LETTERA AD ANTONIO PADELLARO CHE CONDUCE PRIMAPAGINA RADIO TRE
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Caro Padellaro,
le cose che lei ha detto sul PD sono vere! L'elettorato ed il gruppo attivo del PD sono davvero una parte bella e nobile dell'Italia. Ma il PD è omologato al PDL dal liberismo e la morale del liberismo è quella che condanna il giovane 110 e lode di Torino a vivere da cocopro (invenzione malvagia della legge Maroni ma bipartisan), è omologato dalle privatizzazioni che stanno alzano il costo dei servizi comunali a strangolando le famiglie di piccolo reddito con bollette sempre più esose, è omologato ancora dalla condivisione di privilegi alla classe dei politici e dei suoi collaboratori che non hanno pari nel mondo e che hanno creato una situazione in cui la politica è diventata una professione ed il politico è sempre più separato dalla gente comune.
Le stesse cose del PD si possono dire della CGIL che ha una meravigliosa base di cinque milioni di persone davvero di sinistra (nel senso del sentimento e della convinzione) ma ha una linea concertativa di destra che nel corso degli ultimi quindici anni ha ridotto i lavoratori italiani in miseria dal momento che ha accettato di rapportare le richieste salariali al tassO di inflazione "programmato".
Insomma le regole della politica e del sindacato sono dettate dal liberismo politico e dalla confindustria.
Anche se moralmente c'è un abisso tra i berlusconiani ed i bersaniani o franceschiniani quello che davvero conta è la scelta economica e sociale. Che vale se sei onesto ed entusiasta se mi condanni a vivere da precario e in una società sempre più asociale come la destra?
Auguri a lei ed al suo giornale. Ho sempre avuto e continuo ad avere grandissima stima di lei che è innanzitutto una persona onesta.
Pietro Ancona da Palermo
mercoledì 30 settembre 2009
la D'Addario ad Anno Zero
La D'Addario ad ANNO ZERO
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Ho sentito che domani la D'Addario nota per essere stata infilata nel letto di Berlusconi da un "imprenditore" pugliese che sperava di ricavarne utili in appalti sarà da Santoro. Ritengo che sia stata invitata per riparlare della sua esperienza a Palazzo Grazioli e della sua performance con Berlusconi. Si tratta come sappiamo di una vicenda scandalosa dal momento che si è svolta in un Palazzo del Potere, la residenza romana del Presidente del Consiglio spesso usata per incontri politici di varia natura e che ebbe ed ha ancora una enorme eco internazionale essendo stata preceduta dalla richiesta di
divorzio della signora Veronica Lario e da sue affermazioni riguardanti lo stato di salute del marito.
Se è stata grave disinformazione non parlarne in tv quando i fatti vennero alla luce non credo che sia
oggi opera di correzione di una censura che valga la pena di fare e che sia giusto fare. Che bisogno ha oggi il pubblico televisivo italiano di sentire dalla viva voce della D'Addario il resoconto delle sue missioni romane a Palazzo Grazioli? Berlusconi ha trascinato e continua a trascinare l'Italia in basso con le sue invettive contro l'opposizione definita in comizi deliranti antitaliana, comunista, disfattista con le sue leggi di condono fiscale che favoriscono il riciclaggio di capitali di dubbia provenienza, con la demolizione della scuola italiana che fu fattore primario di unificazione e di innalzamento della cultura nazionale,
con la riduzione costante del welfare e dei diritti sociali e civili delle persone, con la partecipazione a missioni militari all'estero che non sono di pace ma di ascarismo al neocolonialismo. Berlusconi inoltre dispone del controllo di gran parte della comunicazione televisiva e scritta e questo controllo oltre ai suoi effetti di totalitarismo di regime
ne ha aumentato a dismisura il grado di mercificazione del prodotto culturale ed informativo.
Ma fare una trasmissione con la D'Addario significa usare per fini di audience una vicenda dalla quale non si può trarre alcun miglioramento per la nostra cultura civile e per la nostra morale. Apprenderemo dalla viva voce della D'Addario l'esistenza di persone che, per sopravvivere o per vivere meglio, si prestano a compiacere chi è disposto a comprare la bellezza fisica che è un bene commerciabile e che il Presidente del Consiglio ha fatto uso ripetuto della disponibilità di un mercato di belle e desiderabili donne......
Non è buon giornalismo e opera che accrescerà la coscienza civile dell'Italia rievocare questa vicenda triste e squallida che comincia con Naomi e arriva oggi fino alla D'Addario. Non credo di poter condividere una scelta dalla quale nè noi nè i nostri figli possono trarre alcuna lezione. Che cosa dobbiamo apprendere? Che è giusto che un uomo politico con responsabilità enormi come quelle del Presidente del Consiglio non deve farsi risucchiare da certi giri, deve avere un contegno adeguato a quello che si richiede ad un alto funzionario dello Stato? Questo lo sappiamo già e più o meno lo sappiamo tutti. A che serve quindi la trasmissione di domani? Ad aumentare l'amaro in bocca di una Italia che da De Gasperi è ridotta a Berlusconi? Anche questo sappiamo già e non è con le trasmissioni in cui assegniamo un valore di share per il voujerismo che sollecita che aiutiamo questo Paese a ritrovare sè stesso..
E L'Italia ha bisogno di ritrovare quelle che Foscolo ci additava come virtù civili. Se questo è chiederci troppo in ogni caso ha bisogno di regole morali, di una etica pubblica...
Pietro Ancona
http://medioevosociale-pietro.blogspot.com/
www.spazioamico.it
-
http://www.corriere.it/politica/09_settembre_30/berlusconi-santoro-dandini_2d9b9364-ad9d-11de-a90c-00144f02aabc.shtml
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Ho sentito che domani la D'Addario nota per essere stata infilata nel letto di Berlusconi da un "imprenditore" pugliese che sperava di ricavarne utili in appalti sarà da Santoro. Ritengo che sia stata invitata per riparlare della sua esperienza a Palazzo Grazioli e della sua performance con Berlusconi. Si tratta come sappiamo di una vicenda scandalosa dal momento che si è svolta in un Palazzo del Potere, la residenza romana del Presidente del Consiglio spesso usata per incontri politici di varia natura e che ebbe ed ha ancora una enorme eco internazionale essendo stata preceduta dalla richiesta di
divorzio della signora Veronica Lario e da sue affermazioni riguardanti lo stato di salute del marito.
Se è stata grave disinformazione non parlarne in tv quando i fatti vennero alla luce non credo che sia
oggi opera di correzione di una censura che valga la pena di fare e che sia giusto fare. Che bisogno ha oggi il pubblico televisivo italiano di sentire dalla viva voce della D'Addario il resoconto delle sue missioni romane a Palazzo Grazioli? Berlusconi ha trascinato e continua a trascinare l'Italia in basso con le sue invettive contro l'opposizione definita in comizi deliranti antitaliana, comunista, disfattista con le sue leggi di condono fiscale che favoriscono il riciclaggio di capitali di dubbia provenienza, con la demolizione della scuola italiana che fu fattore primario di unificazione e di innalzamento della cultura nazionale,
con la riduzione costante del welfare e dei diritti sociali e civili delle persone, con la partecipazione a missioni militari all'estero che non sono di pace ma di ascarismo al neocolonialismo. Berlusconi inoltre dispone del controllo di gran parte della comunicazione televisiva e scritta e questo controllo oltre ai suoi effetti di totalitarismo di regime
ne ha aumentato a dismisura il grado di mercificazione del prodotto culturale ed informativo.
Ma fare una trasmissione con la D'Addario significa usare per fini di audience una vicenda dalla quale non si può trarre alcun miglioramento per la nostra cultura civile e per la nostra morale. Apprenderemo dalla viva voce della D'Addario l'esistenza di persone che, per sopravvivere o per vivere meglio, si prestano a compiacere chi è disposto a comprare la bellezza fisica che è un bene commerciabile e che il Presidente del Consiglio ha fatto uso ripetuto della disponibilità di un mercato di belle e desiderabili donne......
Non è buon giornalismo e opera che accrescerà la coscienza civile dell'Italia rievocare questa vicenda triste e squallida che comincia con Naomi e arriva oggi fino alla D'Addario. Non credo di poter condividere una scelta dalla quale nè noi nè i nostri figli possono trarre alcuna lezione. Che cosa dobbiamo apprendere? Che è giusto che un uomo politico con responsabilità enormi come quelle del Presidente del Consiglio non deve farsi risucchiare da certi giri, deve avere un contegno adeguato a quello che si richiede ad un alto funzionario dello Stato? Questo lo sappiamo già e più o meno lo sappiamo tutti. A che serve quindi la trasmissione di domani? Ad aumentare l'amaro in bocca di una Italia che da De Gasperi è ridotta a Berlusconi? Anche questo sappiamo già e non è con le trasmissioni in cui assegniamo un valore di share per il voujerismo che sollecita che aiutiamo questo Paese a ritrovare sè stesso..
E L'Italia ha bisogno di ritrovare quelle che Foscolo ci additava come virtù civili. Se questo è chiederci troppo in ogni caso ha bisogno di regole morali, di una etica pubblica...
Pietro Ancona
http://medioevosociale-pietro.blogspot.com/
www.spazioamico.it
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http://www.corriere.it/politica/09_settembre_30/berlusconi-santoro-dandini_2d9b9364-ad9d-11de-a90c-00144f02aabc.shtml
martedì 29 settembre 2009
L'Iran che si vuole distruggere!! (CORRIERE DELLA SERA)
La lettera del giorno |Martedi' 29 Settembre 2009
IL DISCORSO DI AHMADINEJAD ALL’ASSEMBLEA DELL’ONU
Riguardo all’intervento di Ahmadinejad e Gheddafi all’Onu, un lettore scrive che certi personaggi non dovrebbero essere autorizzati a servirsi del proprio seggio per minacciare e calunniare un altro Paese o per attaccare l’Onu stessa ( Corriere , 25 settembre).
Io penso invece che per raggiungere la pace qualche volta bisogna dar voce anche al più atroce «nemico». D’altro canto il muro contro muro non ha mai risolto nessun problema. In ogni caso non dobbiamo dimenticare che per combattere certi soprusi abbiamo un’arma potentissima, che consiste nell’abbandonare la piazza quando questi prendono la parola. Come hanno fatto i delegati del nostro Paese nell’ultima riunione nel Palazzo di Vetro con il presidente iraniano Mahmoud Ahmadinejad.
Silvano Stoppa, silvano.stoppa@poste.it
Caro Stoppa,
Ogni discussione sulle parole di Ahmadinejad all’Onu dovrebbe cominciare dal testo del discorso. L’ho letto nella versione inglese e cerco di riassumerne, molto sommariamente, i punti essenziali.
Ahmadinejad ha esordito con alcune riflessioni sul monoteismo, sul ruolo storico dei grandi profeti (Noè, Abramo, Mosè, Gesù e Maometto) per la redenzione dell’umanità, sull’importanza delle fede e della spiritualità nelle relazioni internazionali. Gli accenti ecumenici del discorso sarebbero piaciuti a Giovanni XXIII, il duro giudizio sull’agnosticismo (una forma di relativismo) dovrebbe essere piaciuto a Benedetto XVI.
Ha detto che i maggiori pericoli, per l’umanità sono le armi di distruzione di massa e il terrorismo, fra cui in particolare il terrorismo di Stato.
Ha ricordato che Saddam, durante la guerra contro l’Iran, fu armato dall’Occidente e impiegò armi chimiche.
Ha affermato che Al Qaeda nacque dal sostegno degli Usa ad alcuni gruppi della resistenza antisovietica e che l’arsenale nucleare israeliano ha beneficiato della complicità americana.
Ha duramente descritto le vessazioni subite dai palestinesi nella loro terra. Ha sostenuto che alcuni Paesi cercano d’impedire ad altri il libero accesso alle tecnologie del progresso.
Ha rivendicato il carattere democratico dell’Iran: un Paese in cui, dopo la rivoluzione, «si è votato 27 volte».
Ha auspicato un maggiore impegno dell’Onu per il disarmo e ha chiesto all’Aiea (Agenzia Internazionale per l’Energia atomica) di promuovere l’applicazione dell’art. IV del Trattato di non proliferazione sul libero accesso dei Paesi firmatari alle tecnologie nucleari.
Ha ripetuto che l’Iran non vuole armi nucleari, ma che potrebbe, se vi fosse costretto dalle circostanze, riconsiderare la sua politica.
Ha denunciato il «regime sionista di occupazione», ma non ha auspicato la distruzione di Israele e non ha negato la realtà del genocidio ebraico.
Ha dichiarato di essere pronto e negoziare.
Alcune delle affermazioni di Ahmadinejad sono contestabili o grossolanamente esagerate. Ma altre sono vere (la benevolenza degli Usa per l’Iraq durante le guerra contro l’Iran) o, come quelle sui palestinesi, riflettono i sentimenti e le convinzioni della grande maggioranza del mondo musulmano. Le otto delegazioni che hanno abbandonato la sala (tra cui Francia, Germania, Gran Bretagna, Italia, Paesi Bassi, Stati Uniti) avrebbero fatto meglio ad ascoltarlo fino in fondo. Certe forme di diplomazia spettacolo (come l’interminabile discorso di Gheddafi all’Onu) sono infantili, demagogiche e, in ultima analisi, inutili.
Sergio Romano
MIA LETTERA AL SIGNOR STOPPA
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Caro Signore,
abbandonare in segno di disprezzo l'aula mentra parla il Capo di uno Stato che non ha mai fatto torto a nessuno è grande maleducazione ed ingiustizia. L'Iran nel corso della sua recente tormentata storia è sempre stata aggredita dagli inglesi,dai tedeschi, dagli americani e dagli irakeni per conto degli americani. Ha avuto perdite per milioni di morti.Non ha MAI aggredito nessuno!! Un suo Presidente del Consiglio (Mossadeq) è stato assassinato dalla Cia!
La causa primaria dei suoi guai è sempre stata la predatoria voracità dell'Occidente che ha scritto una storia di massacri specialmente nell'ultimo secolo.
Bisognerebbe invece che lei facesse una riflessione sul ruolo degli USA nel mondo e dei suoi alleati che hanno perpetrato atrocità a mai finire in Afghanistan in Irak a Gaza e Libano(Israele) servendosi anche di omicidi "mirati" e di un esercito di killers privati (contractors) e bombardando la popolazione civile.
Cordialmente
Pietro Ancona
IL DISCORSO DI AHMADINEJAD ALL’ASSEMBLEA DELL’ONU
Riguardo all’intervento di Ahmadinejad e Gheddafi all’Onu, un lettore scrive che certi personaggi non dovrebbero essere autorizzati a servirsi del proprio seggio per minacciare e calunniare un altro Paese o per attaccare l’Onu stessa ( Corriere , 25 settembre).
Io penso invece che per raggiungere la pace qualche volta bisogna dar voce anche al più atroce «nemico». D’altro canto il muro contro muro non ha mai risolto nessun problema. In ogni caso non dobbiamo dimenticare che per combattere certi soprusi abbiamo un’arma potentissima, che consiste nell’abbandonare la piazza quando questi prendono la parola. Come hanno fatto i delegati del nostro Paese nell’ultima riunione nel Palazzo di Vetro con il presidente iraniano Mahmoud Ahmadinejad.
Silvano Stoppa, silvano.stoppa@poste.it
Caro Stoppa,
Ogni discussione sulle parole di Ahmadinejad all’Onu dovrebbe cominciare dal testo del discorso. L’ho letto nella versione inglese e cerco di riassumerne, molto sommariamente, i punti essenziali.
Ahmadinejad ha esordito con alcune riflessioni sul monoteismo, sul ruolo storico dei grandi profeti (Noè, Abramo, Mosè, Gesù e Maometto) per la redenzione dell’umanità, sull’importanza delle fede e della spiritualità nelle relazioni internazionali. Gli accenti ecumenici del discorso sarebbero piaciuti a Giovanni XXIII, il duro giudizio sull’agnosticismo (una forma di relativismo) dovrebbe essere piaciuto a Benedetto XVI.
Ha detto che i maggiori pericoli, per l’umanità sono le armi di distruzione di massa e il terrorismo, fra cui in particolare il terrorismo di Stato.
Ha ricordato che Saddam, durante la guerra contro l’Iran, fu armato dall’Occidente e impiegò armi chimiche.
Ha affermato che Al Qaeda nacque dal sostegno degli Usa ad alcuni gruppi della resistenza antisovietica e che l’arsenale nucleare israeliano ha beneficiato della complicità americana.
Ha duramente descritto le vessazioni subite dai palestinesi nella loro terra. Ha sostenuto che alcuni Paesi cercano d’impedire ad altri il libero accesso alle tecnologie del progresso.
Ha rivendicato il carattere democratico dell’Iran: un Paese in cui, dopo la rivoluzione, «si è votato 27 volte».
Ha auspicato un maggiore impegno dell’Onu per il disarmo e ha chiesto all’Aiea (Agenzia Internazionale per l’Energia atomica) di promuovere l’applicazione dell’art. IV del Trattato di non proliferazione sul libero accesso dei Paesi firmatari alle tecnologie nucleari.
Ha ripetuto che l’Iran non vuole armi nucleari, ma che potrebbe, se vi fosse costretto dalle circostanze, riconsiderare la sua politica.
Ha denunciato il «regime sionista di occupazione», ma non ha auspicato la distruzione di Israele e non ha negato la realtà del genocidio ebraico.
Ha dichiarato di essere pronto e negoziare.
Alcune delle affermazioni di Ahmadinejad sono contestabili o grossolanamente esagerate. Ma altre sono vere (la benevolenza degli Usa per l’Iraq durante le guerra contro l’Iran) o, come quelle sui palestinesi, riflettono i sentimenti e le convinzioni della grande maggioranza del mondo musulmano. Le otto delegazioni che hanno abbandonato la sala (tra cui Francia, Germania, Gran Bretagna, Italia, Paesi Bassi, Stati Uniti) avrebbero fatto meglio ad ascoltarlo fino in fondo. Certe forme di diplomazia spettacolo (come l’interminabile discorso di Gheddafi all’Onu) sono infantili, demagogiche e, in ultima analisi, inutili.
Sergio Romano
MIA LETTERA AL SIGNOR STOPPA
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Caro Signore,
abbandonare in segno di disprezzo l'aula mentra parla il Capo di uno Stato che non ha mai fatto torto a nessuno è grande maleducazione ed ingiustizia. L'Iran nel corso della sua recente tormentata storia è sempre stata aggredita dagli inglesi,dai tedeschi, dagli americani e dagli irakeni per conto degli americani. Ha avuto perdite per milioni di morti.Non ha MAI aggredito nessuno!! Un suo Presidente del Consiglio (Mossadeq) è stato assassinato dalla Cia!
La causa primaria dei suoi guai è sempre stata la predatoria voracità dell'Occidente che ha scritto una storia di massacri specialmente nell'ultimo secolo.
Bisognerebbe invece che lei facesse una riflessione sul ruolo degli USA nel mondo e dei suoi alleati che hanno perpetrato atrocità a mai finire in Afghanistan in Irak a Gaza e Libano(Israele) servendosi anche di omicidi "mirati" e di un esercito di killers privati (contractors) e bombardando la popolazione civile.
Cordialmente
Pietro Ancona
lunedì 28 settembre 2009
elezioni tedesche
Il Partito Democratico deve riflettere a fondo sul fallimento della socialdemocrazia tedesca collaboratrice della Merkel. Sarà il suo fallimento se non cambierà linea. La sinistra italiana può trarre motivi di incoraggiamento dal successo di Lafontaine e dei Verdi.
domenica 27 settembre 2009
l'incontro di Ciampino-Canossa
L'incontro di Ciampino-Canossa.
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Il Capo del Governo è costretto a "pustiare" (1) di aeroporto in aeroporto il Papa per poter essere ammesso alla sua presenza e riceverne il salvifico balsamo di un viso "ammagnato"(2) in benevolenza.All'aeroporto di Ciampino che non è Canossa aspetta per circa un'oretta che arrivi Benedetto XVI con il quale scambia tre minuti di convenevoli del più e del meno.Questo incontro nella diplomazia vaticana non può essere classificato involontario e protocollare : è stato preparato con cure assidue per molti giorni. Forse il Vaticano lo avrebbe voluto più in là essendo ancora fresca l'offesa arrecata al direttore dell'Avvenire fucilato con pallini avvelenati di Feltri. Ma Berlusconi fremeva di impazienza: ha un bisogno enorme di un grosso accreditamento morale o comunque di una sorta di riabilitazione dopo gli scandali a ripetizione e tutti a sfondo sessuale di Noemi, di Villa Certosa e di Palazzo Grazioli. Se il Papa lo riceve e scambia qualche parola con lui le cancellerie e la stampa estera potrebbero essere indotte a non occuparsi più delle "particolarità" del nostro Presidente del Consiglio e l'elettorato cattolico italiano a perdonarlo. Non esiste forse nella religione cattolica l'istituto del pentimento e del perdono divino? Unica tra le religioni ,quella cattolica prevede che l'uomo possa mondarsi, attraverso la Chiesa, di qualsiasi delitto. Importante è confessare al prete e pentirsi, rimettersi alla volontà della Chiesa! Essere perdonati dalla Chiesa cancella il peccato e riammette nell'ecclesia. La Chiesa ha il più terribile marchingegno di sanatoria che potesse essere inventato!
Nel suo caso Berlusconi non tiene conto di due cose, a mio giudizio importanti: la prima è che l'elettorato cattolico che vota centro-destra non ha bisogno di ricevere alcun segnale dalla Chiesa per continuare a sostenerlo. Chi accetta la degenerazione che il centro-destra ha impresso allo Stato di Diritto con le leggi ad personam e con le leggi razziali contro gli immigrati ed i poveri è difficile che
abbandoni il suo capo politico per una questione di moralità che derubrica a questione di privacy.-
Quella parte di elettorato cattolico che invece si scandalizza per l'autoritarismo fascistoide ed anticostituzionale e per il libertinaggio gaudente organizzato su basi industriali del Capo del Governo non si lascerà convincere da un incontro e neppure dalle concessioni che il centro-destra si accinge a fare alla gerarchia vaticana dal momento che è cattolico ma laico ed insofferente per l'oscurantismo e la durezza dogmatica e teologica di questo Papato. E' molto dubbio che il pensiero dei parlamentari cattolici corrisponda al sentire dei cattolici italiani. Quando il Papa parla contro "la famiglia allargata" in un paese in cui le ultime generazioni appartengono in grandissima parte a famiglie costituitesi dal fallimento di precedenti famiglie paterne e materne credete che trovi consenso? Il diritto della persona di avere una nuova chance dopo un naufragio può forse essere negato? Un bambino di una famiglia allargata con fratellini e sorelline generate da altri incontri dei genitori è felice o infelice in ragione dell'affetto che riceve o che gli viene negato e non certamente per la situazione giuridica e per la novità della sua famiglia piena di tante presenze e di tante parentele orizzontali.
