sabato 23 aprile 2011
Vogliamo ancora la CGIL di Bruno Buozzi
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L’assassinio di Bruno Buozzi: un giallo ancora da risolvere
Nella notte fra il 3 e il 4 giugno del ‘44, mentre gli alleati entravano in Roma, un reparto di Ss in ritirata
caricò su alcuni camion, per trasferirli al Nord, i prigionieri politici rinchiusi nelle segrete di via Tasso. Tra
di loro, sull'ultimo veicolo, insieme ad altri 13 antifascisti, c’era il
socialista Bruno Buozzi, il segretario della Confederazione generale
del lavoro.
In località La Storta, a Nord di Roma sulla via Cassia, l’automezzo si
fermò per un guasto. Il tempo stringeva e l’affanno aumentava. A un
certo punto, qualcuno diede l'ordine di uccidere i 14 passeggeri. Così,
all’alba della Liberazione, a poche ore dalla stipula del «Patto di
Roma», che ridiede vita al sindacato democratico, Buozzi fu
assassinato.
Misteri
Qui sotto c'è l'immagine nel suo contesto originale nella pagina:
Qualche anno fa, Cesare De Simone, gior nalista e storico ora
defunto, nel libro Roma città prigioniera, avanzò l’ipotesi che a
comandare le Schutz Staffeln, responsabili dell’eccidio, fosse il famigerato hauptsturmführer Erich Priebke 1.
Ad accusarlo sarebbe stato un altro ufficiale hitleriano, lo sturmbannführer Karl Hass2, personaggio
misterioso e controverso. Il 29 luglio del 1996, la notizia fu ripresa anche dal Corriere della Sera. Ma le
cose, a quanto pare, non erano andate in quel modo. Infatti, l’SS-Hauptsturmführer, dall’ergastolo, sporse
querela. E, nell’ottobre 2001, il Tribunale di Roma gli ha dato ragione. Cosicché, su chi diede l’ordine di
assassinare Buozzi e i suoi 13 compagni permane il mistero. Ma un altro ben più inquietante enigma avvolge
ancora la fine di Buozzi: l’oscura vicenda che portò al suo arresto.
Nel 1926, il leader sindacale, per evitare un sicuro arresto, era espatriato in Francia. In esilio, continuò
l’attività. Tenne in vita la Cgl. Diresse il giornale l’Operaio italiano. Diede un significativo contributo alla
Concentrazione antifascista. Dal 1927 al 1932, anno della morte, ospitò, nella sua casa di Boulevard
d’Orano, Filippo Turati.
All’inizio del 1941, fu arrestato dagli occupanti tedeschi. Consegnato ai fascisti, fu inviato al confino di
Ventotene. Di qui, fu trasferito, come vigilato speciale, a Torino. Liberato dopo il 25 luglio, si trasferì a
Roma, in quanto nominato «commissario» dei sindacati dei lavoratori dell’industria.
L’occupazione tedesca dell’Urbe lo costrinse alla clandestinità. Con i documenti di Mario Alberti, ingegnere
di Benevento, aveva preso alloggio nel rione di Trastevere, presso un compagnoa. Qui, il 13 aprile 1944, fu
arrestato.
Racconta Pietro Bianconi in 1943: la Cgl sconosciuta, «Un giorno viene operata una perquisizione perché il
padrone di casa è sospettato di possedere un apparecchio radio clandestino. Il proprietario è assente e la
perquisizione ha luogo senza risultato. Nessuno sospetta dell'ingegnere Mario Alberti, ma gli viene chiesta la
carta di identità. Poiché la polizia è a conoscenza che al Comune di Benevento sono state sottratte delle carte
di identità e il documento mostrato dall'ingegnere proviene da quel Comune, Buozzi viene tradotto in
questura per accertamenti, in attesa dei quali lo si assegna al carcere di via Tasso»b.
Questa ricostruzione ha sempre sollevato perplessità. Non può sfuggire, infatti, che, all’epoca, il Municipio
di Benevento si trovava nell'Italia sotto controllo anglo-americano. E, quindi, c’è da chiedersi come diavolo
facessero i nazifascisti ad avere quelle informazioni anagrafiche.
Rendere giustizia
Ma Buozzi attende anche un’altra giustizia: la giusta valutazione della sua opera. Da sempre, infatti, il suo
lavoro è stato o nascosto o stravolto. Eppure, tutto l’insieme della nostra pratica sindacale riporta alla sua
opera. Per esempio, la contrattazione nazionale e il ruolo delle strutture che ne hanno la titolarità, le
cosiddette «categorie». Oppure, il legame che deve intercorrere tra i livelli del negoziato e l’organizzazione
del sindacato: per esempio, l’idea e la realizzazione delle «commissioni interne». Per non parlare della
cosiddetta «indennità di carovita», rivendicata già nel 1920.
