Una grande sentenza
Il 4 ottobre del 1969 mi trovavo ad Enna per presiedere una riunione del Comitato Direttivo di quella Camera del Lavoro. Mentre ero riunito entrò in sala il mio compagno ed amico Turi Zinna il quale mi disse che avrei dovuto recarmi subito a Ragusa perchè mio fratello si era sentito male. Nell'interminabile viaggio da Enna a Ragusa volevo assolutamente convincermi che non era successo niente di irreparabile. Alle porte di Ragusa Vincenzo Messana, l'amico che mi accompagnava, fermò l'auto e mi disse di prepararmi ad un brutto evento. Non avrei trovato in vita mio fratello Fortunato.
Infatti, lo trovai dentro una rudimentale bara. Era di colore blu. Sembrava ancora spaventato come a chiedere aiuto. Era stato ucciso da una scarica di ventimila volt mentre si accingeva a riparare un filo spezzato da un fulmine. Era rimasto appeso per il gancio che lo assicurava al palo almeno per un paio d'ore, a testa in giù.
Era sposato da un mese. Aveva 26 anni ed era davvero un bel ragazzo. Il processo andò per le lunghe e le condanne furono irrisorie. Nessuno andò in carcere e la mortalità
nei posti di lavoro da allora è sempre cresciuta. L'Italia è piena di orfani di caduti sul lavoro: ogni anno più di mille persone non tornano a casa e, cosa della quale non si parla, l'Italia è piena anche di mutilati e malati, persone che sono state spremute e praticamente consumate in lavori che li hanno messo a contatto con sostanze maligne oppure hanno perso soltanto un braccio, una gamba, qualche dito, un occhio....
Quando ieri il Tribunale di Torino ha condannato per omicidio il dirigente della Thissen ed i suoi collaboratori affermando per la prima volta la responsabilità penale per dolo per morte sul lavoro, ho provato il sentimento di chi riceve finalmente giustizia e mi sono sentito ottavo accanto ai parenti delle sette vittime. Le parole del magistrato di grandissimo equilibrio ed umanità mi hanno reso rispettoso di una giustizia che finalmente sembra esistere anche per i lavoratori specialmente quando ha detto che la sentenza è epocale perchè da ora in poi la cultura della sicurezza del lavoro dovrà entrare nei posti di lavoro e restarci. Ha dato alla sentenza la valenza di uno spartiacque tra ieri e domani. Sarà così anche se i condannati nei vari gradi di giudizi riusciranno ad evitare la galera. E' difficile tornare indietro anche se l'esercito dei guastatori è già in moto e non escludo financo interventi legislativi per cambiare il contesto. Ho letto l'intervista della segretaria della CGIL Susanna Camusso. Ha detto molte cose condivisibili tranne quando ha affermato di non sapere se la sentenza ha un valore storico. Ha anche omesso di chiamare in causa le responsabilità del sindacato che in molti casi è stato più attento alla produzione che alla sicurezza.
Ho ancora davanti gli occhi l'immagine blu del mio povero fratellino e quella di uno degli operai morti ripreso mentre, seduto a terra appoggiato ad un barile, era in preda agli spasimi dell'agonia e sobbalzava come se ricevesse continue scariche elettriche. E' importante recuperare il rispetto per la vita dei lavoratori, rispetto che non c'è e che non si ha soltanto con una legislazione più severa della sicurezza, ma cambiando atteggiamento culturale e politico verso i lavoratori. Il punto di degrado è tale che è diventata vera e propria violenza fisica e giuridica. E' violenza la legge Biagi che consente
di stracciare il valore della prestazione rendendola precaria e pagandola pochi centesimi. E' violenza il collegato lavoro che nega il diritto al giudice e rende labirintica la ricerca di giustizia. E' violenza la negazione della pensione ed il suo ritardo oramai quasi sine die.
E' violenza l'applicazione di metodi lavorativi che non uccidono ma producono danni irreparabili allo scheletro, all'apparato muscolare e nervoso come quelli applicati alla Fiat ed in gran parte degli stabilimenti tessili ed in moltissime aziende in cui la tecnologia ultramoderna non tiene conto che le persone sono fatte di carne ed ossa.
Ma, da questo punto di vista, il raggio di luce che viene dalla magistratura torinese può restare un episodio che rischia di restare isolato. Il padronato italiano, con la collaborazione di sindacati che hanno stabilito che i diritti vanno sacrificati al lavoro e in questo hanno l'appoggio di un Parlamento di oligarchi che vive distante dalla vita della gente, va in direzione diametralmente opposta a quella che guida ed illumina la sentenza. Sarà difficile passare dall'egemonia dell'azienda all'egemonia del lavoro.
Pietro Ancona
www.spazioamico.it
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