L'Italia non è clericale e sanfedista come molti dei suoi deputati. Lo sappiamo bene attraverso i suoi pronunciamenti referendari su divorzio, aborto, e anche per la legge 40 sulla fecondazione assistita che ebbe quindici milioni di votanti laici a fronte del boicotaggio delle parrocchie e di organizzazioni come Comunione e Liberazione, Opus Dei, Azione Cattolica, Vita. Il Vaticano ha estremo bisogno di un Governo e di un Parlamento docili per imporre agli italiani le sue mortifere volontà e per lucrare il massimo di finanziamenti e di agevolazioni di legge. Credete forse che gli italiani avrebbero approvato
l'assunzione di 25 mila insegnanti di religione cattolica pagati dallo Stato ma dipendenti dai Vescovi?
Quindi la Chiesa pur dovendosi mostrare critica verso taluni comportamenti libertini del nostro Presidente del Consiglio ha fretta di ricostituire un forte e positivo rapporto che gli consenta di fare
passare la sua linea oscurantista su questioni come il testamento biologico, la RU486 per la quale ha ottenuto l'istituzione di una Commissione che difatto ne blocca l'introduzione in Italia dopo il via libera della AIFA, i patti civili di solidarietà, la stessa legge 194 assediata fin dalla sua emanazione.......
Ma la Chiesa Cattolica ha davvero l'autorità "morale" per mondare qualcuno della lussuria che era un peccato ai tempi di Dante ma che non è certamente tale se non fosse praticata con scandalo dal Presidente del Consiglio?
La Chiesa Cattolica è afflitta dal terribile morbo della pedofilia. Nei giorni scorsi leggevo di una associazione che si sarebbe costituita tra le migliaia di vittime dei preti irlandesi. I casi sono davvero tanto numerosi e spesso tanto odiosi che richiederebbero espulsioni
ed un generale risanamento morale del clero. Mi domando se la Chiesa si sia mai posto il problema di tanta
pedofilia al suo interno, una malattia che non si riscontra tra i protestanti o tra gli islamici....
E' vero che questo Papa ha dato una forte zampata ai pedofili ma siamo nel campo di una repressione più o meno severa e dura di un fenomeno del quale non si vogliono riconoscere le radici
nella sessuofobia e nel celibato. Certo si può essere sposati e pedofili ma il momento in cui la Chiesa riconoscerà alla donna la dignità per potere sposare un suo sacerdote si sarà compiuta una tale rivoluzione culturale da escludere l'ulteriore manifestazione di comportamenti patologici e sessuofobici
Insomma la nefasta collaborazione tra il centro-destra italiano ed il Vaticano continuerà nonostante
le critiche di Famiglia Cristiana. Le organizzazioni che davvero contano dentro la Chiesa sono a sostegno totale del centro-destra. Comunione e Liberazione collabora apertamente con Berlusconi in molte regioni italiane a cominciare dalla Lombardia. Una componente importante come la Lega ha in corso un fitto pour parler con i massimi esponenti della Gerarchia e non dubito che la cornucopia dello Stato e delle Regioni riverserà frutti copiosi nell'ampio grembio talare.
Per cambiare le cose è necessario che la sinistra ed il PD cessino di concorrere con il centro-destra
nell'ingraziarsi il Vaticano. Sono certo che De Gasperi o Moro o Fanfani per parlare dei politici cattolici che ha avuto l'Italia non avrebbero pietito in un aeroporto-Canossa una qualche parola del Pontefice. Erano cattolici ma sapevano difendere lo Stato laico ed avevano alto senso della propria dignità e della dignità dello Stato.
Dovrebbero venire dal PD e da sinistra segnali di vero contrasto per la deriva di destra e sanfedista
del Paese. Ripeto: l'Italia non è clericale! E' clericale per convenienza e cinismo gran parte del suo Parlamento e del suo Governo.
L'oscurantismo e l'arretratezza culturale del popolo italiano vengono indotti da misure legislative e da
scelte che maturano dentro i Palazzi del Potere, dal Laterano a Palazzo Madama che si è genoflesso
alle voglie degli antiabortisti....
Ma l'Italia può riprendere il suo cammino di civiltà che ebbe nel 68 e nel primo trentennio della Repubblica i suoi momenti più alti!
Pietro Ancona
http://medioevosociale-pietro.blogspot.com/
www.spazioamico.it
(1)siciliano: fare la posta, aspettare
(2) ancora siciliano, atteggiamento grave e quasi solenne del volto di chi può punirti ma ti fa del bene.
http://www.apcom.net/newspolitica/20090914_162800_4b6117b_70740.html
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Il Capo del Governo è costretto a "pustiare" (1) di aeroporto in aeroporto il Papa per poter essere ammesso alla sua presenza e riceverne il salvifico balsamo di un viso "ammagnato"(2) in benevolenza.All'aeroporto di Ciampino che non è Canossa aspetta per circa un'oretta che arrivi Benedetto XVI con il quale scambia tre minuti di convenevoli del più e del meno.Questo incontro nella diplomazia vaticana non può essere classificato involontario e protocollare : è stato preparato con cure assidue per molti giorni. Forse il Vaticano lo avrebbe voluto più in là essendo ancora fresca l'offesa arrecata al direttore dell'Avvenire fucilato con pallini avvelenati di Feltri. Ma Berlusconi fremeva di impazienza: ha un bisogno enorme di un grosso accreditamento morale o comunque di una sorta di riabilitazione dopo gli scandali a ripetizione e tutti a sfondo sessuale di Noemi, di Villa Certosa e di Palazzo Grazioli. Se il Papa lo riceve e scambia qualche parola con lui le cancellerie e la stampa estera potrebbero essere indotte a non occuparsi più delle "particolarità" del nostro Presidente del Consiglio e l'elettorato cattolico italiano a perdonarlo. Non esiste forse nella religione cattolica l'istituto del pentimento e del perdono divino? Unica tra le religioni ,quella cattolica prevede che l'uomo possa mondarsi, attraverso la Chiesa, di qualsiasi delitto. Importante è confessare al prete e pentirsi, rimettersi alla volontà della Chiesa! Essere perdonati dalla Chiesa cancella il peccato e riammette nell'ecclesia. La Chiesa ha il più terribile marchingegno di sanatoria che potesse essere inventato!
Nel suo caso Berlusconi non tiene conto di due cose, a mio giudizio importanti: la prima è che l'elettorato cattolico che vota centro-destra non ha bisogno di ricevere alcun segnale dalla Chiesa per continuare a sostenerlo. Chi accetta la degenerazione che il centro-destra ha impresso allo Stato di Diritto con le leggi ad personam e con le leggi razziali contro gli immigrati ed i poveri è difficile che
abbandoni il suo capo politico per una questione di moralità che derubrica a questione di privacy.-
Quella parte di elettorato cattolico che invece si scandalizza per l'autoritarismo fascistoide ed anticostituzionale e per il libertinaggio gaudente organizzato su basi industriali del Capo del Governo non si lascerà convincere da un incontro e neppure dalle concessioni che il centro-destra si accinge a fare alla gerarchia vaticana dal momento che è cattolico ma laico ed insofferente per l'oscurantismo e la durezza dogmatica e teologica di questo Papato. E' molto dubbio che il pensiero dei parlamentari cattolici corrisponda al sentire dei cattolici italiani. Quando il Papa parla contro "la famiglia allargata" in un paese in cui le ultime generazioni appartengono in grandissima parte a famiglie costituitesi dal fallimento di precedenti famiglie paterne e materne credete che trovi consenso? Il diritto della persona di avere una nuova chance dopo un naufragio può forse essere negato? Un bambino di una famiglia allargata con fratellini e sorelline generate da altri incontri dei genitori è felice o infelice in ragione dell'affetto che riceve o che gli viene negato e non certamente per la situazione giuridica e per la novità della sua famiglia piena di tante presenze e di tante parentele orizzontali.
L'Italia non è clericale e sanfedista come molti dei suoi deputati. Lo sappiamo bene attraverso i suoi pronunciamenti referendari su divorzio, aborto, e anche per la legge 40 sulla fecondazione assistita che ebbe quindici milioni di votanti laici a fronte del boicotaggio delle parrocchie e di organizzazioni come Comunione e Liberazione, Opus Dei, Azione Cattolica, Vita. Il Vaticano ha estremo bisogno di un Governo e di un Parlamento docili per imporre agli italiani le sue mortifere volontà e per lucrare il massimo di finanziamenti e di agevolazioni di legge. Credete forse che gli italiani avrebbero approvato
l'assunzione di 25 mila insegnanti di religione cattolica pagati dallo Stato ma dipendenti dai Vescovi?
Quindi la Chiesa pur dovendosi mostrare critica verso taluni comportamenti libertini del nostro Presidente del Consiglio ha fretta di ricostituire un forte e positivo rapporto che gli consenta di fare
passare la sua linea oscurantista su questioni come il testamento biologico, la RU486 per la quale ha ottenuto l'istituzione di una Commissione che difatto ne blocca l'introduzione in Italia dopo il via libera della AIFA, i patti civili di solidarietà, la stessa legge 194 assediata fin dalla sua emanazione.......
Ma la Chiesa Cattolica ha davvero l'autorità "morale" per mondare qualcuno della lussuria che era un peccato ai tempi di Dante ma che non è certamente tale se non fosse praticata con scandalo dal Presidente del Consiglio?
La Chiesa Cattolica è afflitta dal terribile morbo della pedofilia. Nei giorni scorsi leggevo di una associazione che si sarebbe costituita tra le migliaia di vittime dei preti irlandesi. I casi sono davvero tanto numerosi e spesso tanto odiosi che richiederebbero espulsioni
ed un generale risanamento morale del clero. Mi domando se la Chiesa si sia mai posto il problema di tanta
pedofilia al suo interno, una malattia che non si riscontra tra i protestanti o tra gli islamici....
E' vero che questo Papa ha dato una forte zampata ai pedofili ma siamo nel campo di una repressione più o meno severa e dura di un fenomeno del quale non si vogliono riconoscere le radici
nella sessuofobia e nel celibato. Certo si può essere sposati e pedofili ma il momento in cui la Chiesa riconoscerà alla donna la dignità per potere sposare un suo sacerdote si sarà compiuta una tale rivoluzione culturale da escludere l'ulteriore manifestazione di comportamenti patologici e sessuofobici
Insomma la nefasta collaborazione tra il centro-destra italiano ed il Vaticano continuerà nonostante
le critiche di Famiglia Cristiana. Le organizzazioni che davvero contano dentro la Chiesa sono a sostegno totale del centro-destra. Comunione e Liberazione collabora apertamente con Berlusconi in molte regioni italiane a cominciare dalla Lombardia. Una componente importante come la Lega ha in corso un fitto pour parler con i massimi esponenti della Gerarchia e non dubito che la cornucopia dello Stato e delle Regioni riverserà frutti copiosi nell'ampio grembio talare.
Per cambiare le cose è necessario che la sinistra ed il PD cessino di concorrere con il centro-destra
nell'ingraziarsi il Vaticano. Sono certo che De Gasperi o Moro o Fanfani per parlare dei politici cattolici che ha avuto l'Italia non avrebbero pietito in un aeroporto-Canossa una qualche parola del Pontefice. Erano cattolici ma sapevano difendere lo Stato laico ed avevano alto senso della propria dignità e della dignità dello Stato.
Dovrebbero venire dal PD e da sinistra segnali di vero contrasto per la deriva di destra e sanfedista
del Paese. Ripeto: l'Italia non è clericale! E' clericale per convenienza e cinismo gran parte del suo Parlamento e del suo Governo.
L'oscurantismo e l'arretratezza culturale del popolo italiano vengono indotti da misure legislative e da
scelte che maturano dentro i Palazzi del Potere, dal Laterano a Palazzo Madama che si è genoflesso
alle voglie degli antiabortisti....
Ma l'Italia può riprendere il suo cammino di civiltà che ebbe nel 68 e nel primo trentennio della Repubblica i suoi momenti più alti!
Pietro Ancona
http://medioevosociale-pietro.blogspot.com/
www.spazioamico.it
(1)siciliano: fare la posta, aspettare
(2) ancora siciliano, atteggiamento grave e quasi solenne del volto di chi può punirti ma ti fa del bene.
http://www.apcom.net/newspolitica/20090914_162800_4b6117b_70740.html
sabato 26 settembre 2009
lettera al Corriere della Sera
Caro Romano,
nei giorni scorsi si è saputo che Israele ha minacciato di coprire di funghi atomici l'Iran. Inoltre ha compiuto esercitazioni navali ed inviato navi da guerra alle spalle del sud dell'Iran.
Perchè sapendo questo ed avendo davanti gli occhi le nazioni devastate dell'Irak, dell'Afghanistan, del Libano e il massacrato bantustan di Gaza non si ritiene legittima la scelta di dotarsi di armi nucleari dell'Iran?
E' legittimo che Israele abbia un arsenale di bombe atomiche ed una grande nazione di sessanta milioni di persone come l'Iran ne debba essere privata?
Pietro Ancona
nei giorni scorsi si è saputo che Israele ha minacciato di coprire di funghi atomici l'Iran. Inoltre ha compiuto esercitazioni navali ed inviato navi da guerra alle spalle del sud dell'Iran.
Perchè sapendo questo ed avendo davanti gli occhi le nazioni devastate dell'Irak, dell'Afghanistan, del Libano e il massacrato bantustan di Gaza non si ritiene legittima la scelta di dotarsi di armi nucleari dell'Iran?
E' legittimo che Israele abbia un arsenale di bombe atomiche ed una grande nazione di sessanta milioni di persone come l'Iran ne debba essere privata?
Pietro Ancona
venerdì 25 settembre 2009
distruzione di una civiltà, di una cultura
http://www.voltairenet.org/article162185.html
guerra USA contro l’Iraq
di James Petras*
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I sette anni di guerra statunitense e l’occupazione dell’Iraq sono stati condotti da diverse grandi forze politiche e ispirati da una varietà di interessi imperiali. Tuttavia, questi interessi da soli non spiegano la profondità e la portata delle prolungate, massicce e incessanti distruzioni di un’intera società e la sua riduzione ad uno stato di guerra permanente. Di seguito (in ordine di importanza), la serie delle forze politiche che hanno contribuito alla realizzazione della guerra e alla successiva occupazione statunitense:
La forza politica più importante è stata anche la meno apertamente considerata. La Configurazione di Potere Sionista (Zionist Power Configuration - ZPC), in cui spicca il ruolo fondamentale degli ebrei da sempre e incondizionatamente sostenitori della linea dura a favore dello Stato di Israele e nominati nelle posizioni di vertice del Pentagono di Bush (Douglas Feith e Paul Wolfowitz), nei punti operativi chiave presso l’Ufficio del Vicepresidente (Irving - Scooter - Libby), nel Dipartimento del Tesoro (Stuart Levey), nel Consiglio di Sicurezza Nazionale (Elliot Abrams), e una falange di consulenti, di scrittori dei discorsi presidenziali (David Frum), di funzionari subordinati e consiglieri politici al Dipartimento di Stato. Questi impegnati sionisti “interni” sono stati sostenuti da migliaia di funzionari del “prima Israele” a tempo pieno nelle 51 principali organizzazioni ebraiche americane, che costituiscono la Presidents of the Major American Jewish Organizations (PMAJO). Essi hanno apertamente dichiarato come loro priorità assoluta il portare avanti l’agenda di Israele, che, in questo caso, era una guerra degli Usa contro l’Iraq per rovesciare Saddam Hussein, occupare il paese, dividere fisicamente l’Iraq, distruggere la sua capacità militare e industriale ed imporre un regime fantoccio pro-Israele/Usa. Se l’Iraq fosse pulito etnicamente e diviso, come auspicato dal Primo ministro israeliano di estrema destra Benyamin Netanyahu e dal “liberale” Presidente emerito del Consiglio per le Relazioni Estere e militarista-sionista, Leslie Gelb, non ci sarebbero che vari “regimi clienti”.
I massimi politici sionisti che hanno promosso la guerra, pur non avendo inizialmente perseguito in modo diretto la politica di distruzione sistematica di ciò che, in effetti, era l’intera civiltà irachena, hanno fornito il loro sostegno e l’elaborazione di una politica di occupazione, che comprende lo smembramento totale dell’apparato dello Stato iracheno e il reclutamento di consulenti israeliani per il passaggio di “competenze” nelle tecniche di interrogatorio, di repressione della resistenza civile e di contro-insurrezione. L’esperienza israeliana ha certamente avuto un ruolo nel fomentare il conflitto etnico e religioso inter-iracheno, che Israele ha padroneggiato in Palestina. Il “modello” israeliano di guerra e occupazione coloniale - l’invasione del Libano nel 1982 - e la pratica della “distruzione totale” con l’uso delle divisioni settarie e di carattere etnico-religioso era già evidente nei famigerati massacri dei campi profughi di Sabra e Shatila a Beirut, che si svolsero sotto la supervisione militare israeliana.
La seconda potente forza politica dietro la guerra in Iraq è rappresentata dai militaristi dell’amministrazione civile (come Donald Rumsfeld e il Vicepresidente Cheney) che hanno cercato di estendere la potenza imperiale degli Stati Uniti nel Golfo Persico e di rafforzarne la posizione geopolitica, eliminando un forte sostegno laico e nazionalista alle insorgenze arabe antimperialiste in Medio Oriente. Questi militaristi hanno cercato di estendere le base militari che accerchiano la Russia e controllano in modo deciso le riserve petrolifere irachene come punto di pressione contro la Cina. Essi erano mossi meno dai passati legami del Vicepresidente Cheney con l’industria del petrolio e più interessati al suo ruolo di amministratore delegato della Kellogg Brown and Root, società controllata della Halliburton, gigante nella fornitura alle basi militari, che andava consolidando l’impero degli Stati Uniti attraverso l’espansione in tutto il mondo delle basi militari. Le grandi compagnie petrolifere statunitensi, che temevano di essere tagliate fuori da concorrenti europei e asiatici, desideravano trattare con Saddam Hussein, e alcuni dei sostenitori di Bush nell’industria petrolifera erano già impegnati in traffici illegali con il regime iracheno sotto embargo. L’industria del petrolio non era incline a promuovere l’instabilità della regione con una guerra.
La strategia militarista di conquista e occupazione è stata concepita per stabilire una presenza coloniale militare di lungo termine sotto la forma di basi militari strategiche con un significativo e permanente contingente di consiglieri militari coloniali e unità di combattimento. La brutale occupazione coloniale di uno stato laico e indipendente con una forte storia nazionale e un’infrastruttura avanzata, con un sofisticato apparato militare e di polizia, estesi servizi pubblici e un ampio grado di alfabetizzazione ha naturalmente portato alla crescita di un’ampia serie di militanti e movimenti armati che si oppongono all’occupazione. In risposta, i funzionari coloniali statunitensi, la CIA e le Agenzie di Intelligence della Difesa hanno messo a punto la strategia del “divide et impera” (la cosiddetta “soluzione El Salvador” in collaborazione con l’ex ambasciatore e direttore della National Intelligence americana, John Negroponte) fomentando conflitti armati su base settaria e promovendo omicidi interreligiosi per indebolire ogni sforzo indirizzato verso un movimento nazionalista e antimperialista unificato. Lo smantellamento della burocrazia civile e militare è stata progettata dai sionisti dell’amministrazione Bush per consolidare il potere di Israele nella regione e per favorire il sorgere di gruppi islamici militanti, che erano stati repressi dal deposto regime baathista di Saddam Hussein. Israele aveva già padroneggiato questo tipo di strategia in quanto sponsorizzò e finanziò gruppi militanti islamici settari, come Hamas, in opposizione alla laica Organizzazione per la Liberazione della Palestina e preparò il terreno per la lotta settaria tra i palestinesi.
L’esito delle politiche coloniali degli Stati Uniti è il finanziamento e la moltiplicazione di una vasta gamma di conflitti interni in modo che mullah, capi tribù, gangster politici, signori della guerra, squadroni della morte e gli espatri proliferassero. La “guerra di tutti contro tutti” ha servito gli interessi delle forze di occupazione Usa. L’Iraq è diventato un bacino di giovani disoccupati armati fra i quali reclutare un nuovo esercito mercenario. La “guerra civile” e il “conflitto etnico” hanno fornito un pretesto agli Stati Uniti e ai loro fantocci iracheni per scaricare centinaia di migliaia di soldati, poliziotti e funzionari del precedente regime (soprattutto se di famiglie sunnite, miste o laiche) e minare le basi per un impiego di tipo civile. Sotto la copertura di una generalizzata “guerra contro il terrorismo”, le forze speciali statunitensi e la CIA hanno diretto squadroni della morte che hanno seminato terrore nella società civile irachena, colpendo chiunque venisse sospettato di criticare il governo fantoccio - in particolare tra le classi istruite e professionali, proprio quegli iracheni maggiormente in grado di ricostruire una repubblica laica e indipendente.
La guerra in Iraq è stata condotta da un influente gruppo di ideologi neo-conservatori e neo-liberali con forti legami con Israele. Hanno visto il successo della guerra in Iraq (per successo intendevano lo smembramento totale del paese) come il primo tassello in una serie di guerre per “ri-colonizzare” il Medio Oriente (con le loro parole: “per ridisegnare la mappa”). Hanno mascherato la loro ideologia imperiale con la sottile patina di retorica sulla “promozione della democrazia” in Medio Oriente (escludendo, ovviamente, le politiche non-democratiche della loro “patria” Israele nei confronti dei palestinesi sottomessi). Assimilando le ambizioni egemoniche regionali israeliane con gli interessi imperiali degli Stati Uniti, i neo-conservatori e i loro compagni di viaggio neo-liberali nel Partito Democratico prima sostenevano il Presidente Bush e dopo il Presidente Obama nella loro escalation delle guerre contro Afghanistan e Pakistan. Hanno unanimemente sostenuto la feroce campagna di bombardamenti di Israele contro il Libano, gli attacchi aerei e di terra e il massacro di migliaia di civili intrappolati a Gaza, i bombardamenti degli impianti siriani e la grande pressione (di Israele) per un attacco preventivo su vasta scala contro l’Iran.