Anche gli attuali punti di crisi nelle politiche sindacali sono tali perché alcune idee di Buozzi non hanno
trovato adeguata realizzazione. Per esempio, il nostro pluralismo sindacale ha fatto arrivare al pettine il nodo
della rappresentatività del sindacato. Che un accordo sia sottoscritto da un sindacato e non da un altro non
dovrebbe destare scandalo. Infatti, che senso avrebbe il pluralismo sindacale se non quello di consentire
a Pietro Bianconi, 1943: la Cgl sconosciuta, Milano 1975, p. 29
b Pietro Bianconi, 1943: la Cgl sconosciuta, Milano 1975, p. 29
L’ assassionio di Bruno Buozzi. Riprodotto da
www.romacivica.net/ANPIROMA/antifascismo/biog
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scelte diverse? E, tuttavia, gli accordi producono degli effetti che non riguardano i soli iscritti al sindacato,
ma interessano tutti i lavoratori. Quindi, per un primordiale principio3, un contratto, destinato a produrre
effetti su tutti i lavoratori, deve essere stipulato da chi ne rappresenta almeno la maggioranza. Ma come è
possibile accertare questa maggioranza, se non applicando delle norme che garantiscano la democrazia. E
allora, non è giunto il tempo dell'Articolo 39 della nostra Costituzione? E se questo non ci piace, facciamone
un'altro. Tanto, il problema non cambia. Si finisce sempre nel «riconoscimento giuridico del sindacato da
parte dello stato», il quale, con la conquista del suffragio universale, non è né borghese né altro, ma, per
fortuna, solo democratico.
Biografia.
Bruno Buozzi era nato a Pontelagoscuro, in provincia di Ferrara, il 31 gennaio del 1881.
Di famiglia proletaria, a dieci anni rimase orfano del padre. Costretto a lasciare la scuola dopo la terza
elementare, andò a lavorare in una bottega artigiana.
A 15 anni, emigrò a Milano, dove andò a lavorare come operaio metallurgico alla Marelli di Sesto San
Giovanni e, poi, alla Bianchi, la famosa fabbrica di biciclette.
Nel 1905, a 24 anni, si iscrisse al sindacato e al Partito socialista. Attivista della Federazione italiana operai
metallurgici, ne divenne segretario nel 1911, quando si trasferì a Torino. Da quel momento, fu uno dei più
popolari esponenti della corrente riformista.
Finita la Guerra, sotto la sua direzione, le conquiste dei metalmeccanici furono di enorme portata.
Tra il 1918 e il 1921, i salari reali raddoppiarono. I metallurgici furono la prima categoria a conquistare le
mitiche «Otto ore». E, poi, le ferie pagate. Il contratto nazionale divenne prassi organica. E, per renderlo
inderogabile, furono istituite e fatte riconoscere dalla controparte le «Commissioni interne»4: il sindacato sul
posto di lavoro, con il compito di vigilare sull’applicazione degli accordi.
Buozzi fece della Fiom «la punta avanzata del movimento»a. La sua filosofia politica è tutta racchiusa nelle
parole pronunciate al Congresso della categoria del novembre 1918b: «Noi siamo risolutamente contrari alla
teoria che l'organizzazione debba sempre seguire la massa anche se disorganizzata. Tale teoria rende inutile
l'organizzazione. Serve a formare dei ribelli di un'ora, ma non mai delle coscienze rivoluzionarie; ad
organizzare improvvisamente delle migliaia di operai facili da condurre al macello ma che se ne andranno
immediatamente non appena finita l'agitazione per la quale si sono associati. La coscienza delle masse si
sviluppa e si dimostra con l'opera perfezionata, illuminata e disciplinata, la quale solo attraverso anche a
qualche rinuncia che è spesso un segno di forza sa conquistare e conservare per prepararsi a nuove
conquiste.»c
Idee chiare e distinte, una idealità razionale, ancoraggio agli interessi concreti dei lavoratori, amore per la
partecipazione disciplinata, senso di responsabilità e fiducia nel metodo democratico.
L’occupazione delle fabbriche.
La disgraziata vicenda del settembre 1920, l’«occupazione delle fabbriche», vide lo scontro tra questi
principi e il misticismo psudorivoluzionario di dubbio fondamento, ma sempre, ahimé, di alto richiamo.
Esemplare per delineare le posizioni del settembre, è lo scontro che si consumò, a Torino, roccaforte di quelli
che nel ’21 diventeranno comunisti, alcuni mesi prima, proprio sull’istituzione delle «Commissioni interne».
Buozzi intendeva la conquista delle «Commissioni interne» come un primo mutamento nei rapporti di potere
all'interno dell'impresad. Con la presenza del sindacato in fabbrica, si sarebbe sviluppata la discussione «non
solo sui salari, ma sull'effettiva distribuzione del lavoro», con un controllo sempre più puntuale della
produzione «tra le forze del lavoro e gli industriali» e.
A questa strategia, pratica, gradualista e democratica, si opposero i «rivoluzionari» con i soliti argomenti di
scuola soreliana: le Commissioni sarebbero state strumenti di collaborazione e avrebbero diminuito l'ardore
rivoluzionario f. A esse, furono contrapposti i cosiddetti «Consigli»5, una sorta di traduzione in italiano dei
«soviet» russi. Alle precise attribuzioni si sostituirono le fumisterie 6.
Poi, con uno di quei tripli salti mortali all’indietro, di cui sono capaci i comunisti, chiesero, per queste
strutture della «rivoluzione», il riconoscimento degli imprenditori. Seguirono agitazioni e scioperi che si
conclusero con qualcosa di più che una disfatta7. Infatti, fu la prima volta che, nel Dopoguerra, gli industriali
assaporarono la vittoria.
