nuova vita di Tali Fahima inizia da un bilocale ancora da arredare nel villaggio arabo di Ar'ara. «A Tel Aviv non potevo più camminare per strada, subivo continue minacce. Ho fatto in tempo a portare con me il minimo indispensabile», racconta la pacifista israeliana accendendo la prima di una lunga serie di sigarette.
Dopo aver pagato con 26 mesi di carcere (di cui oltre un anno in «detenzione amministrativa», senza accuse formali) la sua amicizia con l'ex capo delle Brigate dei martiri di Al Aqsa, Zakarias Zubeideh, Fahima ha varcato un'altra linea rossa andando a vivere in mezzo ai palestinesi nel «Triangolo» a nordest di Tel Aviv, la zona che Israele ha più volte mostrato di voler cedere al futuro Stato palestinese in cambio dei principali blocchi di colonie nei Territori occupati.
Ad accelerare il trasloco di Fahima, l'evento che le è valso l'odio da parte della società nella quale la 32enne sefardita (madre di origini algerine, padre marocchine) fino a pochi anni fa aveva vissuto tranquillamente, lavorando in uno studio legale e sposando l'ideologia della destra sionista del Likud che vuole l'espulsione degli arabi dallo Stato ebraico: l'11 marzo scorso la ragazza ha reso le condoglianze alla famiglia di Ala Abu Dhaim, l'attentatore palestinese che pochi giorni prima a Gerusalemme aveva ucciso otto giovani seminaristi nel collegio rabbinico Mercaz Harav.
Da quel momento i gruppi della sinistra che avevano sostenuto la campagna per la sua liberazione quando, nel dicembre 2005, era stata condannata a tre anni di carcere per «aver mantenuto contatti con agenti stranieri» le hanno voltato le spalle e persino i suoi genitori l'hanno abbandonata. Nella sua trasmissione radiofonica, i cui bersagli preferiti sono i membri arabi della Knesset e i pacifisti di Peace now, l'ex parlamentare Plato Sharon l'ha accusata di «essere come Hamas». Sul sito internet Facebook in molti si augurano che venga cacciata dal Paese.
«Ho fatto quello che era giusto secondo i miei princìpi ebraici - si difende Fahima -. Anzitutto ho voluto spiegare che il gesto dell'attentatore è secondo me una conseguenza dell'occupazione. Inoltre ho provato a lanciare l'allarme su possibili rappresaglie contro la sua famiglia». Cinque giorni dopo la visita di Fahima, centinaia di estremisti della destra israeliana hanno sfilato per Abu Tur - il quartiere di Gerusalemme est dove risiedeva l'attentatore - gridando «Vendetta, morte agli arabi» e lanciando pietre contro le case palestinesi prima che l'intervento della polizia li disperdesse.
«In passato odiavo gli arabi, pensavo che dovessero essere cacciati da Israele» ricorda la donna il cui volto, incorniciato da una spessa montatura nera e dai capelli raccolti dietro la nuca, è diventato un'immagine inquietante per molti israeliani.
Prima di Fahima pochi altri dissidenti sono andati a vivere «in mezzo al nemico», a quel 20% di cittadini palestinesi che lo Stato chiama arabo-israeliani e che - denunciano le organizzazioni per i diritti umani - tratta come cittadini di serie B. Uri Davis, da anni iscritto ad Al-Fatah, da Saknin ha lanciato una battaglia legale per far ammettere nei kibbutzim e nei moshavim anche i cittadini arabi d'Israele. Susan Nathan dalla sua esperienza nella cittadina di Tamra ha tratto il libro «Shalom fratello arabo». Credono tutti che l'unica soluzione del conflitto possa essere uno stato unico che accolga ebrei e arabi con gli stessi diritti. L'ultima arrivata, in ordine di tempo, non ha dubbi: «Lo Stato ha paura dei suoi dissidenti che andando a vivere tra i palestinesi spezzano la spirale paura-occupazione creata dal sionismo».
La svolta nella vita di Fahima arriva con la cosiddetta «seconda intifada», quando gli attentatori suicidi palestinesi facevano stragi tra i negozi alla moda e nei viali alberati della sua Tel Aviv. «L'occupazione stava sconvolgendo la mia vita, volevo capire perché». Fahima riesce a ottenere il numero di cellulare di Zubeideh da un giornalista, inizia una corrispondenza telefonica quotidiana col guerrigliero e, alla fine, si reca a visitare il campo di Jenin, dove il super ricercato si nasconde.
Come a tutti gli israeliani, i Territori occupati le sono proibiti, ma lei riesce a entrarci: «I posti di blocco dell'esercito, la povertà dei palestinesi, i militari che ammazzano i civili: se non la vedi, questa realtà può risultarti indifferente, lontana, invece è a 20 minuti da qui».
È il 2003 e le ferite della distruzione del campo di Jenin ordinata dall'ex premier Sharon sono ancora aperte. «La molla mi è scattata quando ho visto il campo profughi - continua a raccontare -: come possiamo fare cose simili? ho pensato». Con la seconda visita, inizia un progetto di doposcuola per i bambini del campo.
«Due settimane dopo lo Shabak (il servizio segreto interno, ndr) mi ha posto di fronte a un'alternativa: collaborare per arrestare Zakarias o finire in prigione». Lei opta per fargli da «scudo umano», difendendolo dai raid dell'esercito che vuole catturarlo. Le fanno scontare la prima settimana di carcere, poi un altro arresto, di tre mesi, un anno d'isolamento e così via. Tali Fahima è ormai una «traditrice» oppure «l'amante di Zakarias» o, semplicemente, «una stupida», «come mi gridava la gente per strada».
Arrivata ad Ar'ara alla fine del mese scorso, con Ali, Naim, Eimad e gli altri membri della hamula (famiglia allargata) dei Buerat che le hanno affittato il piano terra di una delle loro case sembra conoscersi da sempre. «È normale, mettono a suo agio chiunque, perché sono palestinesi» dice dopo aver salutato in ebraico il piccolo Amir.
Un ordine dei servizi di sicurezza costringe Fahima, pena l'arresto, a stare lontana da quella Jenin che le ha insegnato ad amare i palestinesi. Il suo amico Zakarias, ex super ricercato, è stato integrato nella nuova polizia palestinese.

1 commento:

Anonimo ha detto...

Cara amica,

vedo che ti hanno lavato il cervello alla perfezione. Io non sono spudoratamente schierato (come te). Non condivido il regime cinese che mi pare una combinazione tra stalinismo e liberismo. Ma questa non ni offusa la vista: Vedo che nel Dafur gli americani hanno fomentato una guerra spoventosa per sottrarre una zona ricca di petrolio allo Jemen. Sempre Gli Usa (pi� la servile europa) ha frammentata la Jugoslavia, ha sottratto il kosovo alla serbia e fottendosene dei millenari templi ortodossi tiene al potere gli assassini dell'UCK che hanno dato vita ad un regime mafioso che per� consente agli usa una base militare enorme.
Gli Usa ed il loro agente Cia Dalai Lama (sul quale ti mando a parte una scheda) hanno organizzato un pogrom contro la popolazione cinese di Llasa e organizzano nel mondo la pagliacciata della contestazione della fiaccola.
I cosidetti diritti civili dei tibetani equivalgono alle armi di distruzione di massa di Sadam Hossein ed ai terroristi talebani. Pretesti per camuffare guerre colonialistiche per guerre umanitarie.
Cari saluti.
Pietro