I sostenitori statunitensi delle guerre multiple e in successione in Medio Oriente e in Asia meridionale hanno ritenuto di poter scatenare tutta la forza del loro potere distruttivo di massa soltanto dopo essersi assicurati il controllo totale della loro prima vittima, l’Iraq. Erano certi che la resistenza irachena sarebbe crollata rapidamente dopo 13 anni di sanzioni brutali e riducenti alla fame imposte alla Repubblica da parte degli Stati Uniti e delle Nazioni Unite. Al fine di consolidare il controllo imperiale, i politici americani hanno deciso di ridurre al silenzio permanente tutti i civili iracheni dissidenti indipendenti. Si sono quindi indirizzati al finanziamento del clero sciita e degli assassini sunniti tribali, ingaggiando decine di migliaia di mercenari privati tra i signori della guerra peshmerga curdi per effettuare assassini selettivi di leader dei movimenti della società civile.
Gli Stati Uniti hanno creato e addestrato un esercito di 200.000 unità dell’esercito del fantoccio coloniale iracheno composto quasi interamente da sciiti, escludendo i militari esperti iracheni di estrazione laica sunnita o cristiana. Una conseguenza poco conosciuta della costituzione di questi squadroni della morte e dei fantocci iracheni addestrati e finanziati dagli americani è stata la virtuale distruzione dell’antica popolazione cristiana irachena che è stata deportata, le sue chiese bombardate e i suoi leader, vescovi e intellettuali, accademici e scienziati assassinati o costretti all’esilio. Gli Stati Uniti e i suoi consulenti israeliani sono stati ben consapevoli del fatto che i cristiani iracheni avevano svolto un ruolo fondamentale nello sviluppo storico dei movimenti laici, nazionalisti, anti-britannici/anti-monarchici e la loro eliminazione, come forza influente durante i primi anni di occupazione, non è stata casuale. Il risultato delle politiche statunitensi è stata l’eliminazione della maggior parte dei dirigenti e dei movimenti laici, democratici e antimperialisti e la presentazione della loro rete omicida di collaboratori “etnico-religiosi” come indiscussi “partner” nel sostenere una presenza coloniale americana di lungo termine in Iraq. Con i loro fantocci al potere, l’Iraq potrebbe fungere da piattaforma di lancio per la ricerca strategica di altri “domini”(Siria, Iran, Repubbliche dell’Asia centrale...).
La costante e sanguinosa epurazione dell’Iraq sotto occupazione ha causato l’uccisione di 1,3 milioni di civili iracheni nel corso dei primi 7 anni dopo l’invasione decisa da Bush nel marzo 2003. Fino a metà del 2009, l’invasione e l’occupazione dell’Iraq è ufficialmente costata al Tesoro americano oltre 666 miliardi di dollari. Questa spesa enorme ne testimonia la centralità all’interno della più larga strategia imperiale americana per l’intero Medio Oriente e per la regione dell’Asia Centro-Meridionale. La politica di Washington di politicizzazione e di militarizzazione delle differenze etnico-religiose, di armare e incoraggiare le rivalità tra i leader tribali religiosi ed etnici affinché si impegnino in salassi reciproci è servita a distruggere l’unità e la resistenza nazionale. La tattica del “divide et impera” e l’affidarsi a organizzazioni sociali e religiose retrograde, è la più comune e più conosciuta pratica di conquista e sottomissione di uno Stato unificato, nazionalista e sviluppato. Annientare lo Stato nazionale, distruggere la coscienza nazionale e incoraggiare primitive fedeltà etnico-religiose, feudali e regionali, ha richiesto l’eliminazione sistematica delle principali fonti della coscienza nazionale, della memoria storica e del pensiero laico e scientifico. Provocare l’odio etnico-religioso ha portato alla distruzione di matrimoni misti, di comunità e istituzioni miste con le loro antiche amicizie personali e legami professionali nei diversi contesti. L’eliminazione fisica di docenti accademici, scrittori, insegnanti, intellettuali, scienziati e professionisti, soprattutto medici, ingegneri, avvocati, giuristi e giornalisti, è stata decisiva per imporre le regole etnico-religiose allo stato di occupazione. Per stabilire una posizione dominante di lungo periodo e sostenere i governi clienti etnico-religiosi, l’intero edificio culturale preesistente, che aveva sostenuto uno Stato indipendente nazionale laico, è stato fisicamente distrutto dagli Stati Uniti e dai loro fantocci iracheni. Ciò ha incluso la distruzione delle biblioteche, degli uffici per il censimento e degli archivi di tutti i documenti catastali e giudiziari, i servizi sanitari, i laboratori, le scuole, i centri culturali, le strutture mediche e, soprattutto, l’intera classe sociale dei professionisti scientifico-letterario-umanistici. Centinaia di migliaia di professionisti iracheni con le loro famiglie sono stati cacciati dal terrore verso un esilio interno ed esterno. Tutti i finanziamenti alle istituzioni nazionali, laiche, scientifiche ed educative sono stati tagliati. Gli squadroni della morte hanno praticato l’assassinio sistematico di migliaia di accademici e professionisti sospettati del minimo dissenso, del più lieve sentimento nazionale; chiunque possedesse le minime capacità di ricostruzione della repubblica venne bollato.
La distruzione di una civiltà araba moderna
L’Iraq indipendente e laico possedeva il più avanzato sistema scientifico-culturale del mondo arabo, nonostante il carattere repressivo e poliziesco del governo di Saddam Hussein. C’era un sistema di assistenza sanitaria nazionale, di istruzione pubblica universale e servizi di welfare generosi, combinati con livelli di parità tra i sessi senza precedenti. Questo ha contrassegnato il carattere avanzato della società civiltà irachena alla fine del XX secolo. La separazione tra Stato e Chiesa e la rigorosa tutela delle minoranze religiose (cristiani, assiri ed altri) in netto contrasto con quanto provocato dall’occupazione degli Stati Uniti e la loro distruzione delle strutture governative e civili irachene. Il duro dominio dittatoriale di Saddam Hussein ha pertanto diretto una civiltà evoluta moderna in cui il lavoro scientifico avanzato è andato di pari passo con una forte identità nazionale e antimperialista. Ciò si è espresso soprattutto nella solidarietà del popolo e del regime iracheno per le sofferenze del popolo palestinese sotto il dominio e l’occupazione israeliana.
Un mero “cambio di regime”non poteva estirpare questa cultura laica e repubblicana profondamente radicata e avanzata in Iraq. I pianificatori di guerra statunitensi ed i loro consulenti israeliani erano ben consapevoli del fatto che l’occupazione coloniale avrebbe fatto aumentare la coscienza nazionale irachena a meno che la nazione laica non fosse stata distrutta e, da qui, l’ assunto imperiale di sradicare e distruggere i detentori della coscienza nazionale e di eliminare fisicamente gli istruiti, i dotati, gli scienziati, ovvero gli elementi maggiormente laici della società irachena. La regressione è diventata per gli Stati Uniti lo strumento principale per imporre i loro fantocci coloniali, con le loro primitive lealtà “pre-nazionali”, al potere in una Baghdad culturalmente purgata e spogliata dei suoi strati sociali più sofisticati e nazionalistici. Secondo il Centro studi Al-Ahram del Cairo, più di 310 scienziati iracheni sono stati eliminati nel corso dei primi 18 mesi di occupazione - una cifra che il Ministero per l’Educazione iracheno non ha contestato.
Un altro rapporto denuncia l’uccisione di oltre 340 intellettuali e scienziati tra il 2005 e il 2007. I bombardamenti degli istituti di istruzione superiore hanno spinto in basso le iscrizioni fino al 30% rispetto alle cifre pre-invasione. In un attentato nel gennaio 2007 alla Baghdad Mustansiriya University, 70 studenti sono stati uccisi con centinaia di feriti. Queste cifre hanno costretto l’UNESCO ad avvertire che il sistema universitario in Iraq era sull’orlo del collasso. Il numero di autorevoli scienziati e professionisti iracheni che hanno lasciato il paese si avvicina a 20.000. Dei 6.700 professori universitari iracheni fuggiti dal paese dal 2003, il Los Angeles Times ha riferito che all’ottobre 2008 solo in 150 erano tornati. Nonostante le assicurazioni statunitensi di un miglioramento della sicurezza, il 2008 è stato contrassegnato da numerosi omicidi, tra cui l’unico neurochirurgo di Bassora, la seconda più grande città irachena, il cui corpo è stato gettato nelle strade della città.
I dati approssimativi su accademici, scienziati e professionisti iracheni assassinati da Stati Uniti e forze di occupazione alleate, e dalle milizie e forze oscure che essi controllano, sono tratti da un elenco pubblicato dal Pakistan Daily News (www.daily.pk) il 26 novembre 2008. Questa lista costituisce una lettura molto scomoda della realtà dell’eliminazione sistematica degli intellettuali in Iraq sotto il tritacarne dell’occupazione statunitense.
Le uccisioni
L’eliminazione fisica di un individuo tramite l’assassinio è una forma estrema di terrorismo, che ha effetti di ampia portata in tutta la comunità da cui proviene l’individuo - in questo caso il mondo degli intellettuali iracheni, gli accademici, i professionisti e i leader creativi nel campo artistico e scientifico. Per ogni intellettuale iracheno ucciso, migliaia di iracheni istruiti sono fuggiti dal paese o hanno abbandonato il loro lavoro per un’attività più sicura e meno vulnerabile.
Baghdad era considerata la “Parigi” del mondo arabo, in termini di cultura e arte, di scienza e istruzione. Negli anni ‘70 e ‘80, le sue università erano l’invidia del mondo arabo. La campagna statunitense “shock and awe” [colpisci e terrorizza] piovuta su Baghdad ha suscitato emozioni simili ad un bombardamento aereo del Louvre, della Sorbona e delle biblioteche più grandi d’Europa. L’Università di Baghdad era fra le più prestigiose e produttive nel mondo arabo. Molti dei suoi accademici erano in possesso di un dottorato ed impegnati in studi post-dottorato all’estero presso prestigiose istituzioni. Ha formato e laureato molti dei migliori professionisti e scienziati del Medio Oriente.
Anche sotto la morsa mortale delle sanzioni economiche imposte da Stati Uniti e Nazioni Unite che hanno affamato l’Iraq nei 13 anni precedenti l’invasione del marzo 2003, migliaia di giovani laureati e professionisti vennero in Iraq per la formazione post-laurea. Giovani medici provenienti da tutto il mondo arabo hanno ricevuto una formazione medica avanzata nei suoi istituti. Molti dei suoi accademici hanno presentato lavori scientifici alle principali conferenze internazionali e pubblicato su riviste prestigiose. Più importante ancora, l’Università di Baghdad ha formato e mantenuto una cultura scientifica laica altamente rispettata, scevra da discriminazioni settarie - con docenti accademici di tutte le provenienze etniche e religiose.
Questo mondo è stato ridotto per sempre in frantumi: sotto l’occupazione americana, fino a novembre 2008, 83 docenti e ricercatori che insegnavano all’Università di Baghdad sono stati uccisi e diverse migliaia di loro colleghi, studenti e familiari sono stati costretti a fuggire.
La selezione in base alla disciplina insegnata dei docenti assassinati
Nel novembre 2008 un articolo pubblicato dal Pakistan Daily News elencava i nomi di un totale di 154 prestigiosi docenti accademici di Baghdad, rinomati nel loro campo, assassinati. Complessivamente, un totale di 281 ben noti intellettuali che insegnavano nelle università in Iraq sono caduti vittima degli “squadroni della morte” sotto l’occupazione statunitense.
Prima dell’occupazione, l’Università di Baghdad possedeva, per ricerca e insegnamento, la migliore Facoltà di medicina in tutto il Medio Oriente, che attraeva centinaia di giovani medici per la formazione avanzata.
Tale programma è stato devastato durante l’ascesa del regime degli squadroni della morte Usa, con poche prospettive di recupero. Di quelli uccisi, il 25% (21) erano i professori e docenti più anziani della Facoltà di medicina dell’Università di Baghdad, la percentuale più alta di qualsiasi facoltà. La seconda percentuale più alta per professori e ricercatori massacrati è la Facoltà di ingegneria (12), seguita dai migliori accademici delle discipline umanistiche (10), scienze fisiche e sociali (8 ciascuna), e quelle educative (5). I restanti migliori docenti assassinati all’Università di Baghdad sono suddivisi tra le facoltà di agraria, economia, scienze motorie, della comunicazione e degli studi religiosi.
In tre altre università di Baghdad, 53 docenti di alto livello sono stati massacrati, di cui 10 nella Facoltà delle scienze sociali, 7 in giurisprudenza, 6 ciascuno in quella di medicina e scienze umane, 9 in quella di fisica, 5 in ingegneria. Il Segretario della Difesa Rumsfeld, il 20 agosto 2002 in una battuta prima dell’invasione diceva "... si deve supporre che essi (i ricercatori) non stiano giocando al ’Gioco delle pulci’ (un gioco da bambini)", affermazione che giustifica la sanguinosa purga degli scienziati iracheni nei campi della fisica e chimica. Un inquietante segnale del macello accademico che sarebbe seguito all’invasione.
Analoghe sanguinose purghe di accademici si sono verificate in tutte le università della provincia: 127 anziani accademici e ricercatori sono stati assassinati in diverse rinomate università a Mosul, Kirkuk, Bassora e altrove. Le università di provincia con il maggior numero di elementi di spicco uccisi sono state nelle città dove i militari statunitensi, britannici e i mercenari curdi loro alleati erano più attivi: a Bassora (35), Mosul (35), Diyala (15) e Al-Anbar (11).
L’esercito iracheno e gli squadroni della morte suoi alleati hanno effettuato la maggior parte delle uccisioni di accademici nelle città sotto controllo USA o degli “alleati”. L’uccisione sistematica di docenti accademici è avvenuta secondo un piano, su scala nazionale, interdisciplinare, per distruggere le basi culturali ed educative di una civiltà araba moderna. Gli squadroni della morte che hanno effettuano la maggior parte di questi omicidi erano gruppi etnico-religiosi primitivi, pre-moderni, “sciolti” o strumentalizzati dagli strateghi militari americani per spazzare via ogni intellettuale e specialista politicamente consapevole e con sentimenti nazionali, che avrebbero potuto perseguire un programma per la ricostruzione di una moderna, laica e indipendente repubblica unitaria.
Nel tentativo angoscioso di impedire l’invasione degli Stati Uniti, la Direzione nazionale irachena di controllo il 7 dicembre 2002 fornì un elenco alle Nazioni Unite che individuava oltre 500 fra i principali scienziati iracheni. Ci sono pochi dubbi che questo elenco sia diventato un elemento fondamentale nell’elenco predisposto dai militari americani per eliminare l’élite scientifica in Iraq. Nel suo famoso intervento alle Nazioni Unite che precedette l’invasione, il Segretario di Stato Colin Powell citò un elenco di oltre 3.500 scienziati e tecnici iracheni che avrebbero dovuto essere “accolti” per impedire che la loro esperienza venisse utilizzata da altri paesi. Gli Stati Uniti avevano addirittura predisposto uno stanziamento di centinaia di milioni di dollari, prelevati dal denaro iracheno di “Oil for Food” in possesso delle Nazioni Unite per promuovere programmi di “ri-educazione civile” per riqualificare gli scienziati e gli ingegneri iracheni. Questi programmi fortemente propagandati non sono mai stati attuati seriamente. Divennero evidenti modi meno costosi di contenimento di quello che un esperto di politica americana ha definito “eccesso di scienziati, ingegneri e tecnici” dell’Iraq (RANSAC Policy Update Aprile 2004). Gli Stati Uniti avevano deciso di adottare ed espandere su scala industriale un’operazione segreta del Mossad israeliano volta ad assassinare gli scienziati chiave iracheni selezionati.
Le campagne “Surge” e “Peak Assassination”: 2006-2007
L’ondata di terrore contro i docenti accademici coincide con il rinnovo dell’offensiva militare statunitense a Baghdad e nelle province. Del numero complessivo di omicidi fra gli accademici di Baghdad per i quali il dato è conosciuto (110 noti intellettuali trucidati), quasi l’80% (87) si è verificato nel 2006 e 2007. Una proporzione simile si ha per le province, con il 77% su un totale di 84 studiosi uccisi al di fuori della capitale durante lo stesso periodo. Lo schema è chiaro: il tasso di omicidi tra gli accademici cresce in concomitanza all’organizzazione da parte delle forze di occupazione di un esercito mercenario iracheno e delle forze di polizia e alla fornitura di denaro per la formazione e il reclutamento di uomini e milizie di tribù rivali sciite e sunnite come mezzo per ridurre le vittime americane e per liberarsi di potenziali dissidenti critici verso l’occupazione.
La campagna di terrore contro il mondo accademico ha registrato un’intensificazione a metà del 2005 ed ha raggiunto il suo picco nel biennio 2006-2007, causando una fuga di massa all’estero di decine di migliaia di studiosi, scienziati, professionisti iracheni e delle loro famiglie. L’intera facoltà di medicina si è rifugiata in Siria e altrove. Chi non poteva permettersi di abbandonare i genitori anziani o i parenti, rimanendo in Iraq, ha adottato misure straordinarie per celare la propria identità. Alcuni hanno scelto di collaborare con le forze di occupazione o con il regime fantoccio nella speranza di essere protetti o di ottenere il permesso di emigrare con la famiglia negli Stati Uniti o in Europa, anche se gli europei, soprattutto gli inglesi, sono poco inclini ad accettare studiosi iracheni. Dopo il 2008, c’è stato un netto calo degli omicidi nel mondo accademico - con soli 4 assassinati l’anno. Questo riflette la fuga in massa degli intellettuali iracheni che ora vivono all’estero o in clandestinità piuttosto che un cambiamento di politica da parte degli Stati Uniti e dei suoi fantocci mercenari. Di conseguenza, le strutture di ricerca irachene sono state devastate. Le vite di chi è rimasto fra il personale docente, compresi tecnici, bibliotecari e studenti sono state devastate, con poche prospettive di lavoro per il futuro.
La guerra e l’occupazione statunitense dell’Iraq, come i Presidenti Bush e Obama hanno dichiarato, è un “successo” - una nazione indipendente di 23 milioni di cittadini è stata occupata con la forza, un regime fantoccio vi è stato impiantato, truppe mercenarie coloniali obbediscono ad ufficiali americani ed i campi petroliferi sono stati messi in vendita. Tutte le leggi nazionali irachene che proteggevano il suo patrimonio, i suoi tesori culturali e risorse nazionali sono state annullate. Gli occupanti hanno imposto una “costituzione” favorevole all’impero degli Stati Uniti. Israele ed i suoi lacchè sionisti nelle amministrazioni di Bush e Obama celebrano la scomparsa di un avversario moderno... e la trasformazione dell’Iraq in un deserto politico-culturale. In linea con un presunto accordo presentato dal Dipartimento di Stato americano e dal Pentagono ai collezionisti influenti del Consiglio Americano per la Politica Culturale nel gennaio 2003, i tesori depredati dell’antica Mesopotamia hanno “trovato” la loro strada nelle collezioni delle élite di Londra, New York e altrove. I collezionisti possono ora anticipare il saccheggio dell’Iran.
Avvertimento per l’Iran
L’invasione, l’occupazione e la distruzione di una moderna civiltà scientifico-culturale, come esisteva in Iraq, è un preludio di ciò che il popolo iraniano può aspettarsi se e quando un attacco militare USA-Israele si verificasse. La minaccia imperiale alle basi culturali e scientifiche della nazione iraniana è stata del tutto assente dal resoconto sulle manifestazioni di protesta dei benestanti studenti iraniani e delle loro ONG di matrice americana nella “Rivoluzione dei rossetti” post elettorale. Essi dovrebbero tenere a mente che nel 2004, gli istruiti ed i sofisticati iracheni di Baghdad si consolavano con un fatalmente errato ottimismo dicendo “almeno non siamo come l’Afghanistan”. Le stesse élite sono ora negli squallidi campi profughi in Siria e in Giordania e il loro paese è quello più simile all’Afghanistan rispetto ad ogni altro in Medio Oriente. La raggelante promessa del presidente Bush nell’aprile 2003, di trasformare l’Iraq nell’immagine del “nostro appena liberato Afghanistan” è stata mantenuta. E le indicazioni che i consiglieri dell’amministrazione USA hanno riesaminato la politica del Mossad israeliano di assassinio selettivo degli scienziati iraniani, dovrebbe portare gli intellettuali liberali filo-occidentali di Teheran a riflettere seriamente sulla lezione impartita dalla campagna omicida che ha praticamente eliminato gli scienziati e i docenti accademici iracheni nel corso del 2006 - 2007.
Conclusione
Che cosa hanno da guadagnare gli Stati Uniti (e la Gran Bretagna e Israele) nello stabilire in Iraq un regime retrogrado protetto, su basi etnico-clericali e strutture socio-politiche medievali? In primo luogo, l’Iraq è diventato un avamposto per l’impero. In secondo luogo, si tratta di una regime debole e incapace di impegnare Israele sul piano del predominio economico e militare nella regione e senza la volontà di mettere in discussione la pulizia etnica in corso degli arabi nativi palestinesi da Gerusalemme, Cisgiordania e Gaza. Terzo, la distruzione delle istituzioni scientifiche, accademiche, culturali e giuridiche di uno Stato indipendente significa accrescere la dipendenza dalle corporazioni multinazionali occidentale e le loro infrastrutture tecniche – favorendo la penetrazione economica imperiale e lo sfruttamento.
Alla metà del XIX secolo, dopo le rivoluzioni del 1848, il sociologo francese conservatore Emil Durkheim riconosceva che la borghesia europea si era confrontata con un conflitto di classe in aumento e una sempre più anticapitalista classe operaia. Durkheim osservava che, qualunque fossero i suoi dubbi filosofici circa la religione e il clericalismo, la borghesia avrebbe dovuto utilizzare i miti della religione tradizionale per “creare” coesione sociale e tagliare dal basso la polarizzazione di classe. Egli ha invitato l’istruita e sofisticata classe capitalista parigina a rinunciare al suo rifiuto del dogma religioso oscurantista a favore di una religione strumentale in funzione del mantenimento del suo predominio politico. Allo stesso modo, gli strateghi degli Stati Uniti, tra i quali i sionisti del Pentagono, hanno strumentalizzato i mullah tribali, le forze etnico-religiose per distruggere la leadership politica nazionale laica e la cultura avanzata dell’Iraq, al fine di consolidare il dominio imperiale - anche se questa strategia ha richiesto l’eliminazione delle classi scientifiche e professionali. Il regime imperiale contemporaneo degli Stati Uniti è basato sul sostegno ai settori socialmente e politicamente più arretrati della società e l’applicazione delle più avanzate tecnologie di guerra.