In questo clima, si sviluppò, nel settembre del ’20, l’occupazione delle fabbriche.
a Daniel L. Horowitz, Storia del movimento sindacale in Italia , Bologna 1966, p. 234
b Daniel L. Horowitz, Storia del movimento sindacale in Italia , Bologna 1966, p. 262
c Daniel L. Horowitz, Storia del movimento sindacale in Italia , Bologna 1966, pp. 262-263
d Daniel L. Horowitz, Storia del movimento sindacale in Italia , Bologna 1966, pp. 233-234
e Daniel L. Horowitz, Storia del movimento sindacale in Italia , Bologna 1966, p. 235
f Daniel L. Horowitz, Storia del movimento sindacale in Italia , Bologna 1966, pp. 234-235
3
La storia nacque sul terreno strettamente sindacale. Dalla piattaforma rivendicativa presentata agli
industriali8 il 18 giugno: ritocchi salariali, indennità di carovita, armonizzazione delle scale salariali fra zone
geografichea. E sul terreno sindacale poteva concludersi. Tant’è che, nonostante tutto, con la mediazione di
Giovanni Giolitti9, una buona intesa fu, in effetti, sottoscritta. Ma i «rivoluzionari», che credevano di avere il
vento in poppa della rivoluzione bolscevica e, invece, avevano il fascismo dietro l’angolo, fecero travalicare
l’agitazione fuori dalla cornice sindacale 10, salvo poi, quando fu palese tutto il loro nullismo11, cercare di
tornare indietro12. Ma ormai era troppo tardi13.
Esilio.
La Cgl tenne il suo ultimo Congresso nel dicembre 1924b: un'assemblea tetra e depressa14.
Nell'ottobre del ‘25, il «Patto di Palazzo Vidoni» tra la Confindustria e la Confederazione delle corporazioni
fasciste stabilì che quest'ultima sarebbe stata il rappresentante esclusivo dei lavoratori. Le commissioni
interne furono soppresse.
Nel gennaio del ‘26, Buozzi sostituì Ludovico D’Aragona come segretario di una Cgl in coma. Nell'aprile, fu
abolito il diritto di sciopero. Prima della fine dell’anno, Buozzi era in Francia. Segretario generale divenne
Battista Maglione.
Il Comitato direttivo del 4 gennaio 1927 confermò lo stato di fatto: la Cgl aveva cessato di esistere.
Nell’ora della disfatta, i comunisti tentarono l’impresa che non era loro riuscita in regime di democrazia 15:
mettere le mani su tutto ciò che rappresentava la Cglc. Accusando la direzione di tradimento, indissero, a
Milano, il 20 febbraio 1927, una riunione dei loro quadri sindacali, nel corso della quale decisero di
mantenere in vita la Cgl come organizzazione clandestina d. Ma furono stoppati da Buozzi. Dall'esilio, rifiutò
lo scioglimento decretato dal povero Maglione e denunciò la manovra comunista.Ne seguirono
rivendicazioni sull'uso del nome e dei simbolie. In realtà, si crearono due Cgl. Quella di Bruno Buozzi, sulla
linea della tradizionef. La comunista affiliata all'Internazionale sindacale sovieticag.
La caduta del fascismo.
Il 25 luglio 1943, portò al governo Pietro Badoglio.
Il nuovo governo, su iniziativa del ministro delle Corporazioni, Leopoldo Piccardi, decise di
«commissariare» i sindacati fascisti.
Il 1° agosto ‘43, Piccardi espose il progetto a Buozzi, il quale, dopo averne parlato con Oreste Lizzadri,
Pietro Nenni e Sandro Pertini, aderì all'iniziativa subordinandola alla clausola «di non corresponsabilità
politica»16: «Considerando che la funzione a cui siamo chiamati ha uno stretto carattere sindacale che non
implica nessuna corresponsabilità politica, dichiariamo di accettare le nomine nell'interesse del Paese e dei
nostri organizzati, per procedere alla liquidazione del passato e alla sollecita ricostruzione dei sindacati
italiani, che tenga conto delle tradizioni del vecchio movimento sindacale e tenda ad avviare al più presto gli
organizzati a nominare direttamente i propri dirigenti.»h
Buozzi divenne commissario dell'Industria, con vicecommissari Giovanni Roveda e Gioacchino Quadrello.
All’Agricoltura, Giuseppe Di Vittorio fu affiancato da Achille Grandi e da Oreste Lizzadri. La mattina del 14
agosto, Piccardi ufficializzò le nomine i. Il 15, i commissari si costituirono in Comitato interconfederale j.
Presidente fu nominato Buozzi, segretario Lizzadrik.
Il primo atto del Comitato fu l'accordo, siglato il 2 settembre 1943 da Buozzi e dal presidente della
Confindustria Giuseppe Mazzini, per ricostituire le Commissioni internel.
Il Patto di Roma.
Tra il settembre del ’43 e il maggio del ’4417, socialisti, democristiani e comunisti elaborarono una
piattaforma politica per dar vita al nuovo sindacato dell’Italia liberata, unitario e democratico.
Il filo conduttore delle trattative si dipanò intorno a Buozzi, sulla cui leadership non vi è dubbio. Era stato
l’ultimo segretario della Cgl. Apparteneva al partito della tradizione operaia, il quale, in quel momento, come
dimostreranno i dati elettorali del 46, manteneva un primato nelle aree industriali del Paese. Inoltre, come
a Daniel L. Horowitz, Storia del movimento sindacale in Italia , Bologna 1966, p. 242
b Daniel L. Horowitz, Storia del movimento sindacale in Italia , Bologna 1966, p. 291
c Daniel L. Horowitz, Storia del movimento sindacale in Italia , Bologna 1966, p. 292
d Daniel L. Horowitz, Storia del movimento sindacale in Italia , Bologna 1966, p. 291
e Daniel L. Horowitz, Storia del movimento sindacale in Italia , Bologna 1966, p. 292
f Daniel L. Horowitz, Storia del movimento sindacale in Italia , Bologna 1966, p. 292
g Daniel L. Horowitz, Storia del movimento sindacale in Italia , Bologna 1966, p. 292
h Sergio Turone, Storia del sindacato in Italia dal 1943 al crollo del comunismo, Bari 1992, p. 25
i Sergio Turone, Storia del sindacato in Italia dal 1943 al crollo del comunismo, Bari 1992, p. 24
j Sergio Turone, Storia del sindacato in Italia dal 1943 al crollo del comunismo, Bari 1992, p. 25
k Sergio Turone, Storia del sindacato in Italia dal 1943 al crollo del comunismo, Bari 1992, p. 25
l Sergio Turone, Storia del sindacato in Italia dal 1943 al crollo del comunismo, Bari 1992, p. 25
4
sottolinea Sergio Turone, per la sua grande personalità, per il ricordo della sua opera, raccoglieva il
consenso e l’adesione delle masse operaie del Norda. Tant’è che, mentre si svolgevano questi incontri, veniva
convocato a Bari, capitale provvisoria del Regno del Sud, a ridosso del congresso dei Comitati di liberazione
nazionale, svoltosi il 29 gennaio '44, un convegno sindacale a cui partecipavano 370 organizzatori, i quali si
assunsero il compito di ridar vita alla Confederazione generale del lavoro e acclamarono Buozzi, benché
assente, segretario generale della Confederazione b.
L'adesione di Buozzi alla prospettiva unitaria non era, però, come ci vogliono far credere, priva di riserve.
Come scrive Daniel Horowitz: «Buozzi, che era a capo dei sindacalisti socialisti, era più realistico dei molti
leaders politici socialisti nel penetrare gli obiettivi dei comunisti, ma lo spirito dei tempi e l’urgenza dei
problemi che attendevano i nuovi sindacati fece sì che ogni alternativa all’unità del movimento sindacale
sembrasse tradire le aspettative democratiche.»c
Agli inizi de l ‘44, i suoi rapporti con Giuseppe Di Vittorio erano più che tesi. Lo testimoniano le note
informative, che quest’ultimo inviava ai dirigenti comunistid.
I punti di rottura erano molteplici: il riconoscimento giuridico del sindacato, il ruolo delle federazioni di
categoria: «L’amico è riformista nell’anima. Difende le Fed.Naz. e la loro naturale competenza tecnica con
un accanimento incredibile.»e
Il tono, di nota in nota, si fa sempre più aspro: «Mentre sul cattolico i nostri argomenti hanno una presa, su
Br., inveterato nelle sue concezioni riformistiche, non ne hanno alcuna.»f Di Vittorio manifesta il timore che
Buozzi e i cattolici «si accordino contro di noi» g. «Un serio pericolo»h, anche e soprattutto, perché, «è
recisamente contrario» a riconoscere «la nostra richiesta di avere il primo posto»i. In sostanza, Buozzi era
l’ostacolo all’egemonia comunista sul sindacato. E per rimuoverlo, Di Vittorio tentò anche di scavalcarlo,
chiamando in causa il Psij. E il gruppo dirigente del Pci gli diede man forte. Lo testimonia una lettera di
Mauro Scoccimarro e Giorgio Amendola inviata, il 2 marzo, da Roma alla Direzione del Pci Alta Italia: «I
nostri rapporti col Partito socialista non vanno bene. Bruno Buozzi, nel campo sindacale sostiene tesi del più
putrido rif ormismo; e la Direzione del partito approva anche quelle»k. «Abbiamo immediatamente reagito ed
ora prepariamo la controffensiva.»l
Nella primavera del ’44, le trattative erano dunque giunte a un punto critico18. Buozzi aveva, ancora una
volta, rifiutato la sua firma al progetto redatto dai comunistim. Ma il 13 aprile, fu arrestato.
1 Erich Priebke (Hennigsdorf, 29 luglio1913) è un militare tedesco, capitano delle SS durante la Seconda guerra mondiale in Italia, dove partecipò alla
pianificazione ed alla realizzazione della strage delle Fosse Ardeatine.
Dopo la sconfitta della Germania, Priebke fuggì in Argentina, a San Carlos de Bariloche, ai piedi delle Ande, grazie all'assistenza dell'Odessa, in
particolare con il supporto del sacerdote croato Krunoslav Draganovic.
Nel maggio 1994, il giornalista statunitense Sam Donaldson riuscì a intervist are Priebke in Argentina per conto dell'emittente Abc. Venute a
conoscenza della cosa, le autorità italiane inoltrarono la richiesta di estradizione.
Estradato in Italia, nel novembre 1995, Priebke venne rinchiuso nel carcere militare di Forte Boccea. Il governo, guidato allora da Lamberto Dini,
chiese e ottenne il suo rinvio a giudizio per crimini di guerra.
Priebke fu quindi imputato di «concorso in violenza con omicidio continuato in danno di cittadini italiani» per i fatti accaduti presso le Fosse
Ardeatine il 24 marzo 1944.