Consiglieri israeliani hanno svolto un ruolo importante nell’addestrare le forze di occupazione USA in Iraq sulle pratiche di contro-guerriglia urbana e di repressione dei civili, sfruttando i loro 60 anni di esperienza. Il massacro di centinaia di famiglie palestinesi a Deir Yasin, nel 1948, è stato l’emblema della eliminazione sionista di centinaia di villaggi agricoli produttivi, che erano stati abitati per secoli da un popolo nativo con la sua civiltà autoctona e suoi legami culturali con la terra, al fine di imporre un nuovo ordine coloniale. La politica di sradicamento totale dei palestinesi è un punto centrale nei consigli di Israele ai politici americani per l’Iraq. Il suo messaggio è stato fatto arrivare dai suoi accoliti sionisti nelle amministrazioni Bush e Obama, ordinando lo smembramento di tutta la moderna burocrazia civile e statale irachena e usando squadroni della morte pre-moderni e tribali composti da curdi ed estremisti sciiti per eliminare le moderne università e gli istituti di ricerca di questa nazione a pezzi.
La conquista imperiale degli Stati Uniti in Iraq è costruita sulla distruzione di una repubblica laica moderna. Il deserto culturale che rimane (un biblico “deserto spaventoso” intriso del sangue dei preziosi studiosi dell’Iraq) è controllato da mega-truffatori, mercenari criminali che si presentano come “funzionari iracheni”, personaggi tribali illetterati e figure religiose medievali. Essi operano sotto la guida e la direzione dei laureati di West Point che tracciano “schemi per l’impero”, formulati dai laureati di Princeton, Harvard, Johns Hopkins, Yale e Chicago, desiderosi di servire gli interessi delle corporazioni multinazionali americane ed europee.
Questo si chiama “sviluppo combinato e diseguale”: Il matrimonio dei mullah fondamentalisti con i sionisti della Ivy League [le otto più prestigiose università private degli USA, NdT] al servizio degli Stati Uniti.
James Petras
James Petras è professore emerito di Sociologia all’università Binghamton di New York. Intellettuale emblematico della sinistra americana, è autore di numerose opere. James Petras è membro della conferenza « anti-imperialista » Axis for Peace.
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Traduzione dall’inglese per el Centro di Cultura e Documentazione Popolare (Resistenze.org).
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guerra USA contro l’Iraq
di James Petras*
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I sette anni di guerra statunitense e l’occupazione dell’Iraq sono stati condotti da diverse grandi forze politiche e ispirati da una varietà di interessi imperiali. Tuttavia, questi interessi da soli non spiegano la profondità e la portata delle prolungate, massicce e incessanti distruzioni di un’intera società e la sua riduzione ad uno stato di guerra permanente. Di seguito (in ordine di importanza), la serie delle forze politiche che hanno contribuito alla realizzazione della guerra e alla successiva occupazione statunitense:
La forza politica più importante è stata anche la meno apertamente considerata. La Configurazione di Potere Sionista (Zionist Power Configuration - ZPC), in cui spicca il ruolo fondamentale degli ebrei da sempre e incondizionatamente sostenitori della linea dura a favore dello Stato di Israele e nominati nelle posizioni di vertice del Pentagono di Bush (Douglas Feith e Paul Wolfowitz), nei punti operativi chiave presso l’Ufficio del Vicepresidente (Irving - Scooter - Libby), nel Dipartimento del Tesoro (Stuart Levey), nel Consiglio di Sicurezza Nazionale (Elliot Abrams), e una falange di consulenti, di scrittori dei discorsi presidenziali (David Frum), di funzionari subordinati e consiglieri politici al Dipartimento di Stato. Questi impegnati sionisti “interni” sono stati sostenuti da migliaia di funzionari del “prima Israele” a tempo pieno nelle 51 principali organizzazioni ebraiche americane, che costituiscono la Presidents of the Major American Jewish Organizations (PMAJO). Essi hanno apertamente dichiarato come loro priorità assoluta il portare avanti l’agenda di Israele, che, in questo caso, era una guerra degli Usa contro l’Iraq per rovesciare Saddam Hussein, occupare il paese, dividere fisicamente l’Iraq, distruggere la sua capacità militare e industriale ed imporre un regime fantoccio pro-Israele/Usa. Se l’Iraq fosse pulito etnicamente e diviso, come auspicato dal Primo ministro israeliano di estrema destra Benyamin Netanyahu e dal “liberale” Presidente emerito del Consiglio per le Relazioni Estere e militarista-sionista, Leslie Gelb, non ci sarebbero che vari “regimi clienti”.
I massimi politici sionisti che hanno promosso la guerra, pur non avendo inizialmente perseguito in modo diretto la politica di distruzione sistematica di ciò che, in effetti, era l’intera civiltà irachena, hanno fornito il loro sostegno e l’elaborazione di una politica di occupazione, che comprende lo smembramento totale dell’apparato dello Stato iracheno e il reclutamento di consulenti israeliani per il passaggio di “competenze” nelle tecniche di interrogatorio, di repressione della resistenza civile e di contro-insurrezione. L’esperienza israeliana ha certamente avuto un ruolo nel fomentare il conflitto etnico e religioso inter-iracheno, che Israele ha padroneggiato in Palestina. Il “modello” israeliano di guerra e occupazione coloniale - l’invasione del Libano nel 1982 - e la pratica della “distruzione totale” con l’uso delle divisioni settarie e di carattere etnico-religioso era già evidente nei famigerati massacri dei campi profughi di Sabra e Shatila a Beirut, che si svolsero sotto la supervisione militare israeliana.
La seconda potente forza politica dietro la guerra in Iraq è rappresentata dai militaristi dell’amministrazione civile (come Donald Rumsfeld e il Vicepresidente Cheney) che hanno cercato di estendere la potenza imperiale degli Stati Uniti nel Golfo Persico e di rafforzarne la posizione geopolitica, eliminando un forte sostegno laico e nazionalista alle insorgenze arabe antimperialiste in Medio Oriente. Questi militaristi hanno cercato di estendere le base militari che accerchiano la Russia e controllano in modo deciso le riserve petrolifere irachene come punto di pressione contro la Cina. Essi erano mossi meno dai passati legami del Vicepresidente Cheney con l’industria del petrolio e più interessati al suo ruolo di amministratore delegato della Kellogg Brown and Root, società controllata della Halliburton, gigante nella fornitura alle basi militari, che andava consolidando l’impero degli Stati Uniti attraverso l’espansione in tutto il mondo delle basi militari. Le grandi compagnie petrolifere statunitensi, che temevano di essere tagliate fuori da concorrenti europei e asiatici, desideravano trattare con Saddam Hussein, e alcuni dei sostenitori di Bush nell’industria petrolifera erano già impegnati in traffici illegali con il regime iracheno sotto embargo. L’industria del petrolio non era incline a promuovere l’instabilità della regione con una guerra.
La strategia militarista di conquista e occupazione è stata concepita per stabilire una presenza coloniale militare di lungo termine sotto la forma di basi militari strategiche con un significativo e permanente contingente di consiglieri militari coloniali e unità di combattimento. La brutale occupazione coloniale di uno stato laico e indipendente con una forte storia nazionale e un’infrastruttura avanzata, con un sofisticato apparato militare e di polizia, estesi servizi pubblici e un ampio grado di alfabetizzazione ha naturalmente portato alla crescita di un’ampia serie di militanti e movimenti armati che si oppongono all’occupazione. In risposta, i funzionari coloniali statunitensi, la CIA e le Agenzie di Intelligence della Difesa hanno messo a punto la strategia del “divide et impera” (la cosiddetta “soluzione El Salvador” in collaborazione con l’ex ambasciatore e direttore della National Intelligence americana, John Negroponte) fomentando conflitti armati su base settaria e promovendo omicidi interreligiosi per indebolire ogni sforzo indirizzato verso un movimento nazionalista e antimperialista unificato. Lo smantellamento della burocrazia civile e militare è stata progettata dai sionisti dell’amministrazione Bush per consolidare il potere di Israele nella regione e per favorire il sorgere di gruppi islamici militanti, che erano stati repressi dal deposto regime baathista di Saddam Hussein. Israele aveva già padroneggiato questo tipo di strategia in quanto sponsorizzò e finanziò gruppi militanti islamici settari, come Hamas, in opposizione alla laica Organizzazione per la Liberazione della Palestina e preparò il terreno per la lotta settaria tra i palestinesi.
L’esito delle politiche coloniali degli Stati Uniti è il finanziamento e la moltiplicazione di una vasta gamma di conflitti interni in modo che mullah, capi tribù, gangster politici, signori della guerra, squadroni della morte e gli espatri proliferassero. La “guerra di tutti contro tutti” ha servito gli interessi delle forze di occupazione Usa. L’Iraq è diventato un bacino di giovani disoccupati armati fra i quali reclutare un nuovo esercito mercenario. La “guerra civile” e il “conflitto etnico” hanno fornito un pretesto agli Stati Uniti e ai loro fantocci iracheni per scaricare centinaia di migliaia di soldati, poliziotti e funzionari del precedente regime (soprattutto se di famiglie sunnite, miste o laiche) e minare le basi per un impiego di tipo civile. Sotto la copertura di una generalizzata “guerra contro il terrorismo”, le forze speciali statunitensi e la CIA hanno diretto squadroni della morte che hanno seminato terrore nella società civile irachena, colpendo chiunque venisse sospettato di criticare il governo fantoccio - in particolare tra le classi istruite e professionali, proprio quegli iracheni maggiormente in grado di ricostruire una repubblica laica e indipendente.
La guerra in Iraq è stata condotta da un influente gruppo di ideologi neo-conservatori e neo-liberali con forti legami con Israele. Hanno visto il successo della guerra in Iraq (per successo intendevano lo smembramento totale del paese) come il primo tassello in una serie di guerre per “ri-colonizzare” il Medio Oriente (con le loro parole: “per ridisegnare la mappa”). Hanno mascherato la loro ideologia imperiale con la sottile patina di retorica sulla “promozione della democrazia” in Medio Oriente (escludendo, ovviamente, le politiche non-democratiche della loro “patria” Israele nei confronti dei palestinesi sottomessi). Assimilando le ambizioni egemoniche regionali israeliane con gli interessi imperiali degli Stati Uniti, i neo-conservatori e i loro compagni di viaggio neo-liberali nel Partito Democratico prima sostenevano il Presidente Bush e dopo il Presidente Obama nella loro escalation delle guerre contro Afghanistan e Pakistan. Hanno unanimemente sostenuto la feroce campagna di bombardamenti di Israele contro il Libano, gli attacchi aerei e di terra e il massacro di migliaia di civili intrappolati a Gaza, i bombardamenti degli impianti siriani e la grande pressione (di Israele) per un attacco preventivo su vasta scala contro l’Iran.
I sostenitori statunitensi delle guerre multiple e in successione in Medio Oriente e in Asia meridionale hanno ritenuto di poter scatenare tutta la forza del loro potere distruttivo di massa soltanto dopo essersi assicurati il controllo totale della loro prima vittima, l’Iraq. Erano certi che la resistenza irachena sarebbe crollata rapidamente dopo 13 anni di sanzioni brutali e riducenti alla fame imposte alla Repubblica da parte degli Stati Uniti e delle Nazioni Unite. Al fine di consolidare il controllo imperiale, i politici americani hanno deciso di ridurre al silenzio permanente tutti i civili iracheni dissidenti indipendenti. Si sono quindi indirizzati al finanziamento del clero sciita e degli assassini sunniti tribali, ingaggiando decine di migliaia di mercenari privati tra i signori della guerra peshmerga curdi per effettuare assassini selettivi di leader dei movimenti della società civile.
Gli Stati Uniti hanno creato e addestrato un esercito di 200.000 unità dell’esercito del fantoccio coloniale iracheno composto quasi interamente da sciiti, escludendo i militari esperti iracheni di estrazione laica sunnita o cristiana. Una conseguenza poco conosciuta della costituzione di questi squadroni della morte e dei fantocci iracheni addestrati e finanziati dagli americani è stata la virtuale distruzione dell’antica popolazione cristiana irachena che è stata deportata, le sue chiese bombardate e i suoi leader, vescovi e intellettuali, accademici e scienziati assassinati o costretti all’esilio. Gli Stati Uniti e i suoi consulenti israeliani sono stati ben consapevoli del fatto che i cristiani iracheni avevano svolto un ruolo fondamentale nello sviluppo storico dei movimenti laici, nazionalisti, anti-britannici/anti-monarchici e la loro eliminazione, come forza influente durante i primi anni di occupazione, non è stata casuale. Il risultato delle politiche statunitensi è stata l’eliminazione della maggior parte dei dirigenti e dei movimenti laici, democratici e antimperialisti e la presentazione della loro rete omicida di collaboratori “etnico-religiosi” come indiscussi “partner” nel sostenere una presenza coloniale americana di lungo termine in Iraq. Con i loro fantocci al potere, l’Iraq potrebbe fungere da piattaforma di lancio per la ricerca strategica di altri “domini”(Siria, Iran, Repubbliche dell’Asia centrale...).
La costante e sanguinosa epurazione dell’Iraq sotto occupazione ha causato l’uccisione di 1,3 milioni di civili iracheni nel corso dei primi 7 anni dopo l’invasione decisa da Bush nel marzo 2003. Fino a metà del 2009, l’invasione e l’occupazione dell’Iraq è ufficialmente costata al Tesoro americano oltre 666 miliardi di dollari. Questa spesa enorme ne testimonia la centralità all’interno della più larga strategia imperiale americana per l’intero Medio Oriente e per la regione dell’Asia Centro-Meridionale. La politica di Washington di politicizzazione e di militarizzazione delle differenze etnico-religiose, di armare e incoraggiare le rivalità tra i leader tribali religiosi ed etnici affinché si impegnino in salassi reciproci è servita a distruggere l’unità e la resistenza nazionale. La tattica del “divide et impera” e l’affidarsi a organizzazioni sociali e religiose retrograde, è la più comune e più conosciuta pratica di conquista e sottomissione di uno Stato unificato, nazionalista e sviluppato. Annientare lo Stato nazionale, distruggere la coscienza nazionale e incoraggiare primitive fedeltà etnico-religiose, feudali e regionali, ha richiesto l’eliminazione sistematica delle principali fonti della coscienza nazionale, della memoria storica e del pensiero laico e scientifico. Provocare l’odio etnico-religioso ha portato alla distruzione di matrimoni misti, di comunità e istituzioni miste con le loro antiche amicizie personali e legami professionali nei diversi contesti. L’eliminazione fisica di docenti accademici, scrittori, insegnanti, intellettuali, scienziati e professionisti, soprattutto medici, ingegneri, avvocati, giuristi e giornalisti, è stata decisiva per imporre le regole etnico-religiose allo stato di occupazione. Per stabilire una posizione dominante di lungo periodo e sostenere i governi clienti etnico-religiosi, l’intero edificio culturale preesistente, che aveva sostenuto uno Stato indipendente nazionale laico, è stato fisicamente distrutto dagli Stati Uniti e dai loro fantocci iracheni. Ciò ha incluso la distruzione delle biblioteche, degli uffici per il censimento e degli archivi di tutti i documenti catastali e giudiziari, i servizi sanitari, i laboratori, le scuole, i centri culturali, le strutture mediche e, soprattutto, l’intera classe sociale dei professionisti scientifico-letterario-umanistici. Centinaia di migliaia di professionisti iracheni con le loro famiglie sono stati cacciati dal terrore verso un esilio interno ed esterno. Tutti i finanziamenti alle istituzioni nazionali, laiche, scientifiche ed educative sono stati tagliati. Gli squadroni della morte hanno praticato l’assassinio sistematico di migliaia di accademici e professionisti sospettati del minimo dissenso, del più lieve sentimento nazionale; chiunque possedesse le minime capacità di ricostruzione della repubblica venne bollato.
La distruzione di una civiltà araba moderna
L’Iraq indipendente e laico possedeva il più avanzato sistema scientifico-culturale del mondo arabo, nonostante il carattere repressivo e poliziesco del governo di Saddam Hussein. C’era un sistema di assistenza sanitaria nazionale, di istruzione pubblica universale e servizi di welfare generosi, combinati con livelli di parità tra i sessi senza precedenti. Questo ha contrassegnato il carattere avanzato della società civiltà irachena alla fine del XX secolo. La separazione tra Stato e Chiesa e la rigorosa tutela delle minoranze religiose (cristiani, assiri ed altri) in netto contrasto con quanto provocato dall’occupazione degli Stati Uniti e la loro distruzione delle strutture governative e civili irachene. Il duro dominio dittatoriale di Saddam Hussein ha pertanto diretto una civiltà evoluta moderna in cui il lavoro scientifico avanzato è andato di pari passo con una forte identità nazionale e antimperialista. Ciò si è espresso soprattutto nella solidarietà del popolo e del regime iracheno per le sofferenze del popolo palestinese sotto il dominio e l’occupazione israeliana.
Un mero “cambio di regime”non poteva estirpare questa cultura laica e repubblicana profondamente radicata e avanzata in Iraq. I pianificatori di guerra statunitensi ed i loro consulenti israeliani erano ben consapevoli del fatto che l’occupazione coloniale avrebbe fatto aumentare la coscienza nazionale irachena a meno che la nazione laica non fosse stata distrutta e, da qui, l’ assunto imperiale di sradicare e distruggere i detentori della coscienza nazionale e di eliminare fisicamente gli istruiti, i dotati, gli scienziati, ovvero gli elementi maggiormente laici della società irachena. La regressione è diventata per gli Stati Uniti lo strumento principale per imporre i loro fantocci coloniali, con le loro primitive lealtà “pre-nazionali”, al potere in una Baghdad culturalmente purgata e spogliata dei suoi strati sociali più sofisticati e nazionalistici. Secondo il Centro studi Al-Ahram del Cairo, più di 310 scienziati iracheni sono stati eliminati nel corso dei primi 18 mesi di occupazione - una cifra che il Ministero per l’Educazione iracheno non ha contestato.
Un altro rapporto denuncia l’uccisione di oltre 340 intellettuali e scienziati tra il 2005 e il 2007. I bombardamenti degli istituti di istruzione superiore hanno spinto in basso le iscrizioni fino al 30% rispetto alle cifre pre-invasione. In un attentato nel gennaio 2007 alla Baghdad Mustansiriya University, 70 studenti sono stati uccisi con centinaia di feriti. Queste cifre hanno costretto l’UNESCO ad avvertire che il sistema universitario in Iraq era sull’orlo del collasso. Il numero di autorevoli scienziati e professionisti iracheni che hanno lasciato il paese si avvicina a 20.000. Dei 6.700 professori universitari iracheni fuggiti dal paese dal 2003, il Los Angeles Times ha riferito che all’ottobre 2008 solo in 150 erano tornati. Nonostante le assicurazioni statunitensi di un miglioramento della sicurezza, il 2008 è stato contrassegnato da numerosi omicidi, tra cui l’unico neurochirurgo di Bassora, la seconda più grande città irachena, il cui corpo è stato gettato nelle strade della città.
I dati approssimativi su accademici, scienziati e professionisti iracheni assassinati da Stati Uniti e forze di occupazione alleate, e dalle milizie e forze oscure che essi controllano, sono tratti da un elenco pubblicato dal Pakistan Daily News (www.daily.pk) il 26 novembre 2008. Questa lista costituisce una lettura molto scomoda della realtà dell’eliminazione sistematica degli intellettuali in Iraq sotto il tritacarne dell’occupazione statunitense.
Le uccisioni
L’eliminazione fisica di un individuo tramite l’assassinio è una forma estrema di terrorismo, che ha effetti di ampia portata in tutta la comunità da cui proviene l’individuo - in questo caso il mondo degli intellettuali iracheni, gli accademici, i professionisti e i leader creativi nel campo artistico e scientifico. Per ogni intellettuale iracheno ucciso, migliaia di iracheni istruiti sono fuggiti dal paese o hanno abbandonato il loro lavoro per un’attività più sicura e meno vulnerabile.
Baghdad era considerata la “Parigi” del mondo arabo, in termini di cultura e arte, di scienza e istruzione. Negli anni ‘70 e ‘80, le sue università erano l’invidia del mondo arabo. La campagna statunitense “shock and awe” [colpisci e terrorizza] piovuta su Baghdad ha suscitato emozioni simili ad un bombardamento aereo del Louvre, della Sorbona e delle biblioteche più grandi d’Europa. L’Università di Baghdad era fra le più prestigiose e produttive nel mondo arabo. Molti dei suoi accademici erano in possesso di un dottorato ed impegnati in studi post-dottorato all’estero presso prestigiose istituzioni. Ha formato e laureato molti dei migliori professionisti e scienziati del Medio Oriente.
Anche sotto la morsa mortale delle sanzioni economiche imposte da Stati Uniti e Nazioni Unite che hanno affamato l’Iraq nei 13 anni precedenti l’invasione del marzo 2003, migliaia di giovani laureati e professionisti vennero in Iraq per la formazione post-laurea. Giovani medici provenienti da tutto il mondo arabo hanno ricevuto una formazione medica avanzata nei suoi istituti. Molti dei suoi accademici hanno presentato lavori scientifici alle principali conferenze internazionali e pubblicato su riviste prestigiose. Più importante ancora, l’Università di Baghdad ha formato e mantenuto una cultura scientifica laica altamente rispettata, scevra da discriminazioni settarie - con docenti accademici di tutte le provenienze etniche e religiose.
Questo mondo è stato ridotto per sempre in frantumi: sotto l’occupazione americana, fino a novembre 2008, 83 docenti e ricercatori che insegnavano all’Università di Baghdad sono stati uccisi e diverse migliaia di loro colleghi, studenti e familiari sono stati costretti a fuggire.
La selezione in base alla disciplina insegnata dei docenti assassinati
Nel novembre 2008 un articolo pubblicato dal Pakistan Daily News elencava i nomi di un totale di 154 prestigiosi docenti accademici di Baghdad, rinomati nel loro campo, assassinati. Complessivamente, un totale di 281 ben noti intellettuali che insegnavano nelle università in Iraq sono caduti vittima degli “squadroni della morte” sotto l’occupazione statunitense.
Prima dell’occupazione, l’Università di Baghdad possedeva, per ricerca e insegnamento, la migliore Facoltà di medicina in tutto il Medio Oriente, che attraeva centinaia di giovani medici per la formazione avanzata.
Tale programma è stato devastato durante l’ascesa del regime degli squadroni della morte Usa, con poche prospettive di recupero. Di quelli uccisi, il 25% (21) erano i professori e docenti più anziani della Facoltà di medicina dell’Università di Baghdad, la percentuale più alta di qualsiasi facoltà. La seconda percentuale più alta per professori e ricercatori massacrati è la Facoltà di ingegneria (12), seguita dai migliori accademici delle discipline umanistiche (10), scienze fisiche e sociali (8 ciascuna), e quelle educative (5). I restanti migliori docenti assassinati all’Università di Baghdad sono suddivisi tra le facoltà di agraria, economia, scienze motorie, della comunicazione e degli studi religiosi.
In tre altre università di Baghdad, 53 docenti di alto livello sono stati massacrati, di cui 10 nella Facoltà delle scienze sociali, 7 in giurisprudenza, 6 ciascuno in quella di medicina e scienze umane, 9 in quella di fisica, 5 in ingegneria. Il Segretario della Difesa Rumsfeld, il 20 agosto 2002 in una battuta prima dell’invasione diceva "... si deve supporre che essi (i ricercatori) non stiano giocando al ’Gioco delle pulci’ (un gioco da bambini)", affermazione che giustifica la sanguinosa purga degli scienziati iracheni nei campi della fisica e chimica. Un inquietante segnale del macello accademico che sarebbe seguito all’invasione.
Analoghe sanguinose purghe di accademici si sono verificate in tutte le università della provincia: 127 anziani accademici e ricercatori sono stati assassinati in diverse rinomate università a Mosul, Kirkuk, Bassora e altrove. Le università di provincia con il maggior numero di elementi di spicco uccisi sono state nelle città dove i militari statunitensi, britannici e i mercenari curdi loro alleati erano più attivi: a Bassora (35), Mosul (35), Diyala (15) e Al-Anbar (11).
L’esercito iracheno e gli squadroni della morte suoi alleati hanno effettuato la maggior parte delle uccisioni di accademici nelle città sotto controllo USA o degli “alleati”. L’uccisione sistematica di docenti accademici è avvenuta secondo un piano, su scala nazionale, interdisciplinare, per distruggere le basi culturali ed educative di una civiltà araba moderna. Gli squadroni della morte che hanno effettuano la maggior parte di questi omicidi erano gruppi etnico-religiosi primitivi, pre-moderni, “sciolti” o strumentalizzati dagli strateghi militari americani per spazzare via ogni intellettuale e specialista politicamente consapevole e con sentimenti nazionali, che avrebbero potuto perseguire un programma per la ricostruzione di una moderna, laica e indipendente repubblica unitaria.
Nel tentativo angoscioso di impedire l’invasione degli Stati Uniti, la Direzione nazionale irachena di controllo il 7 dicembre 2002 fornì un elenco alle Nazioni Unite che individuava oltre 500 fra i principali scienziati iracheni. Ci sono pochi dubbi che questo elenco sia diventato un elemento fondamentale nell’elenco predisposto dai militari americani per eliminare l’élite scientifica in Iraq. Nel suo famoso intervento alle Nazioni Unite che precedette l’invasione, il Segretario di Stato Colin Powell citò un elenco di oltre 3.500 scienziati e tecnici iracheni che avrebbero dovuto essere “accolti” per impedire che la loro esperienza venisse utilizzata da altri paesi. Gli Stati Uniti avevano addirittura predisposto uno stanziamento di centinaia di milioni di dollari, prelevati dal denaro iracheno di “Oil for Food” in possesso delle Nazioni Unite per promuovere programmi di “ri-educazione civile” per riqualificare gli scienziati e gli ingegneri iracheni. Questi programmi fortemente propagandati non sono mai stati attuati seriamente. Divennero evidenti modi meno costosi di contenimento di quello che un esperto di politica americana ha definito “eccesso di scienziati, ingegneri e tecnici” dell’Iraq (RANSAC Policy Update Aprile 2004). Gli Stati Uniti avevano deciso di adottare ed espandere su scala industriale un’operazione segreta del Mossad israeliano volta ad assassinare gli scienziati chiave iracheni selezionati.
Le campagne “Surge” e “Peak Assassination”: 2006-2007
L’ondata di terrore contro i docenti accademici coincide con il rinnovo dell’offensiva militare statunitense a Baghdad e nelle province. Del numero complessivo di omicidi fra gli accademici di Baghdad per i quali il dato è conosciuto (110 noti intellettuali trucidati), quasi l’80% (87) si è verificato nel 2006 e 2007. Una proporzione simile si ha per le province, con il 77% su un totale di 84 studiosi uccisi al di fuori della capitale durante lo stesso periodo. Lo schema è chiaro: il tasso di omicidi tra gli accademici cresce in concomitanza all’organizzazione da parte delle forze di occupazione di un esercito mercenario iracheno e delle forze di polizia e alla fornitura di denaro per la formazione e il reclutamento di uomini e milizie di tribù rivali sciite e sunnite come mezzo per ridurre le vittime americane e per liberarsi di potenziali dissidenti critici verso l’occupazione.
La campagna di terrore contro il mondo accademico ha registrato un’intensificazione a metà del 2005 ed ha raggiunto il suo picco nel biennio 2006-2007, causando una fuga di massa all’estero di decine di migliaia di studiosi, scienziati, professionisti iracheni e delle loro famiglie. L’intera facoltà di medicina si è rifugiata in Siria e altrove. Chi non poteva permettersi di abbandonare i genitori anziani o i parenti, rimanendo in Iraq, ha adottato misure straordinarie per celare la propria identità. Alcuni hanno scelto di collaborare con le forze di occupazione o con il regime fantoccio nella speranza di essere protetti o di ottenere il permesso di emigrare con la famiglia negli Stati Uniti o in Europa, anche se gli europei, soprattutto gli inglesi, sono poco inclini ad accettare studiosi iracheni. Dopo il 2008, c’è stato un netto calo degli omicidi nel mondo accademico - con soli 4 assassinati l’anno. Questo riflette la fuga in massa degli intellettuali iracheni che ora vivono all’estero o in clandestinità piuttosto che un cambiamento di politica da parte degli Stati Uniti e dei suoi fantocci mercenari. Di conseguenza, le strutture di ricerca irachene sono state devastate. Le vite di chi è rimasto fra il personale docente, compresi tecnici, bibliotecari e studenti sono state devastate, con poche prospettive di lavoro per il futuro.
La guerra e l’occupazione statunitense dell’Iraq, come i Presidenti Bush e Obama hanno dichiarato, è un “successo” - una nazione indipendente di 23 milioni di cittadini è stata occupata con la forza, un regime fantoccio vi è stato impiantato, truppe mercenarie coloniali obbediscono ad ufficiali americani ed i campi petroliferi sono stati messi in vendita. Tutte le leggi nazionali irachene che proteggevano il suo patrimonio, i suoi tesori culturali e risorse nazionali sono state annullate. Gli occupanti hanno imposto una “costituzione” favorevole all’impero degli Stati Uniti. Israele ed i suoi lacchè sionisti nelle amministrazioni di Bush e Obama celebrano la scomparsa di un avversario moderno... e la trasformazione dell’Iraq in un deserto politico-culturale. In linea con un presunto accordo presentato dal Dipartimento di Stato americano e dal Pentagono ai collezionisti influenti del Consiglio Americano per la Politica Culturale nel gennaio 2003, i tesori depredati dell’antica Mesopotamia hanno “trovato” la loro strada nelle collezioni delle élite di Londra, New York e altrove. I collezionisti possono ora anticipare il saccheggio dell’Iran.
Avvertimento per l’Iran
L’invasione, l’occupazione e la distruzione di una moderna civiltà scientifico-culturale, come esisteva in Iraq, è un preludio di ciò che il popolo iraniano può aspettarsi se e quando un attacco militare USA-Israele si verificasse. La minaccia imperiale alle basi culturali e scientifiche della nazione iraniana è stata del tutto assente dal resoconto sulle manifestazioni di protesta dei benestanti studenti iraniani e delle loro ONG di matrice americana nella “Rivoluzione dei rossetti” post elettorale. Essi dovrebbero tenere a mente che nel 2004, gli istruiti ed i sofisticati iracheni di Baghdad si consolavano con un fatalmente errato ottimismo dicendo “almeno non siamo come l’Afghanistan”. Le stesse élite sono ora negli squallidi campi profughi in Siria e in Giordania e il loro paese è quello più simile all’Afghanistan rispetto ad ogni altro in Medio Oriente. La raggelante promessa del presidente Bush nell’aprile 2003, di trasformare l’Iraq nell’immagine del “nostro appena liberato Afghanistan” è stata mantenuta. E le indicazioni che i consiglieri dell’amministrazione USA hanno riesaminato la politica del Mossad israeliano di assassinio selettivo degli scienziati iraniani, dovrebbe portare gli intellettuali liberali filo-occidentali di Teheran a riflettere seriamente sulla lezione impartita dalla campagna omicida che ha praticamente eliminato gli scienziati e i docenti accademici iracheni nel corso del 2006 - 2007.
Conclusione
Che cosa hanno da guadagnare gli Stati Uniti (e la Gran Bretagna e Israele) nello stabilire in Iraq un regime retrogrado protetto, su basi etnico-clericali e strutture socio-politiche medievali? In primo luogo, l’Iraq è diventato un avamposto per l’impero. In secondo luogo, si tratta di una regime debole e incapace di impegnare Israele sul piano del predominio economico e militare nella regione e senza la volontà di mettere in discussione la pulizia etnica in corso degli arabi nativi palestinesi da Gerusalemme, Cisgiordania e Gaza. Terzo, la distruzione delle istituzioni scientifiche, accademiche, culturali e giuridiche di uno Stato indipendente significa accrescere la dipendenza dalle corporazioni multinazionali occidentale e le loro infrastrutture tecniche – favorendo la penetrazione economica imperiale e lo sfruttamento.
Alla metà del XIX secolo, dopo le rivoluzioni del 1848, il sociologo francese conservatore Emil Durkheim riconosceva che la borghesia europea si era confrontata con un conflitto di classe in aumento e una sempre più anticapitalista classe operaia. Durkheim osservava che, qualunque fossero i suoi dubbi filosofici circa la religione e il clericalismo, la borghesia avrebbe dovuto utilizzare i miti della religione tradizionale per “creare” coesione sociale e tagliare dal basso la polarizzazione di classe. Egli ha invitato l’istruita e sofisticata classe capitalista parigina a rinunciare al suo rifiuto del dogma religioso oscurantista a favore di una religione strumentale in funzione del mantenimento del suo predominio politico. Allo stesso modo, gli strateghi degli Stati Uniti, tra i quali i sionisti del Pentagono, hanno strumentalizzato i mullah tribali, le forze etnico-religiose per distruggere la leadership politica nazionale laica e la cultura avanzata dell’Iraq, al fine di consolidare il dominio imperiale - anche se questa strategia ha richiesto l’eliminazione delle classi scientifiche e professionali. Il regime imperiale contemporaneo degli Stati Uniti è basato sul sostegno ai settori socialmente e politicamente più arretrati della società e l’applicazione delle più avanzate tecnologie di guerra.
Consiglieri israeliani hanno svolto un ruolo importante nell’addestrare le forze di occupazione USA in Iraq sulle pratiche di contro-guerriglia urbana e di repressione dei civili, sfruttando i loro 60 anni di esperienza. Il massacro di centinaia di famiglie palestinesi a Deir Yasin, nel 1948, è stato l’emblema della eliminazione sionista di centinaia di villaggi agricoli produttivi, che erano stati abitati per secoli da un popolo nativo con la sua civiltà autoctona e suoi legami culturali con la terra, al fine di imporre un nuovo ordine coloniale. La politica di sradicamento totale dei palestinesi è un punto centrale nei consigli di Israele ai politici americani per l’Iraq. Il suo messaggio è stato fatto arrivare dai suoi accoliti sionisti nelle amministrazioni Bush e Obama, ordinando lo smembramento di tutta la moderna burocrazia civile e statale irachena e usando squadroni della morte pre-moderni e tribali composti da curdi ed estremisti sciiti per eliminare le moderne università e gli istituti di ricerca di questa nazione a pezzi.
La conquista imperiale degli Stati Uniti in Iraq è costruita sulla distruzione di una repubblica laica moderna. Il deserto culturale che rimane (un biblico “deserto spaventoso” intriso del sangue dei preziosi studiosi dell’Iraq) è controllato da mega-truffatori, mercenari criminali che si presentano come “funzionari iracheni”, personaggi tribali illetterati e figure religiose medievali. Essi operano sotto la guida e la direzione dei laureati di West Point che tracciano “schemi per l’impero”, formulati dai laureati di Princeton, Harvard, Johns Hopkins, Yale e Chicago, desiderosi di servire gli interessi delle corporazioni multinazionali americane ed europee.
Questo si chiama “sviluppo combinato e diseguale”: Il matrimonio dei mullah fondamentalisti con i sionisti della Ivy League [le otto più prestigiose università private degli USA, NdT] al servizio degli Stati Uniti.
James Petras
James Petras è professore emerito di Sociologia all’università Binghamton di New York. Intellettuale emblematico della sinistra americana, è autore di numerose opere. James Petras è membro della conferenza « anti-imperialista » Axis for Peace.
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Traduzione dall’inglese per el Centro di Cultura e Documentazione Popolare (Resistenze.org).
Iraq Le dimissioni dell’ammiraglio Fallon rilanciano le ostilità (...) Ero un assassino psicopatico L'occupazione USA in Iraq uccide 10.000 civili al mese o piu (...) Al-Qaeda in Iraq : Credere a George Bush o ai suoi generali (...)
CentCom : Controllo del "Grande Medio Oriente" Il Dipartimento di Stato degli USA estende la sua (...) Louis Massignon e i retroscena dell’orientalismo francese Hillary Clinton ammette che gli Stati Uniti hanno manipolato (...) Rafsanjani salutato al grido di "Morte alla Russia! Morte (...) Palestina, provincia d'Eurasia Iran : la balla dell’ « elezione rubata » La CIA e il laboratorio iraniano L’Amministrazione USA vuole fare del Pakistan uno Stato (...) La Rand Corporation raccomanda al Pentagono un dialogo (...) Intervista a Thierry Meyssan + + +
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Venerdi' 25 Settembre 2009
Le parole di Gheddafi
Non si capisce perché Ahmadinejad e Gheddafi debbano essere autorizzati a servirsi del proprio seggio all’Onu per minacciare e calunniare un altro Paese o per attaccare l’Onu stessa.
Perché per un simile comportamento non si viene sospesi dalle Nazioni Unite?
Angelo Ventura , | angeloventura@iol.it
Ho così scritto al signor Ventura ed al Corriere
^^^^^^^^^^^^^^^^^^^^^^^^^^^^^^^^^^^^^^^^^^^^^^^^^
Bisognerebbe espellere dall'ONU coloro che tengono prigioniero un popolo intero facendolo morire lentamente di fame di sete e di malattie e decimandolo con omicidi mirati.Parlo di Israele che sfrutta la Shoah per coprire i suoi crimini compreso quello disumano di tenere prigionieri oltre cinquecento bambini e di maltrattarli.
A fronte dei crimini dell'Occidente, responsabile della morte per bombardamenti e stragi di killers contractors di centinaia di migliaia di esseri umani e dei sommenzionati crimini di Israele Ahmadinejad e Gheddafi sono due persone molto perbene. In particolare il Presidente dell'Iran che ha subito
finora aggressioni ed è minacciato di morte atomica.
Pietro Ancona
Le parole di Gheddafi
Non si capisce perché Ahmadinejad e Gheddafi debbano essere autorizzati a servirsi del proprio seggio all’Onu per minacciare e calunniare un altro Paese o per attaccare l’Onu stessa.
Perché per un simile comportamento non si viene sospesi dalle Nazioni Unite?
Angelo Ventura , | angeloventura@iol.it
Ho così scritto al signor Ventura ed al Corriere
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Bisognerebbe espellere dall'ONU coloro che tengono prigioniero un popolo intero facendolo morire lentamente di fame di sete e di malattie e decimandolo con omicidi mirati.Parlo di Israele che sfrutta la Shoah per coprire i suoi crimini compreso quello disumano di tenere prigionieri oltre cinquecento bambini e di maltrattarli.
A fronte dei crimini dell'Occidente, responsabile della morte per bombardamenti e stragi di killers contractors di centinaia di migliaia di esseri umani e dei sommenzionati crimini di Israele Ahmadinejad e Gheddafi sono due persone molto perbene. In particolare il Presidente dell'Iran che ha subito
finora aggressioni ed è minacciato di morte atomica.
Pietro Ancona
giovedì 24 settembre 2009
un bambino, un berretto militare e il simbolo ( da Micromega)
Altrachiesa
Un bambino, un berretto militare e il simbolo
di Paolo Farinella, prete
Dicevano gli antichi che spesso il nome indica il destino di chi lo porta (Nomen Omen). Questa massima mi è venuta in mente mentre vedevo l’immagine di Simone, due anni, figlio di uno dei sei militari ucciso, in braccio a sua mamma. Stavano lì, in attesa del padre/marito morto. Simone, due anni, ignaro di quello che succedeva attorno a lui, era al suo posto, perché un bambino deve stare in braccio alla mamma. Solo una cosa era fuori luogo e, per me, costituisce il segno della perdita della ragione: il berretto da parà in testa a Simone.
Quella immagine è terribile perché proietta la pazzia degli adulti nel mondo e nell’immaginario dei bambini perché li usa per alimentare la commozione e condizionare il mondo infantile degli adulti. Quel berretto da parà in testa a Simone è un’ipoteca sul suo futuro perché lo trasforma in simbolo che continua la «missione» del padre. Crescendo ne resterà schiacciato e non potrà uscirne perché gli adulti irresponsabili lo hanno caricato di un compito che è la sua condanna.
Appena ne avrà la possibilità, Simone vorrà seguire le orme del padre e diventerà parà anche lui, anche perché avrà un canale privilegiato, una corsia preferenziale, in quanto orfano di un «eroe». Non lo farà per scelta, ma per dovere: per non tradire l’aspettativa del padre (lui immagina) e del mondo che da lui si aspetta l’unica scelta possibile per realizzare l’«incompiuta» paterna. Non è più Simone che deve trovare in sé la «sua» ragione di vita, ma è la morte del padre che gli impone chi e come deve essere.
Il vangelo di Giovanni, mettendo a confronto il Battista e Gesù, fa dire al primo: «Lui deve crescere; io, invece, diminuire» (Gv 3,30) che è la massima pedagogica che ogni educatore, maestro, genitore, ecc. dovrebbe avere come obiettivo: i figli non devono crescere secondo la nostra immagine, quasi sempre per realizzare le frustrazioni dei genitori. Essi devono vivere da sé per sé proiettati verso un ideale che compia la loro vita e coroni i loro sogni.
Camillo Sbarbaro, poeta genovese, al figlio che compiva diciotto anni scriveva: «ubbidirti a crescere è la mia vanità», quasi un anacoluto concettuale che esprime in modo magistrale l’ansia dell’adulto di essere «in ascolto» esistenziale del figlio per capirne la direzione di volo e per sostenerne la dinamica della «sua» vita.
A Simone, due anni, figlio di un parà ucciso, col berretto militare in testa, per la volontà macabra di una retorica di morte che trasforma in eroismo anche le scelte più indecenti, tutto questo sarà negato. In compenso il mondo avrà un disadattato in più che vivrà per conto terzi. Povero Simone! Ti auguro di ribellarti e di seppellire quel brutto berretto nella tomba con tuo padre. Tu meriti la vita. Null’altro. Caro Simone, da grande, se potrai, perdona gli adulti che lo hanno fatto apposta e corri verso il tuo «domani» che è diverso dal «ieri» che ti vogliono appioppare.
(21 settembre 2009)
Un bambino, un berretto militare e il simbolo
di Paolo Farinella, prete
Dicevano gli antichi che spesso il nome indica il destino di chi lo porta (Nomen Omen). Questa massima mi è venuta in mente mentre vedevo l’immagine di Simone, due anni, figlio di uno dei sei militari ucciso, in braccio a sua mamma. Stavano lì, in attesa del padre/marito morto. Simone, due anni, ignaro di quello che succedeva attorno a lui, era al suo posto, perché un bambino deve stare in braccio alla mamma. Solo una cosa era fuori luogo e, per me, costituisce il segno della perdita della ragione: il berretto da parà in testa a Simone.
Quella immagine è terribile perché proietta la pazzia degli adulti nel mondo e nell’immaginario dei bambini perché li usa per alimentare la commozione e condizionare il mondo infantile degli adulti. Quel berretto da parà in testa a Simone è un’ipoteca sul suo futuro perché lo trasforma in simbolo che continua la «missione» del padre. Crescendo ne resterà schiacciato e non potrà uscirne perché gli adulti irresponsabili lo hanno caricato di un compito che è la sua condanna.
Appena ne avrà la possibilità, Simone vorrà seguire le orme del padre e diventerà parà anche lui, anche perché avrà un canale privilegiato, una corsia preferenziale, in quanto orfano di un «eroe». Non lo farà per scelta, ma per dovere: per non tradire l’aspettativa del padre (lui immagina) e del mondo che da lui si aspetta l’unica scelta possibile per realizzare l’«incompiuta» paterna. Non è più Simone che deve trovare in sé la «sua» ragione di vita, ma è la morte del padre che gli impone chi e come deve essere.
Il vangelo di Giovanni, mettendo a confronto il Battista e Gesù, fa dire al primo: «Lui deve crescere; io, invece, diminuire» (Gv 3,30) che è la massima pedagogica che ogni educatore, maestro, genitore, ecc. dovrebbe avere come obiettivo: i figli non devono crescere secondo la nostra immagine, quasi sempre per realizzare le frustrazioni dei genitori. Essi devono vivere da sé per sé proiettati verso un ideale che compia la loro vita e coroni i loro sogni.
Camillo Sbarbaro, poeta genovese, al figlio che compiva diciotto anni scriveva: «ubbidirti a crescere è la mia vanità», quasi un anacoluto concettuale che esprime in modo magistrale l’ansia dell’adulto di essere «in ascolto» esistenziale del figlio per capirne la direzione di volo e per sostenerne la dinamica della «sua» vita.
A Simone, due anni, figlio di un parà ucciso, col berretto militare in testa, per la volontà macabra di una retorica di morte che trasforma in eroismo anche le scelte più indecenti, tutto questo sarà negato. In compenso il mondo avrà un disadattato in più che vivrà per conto terzi. Povero Simone! Ti auguro di ribellarti e di seppellire quel brutto berretto nella tomba con tuo padre. Tu meriti la vita. Null’altro. Caro Simone, da grande, se potrai, perdona gli adulti che lo hanno fatto apposta e corri verso il tuo «domani» che è diverso dal «ieri» che ti vogliono appioppare.