Il I Agosto1996, il Tribunale militare dichiarò di «non doversi procedere ...omissis... essendo il reato estinto per intervenuta prescrizione» e ordinò
l'immediata scarcerazione dell'imputato. Ma la sentenza non fu mai eseguita per un tumulto immediatamente scoppiato nell'aula giudiziaria, placatosi
solo quando arrivarono da parte del governo italiano precise rassicurazioni sul fatto che Priebke non sarebbe stato liberato. Piovvero molte critiche,
sia in Italia sia all'estero, dalle comunità ebraiche che si sentivano offese dall'assoluzione di quello che loro reputano «un aggressivo e pericoloso
criminale di guerra».
La Corte di Cassazione annullò quella sentenza, disponendo così un nuovo processo. Priebke fu prima condannato a 15 anni, poi ridotti a 10 per
motivi di età e di salute. Infine, nel marzo 1998, la Corte d'Appello militare lo condannò all'ergastolo , insieme all'altro ex membro delle SS Karl Haas.
La sentenza è stata confermata nel novembre dello stesso anno dalla Corte di Cassazione. A causa della sua età avanzata, a Priebke sono stati concessi
gli arresti domiciliari.
2 Karl Hass, ufficiale nazista tra i responsabili della strage delle Fosse Ardeatine, sarebbe stato assoldato dalla Cia come spia anticomunista. È quanto
emerge dalla relazione di minoranza della Commissione d'inchiesta sull'occultamento dei fascicoli sulle stragi nazifasciste in Italia dopo l'8 settembre
'43. Il maresciallo delle SS, condannato all'ergastolo per l'eccidio di Roma del 24 marzo '44, sarebbe stato reclutato dopo la guerra per controllare i
comunisti tedeschi in contatto con il Pci.
a Sergio Turone, Storia del sindacato in Italia dal 1943 al crollo del comunismo, Bari 1992, p. 36
b Pietro Bianconi, 1943: la Cgl sconosciuta, Milano 1975, p. 34
c Daniel L. Horowitz, Storia del movimento sindacale in Italia , Bologna 1966, p. 301
d Franco Catalano, Una difficile democrazia, Italia 1943-48, Documenti, Firenze 1980, p. 153 e segg.
e Franco Catalano, Una difficile democrazia, Italia 1943-48, Documenti, Firenze 1980, p. 165-166
f Franco Catalano, Una difficile democrazia, Italia 1943-48, Documenti, Firenze 1980, p. 167
g Franco Catalano, Una difficile democrazia, Italia 1943-48, Documenti, Firenze 1980, p. 168
h Franco Catalano, Una difficile democrazia, Italia 1943-48, Documenti, Firenze 1980, p. 168
i Franco Catalano, Una difficile democrazia, Italia 1943-48, Documenti, Firenze 1980, p. 156
j Franco Catalano, Una difficile democrazia, Italia 1943-48, Documenti, Firenze 1980, p. 169
k Critica marxista, marzo-aprile 1965, pag. 122. Citato in k Pietro Bianconi, 1943: la Cgl sconosciuta, Milano 1975, p. 26
l Pietro Bianconi, 1943: la Cgl sconosciuta, Milano 1975, p. 27
m Pietro Bianconi, 1943: la Cgl sconosciuta, Milano 1975, pp. 27-28
5
3 «No taxation without rappresentation».
4 Avanzata dal Congresso della Fiom del novembre 1918, la richiesta delle Commissioni interne ebbe una prima affermazione, al principio del 1919:
l’accordo con l’Asso ciazione degli Industriali dell'Auto di Torino. Nel febbraio dell'anno seguente un identico accordo fu raggiunto con
l'Associazione degli Industriali Meccanici e Metallurgici di Torino. Seguì il riconoscimento delle commissioni interne in altri settori industriali, e gli
industriali, una volta fissato il modello, non fecero molta resistenza.
Daniel L. Horowitz, Storia del movimento sindacale in Italia , Bologna 1966, p. 235
5 Il primo tentativo di istituire Consigli ebbe luogo, alla Fiat di Torino, nell'agosto 19195, in sostituzione della commissione interna, i cui membri si
erano dimessi.
Daniel L. Horowitz, Storia del movimento sindacale in Italia , Bologna 1966, p. 237
Constatato che potevano servire per liberarsi dal controllo del sindacato, i rivoluzionari mutarono idea e cercarono di farsi riconoscere dall'industria
come co-partner della direzione aziendale. Di fronte al diniego degli industriali, si arrivò, nell'aprile del ’20, allo sciopero. E poi, alla completa
disfatta.
Daniel L. Horowitz, Storia del movimento sindacale in Italia , Bologna 1966, pp. 238-240
6 «Costruita sulla base della popolarizzazione del controllo operaio nell'industria, la propaganda presentò l'idea dei Consigli sotto diversi aspetti: il
movimento dei consigli era uno strumento di educazione degli operai al ruolo che essi avrebbero dovuto presto ricoprire nella direzione dell'industria
dopo la rivoluzione; era un movimento che doveva prendere il posto delle organizzazioni sindacali esistenti; era uno strumento di divisione con la
direzione del controllo dell'industria; era un tipo di «soviet»; era uno strumento per realizzare la rivoluzione.»