(21 settembre 2009)
parole e scopi all'ONU
PAROLE E SCOPI ALL'ONU
. Bel discorso di Obama all'Assemblea dell'ONU lodato da tutti e financo da Gheddafi. Obama ha parlato di pace suscitando speranze ed ammirazione generale ma tutti sappiamo che sta discutendo con i suoi generali se aumentare di ventimila o di quarantamila soldati il suo contingente in Afghanistan. A dargli manforte è intervenuto ieri il collaboratore di Bin Laden che, come una marionetta a corda, viene azionato ogni qualvolta gli USA hanno bisogno di suffragare la loro grottesca tesi sul terrorismo incombente. Una marionetta che calca la scena e scompare fino alla prossima "necessità" tattica di testimoniare l'esistenza del Diavolo. Obama avalla la tesi dei nemici di Ahmanidejad sui brogli delle elezioni iraniane denunziati da Mousavi ad urne appena aperte e non trova niente da dire sui brogli veri di Karzay certificati financo dalla Unione Europea. Le belle parole di Obama possono essere una luce per il mondo ma abbisognano di verifiche e intanto gli servono per incassare l'assenso della Russia e forse della Cina per un ulteriore isolamento dell'Iran che è lo scopo vero della sua suadente oratoria e dell'impegno a non installare basi missilistiche in Polonia e Cechia. L'obiettivo di Obama è mantenere il monopolio nucleare di Israele
sul Medio Oriente, un monopolio che permette le scorrerie criminali su Gaza o sul Libano senza temere ritorsioni. Certo se l'Iran avesse la sua bomba atomica forse i palestinesi non soffrirebbero il bantustan in cui sono prigionieri mentre le loro case a Gerusalemme e nei territori occupati vengono demolite, le loro terre confiscate, i loro alberi sdradicati, la loro classe dirigente decimata, i loro bambini tenuti in carcere. Ma l'Occidente non permetterà mai che l'Iran si doti di armi nucleari e nello stesso tempo non propone la pace che potrebbe essere aperta dalla denuclearizzazione di Israele. Il peggioramento della condizione imposta al popolo palestinese non interessa l'Occidente e neppure l'ONU. Inoltre nessuno tiene il conto dei massacri di civili e di resistenti in Iraq ed Afghanistan. L'ossessione di Obama e dei capi e capetti dell'Occidente è
l'Iran che viene schernita come Nazione con il costante vilipendio del suo Presidente.
Oggetto di scherno dei pennivendoli di tutto l'Occidente a cominciare dagli opinionisti americani è anche Gheddafi che inanzitutto viene disprezzato per essere un tiranno. Sicuramente Gheddafi è a capo di
un regime autoritario che comunque non è assai diverso di quello dell'Arabia Saudita o degli emirati arabi che godono la benevolenza delle "democrazie" occidentali. Gli USA che si proclamano democratici hanno dato vita a violazioni dei diritti umani che non sono diversi da quelli di Gheddafi
con la tortura o l'arresto senza spiegazioni . Ricordiamo Guantanamo e la Patriot Act. Inoltre il comportamento di un agente di polizia americana non è tanto diverso da quello di un poliziotto di Gheddafi. Gli USA sono una democrazia soltanto
per le classi medie e medioalte e bisognerebbe riflettere a fondo su una nazione ricchissima che spende seicento miliardi di dollari l'anno per la guerra e non trova modo di assicurare l'assistenza sanitaria ai suoi cittadini. L'ideologia capitalistica domina i suoi comportamenti sociali.La sua guerra ai poveri del mondo comincia dai suoi cittadini meno fortunati.
Tutte le cose che Gheddafi da detto sull'ONU e sull'Europa hanno un fondamento di verità che non può essere ignorato. E' giusta la richiesta di una profonda riforma dell'ONU a cominciare dalla sua emancipazione dalla tutela territoriale nordamericana e dalla abrogazione del diritto di veto riservato a cinque solo potenze. E' necessaria una rifondazione delle Nazioni Unite che recuperi autorevolezza e prestigio dall'esercizio con giustizia delle sue funzioni e da una radicale moralizzazione delle sue agenzie popolate da funzionari-nababbi capaci di nascondere dietro una propaganda ingannatrice il vuoto o l'intrallazzo. Sarebbe interessante verificare sul campo uno dei programmi dell'Unicef o di altre ben pasciute o foraggiate attività.
Queste richieste per la pace nel mondo e per la riforma dell'ONU vengono da un personaggio di una piccola nazione che viene ridicolizzato per le sue stravaganze o aborrito per il suo "terrorismo" fino al punto di essere stato bombardato nella sua tenda da Reagan. L'opinione pubblica viene invitata a non tener conto delle sue rivendicazioni.
E' molto triste constatare come le grandi democrazie occidentali non siamo in grado di presentare una sola proposta e sono brave soltanto a tenere il sacco agli USA ed a Israele senza nulla obiettare sullo scandalo umanitario di Gaza, sulle continue minacce al popolo iraniano e sui bombardamenti e
l'occupazione militare dell'Iraq e dell'Afghanistan.
Le uniche voci dissonanti nella palude di ipocrisia e di cinismo che ricopre l'assemblea dell'ONU sono state quelle di Gheddafi e di Ahmanidejad. Hanno detto cose alle quali si risponde con lo scherno e con omertà mafiose.
Pietro Ancona
http://medioevosociale-pietro.blogspot.com/
www.spazioamico.it
. Bel discorso di Obama all'Assemblea dell'ONU lodato da tutti e financo da Gheddafi. Obama ha parlato di pace suscitando speranze ed ammirazione generale ma tutti sappiamo che sta discutendo con i suoi generali se aumentare di ventimila o di quarantamila soldati il suo contingente in Afghanistan. A dargli manforte è intervenuto ieri il collaboratore di Bin Laden che, come una marionetta a corda, viene azionato ogni qualvolta gli USA hanno bisogno di suffragare la loro grottesca tesi sul terrorismo incombente. Una marionetta che calca la scena e scompare fino alla prossima "necessità" tattica di testimoniare l'esistenza del Diavolo. Obama avalla la tesi dei nemici di Ahmanidejad sui brogli delle elezioni iraniane denunziati da Mousavi ad urne appena aperte e non trova niente da dire sui brogli veri di Karzay certificati financo dalla Unione Europea. Le belle parole di Obama possono essere una luce per il mondo ma abbisognano di verifiche e intanto gli servono per incassare l'assenso della Russia e forse della Cina per un ulteriore isolamento dell'Iran che è lo scopo vero della sua suadente oratoria e dell'impegno a non installare basi missilistiche in Polonia e Cechia. L'obiettivo di Obama è mantenere il monopolio nucleare di Israele
sul Medio Oriente, un monopolio che permette le scorrerie criminali su Gaza o sul Libano senza temere ritorsioni. Certo se l'Iran avesse la sua bomba atomica forse i palestinesi non soffrirebbero il bantustan in cui sono prigionieri mentre le loro case a Gerusalemme e nei territori occupati vengono demolite, le loro terre confiscate, i loro alberi sdradicati, la loro classe dirigente decimata, i loro bambini tenuti in carcere. Ma l'Occidente non permetterà mai che l'Iran si doti di armi nucleari e nello stesso tempo non propone la pace che potrebbe essere aperta dalla denuclearizzazione di Israele. Il peggioramento della condizione imposta al popolo palestinese non interessa l'Occidente e neppure l'ONU. Inoltre nessuno tiene il conto dei massacri di civili e di resistenti in Iraq ed Afghanistan. L'ossessione di Obama e dei capi e capetti dell'Occidente è
l'Iran che viene schernita come Nazione con il costante vilipendio del suo Presidente.
Oggetto di scherno dei pennivendoli di tutto l'Occidente a cominciare dagli opinionisti americani è anche Gheddafi che inanzitutto viene disprezzato per essere un tiranno. Sicuramente Gheddafi è a capo di
un regime autoritario che comunque non è assai diverso di quello dell'Arabia Saudita o degli emirati arabi che godono la benevolenza delle "democrazie" occidentali. Gli USA che si proclamano democratici hanno dato vita a violazioni dei diritti umani che non sono diversi da quelli di Gheddafi
con la tortura o l'arresto senza spiegazioni . Ricordiamo Guantanamo e la Patriot Act. Inoltre il comportamento di un agente di polizia americana non è tanto diverso da quello di un poliziotto di Gheddafi. Gli USA sono una democrazia soltanto
per le classi medie e medioalte e bisognerebbe riflettere a fondo su una nazione ricchissima che spende seicento miliardi di dollari l'anno per la guerra e non trova modo di assicurare l'assistenza sanitaria ai suoi cittadini. L'ideologia capitalistica domina i suoi comportamenti sociali.La sua guerra ai poveri del mondo comincia dai suoi cittadini meno fortunati.
Tutte le cose che Gheddafi da detto sull'ONU e sull'Europa hanno un fondamento di verità che non può essere ignorato. E' giusta la richiesta di una profonda riforma dell'ONU a cominciare dalla sua emancipazione dalla tutela territoriale nordamericana e dalla abrogazione del diritto di veto riservato a cinque solo potenze. E' necessaria una rifondazione delle Nazioni Unite che recuperi autorevolezza e prestigio dall'esercizio con giustizia delle sue funzioni e da una radicale moralizzazione delle sue agenzie popolate da funzionari-nababbi capaci di nascondere dietro una propaganda ingannatrice il vuoto o l'intrallazzo. Sarebbe interessante verificare sul campo uno dei programmi dell'Unicef o di altre ben pasciute o foraggiate attività.
Queste richieste per la pace nel mondo e per la riforma dell'ONU vengono da un personaggio di una piccola nazione che viene ridicolizzato per le sue stravaganze o aborrito per il suo "terrorismo" fino al punto di essere stato bombardato nella sua tenda da Reagan. L'opinione pubblica viene invitata a non tener conto delle sue rivendicazioni.
E' molto triste constatare come le grandi democrazie occidentali non siamo in grado di presentare una sola proposta e sono brave soltanto a tenere il sacco agli USA ed a Israele senza nulla obiettare sullo scandalo umanitario di Gaza, sulle continue minacce al popolo iraniano e sui bombardamenti e
l'occupazione militare dell'Iraq e dell'Afghanistan.
Le uniche voci dissonanti nella palude di ipocrisia e di cinismo che ricopre l'assemblea dell'ONU sono state quelle di Gheddafi e di Ahmanidejad. Hanno detto cose alle quali si risponde con lo scherno e con omertà mafiose.
Pietro Ancona
http://medioevosociale-pietro.blogspot.com/
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mercoledì 23 settembre 2009
un popolo di troppo. Interviste a Jeff Halper
I Palestinesi, un popolo di troppo – Intervista a Jeff Halper (prima parte)
Scritto da Lorenzo Galbiati
giovedì 17 settembre 2009
Jeff Halper, ebreo israeliano di origine statunitense (è nato nel Minnesota
nel 1946), è urbanista e antropologo, e insegna all’Università Ben Gurion
del Negev. In Israele ha fondato nel 1997 l’ICAHD, Israeli Committee Against
House Demolitions (www.icahd.org), associazione di persone che per vie
legali e con la disobbedienza civile si oppongono alla demolizione delle
case palestinesi, e che forniscono supporto economico e materiale per la
loro ricostruzione. Per questa attività, e per il suo attivismo pacifista,
Halper è stato arrestato dal governo israeliano una decina di volte, ed è
ora considerato uno dei più autorevoli attivisti israeliani per la pace e i
diritti civili. In questi giorni Halper è in Italia per un giro di
conferenze e per promuovere il suo libro Ostacoli alla pace (Edizioni “Una
città”). Il programma delle sue conferenze è consultabile su:
www.unacitta.it . Oltre alle sue attività accademiche e per l’ICAHD, Halper
scrive libri ed è un conferenziere internazionale. Nel 2006 è stato
candidato al Premio Nobel per la Pace dall’ American Friends Service
Committe. Nell’agosto del 2008 Halper ha partecipato alla spedizione per
Gaza del Free Gaza Movement: la spedizione era costituita da un gruppo
internazionale di attivisti dei diritti umani, tra i quali l’italiano
Vittorio Arrigoni, e ha raggiunto Gaza a bordo di un peschereccio partito da
Cipro, rompendo così per la prima volta l’embargo marittimo imposto da
Israele alla Striscia di Gaza.
Tu sei un cittadino dello “stato ebraico” di Israele, uno stato fortemente
voluto nel Novecento dal movimento sionista e ottenuto dopo 50 anni di
grande emigrazione degli ebrei europei nel 1948, sulla spinta della fine
della Seconda guerra mondiale e del terribile crimine della Shoah. Che cos’è
per te oggi, concretamente, il sionismo?
«Il sionismo fu un movimento nazionale che ebbe un senso in un determinato
tempo e luogo. Mentre i popoli d’Europa cercavano un’identità come nazioni
rivendicando i loro diritti all’autodeterminazione, allo stesso modo si
comportavano gli ebrei, considerati all’epoca dalle nazioni d’Europa stesse
un popolo separato. Tuttavia, due problemi trasformarono il sionismo in un
movimento coloniale che oggi non può più essere sostenuto. Innanzitutto, il
sionismo adottò una forma di nazionalismo tribale, influenzato dal
pan-slavismo russo e dal pan-germanismo del centro Europa, culture dominanti
nei territori dove la maggior parte degli ebrei vivevano in Europa,
rivendicando la terra d’Israele fra il Mediterraneo e il fiume Giordano come
fosse un diritto esclusivamente ebraico. Questo creò i presupposti per un
inevitabile conflitto con i popoli indigeni, quelli della comunità araba
palestinese, che ovviamente rivendicavano un proprio Paese dopo la partenza
dei britannici. Se il sionismo avesse riconosciuto l’esistenza di un altro
popolo nel territorio, “alloggiare” tutti in una sorta di stato bi-nazionale
sarebbe stato ancora possibile. Ma pretendere la proprietà esclusiva,
pretesa che anche oggi sussiste dai sionisti e da Israele, rende non
fattibile uno stato “ebraico”. Il secondo problema fu che il paese non era
disabitato. Una proprietà esclusiva del territorio avrebbe potuto funzionare
se fosse stato completamente privo di abitanti. Ma visto che la popolazione
palestinese esisteva ed era in effetti in maggioranza, cosa che sta
avvenendo anche oggi, una realtà bi-nazionale esisteva già allora e doveva
essere gestita come tale».
* * *
Molti anni fa tu ti sei trasferito dagli USA in Israele: è stata una scelta
dovuta a motivi contingenti, personali, o spinta da una motivazione
ideologica?
«Sono cresciuto negli Stati Uniti negli anni ’60. Sono sempre stato
coinvolto nelle attività politiche della sinistra (o perlomeno la nuova
sinistra): i movimenti per i diritti civili di Martin Luther King, il
movimento contro la guerra in Vietnam ecc. Dunque, dopo il 1967 sono
diventato critico dell’occupazione d’Israele (Israele non fu mai un
argomento politico di grande rilievo prima di quel momento). Ma gli anni ‘60
furono anche un periodo in cui molti di noi cittadini americani bianchi di
classe media rifiutavamo il materialismo americano e la conseguente
superficialità della sua cultura, cercando significati più profondi
attraverso la ricerca delle nostre radici etniche. Man mano che divenivo più
distaccato dalla cultura americana, la mia identità di ebreo diventò
centrale – ma in senso culturale e viscerale, non religioso. Ho viaggiato
attraverso Israele nel 1966, mentre ero in transito per andare ad effettuare
delle ricerche in Etiopia, e il paese mi “parlò”. Provai un senso di
appartenenza che risultò soddisfacente alla mia ricerca di un’identità, pur
restando conscio a livello politico dell’occupazione, a cui mi opponevo.
Quando mi sono trasferito in Israele nel 1973, mi sono immediatamente unito
ai movimenti pacifisti di sinistra. Le mie vedute negli anni sono cambiate
coi tempi e le circostanze. Ormai non sono più un sostenitore della
soluzione dei due stati, visto che non ritengo che Israele sia realizzabile
come stato “ebraico”, sostenendo al contrario la soluzione dello stato
bi-nazionale. Però credo ancora che gli ebrei abbiano legittimamente diritto
a un posto in Israele/Palestina, anche come entità nazionale. Non siamo
stranieri in questa terra e non accetto la nozione che il sionismo sia
semplicemente un movimento coloniale europeo (sebbene si sia effettivamente
comportato come tale)».
* * *
In Europa, e segnatamente in Italia, sta passando l’equazione antisionismo
uguale antisemitismo; infatti, il nostro presidente Napolitano durante la
Giornata della Memoria del 2007 ha detto che va combattuta ogni forma di
antisemitismo, anche quando si traveste da antisionismo, e qualche mese fa,
il presidente della Camera Fini ha detto in tivù, di fronte all’accondiscendente
presidente della comunità ebraica romana Riccardo Pacifici, che oggi l’antisionismo
è la nuova forma che ha assunto l’antisemitismo. Come spieghi questo
fenomeno? Che significato ha a livello politico internazionale?
«Questo è il risultato di una campagna martellante da parte del governo
israeliano per mettere a tacere qualsiasi critica contro Israele o le sue
politiche. Diversi anni fa, in una riunione di strategia tenutasi al
ministero degli affari esteri, un “nuovo antisemitismo” fu inventato, che
sfruttava in modo conscio e deliberato l’antisemitismo per fini di pubbliche
relazioni israeliane. Il “nuovo antisemitismo” affermava che ogni critica
mossa contro Israele era anche antisemita. Tutto ciò non è solo falso e
disonesto da un punto di vista politico, ma pericoloso per tutti gli ebrei
del mondo. L’antisemitismo è effettivamente un problema che andrebbe
combattuto assieme ad altre forme di razzismo. Definirlo solo in termini
israeliani lascia altri ebrei della diaspora senza protezione. E’ quindi
considerato accettabile essere antisemiti, vedi Fini e gli evangelisti
americani come Pat Robertson, ad esempio, purché si è “pro-Israele”. Loro lo
sono per vari motivi (principalmente perché Israele si è allineata con
elementi destrorsi e fascisti ovunque nel mondo). Ma se sei critico di
Israele come Paese, ed abbiamo tutti il diritto di esserlo, non sei
antisemita però vieni condannato e zittito secondo la dottrina del “nuovo
antisemitismo”. E’ conveniente per Israele ma pericoloso sia per gli ebrei
della diaspora che per chiunque si batta a favore dei diritti umani e contro
il razzismo».
* * *
In Israele hai fondato l’Icahd, l’Israeli Committee Against House
Demolitions, con il quale ti sei opposto, anche fisicamente, alla
demolizione di molte case palestinesi, finendo più volte in carcere per
questo. Come giudichi le politiche israeliane per l’assegnazione della terra
e per i permessi edilizi? Credi si possa parlare di apartheid?
«I governi israeliani più recenti hanno tentato di istituzionalizzare un
sistema di apartheid, basato su un “Bantustan” palestinese, prendendo a
modello ciò che fu creato nell’era dell’apartheid in Sud Africa. Quest’ultima
creò dieci territori non-autosufficienti, per la maggioranza abitati da
neri, ricoprenti solo l’11% del territorio nazionale, in modo da dare al Sud
Africa una manovalanza a buon mercato e contemporaneamente liberandola della
sua popolazione nera, rendendo quindi possibile il dominio europeo
“democratico”. Questo è esattamente ciò che intenderebbe fare Israele – il
proprio “Bantustan” palestinese comprenderebbe solo il 15% del territorio
della Palestina storica. In effetti, dai tempi di Barak come primo ministro,
Israele ha proprio adottato il linguaggio dell’apartheid. Quindi il termine
usato per definire la politica di Israele nei confronti dei palestinesi è
hafrada, che in ebraico significa “separazione”, esattamente come lo fu in
Afrikaans. Apartheid non è né uno slogan, né un sistema esclusivo del Sud
Africa. La parola, come viene usata qui, descrive esattamente un regime che
può aver avuto origine in Sud Africa, ma che può essere importato e adattato
alla situazione locale. Alla sua radice, l’apartheid può essere definita
avente due elementi: prima di tutto, una popolazione che viene separata
dalle altre (il nome ufficiale del muro è “Barriera di Separazione”), poi la
creazione di un regime che la domina definitivamente e istituzionalmente.
Separazione e dominio: esattamente la concezione di Barak, Sharon e
eventualmente, Olmert e Livni, per rinchiudere i palestinesi in cantoni
poveri e non autosufficienti. La versione israeliana dell’apartheid è
tuttavia persino peggiore di quella sudafricana. In Sud Africa i Bantustans
erano concepiti come riserve di manodopera nera a buon mercato in un’economia
sudafricana bianca. Nella versione israeliana i lavoratori palestinesi sono
persino esclusi dall’economia israeliana, e non hanno nemmeno un’economia
autosufficiente propria. Il motivo è che Israele ha scoperto una manodopera
a buon mercato tutta sua: all’incirca 300.000 lavoratori stranieri
provenienti da Cina, Filippine, Thailandia, Romania e Africa occidentale, la
pre-esistente popolazione araba in Israele, Mizrahi, etiope, russa e est
europea. Israele può quindi permettersi di rinchiuderli là dentro persino
mentre gli vengono negate una propria economia e legami liberi con i paesi
arabi circostanti. Da ogni punto di vista, storicamente, culturalmente,
politicamente ed economicamente, i palestinesi sono stati definiti un’umanità
di troppo, superflua. Non gli resta che fare da popolazione di “stoccaggio”,
condizione che la preoccupata comunità internazionale sembra continuare a
permettere a Israele di attuare. Tutto ciò porta oltre l’apartheid, a quello
che può essere definito lo “stoccaggio” dei palestinesi, una della
popolazioni mondiali “di troppo”, assieme ai poveri del mondo intero, i
detenuti, gli immigrati clandestini, i dissidenti politici e milioni di
altri emarginati. “Stoccaggio” rappresenta il migliore, e anche il più
triste dei termini per definire ciò che Israele sta creando per i
palestinesi nei territori occupati. Siccome lo “stoccaggio” è un fenomeno
globale e Israele è stato pioniere nel creare un modello di questo metodo,
ciò che sta accadendo ai palestinesi dovrebbe essere affare di tutti.
Potrebbe costituire una forma di crimine contro l’umanità completamente
nuovo, e come tale essere soggetto a una giurisdizione universale delle
corti del mondo come qualsiasi altra palese violazione dei diritti umani. In
questo senso l’“occupazione” di Israele ha implicazioni che vanno ben oltre
un conflitto locale fra due popoli. Se Israele può confezionare e esportare
la sua articolata “matrice di controllo”, un sistema di repressione
permanente che unisce una amministrazione kafkiana, leggi e pianificazioni
con forme di controllo palesemente coercitive contro una precisa popolazione
mantenuta entro i limiti di comunità murate con metodi ostili (insediamenti
in questo caso), mura e ostacoli di vario tipo contro qualsiasi libero
spostamento, allora, in questo caso, come scrive lucidamente Naomi Klein nel
suo libro The Shock Doctrine, altri paesi guarderanno ad Israele/Palestina
osservando che : “Un lato sembra Israele; l’altro lato sembra Gaza”. In
altre parole, una Palestina Globale».
* * *
Ti abbiamo visto in alcuni filmati descrivere la situazione di Gerusalemme
est, spiegare quante e quali case palestinesi sono state distrutte: che cosa
sta succedendo a Gerusalemme est? Si può parlare di pulizia etnica per
Gerusalemme est, come fa Ilan Pappé?
«Concordo con Pappé nell’affermare che la pulizia etnica non stia avvenendo
solo nella Gerusalemme est, ma anche nel resto dei territori occupati e in
tutto Israele stesso. L’anno scorso il governo israeliano ha distrutto tre
volte più case dentro Israele – appartenenti a cittadini israeliani che
naturalmente, erano tutti palestinesi o beduini – rispetto al numero che ha
distrutto nei territori occupati. L’ICAHD ha come scopo quello di resistere
all’occupazione opponendosi alla politica di Israele di demolire le case dei
palestinesi. Dal 1967 Israele ha distrutto più di 24 000 case palestinesi –
praticamente tutte senza motivo o giustificazioni legate alla “sicurezza”,
oltre ad aver dato decine di migliaia di ordini di demolizione, che possono
essere messi in atto in qualsiasi momento».
* * *
Israele negli ultimi 4 anni ha sostenuto due guerre di invasione
sanguinarie, quelle contro il Libano e la Striscia di Gaza. Ha ricevuto da
molte parti accuse di crimini di guerra, sia per il tipo di armi che ha
usato sia per la volontà deliberata di colpire la popolazione e le strutture
civili, impedendo in molti casi i soccorsi medici. Come spieghi l’apparente
consenso di una grande maggioranza di cittadini israeliani nei confronti di
queste guerre? Come spieghi l’adesione a queste soluzioni politiche da parte
di intellettuali considerati “pacifisti” come Grossmann e Oz?
«In Israele, la popolazione ebraica è ben poco interessata sia all’occupazione
che al più universale principio della pace. Sono entrambi non-argomenti in
Israele (non credo che siano stati menzionati una sola volta durante la
passata campagna elettorale). Gli ebrei israeliani stanno attualmente
vivendo una vita piacevole e sicura, e Barak e gli altri leader sono
riusciti a convincere la gente che non esiste soluzione politica, che agli
arabi non interessa la pace (siamo bravissimi a dare la colpa ad altri per
evitare le nostre responsabilità di grande potenza colonizzatrice degli
ultimi 42 anni!). Finché tutto sarà tranquillo e l’economia andrà bene,
nessuno vuole sapere nulla degli “arabi”. Credo che dobbiamo rinunciare a
sperare di vedere il pubblico israeliano come elemento attivo del
cambiamento verso la pace. La maggior parte degli israeliani non si
intrometterebbero in una soluzione imposta se la comunità internazionale
dovesse insistere nell’imporne una, ma non farebbero alcun passo
significativo da soli in quella direzione. Alla stessa maniera dei bianchi
in Sud Africa, che accettarono e in alcuni casi dettero il benvenuto alla
fine dell’apartheid, e che al tempo stesso non sarebbero mai insorti contro
di essa. Invece per quel che riguarda gli “intellettuali”, anche loro non
vedono. E’ la dimostrazione che si può essere estremamente sensibili,
intelligenti, ricettivi come Amos Oz e alcuni dei nostri professori, che
tuttavia rimangono al sicuro nella loro “nicchia”».
* * *
Tu da qualche anno sostieni che non è più praticabile sul campo la soluzione
due nazioni due stati, poichè Israele ha ormai occupato con il Muro, le
colonie e le strade gran parte della West Bank. Sostieni quindi la soluzione
di uno stato laico binazionale. Oggi, dopo la carneficina di Gaza, e dopo le
elezioni israeliane, è ancora immaginabile questa soluzione?
«Noi dell’ICAHD crediamo che la soluzione dei due stati sia irrealizzabile –
a meno che si accetti una soluzione da apartheid, un mini-stato palestinese
sovrano solo a metà sul 15% del territorio palestinese storico, spezzettato
in ciò che Sharon chiama quattro o cinque “cantoni”. Non li vediamo né come
fattibili né giusti o pratici, sebbene Israele li veda come una soluzione e
stia spingendo in questa direzione al processo di Annapolis. Per noi la
questione non è solo di creare uno stato palestinese, ma uno stato
autosufficiente. Non solo questo minuscolo stato palestinese dovrà
sopportare il ritorno dei rifugiati, ma un 60% di palestinesi sotto l’età di
18. Se emerge uno stato che non ha alcuna possibilità di offrire un futuro
ai suoi giovani, una economia autosufficiente che può svilupparsi, rimane
semplicemente uno stato-prigione, un super-Bantustan. Credo che se non si
materializzerà la soluzione dei due stati, e la soluzione per uno stato
bi-nazionale (che io preferisco) verrà effettivamente impedita da Israele e
la comunità internazionale, allora preferirei una confederazione economica
medio orientale che comprenda Israele, Palestina, Giordania, Siria e Libano,
nella quale tutti i residenti della confederazione abbiano la libertà di
vivere e lavorare all’interno della stessa. Israele/Palestina è
semplicemente un territorio troppo piccolo per poterci infilare tutte le
soluzioni necessarie – la sicurezza, lo sviluppo economico, l’acqua, i
rifugiati. E alla fine, quanto sarà grande lo stato palestinese sarà
importante solo se verrà concepito come un’entità indipendente,
economicamente autonoma. Se ai palestinesi sarà concessa la sovranità anche
solo di un piccolo stato, più ristretto rispetto ai confini del ‘67, ma
comunque avente l’intera confederazione per sviluppare la propria autonomia
economica, credo che questo potrebbe rivelarsi lo scenario migliore. Ma
questa è una proposta ambiziosa e campata in aria per il momento, e resta
finora senza sostenitori (sebbene Sarkozy stia anche pensando in termini
regionali). Quando si vedrà che la soluzione dei due stati è fallita, credo
che allora la gente inizierà a cercare una nuova soluzione. E credo proprio
che allora l’idea della confederazione risulterà sensata».
* * *
Credi che esistano forze politiche parlamentari, in Israele, in grado di
sostenere un accordo autentico con i Palestinesi, in vista di una pace e
della creazione di uno stato palestinese?
«L’unico ostacolo a un’autentica soluzione dei due stati (cioè uno stato
palestinese disteso su tutti i territori occupati, con pochissime modifiche
agli attuali confini) è nella volontà di Israele di permettere che avvenga.
Giudicando dai fatti che si vedono sul terreno, la costruzione di nuovi
insediamenti in particolare, nessun governo israeliano, né di destra né
tanto meno di sinistra o centro, ha mai veramente considerato la soluzione
dello stato palestinese come fattibile. Per rendere le cose ancora più
difficili, se un simile governo dovesse mai emergere (e non ve n’è uno in
vista), non avrebbe alcun mandato, alcuna autorità per evacuare gli
insediamenti e “rinunciare” ai Territori Occupati Palestinesi considerato l’estrema
frammentazione del sistema politico israeliano. Semplicemente, fra i partiti
politici non vi è alcuna unità d’intenti per concordare veramente una
soluzione di pace e di due stati. Ecco perché, se la comunità internazionale
dovesse forzare Israele a ritirarsi per una vera pace, il pubblico
israeliano la sosterrebbe. Israele non è destrorso quanto la gente immagina.
Ho quindi una formula per la pace: Obama, l’ONU o la comunità internazionale
dovranno dire a Israele: 1) Vi amiamo (gli israeliani se lo devono sentir
dire); 2) Garantiremo la vostra sicurezza (QUESTA è la preoccupazione
maggiore del pubblico israeliano); 3) ora che è finita l’occupazione, sarete
fuori da ogni centimetro cubo dei Territori Occupati Palestinesi entro i
prossimi 2-3-4 anni (e noi, la comunità internazionale, pagheremo per il
dislocamento). Credo che ci sarebbe gente a ballare per le strade di Tel
Aviv se tutto ciò avvenisse. Questo è esattamente ciò che vorrebbero gli
israeliani, ma non possono sperarci, visto il nostro sistema politico. E’
altamente improbabile che ciò avvenga».
* * *
Che giudizio dai all’azione politica dei dirigenti palestinesi di Fatah ed
Hamas dalla morte di Arafat a tutt’oggi?
«Ovviamente l’andamento della leadership palestinese è altamente
problematico. Dobbiamo ricordare, tuttavia, che negli ultimi 40 anni Israele
ha sostenuto una sistematica campagna di omicidi, esili e incarcerazioni dei
capi di governo palestinesi, quindi la leadership attuale è mutilata (si
potrebbe essere ingenerosi e, alla luce delle campagne condotte dall’autorità
palestinese contro la sua stessa gente, affermare che l’attuale leadership
di Fatah sia ancora viva e funzionante perché Israele sa bene chi deve
eliminare e chi risparmiare). Una delle mie maggiori critiche rivolte all’attuale
leadership di Fatah riguarda la sua inefficacia nel veicolare la causa
palestinese all’estero. Nonostante un cambiamento dell’opinione pubblica
ormai più a favore dei palestinesi, soprattutto dopo l’invasione di Gaza, la
leadership non ha saputo sfruttare il momento propizio per inviare i propri
portavoce presso le popolazioni ed i governi del mondo (in effetti, nell’ultimo
anno, incluso il cruciale periodo della transizione verso l’amministrazione
Obama, non vi è stato un solo rappresentante palestinese a Washington – e i
rappresentanti palestinesi all’estero, con qualche rara eccezione, sono
generalmente inefficaci). Al contrario di Israele, pare che la leadership
palestinese si sia quasi ritirata dal gioco politico. In questo vuoto
lasciato da Fatah, Hamas è giunto sulla scena come il “salvatore”, la
forza/partito/leadership che resisterà ad Israele, resisterà alla
“soluzione” dell’apartheid, manterrà l’integrità palestinese e combatterà
la corruzione. Mentre la sua ideologia religiosa ed il suo programma
dovrebbero essere considerati inaccettabili per qualsiasi persona
minimamente progressista, si dovrebbe perlomeno ammirare la resistenza di
Hamas e ammettere che stia effettivamente controbilanciando ciò che è stata
percepita come la collaborazione di Fatah con Israele».
* * *
Credi che se la classe politica palestinese usasse dei metodi di lotta
nonviolenta, quali il digiuno pubblico, e se convincesse la popolazione
palestinese israeliana o che lavora in Israele a forme di sciopero
generalizzato potrebbe ottenere dei risultati concreti?
«I metodi non-violenti sarebbero potuti essere efficaci. Se la leadership
palestinese fosse più portata alla strategia, potrebbe usare a proprio
vantaggio metodi non-violenti, come il movimento BDS (Boicottaggio –
Disinvestimento - Sanzioni) e altre campagne analoghe con gruppi di
pressione efficaci. Ma non lo fanno».
_______________________
(traduzione di Daniela Filippin)
_______________________
http://www.nazioneindiana.com/
Scritto da Lorenzo Galbiati
giovedì 17 settembre 2009
Jeff Halper, ebreo israeliano di origine statunitense (è nato nel Minnesota
nel 1946), è urbanista e antropologo, e insegna all’Università Ben Gurion
del Negev. In Israele ha fondato nel 1997 l’ICAHD, Israeli Committee Against
House Demolitions (www.icahd.org), associazione di persone che per vie
legali e con la disobbedienza civile si oppongono alla demolizione delle
case palestinesi, e che forniscono supporto economico e materiale per la
loro ricostruzione. Per questa attività, e per il suo attivismo pacifista,
Halper è stato arrestato dal governo israeliano una decina di volte, ed è
ora considerato uno dei più autorevoli attivisti israeliani per la pace e i
diritti civili. In questi giorni Halper è in Italia per un giro di
conferenze e per promuovere il suo libro Ostacoli alla pace (Edizioni “Una
città”). Il programma delle sue conferenze è consultabile su:
www.unacitta.it . Oltre alle sue attività accademiche e per l’ICAHD, Halper
scrive libri ed è un conferenziere internazionale. Nel 2006 è stato
candidato al Premio Nobel per la Pace dall’ American Friends Service
Committe. Nell’agosto del 2008 Halper ha partecipato alla spedizione per
Gaza del Free Gaza Movement: la spedizione era costituita da un gruppo
internazionale di attivisti dei diritti umani, tra i quali l’italiano
Vittorio Arrigoni, e ha raggiunto Gaza a bordo di un peschereccio partito da
Cipro, rompendo così per la prima volta l’embargo marittimo imposto da
Israele alla Striscia di Gaza.
Tu sei un cittadino dello “stato ebraico” di Israele, uno stato fortemente
voluto nel Novecento dal movimento sionista e ottenuto dopo 50 anni di
grande emigrazione degli ebrei europei nel 1948, sulla spinta della fine
della Seconda guerra mondiale e del terribile crimine della Shoah. Che cos’è
per te oggi, concretamente, il sionismo?
«Il sionismo fu un movimento nazionale che ebbe un senso in un determinato
tempo e luogo. Mentre i popoli d’Europa cercavano un’identità come nazioni
rivendicando i loro diritti all’autodeterminazione, allo stesso modo si
comportavano gli ebrei, considerati all’epoca dalle nazioni d’Europa stesse
un popolo separato. Tuttavia, due problemi trasformarono il sionismo in un
movimento coloniale che oggi non può più essere sostenuto. Innanzitutto, il
sionismo adottò una forma di nazionalismo tribale, influenzato dal
pan-slavismo russo e dal pan-germanismo del centro Europa, culture dominanti
nei territori dove la maggior parte degli ebrei vivevano in Europa,
rivendicando la terra d’Israele fra il Mediterraneo e il fiume Giordano come
fosse un diritto esclusivamente ebraico. Questo creò i presupposti per un
inevitabile conflitto con i popoli indigeni, quelli della comunità araba
palestinese, che ovviamente rivendicavano un proprio Paese dopo la partenza
dei britannici. Se il sionismo avesse riconosciuto l’esistenza di un altro
popolo nel territorio, “alloggiare” tutti in una sorta di stato bi-nazionale
sarebbe stato ancora possibile. Ma pretendere la proprietà esclusiva,
pretesa che anche oggi sussiste dai sionisti e da Israele, rende non
fattibile uno stato “ebraico”. Il secondo problema fu che il paese non era
disabitato. Una proprietà esclusiva del territorio avrebbe potuto funzionare
se fosse stato completamente privo di abitanti. Ma visto che la popolazione
palestinese esisteva ed era in effetti in maggioranza, cosa che sta
avvenendo anche oggi, una realtà bi-nazionale esisteva già allora e doveva
essere gestita come tale».
* * *
Molti anni fa tu ti sei trasferito dagli USA in Israele: è stata una scelta
dovuta a motivi contingenti, personali, o spinta da una motivazione
ideologica?
«Sono cresciuto negli Stati Uniti negli anni ’60. Sono sempre stato
coinvolto nelle attività politiche della sinistra (o perlomeno la nuova
sinistra): i movimenti per i diritti civili di Martin Luther King, il
movimento contro la guerra in Vietnam ecc. Dunque, dopo il 1967 sono
diventato critico dell’occupazione d’Israele (Israele non fu mai un
argomento politico di grande rilievo prima di quel momento). Ma gli anni ‘60
furono anche un periodo in cui molti di noi cittadini americani bianchi di
classe media rifiutavamo il materialismo americano e la conseguente
superficialità della sua cultura, cercando significati più profondi
attraverso la ricerca delle nostre radici etniche. Man mano che divenivo più
distaccato dalla cultura americana, la mia identità di ebreo diventò
centrale – ma in senso culturale e viscerale, non religioso. Ho viaggiato
attraverso Israele nel 1966, mentre ero in transito per andare ad effettuare
delle ricerche in Etiopia, e il paese mi “parlò”. Provai un senso di
appartenenza che risultò soddisfacente alla mia ricerca di un’identità, pur
restando conscio a livello politico dell’occupazione, a cui mi opponevo.
Quando mi sono trasferito in Israele nel 1973, mi sono immediatamente unito
ai movimenti pacifisti di sinistra. Le mie vedute negli anni sono cambiate
coi tempi e le circostanze. Ormai non sono più un sostenitore della
soluzione dei due stati, visto che non ritengo che Israele sia realizzabile
come stato “ebraico”, sostenendo al contrario la soluzione dello stato
bi-nazionale. Però credo ancora che gli ebrei abbiano legittimamente diritto
a un posto in Israele/Palestina, anche come entità nazionale. Non siamo
stranieri in questa terra e non accetto la nozione che il sionismo sia
semplicemente un movimento coloniale europeo (sebbene si sia effettivamente
comportato come tale)».
* * *
In Europa, e segnatamente in Italia, sta passando l’equazione antisionismo
uguale antisemitismo; infatti, il nostro presidente Napolitano durante la
Giornata della Memoria del 2007 ha detto che va combattuta ogni forma di
antisemitismo, anche quando si traveste da antisionismo, e qualche mese fa,
il presidente della Camera Fini ha detto in tivù, di fronte all’accondiscendente
presidente della comunità ebraica romana Riccardo Pacifici, che oggi l’antisionismo
è la nuova forma che ha assunto l’antisemitismo. Come spieghi questo
fenomeno? Che significato ha a livello politico internazionale?
«Questo è il risultato di una campagna martellante da parte del governo
israeliano per mettere a tacere qualsiasi critica contro Israele o le sue
politiche. Diversi anni fa, in una riunione di strategia tenutasi al
ministero degli affari esteri, un “nuovo antisemitismo” fu inventato, che
sfruttava in modo conscio e deliberato l’antisemitismo per fini di pubbliche
relazioni israeliane. Il “nuovo antisemitismo” affermava che ogni critica
mossa contro Israele era anche antisemita. Tutto ciò non è solo falso e
disonesto da un punto di vista politico, ma pericoloso per tutti gli ebrei
del mondo. L’antisemitismo è effettivamente un problema che andrebbe
combattuto assieme ad altre forme di razzismo. Definirlo solo in termini
israeliani lascia altri ebrei della diaspora senza protezione. E’ quindi
considerato accettabile essere antisemiti, vedi Fini e gli evangelisti
americani come Pat Robertson, ad esempio, purché si è “pro-Israele”. Loro lo
sono per vari motivi (principalmente perché Israele si è allineata con
elementi destrorsi e fascisti ovunque nel mondo). Ma se sei critico di
Israele come Paese, ed abbiamo tutti il diritto di esserlo, non sei
antisemita però vieni condannato e zittito secondo la dottrina del “nuovo
antisemitismo”. E’ conveniente per Israele ma pericoloso sia per gli ebrei
della diaspora che per chiunque si batta a favore dei diritti umani e contro
il razzismo».
* * *
In Israele hai fondato l’Icahd, l’Israeli Committee Against House
Demolitions, con il quale ti sei opposto, anche fisicamente, alla
demolizione di molte case palestinesi, finendo più volte in carcere per
questo. Come giudichi le politiche israeliane per l’assegnazione della terra
e per i permessi edilizi? Credi si possa parlare di apartheid?
«I governi israeliani più recenti hanno tentato di istituzionalizzare un
sistema di apartheid, basato su un “Bantustan” palestinese, prendendo a
modello ciò che fu creato nell’era dell’apartheid in Sud Africa. Quest’ultima
creò dieci territori non-autosufficienti, per la maggioranza abitati da
neri, ricoprenti solo l’11% del territorio nazionale, in modo da dare al Sud
Africa una manovalanza a buon mercato e contemporaneamente liberandola della
sua popolazione nera, rendendo quindi possibile il dominio europeo
“democratico”. Questo è esattamente ciò che intenderebbe fare Israele – il
proprio “Bantustan” palestinese comprenderebbe solo il 15% del territorio
della Palestina storica. In effetti, dai tempi di Barak come primo ministro,
Israele ha proprio adottato il linguaggio dell’apartheid. Quindi il termine
usato per definire la politica di Israele nei confronti dei palestinesi è
hafrada, che in ebraico significa “separazione”, esattamente come lo fu in
Afrikaans. Apartheid non è né uno slogan, né un sistema esclusivo del Sud
Africa. La parola, come viene usata qui, descrive esattamente un regime che
può aver avuto origine in Sud Africa, ma che può essere importato e adattato
alla situazione locale. Alla sua radice, l’apartheid può essere definita
avente due elementi: prima di tutto, una popolazione che viene separata
dalle altre (il nome ufficiale del muro è “Barriera di Separazione”), poi la
creazione di un regime che la domina definitivamente e istituzionalmente.
Separazione e dominio: esattamente la concezione di Barak, Sharon e
eventualmente, Olmert e Livni, per rinchiudere i palestinesi in cantoni
poveri e non autosufficienti. La versione israeliana dell’apartheid è
tuttavia persino peggiore di quella sudafricana. In Sud Africa i Bantustans
erano concepiti come riserve di manodopera nera a buon mercato in un’economia
sudafricana bianca. Nella versione israeliana i lavoratori palestinesi sono
persino esclusi dall’economia israeliana, e non hanno nemmeno un’economia
autosufficiente propria. Il motivo è che Israele ha scoperto una manodopera
a buon mercato tutta sua: all’incirca 300.000 lavoratori stranieri
provenienti da Cina, Filippine, Thailandia, Romania e Africa occidentale, la
pre-esistente popolazione araba in Israele, Mizrahi, etiope, russa e est
europea. Israele può quindi permettersi di rinchiuderli là dentro persino
mentre gli vengono negate una propria economia e legami liberi con i paesi
arabi circostanti. Da ogni punto di vista, storicamente, culturalmente,
politicamente ed economicamente, i palestinesi sono stati definiti un’umanità
di troppo, superflua. Non gli resta che fare da popolazione di “stoccaggio”,
condizione che la preoccupata comunità internazionale sembra continuare a
permettere a Israele di attuare. Tutto ciò porta oltre l’apartheid, a quello
che può essere definito lo “stoccaggio” dei palestinesi, una della
popolazioni mondiali “di troppo”, assieme ai poveri del mondo intero, i
detenuti, gli immigrati clandestini, i dissidenti politici e milioni di
altri emarginati. “Stoccaggio” rappresenta il migliore, e anche il più
triste dei termini per definire ciò che Israele sta creando per i
palestinesi nei territori occupati. Siccome lo “stoccaggio” è un fenomeno
globale e Israele è stato pioniere nel creare un modello di questo metodo,
ciò che sta accadendo ai palestinesi dovrebbe essere affare di tutti.