Daniel L. Horowitz, Storia del movimento sindacale in Italia , Bologna 1966, pp. 236-237
7 Ludovico D'Aragona, per esempio, esaminando lo sciopero nel suo rapporto al Congresso della Cgl del 1921 disse: «Questo movimento (lo sciopero
e la serrata di Torino) che si volle trascinare nel terreno politico per poi riportarlo nuovamente sull'arena sindacale per la conclusione: questo
movimento di folle capitanato da elementi che si valsero della loro irresponsabilità di fronte agli organismi centrali (Confederazione e Partito
Socialista) per cercare di estenderlo anche laddove la estensione era dannosa: questo movimento diciamo, fu quello che incoraggiò le classi dirigenti a
porsi su un terreno di offensiva».
Daniel L. Horowitz, Storia del movimento sindacale in Italia , Bologna 1966, p. 241
8 Gli industriali decisero di resistere. Bruno Buozzi, prima di arrivare allo sciopero, mise in campo mezzi di pressione sostitutivi: per esempio,
l’ast ensione dagli straordinari. Poi, dopo il Congresso straordinario della Fiom del 16 e 17 agosto, al cosiddetto «ostruzionismo», cioè allo sciopero
bianco, a partire dal 19 agosto.
Col passar dei giorni, tuttavia, sotto pressione dei «rivoluzionari», l'ostruzionismo incominciò a degenerare in sabotaggio.
L'atmosfera si fece sempre più tesa e la situazione divenne sempre più esplosiva.
Il governo tentò la mediazione, che fu rifiutata dagli industriali. La produzione negli stabilimenti industriali cadde al 40 percento. Il momento
culminante fu raggiunto il 30 agosto 1920 con la serrata all'Alfa Romeo di Milano (Daniel L. Horowitz, Storia del movimento sindacale in Italia ,
Bologna 1966, p. 243). Convinta che questo era il principio di una serrata in tutta l'industria, la Fiom di Milano ordinò l’occupazione degli
stabilimenti (Daniel L. Horowitz, Storia del movimento sindacale in Italia , Bologna 1966, pp. 243-244). Furono così occupati, nel primo giorno, 208
impianti. Il 1° settembre, come in una spirale, gli industriali dichiararono una serrata. Negli uffici delle fabbriche occupate, gli operai rinvennero le
documentazioni su un sistematico spionaggio ai loro danni con relative liste nere (Daniel L. Horowitz, Storia del movimento sindacale in Italia ,
Bologna 1966, p. 244). A questo puntò, l’agitazione travalicò definitivamente la cornice sindacale.
9 Giovanni Giolitti vide nell'occupazione delle fabbriche una ripetizione del 1904. Si astenne, pertanto, da ogni dimostrazione di forza, ritenendo che
gli scioperi si sarebbero esauriti e in quel momento egli sarebbe stato in grado di intervenire per raggiungere una soluzione soddisfacente. La sconfitta
dello sciopero poteva aiutarlo a punire la sufficienza dei socialisti, che avevano volto le spalle ad ogni prospettiva costituzionale e a raggiungerne
l'«addomesticamento».
Daniel L. Horowitz, Storia del movimento sindacale in Italia , Bologna 1966, p. 245
Convocò i rappresentanti della Confindustria, della Fiom e della Cgl ad una riunione a Torino il 15 settembre e ottenne il consenso a un decreto che
istituiva una commissione bipartita di studio del problema, che avrebbe concluso i suoi lavori con una proposta di legge (Daniel L. Horowitz, Storia
del movimento sindacale in Italia , Bologna 1966, p. 248). Fu raggiunto anche un accordo sull'aumento salariale per tutta l'industria.
10 La direzione della Fiom si rese conto che la situazione era di tal natura che non poteva da sola assumere delle responsabilità, e subentrarono allora
la Cgl e il Partito socialista (Daniel L. Horowitz, Storia del movimento sindacale in Italia, Bologna 1966, pp. 244-245). Il 9 settembre, la direzione del
Partito s'incontrò con il Consiglio direttivo della Cgl. Le idee tra i due organismi erano all’opposto. Il Partito riteneva che la situazione fosse
rivoluzionaria, mentre la Cgl pensava che i problemi riguardassero quello che veniva chiamato il «controllo operaio» e che portare la situazione oltre
questo limite avrebbe costituito un suicidio. Il Consiglio nazionale della Cgl si riunì ancora il 10 settembre. Vi parteciparono anche i rappresentanti
del Partito socialista ed i comunisti della Federazione socialista di Torino (Daniel L. Horowitz, Storia del movimento sindacale in Italia, Bologna
1966, p. 245). Il dibattito si prolungò per due giorni. Ludovico D'Aragona offrì le dimissioni per permettere al Partito di prendere la direzione della
rivoluzione che andava predicando (Daniel L. Horowitz, Storia del movimento sindacale in Ita lia , Bologna 1966, p. 246): «La direzione del partito
crede che il momento sia maturo per una azione a fondo, che il momento sia maturo per un atto rivoluzionario per la conquista del potere politico, per
l'instaurazione della società comunista e per la dottrina del proletariato. Noi non crediamo che il momento sia maturo ...Noi non possiamo accettare la
valutazione del momento che fate voi. Voi credete che questo sia il momento per fare nascere un atto rivoluzionario, ebbene assumetevi la
responsabilità. Noi che non ci sentiamo di assumere questa responsabilità di gettare il proletariato al suicidio vi diciamo che ci ritiriamo e diamo le
nostre dimissioni. Sentiamo che in questo momento è doveroso il sacrificio delle nostre persone; prendete voi la direzione di tutto il movimento,
perché così sarete più sicuri di trovare nella Confederazione Generale del Lavoro una azione completamente in accordo col vostro pensiero e la
sicurezza che l'organo che dovrà dirigere il proletariato abbia lo stesso concetto e gli stessi scopi vostri ...Noi non ci assumiamo la responsabilità di
portare tutto il proletariato d'Italia in piazza a farsi massacrare.»( Daniel L. Horowitz, Storia del movimento sindacale in Italia , Bologna 1966, p.
247). L'offerta non fu accettata dal segretario del partito, Egidio Gennari.
La relazione di Ludovico D’Aragona, a proposito degli scioperi dell'aprile 1920 a Torino e degli scioperi della seconda metà del 1920, diceva: «Non è
qui il caso di fare recriminazioni: dobbiamo però francamente dire che se certi eccessi non sempre spontanei fossero stati evitati, forse le conquiste
operaie, il potere operaio sarebbe molto maggiore oggi di quanto effettivamente non sia e le velleità reazionarie non avrebbero preso le proporzioni
che hanno avuto in questi ultimi tempi.»
Daniel L. Horowitz, Storia del movimento sindacale in Italia , Bologna 1966, pp. 259-260
11 Angelo Tasca ha osservato: «Quando i voti di Milano danno la maggioranza alla tesi confederale i dirigenti del partito tirano un sospiro di sollievo.
Liberati adesso da ogni responsabilità, possono gridare a piena gola al «tradimento» della Cgl; hanno così qualche cosa da offrire alle masse che
hanno abbandonato al momento decisivo, felici che un tale epilogo permetta loro di «salvare la faccia.»
Daniel L. Horowitz, Storia del movimento sindacale in Italia , Bologna 1966, p. 248
I comunisti, guidati da Tasca, Misiano e Repossi, criticarono vivamente il fallimento della direzione per non aver saputo profittare d'una situazione da
essi descritta come potenzialmente rivoluzionaria, quale quella degli anni precedenti. D'Aragona, Buozzi, Baldesi difesero le ragioni
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dell'organizzazione e passarono in rassegna il complesso delle decisioni prese. L'occupazione delle fabbriche e la decisione della Cgl di riportare la
situazione nel quadro della legalità, furono un punto particolare di acuto dissenso.
Daniel L. Horowitz, Storia del movimento sindacale in Italia , Bologna 1966, p. 260
12 Il voto del Consiglio Nazionale fu 591.245 per la posizione di D'Aragona e 409.569 per la posizione del Partito Socialista, con 93.623 astensioni
(Daniel L. Horowitz, Storia del movimento sindacale in Italia, Bologna 1966, p. 247). «La Fiom si astenne dal votare perché vi era direttamente
interessata, anche se Buozzi fece intendere di essere favorevole alla posizione di D'Aragona, posizione che stabiliva: «Che la direzione del movimento
sia assunta dalla Cg del L. con l'ausilio del Partito Socialista ...che obbiettivo della lotta sia il riconoscimento da parte del padronato del principio del
controllo sindacale delle aziende intendendo con questo aprire il varco a quelle maggiori conquiste che devono immancabilmente portare alla gestione
collettiva ed alla socializzazione per risolvere così in modo organico il problema della produzione. Il controllo sindacale darà alla classe lavoratrice la
possibilità di prepararsi tecnicamente e di poter sostituire ...con la propria autorità nuova quella padronale ...»
Daniel L. Horowitz, Storia del movimento sindacale in Italia , Bologna 1966, p. 247
La decisione della Cgl e la sua accettazione da parte del partito costituirono i punti fermi sui quali si basò l'azione di Giolitti per ottenere la cessazione
degli scioperi (Daniel L. Horowitz, Storia del movimento sindacale in Italia , Bologna 1966, p. 248).
13 Le occupazioni continuarono durante il negoziato fino alla ratifica dell'accordo, che avvenne in un Congresso straordinario della Fiom e con un
referendum tra gli iscritti. Gli stabilimenti furono sgomberati il 22 settembre e il lavoro ripreso il 4 ottobre. Con questo compromesso si erano avute
importanti concessioni economiche e una promessa di azione governativa sul problema del controllo operaio. Ma per coloro che avevano creduto di
essere alle soglie della presa del potere, della rivoluzione, l'accordo fu considerato come una sconfitta (Daniel L. Horowitz, Storia del movimento
sindacale in Italia, Bologna 1966, p. 249). E, con il masochismo che contraddistingue questa sorta di «rivoluzionari», come tale venne propagandato.
Al congresso della Cgl del 26 febbraio al 3 marzo 192113, così Ludovico D' Aragona giudicò i comportamenti di quegli anni: «Comunque sarebbe
venir meno alla verità se si cercasse di nascondere o di attenuare un fatto del resto evidentissimo. Questo: che fra il minimo e il massimo fra il «poco
o niente» che si poteva strappare alle classi dirigenti e il «molto o il tutto» che il Partito Socialista pretendeva con la formula della repubblica
comunista attraverso la dittatura del proletariato il programma intermedio della Confederazione rimase senza efficienza ed era anzi riguardato dai
massimalisti con diffidenza se non con disdegno. Dopo questi due anni dall'armistizio ...dopo grandi scioperi politici ed economici, si deve constatare
che non si è effettuato né il programma minimo, né il programma intermedio, ne il programma massimo.» (Daniel L. Horowitz, Storia del movimento
sindacale in Italia, Bologna 1966, p. 259).
Angelo Tasca osservava: «L'occupazione delle fabbriche denota il declino del movimento operaio, la fine senza gloria del massimalismo, il cui
cadavere continuerà ad ingombrare il campo di battaglia, fino a che i becchini fascisti lo spazzeranno» (Daniel L. Horowitz, Storia del movimento
sindacale in Italia , Bologna 1966, p. 250). Gli industriali volevano la rivincita. Su questo clima, il commento di Angelo Tasca: «Ma le distanze tra
operai ed industriali sono state soppresse: è impossibile, da un lato come dall'alt ro, ricominciare come prima. Gli industriali hanno sentito
l'occupazione come una macchia sui loro blasoni. Le officine restano abitate da spiriti maligni che bisogna esorcizzare ...L'esorcismo si farà per
azione diretta e violenta; l'ora del fascismo è arrivata» (Daniel L. Horowitz, Storia del movimento sindacale in Italia , Bologna 1966, p. 250). Le classi
medie cercavano in genere una sicurezza psicologica contro le iniziative della classe operaia
14 Era ovvio per tutti, però, che l'organizzazione era già stata distrutta, e come Ludovico D'Aragona aveva scritto concludendo la sua relazione al
congresso: «Oggi la democrazia è soffocata; la dittatura e la violenza sono al potere. Travagli e tormenti turbano il proletariato e il Paese. La libertà
che sembrava ormai conquista sicura, è ritornata ad essere un'aspirazione. Il pensiero è imprigionato, il bastone è in auge. L'idea è dominata dalla
rivoltella, il violento ha ragione del pensatore. Dal suolo italiano si continua a spremere l'intossicante spirito di odio. La civiltà sembra sommersa.»
Daniel L. Horowitz, Storia del movimento sindacale in Italia , Bologna 1966, p. 291
15 Infatti, malgrado i loro sforzi, all’ultimo congresso, nel dicembre 1924, essi non erano andati al di là di un 15 percento della forza della Cgl.
E avevano il controllo di tre sole federazioni minori: i lavoratori del legno, i commessi, i dipendenti dei ristoranti e degli alberghi.
Daniel L. Horowitz, Storia del movimento sindacale in Italia , Bologna 1966, p. 291
16 All'atto dell'accettazione della nomina i Commissari Sindacali firmarono questo documento: «Noi sottoscritti, nominati Commissari e Vice
Commissari per le Confederazioni Lavoratori dell'Industria, dell'Agricoltura, del Commercio, delle Aziende di Credito e Assicurazioni e per la
Confederazione Professionisti, consideriamo che la funzione a cui siamo chiamati ha uno stretto carattere sindacale, che non implica nessuna
corresponsabilità politica, dichiarando di accettare le nomine nell'interesse del Paese e dei nostri organizzati per procedere alla liquidazione del
passato e alla sollecita ricostruzione dei Sindacati italiani che tenga conto delle tradizioni del vecchio movimento sindacale e tenda ad avviare al più
presto gli organizzati a nominare direttamente i propri dirigenti. Bruno Buozzi, Guido de Ruggero, Achille Grandi, Giocchino Quarello, Oreste
Lizzadri, Raffaele Ferruzzi, Giovanni Roveda, Carlo Casali, Ezio Vanoni.»
Pietro Bianconi, 1943: la Cgl sconosciuta , Milano 1975, pp. 30-31
17 Il 3 ottobre 1943, si tenne a Roma una riunione clandestina, alla quale intervennero, oltre ai sindacalisti, i rappresentanti dei partiti: Pietro Nenni per
i socialisti, Giovanni Gronchi per i democristiani, Giorgio Amendola per i comunisti.
Sergio Turone, Storia del sindacato in Italia dal 1943 al crollo del comunismo, Bari 1992, pp. 38-39
Il 15 ottobre, democristiani, comunisti e socialisti designarono i rispettivi delegati per il proseguimento delle trattative: Achille Grandi e Giovanni
Gronchi, Giuseppe Di Vittorio e Giovanni Roveda, Bruno Buozzi e Oreste Lizzadri. Il 4 novembre, nuova riunione allargata ai rappresentanti dei
partiti.
Sergio Turone, Storia del sindacato in Italia dal 1943 al crollo del comunismo, Bari 1992, p. 39
18 La storiografia ufficiale, qualche volta, non può fare a meno di ammettere esplicitamente questo assunto. Antonio Tatò, scrittore ufficiale di storia
della Cgil, avverte che il «Patto di Unità Sindacale», scritto e riscritto più volte da Di Vittorio, veniva infine approvato nel suo testo definitivo, «dopo
averlo discusso con De Gasperi, con Gronchi e con Grandi». Del resto lo stesso Di Vittorio, commemorando Bruno Buozzi (L'Unità 4 giugno 1954),
scriveva: «L'ultima volta che l'incontrai, prima dell'arresto che doveva condurlo al martirio, egli mi portò la bozza dello statuto, con le sue
osservazioni e mi restituì il primo progetto del famoso Patto Unitario di Roma con le sue annotazioni».
Pietro Bianconi, 1943: la Cgl sconosciuta , Milano 1975, p. 28
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