Potrebbe costituire una forma di crimine contro l’umanità completamente
nuovo, e come tale essere soggetto a una giurisdizione universale delle
corti del mondo come qualsiasi altra palese violazione dei diritti umani. In
questo senso l’“occupazione” di Israele ha implicazioni che vanno ben oltre
un conflitto locale fra due popoli. Se Israele può confezionare e esportare
la sua articolata “matrice di controllo”, un sistema di repressione
permanente che unisce una amministrazione kafkiana, leggi e pianificazioni
con forme di controllo palesemente coercitive contro una precisa popolazione
mantenuta entro i limiti di comunità murate con metodi ostili (insediamenti
in questo caso), mura e ostacoli di vario tipo contro qualsiasi libero
spostamento, allora, in questo caso, come scrive lucidamente Naomi Klein nel
suo libro The Shock Doctrine, altri paesi guarderanno ad Israele/Palestina
osservando che : “Un lato sembra Israele; l’altro lato sembra Gaza”. In
altre parole, una Palestina Globale».
* * *
Ti abbiamo visto in alcuni filmati descrivere la situazione di Gerusalemme
est, spiegare quante e quali case palestinesi sono state distrutte: che cosa
sta succedendo a Gerusalemme est? Si può parlare di pulizia etnica per
Gerusalemme est, come fa Ilan Pappé?
«Concordo con Pappé nell’affermare che la pulizia etnica non stia avvenendo
solo nella Gerusalemme est, ma anche nel resto dei territori occupati e in
tutto Israele stesso. L’anno scorso il governo israeliano ha distrutto tre
volte più case dentro Israele – appartenenti a cittadini israeliani che
naturalmente, erano tutti palestinesi o beduini – rispetto al numero che ha
distrutto nei territori occupati. L’ICAHD ha come scopo quello di resistere
all’occupazione opponendosi alla politica di Israele di demolire le case dei
palestinesi. Dal 1967 Israele ha distrutto più di 24 000 case palestinesi –
praticamente tutte senza motivo o giustificazioni legate alla “sicurezza”,
oltre ad aver dato decine di migliaia di ordini di demolizione, che possono
essere messi in atto in qualsiasi momento».
* * *
Israele negli ultimi 4 anni ha sostenuto due guerre di invasione
sanguinarie, quelle contro il Libano e la Striscia di Gaza. Ha ricevuto da
molte parti accuse di crimini di guerra, sia per il tipo di armi che ha
usato sia per la volontà deliberata di colpire la popolazione e le strutture
civili, impedendo in molti casi i soccorsi medici. Come spieghi l’apparente
consenso di una grande maggioranza di cittadini israeliani nei confronti di
queste guerre? Come spieghi l’adesione a queste soluzioni politiche da parte
di intellettuali considerati “pacifisti” come Grossmann e Oz?
«In Israele, la popolazione ebraica è ben poco interessata sia all’occupazione
che al più universale principio della pace. Sono entrambi non-argomenti in
Israele (non credo che siano stati menzionati una sola volta durante la
passata campagna elettorale). Gli ebrei israeliani stanno attualmente
vivendo una vita piacevole e sicura, e Barak e gli altri leader sono
riusciti a convincere la gente che non esiste soluzione politica, che agli
arabi non interessa la pace (siamo bravissimi a dare la colpa ad altri per
evitare le nostre responsabilità di grande potenza colonizzatrice degli
ultimi 42 anni!). Finché tutto sarà tranquillo e l’economia andrà bene,
nessuno vuole sapere nulla degli “arabi”. Credo che dobbiamo rinunciare a
sperare di vedere il pubblico israeliano come elemento attivo del
cambiamento verso la pace. La maggior parte degli israeliani non si
intrometterebbero in una soluzione imposta se la comunità internazionale
dovesse insistere nell’imporne una, ma non farebbero alcun passo
significativo da soli in quella direzione. Alla stessa maniera dei bianchi
in Sud Africa, che accettarono e in alcuni casi dettero il benvenuto alla
fine dell’apartheid, e che al tempo stesso non sarebbero mai insorti contro
di essa. Invece per quel che riguarda gli “intellettuali”, anche loro non
vedono. E’ la dimostrazione che si può essere estremamente sensibili,
intelligenti, ricettivi come Amos Oz e alcuni dei nostri professori, che
tuttavia rimangono al sicuro nella loro “nicchia”».
* * *
Tu da qualche anno sostieni che non è più praticabile sul campo la soluzione
due nazioni due stati, poichè Israele ha ormai occupato con il Muro, le
colonie e le strade gran parte della West Bank. Sostieni quindi la soluzione
di uno stato laico binazionale. Oggi, dopo la carneficina di Gaza, e dopo le
elezioni israeliane, è ancora immaginabile questa soluzione?
«Noi dell’ICAHD crediamo che la soluzione dei due stati sia irrealizzabile –
a meno che si accetti una soluzione da apartheid, un mini-stato palestinese
sovrano solo a metà sul 15% del territorio palestinese storico, spezzettato
in ciò che Sharon chiama quattro o cinque “cantoni”. Non li vediamo né come
fattibili né giusti o pratici, sebbene Israele li veda come una soluzione e
stia spingendo in questa direzione al processo di Annapolis. Per noi la
questione non è solo di creare uno stato palestinese, ma uno stato
autosufficiente. Non solo questo minuscolo stato palestinese dovrà
sopportare il ritorno dei rifugiati, ma un 60% di palestinesi sotto l’età di
18. Se emerge uno stato che non ha alcuna possibilità di offrire un futuro
ai suoi giovani, una economia autosufficiente che può svilupparsi, rimane
semplicemente uno stato-prigione, un super-Bantustan. Credo che se non si
materializzerà la soluzione dei due stati, e la soluzione per uno stato
bi-nazionale (che io preferisco) verrà effettivamente impedita da Israele e
la comunità internazionale, allora preferirei una confederazione economica
medio orientale che comprenda Israele, Palestina, Giordania, Siria e Libano,
nella quale tutti i residenti della confederazione abbiano la libertà di
vivere e lavorare all’interno della stessa. Israele/Palestina è
semplicemente un territorio troppo piccolo per poterci infilare tutte le
soluzioni necessarie – la sicurezza, lo sviluppo economico, l’acqua, i
rifugiati. E alla fine, quanto sarà grande lo stato palestinese sarà
importante solo se verrà concepito come un’entità indipendente,
economicamente autonoma. Se ai palestinesi sarà concessa la sovranità anche
solo di un piccolo stato, più ristretto rispetto ai confini del ‘67, ma
comunque avente l’intera confederazione per sviluppare la propria autonomia
economica, credo che questo potrebbe rivelarsi lo scenario migliore. Ma
questa è una proposta ambiziosa e campata in aria per il momento, e resta
finora senza sostenitori (sebbene Sarkozy stia anche pensando in termini
regionali). Quando si vedrà che la soluzione dei due stati è fallita, credo
che allora la gente inizierà a cercare una nuova soluzione. E credo proprio
che allora l’idea della confederazione risulterà sensata».
* * *
Credi che esistano forze politiche parlamentari, in Israele, in grado di
sostenere un accordo autentico con i Palestinesi, in vista di una pace e
della creazione di uno stato palestinese?
«L’unico ostacolo a un’autentica soluzione dei due stati (cioè uno stato
palestinese disteso su tutti i territori occupati, con pochissime modifiche
agli attuali confini) è nella volontà di Israele di permettere che avvenga.
Giudicando dai fatti che si vedono sul terreno, la costruzione di nuovi
insediamenti in particolare, nessun governo israeliano, né di destra né
tanto meno di sinistra o centro, ha mai veramente considerato la soluzione
dello stato palestinese come fattibile. Per rendere le cose ancora più
difficili, se un simile governo dovesse mai emergere (e non ve n’è uno in
vista), non avrebbe alcun mandato, alcuna autorità per evacuare gli
insediamenti e “rinunciare” ai Territori Occupati Palestinesi considerato l’estrema
frammentazione del sistema politico israeliano. Semplicemente, fra i partiti
politici non vi è alcuna unità d’intenti per concordare veramente una
soluzione di pace e di due stati. Ecco perché, se la comunità internazionale
dovesse forzare Israele a ritirarsi per una vera pace, il pubblico
israeliano la sosterrebbe. Israele non è destrorso quanto la gente immagina.
Ho quindi una formula per la pace: Obama, l’ONU o la comunità internazionale
dovranno dire a Israele: 1) Vi amiamo (gli israeliani se lo devono sentir
dire); 2) Garantiremo la vostra sicurezza (QUESTA è la preoccupazione
maggiore del pubblico israeliano); 3) ora che è finita l’occupazione, sarete
fuori da ogni centimetro cubo dei Territori Occupati Palestinesi entro i
prossimi 2-3-4 anni (e noi, la comunità internazionale, pagheremo per il
dislocamento). Credo che ci sarebbe gente a ballare per le strade di Tel
Aviv se tutto ciò avvenisse. Questo è esattamente ciò che vorrebbero gli
israeliani, ma non possono sperarci, visto il nostro sistema politico. E’
altamente improbabile che ciò avvenga».
* * *
Che giudizio dai all’azione politica dei dirigenti palestinesi di Fatah ed
Hamas dalla morte di Arafat a tutt’oggi?
«Ovviamente l’andamento della leadership palestinese è altamente
problematico. Dobbiamo ricordare, tuttavia, che negli ultimi 40 anni Israele
ha sostenuto una sistematica campagna di omicidi, esili e incarcerazioni dei
capi di governo palestinesi, quindi la leadership attuale è mutilata (si
potrebbe essere ingenerosi e, alla luce delle campagne condotte dall’autorità
palestinese contro la sua stessa gente, affermare che l’attuale leadership
di Fatah sia ancora viva e funzionante perché Israele sa bene chi deve
eliminare e chi risparmiare). Una delle mie maggiori critiche rivolte all’attuale
leadership di Fatah riguarda la sua inefficacia nel veicolare la causa
palestinese all’estero. Nonostante un cambiamento dell’opinione pubblica
ormai più a favore dei palestinesi, soprattutto dopo l’invasione di Gaza, la
leadership non ha saputo sfruttare il momento propizio per inviare i propri
portavoce presso le popolazioni ed i governi del mondo (in effetti, nell’ultimo
anno, incluso il cruciale periodo della transizione verso l’amministrazione
Obama, non vi è stato un solo rappresentante palestinese a Washington – e i
rappresentanti palestinesi all’estero, con qualche rara eccezione, sono
generalmente inefficaci). Al contrario di Israele, pare che la leadership
palestinese si sia quasi ritirata dal gioco politico. In questo vuoto
lasciato da Fatah, Hamas è giunto sulla scena come il “salvatore”, la
forza/partito/leadership che resisterà ad Israele, resisterà alla
“soluzione” dell’apartheid, manterrà l’integrità palestinese e combatterà
la corruzione. Mentre la sua ideologia religiosa ed il suo programma
dovrebbero essere considerati inaccettabili per qualsiasi persona
minimamente progressista, si dovrebbe perlomeno ammirare la resistenza di
Hamas e ammettere che stia effettivamente controbilanciando ciò che è stata
percepita come la collaborazione di Fatah con Israele».
* * *
Credi che se la classe politica palestinese usasse dei metodi di lotta
nonviolenta, quali il digiuno pubblico, e se convincesse la popolazione
palestinese israeliana o che lavora in Israele a forme di sciopero
generalizzato potrebbe ottenere dei risultati concreti?
«I metodi non-violenti sarebbero potuti essere efficaci. Se la leadership
palestinese fosse più portata alla strategia, potrebbe usare a proprio
vantaggio metodi non-violenti, come il movimento BDS (Boicottaggio –
Disinvestimento - Sanzioni) e altre campagne analoghe con gruppi di
pressione efficaci. Ma non lo fanno».
_______________________
(traduzione di Daniela Filippin)
_______________________
http://www.nazioneindiana.com/
a proposito della Folgore
PARA' MORTO: IL PADRE DI SCIERI PARLA DI INDAGINE LACUNOSA
Venerdì 14 Agosto 2009 15:10
"Un'indagine condotta in maniera a dir poco lacunosa, obbedendo ad una precisa strategia che poteva solo portare ad un nulla di fatto. Come è poi accaduto". Lo ha detto questa mattina Corrado Scieri, padre di Emanuele, il giovane avvocato siracusano trovato cadavere dieci anni fa ai piedi della torretta dell'asciugatoio dei paracadute nella caserma Gamerra di Pisa. Corrado Scieri, assieme alla moglie Isabella Guarino ed al figlio maggiore Francesco, stamani ha partecipato a Siracusa all'incontro nel corso del quale sono state presentate alcune iniziative per ricordare Lele Scieri a dieci anni dalla morte. Il Comune di Siracusa ha deciso di intitolargli uno slargo, mentre domani a Noto, sua città natale, si svolgerà un concerto dei "Tinturia". "La musica - ha aggiunto Corrado Scieri - era una delle grandi passioni di mio figlio, un ragazzo pieno di vita che nelle fasi iniziali dell'inchiesta sulla sua morte hanno invece tentato di far passare come un giovane pieno di paure e di insicurezze tanto da averlo spinto al suicidio. Un assurdo!"
http://www.50canale.it/index.php?option=com_content&view=article&id=2163:para-morto-il-padre-di-scieri-parla-di-indagine-lacunosa&catid=1:ultime-notizie
==================================00
commissione Difesa del Senato alla caserma "Gamerra"
"I soprusi? Sono accettati"
Sette casi di nonnismo
"I parà minimizzano"
dal nostro inviato GIANLUCA MONASTRA
PISA - E' il giorno dei senatori, dentro la caserma. Arrivano in otto della commissione difesa del Senato nella scuola di addestramento dei parà della Folgore a Pisa. La caserma dove è morto Emanuele Scieri. Entrano per sentire gli umori della brigata. Trovano tensione e silenzi, "un forte spirito di corpo" e l'elenco degli ultimi episodi di nonnismo denunciati alla Folgore. Sette dall'inizio dell'anno ad oggi. Uno a Livorno, gli altri a Pisa, tutti segnalati alla magistratura militare. Botte, flessioni obbligate, piccoli e grandi imposizioni.
Il primo a marzo (cinque parà coinvolti), un altro a maggio (sei). Gli altri cinque casi, a luglio e agosto. Di questi ultimi, quattro hanno interessato quattro militari, il quinto invece risale a venerdì 13 agosto. Quando alcuni allievi parà del gruppo di Emanuele Scieri vennero costretti a viaggiare su un pullman, da Firenze a Pisa, seduti senza appoggiarsi allo schienale. "Abbiamo parlato - dice il senatore Ds Lorenzo Forcieri - con due delle reclute costrette a viaggiare in quel modo. Pensate, hanno minimizzato giustificando chi gli aveva dato l'ordine". Atteggiamento simbolo, specchio dell'anima della brigata.
"Tutti negano di aver subito atti di nonnismo - racconta il senatore dei Verdi Stefano Semenzato - e chi ha ammesso qualche 'scherzo pesante' ha detto che era comunque a fine di bene. L'impressione? All'interno della Folgore la violenza viene considerata normale e il nonnismo viene accettato e subìto in silenzio". La commissione ha incontrato il generale Lorenzo Forlani comandante delle forze di proiezione e il generale Enrico Celentano, comandante della Folgore. Poi dopo una visita in tutta la scuola (compresa la scala sotto la quale è stato ritrovato il cadavere di Emanuele), l'assemblea con i soldati.
"Sono entusiasti di stare alla Folgore - aggiunge Forcieri - ma poi se domandi quanti ne resteranno dopo la leva, alzano la mano in pochissimi". "Secondo il generale Celentano - racconta il presidente della commissione Difesa, Doriano Di Benedetto (Udeur) - una delle cause del nonnismo è la scarsa presenza di personale di comando nelle ore serali e nei fine settimana. Il problema, che riguarda tutte le caserme, è pagare le ore di straordinario. Ma se i fondi non crescono, sarà difficile farlo". La commissione lascia la caserma nel primo pomeriggio.
A pochi chilometri di distanza, nelle stanze della procura, ancora interrogatori, indagini. Tra i parà ascoltati ieri, anche - e nuovamente - il "supertestimone", Stefano Viberti, l'ultimo a vedere Emanuele vivo. Servirà non solo per l'inchiesta sulla morte del parà, ma anche per capire cosa non ha funzionato nelle mancate ricerche del ragazzo (ritrovato morto dopo tre giorni). Intorno alla brigata, altri momenti cupi. Martedì sera, un militare di leva si è tagliato le vene ai polsi (solo pochi giorni di prognosi) all'interno della caserma dei Lupi di Toscana a Firenze, la stessa dove Emanuele aveva iniziato la naia.
"Autolesionismo, niente di strano" dicono dal comando regione centro. Oggi, invece, autopsia sul corpo di Vincenzo Sicilia, 27 anni, il parà ucciso da un malore a Pistoia, mercoledì, poche ore dopo il congedo. Anche lui avrebbe subìto in passato atti di nonnismo, secondo una segnalazione della famiglia. Oggi i funerali di Emanuele a Siracusa.
(27 agosto 1999)
http://archiviostorico.corriere.it/1999/agosto/27/Para_sette_casi_nonnismo_Pisa_co_0_9908271946.shtml
http://solleviamoci.wordpress.com/2009/08/14/in-memoria-di-emanuele-scieri-14-16-agosto-1999-2009/
Venerdì 14 Agosto 2009 15:10
"Un'indagine condotta in maniera a dir poco lacunosa, obbedendo ad una precisa strategia che poteva solo portare ad un nulla di fatto. Come è poi accaduto". Lo ha detto questa mattina Corrado Scieri, padre di Emanuele, il giovane avvocato siracusano trovato cadavere dieci anni fa ai piedi della torretta dell'asciugatoio dei paracadute nella caserma Gamerra di Pisa. Corrado Scieri, assieme alla moglie Isabella Guarino ed al figlio maggiore Francesco, stamani ha partecipato a Siracusa all'incontro nel corso del quale sono state presentate alcune iniziative per ricordare Lele Scieri a dieci anni dalla morte. Il Comune di Siracusa ha deciso di intitolargli uno slargo, mentre domani a Noto, sua città natale, si svolgerà un concerto dei "Tinturia". "La musica - ha aggiunto Corrado Scieri - era una delle grandi passioni di mio figlio, un ragazzo pieno di vita che nelle fasi iniziali dell'inchiesta sulla sua morte hanno invece tentato di far passare come un giovane pieno di paure e di insicurezze tanto da averlo spinto al suicidio. Un assurdo!"
http://www.50canale.it/index.php?option=com_content&view=article&id=2163:para-morto-il-padre-di-scieri-parla-di-indagine-lacunosa&catid=1:ultime-notizie
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commissione Difesa del Senato alla caserma "Gamerra"
"I soprusi? Sono accettati"
Sette casi di nonnismo
"I parà minimizzano"
dal nostro inviato GIANLUCA MONASTRA
PISA - E' il giorno dei senatori, dentro la caserma. Arrivano in otto della commissione difesa del Senato nella scuola di addestramento dei parà della Folgore a Pisa. La caserma dove è morto Emanuele Scieri. Entrano per sentire gli umori della brigata. Trovano tensione e silenzi, "un forte spirito di corpo" e l'elenco degli ultimi episodi di nonnismo denunciati alla Folgore. Sette dall'inizio dell'anno ad oggi. Uno a Livorno, gli altri a Pisa, tutti segnalati alla magistratura militare. Botte, flessioni obbligate, piccoli e grandi imposizioni.
Il primo a marzo (cinque parà coinvolti), un altro a maggio (sei). Gli altri cinque casi, a luglio e agosto. Di questi ultimi, quattro hanno interessato quattro militari, il quinto invece risale a venerdì 13 agosto. Quando alcuni allievi parà del gruppo di Emanuele Scieri vennero costretti a viaggiare su un pullman, da Firenze a Pisa, seduti senza appoggiarsi allo schienale. "Abbiamo parlato - dice il senatore Ds Lorenzo Forcieri - con due delle reclute costrette a viaggiare in quel modo. Pensate, hanno minimizzato giustificando chi gli aveva dato l'ordine". Atteggiamento simbolo, specchio dell'anima della brigata.
"Tutti negano di aver subito atti di nonnismo - racconta il senatore dei Verdi Stefano Semenzato - e chi ha ammesso qualche 'scherzo pesante' ha detto che era comunque a fine di bene. L'impressione? All'interno della Folgore la violenza viene considerata normale e il nonnismo viene accettato e subìto in silenzio". La commissione ha incontrato il generale Lorenzo Forlani comandante delle forze di proiezione e il generale Enrico Celentano, comandante della Folgore. Poi dopo una visita in tutta la scuola (compresa la scala sotto la quale è stato ritrovato il cadavere di Emanuele), l'assemblea con i soldati.
"Sono entusiasti di stare alla Folgore - aggiunge Forcieri - ma poi se domandi quanti ne resteranno dopo la leva, alzano la mano in pochissimi". "Secondo il generale Celentano - racconta il presidente della commissione Difesa, Doriano Di Benedetto (Udeur) - una delle cause del nonnismo è la scarsa presenza di personale di comando nelle ore serali e nei fine settimana. Il problema, che riguarda tutte le caserme, è pagare le ore di straordinario. Ma se i fondi non crescono, sarà difficile farlo". La commissione lascia la caserma nel primo pomeriggio.
A pochi chilometri di distanza, nelle stanze della procura, ancora interrogatori, indagini. Tra i parà ascoltati ieri, anche - e nuovamente - il "supertestimone", Stefano Viberti, l'ultimo a vedere Emanuele vivo. Servirà non solo per l'inchiesta sulla morte del parà, ma anche per capire cosa non ha funzionato nelle mancate ricerche del ragazzo (ritrovato morto dopo tre giorni). Intorno alla brigata, altri momenti cupi. Martedì sera, un militare di leva si è tagliato le vene ai polsi (solo pochi giorni di prognosi) all'interno della caserma dei Lupi di Toscana a Firenze, la stessa dove Emanuele aveva iniziato la naia.
"Autolesionismo, niente di strano" dicono dal comando regione centro. Oggi, invece, autopsia sul corpo di Vincenzo Sicilia, 27 anni, il parà ucciso da un malore a Pistoia, mercoledì, poche ore dopo il congedo. Anche lui avrebbe subìto in passato atti di nonnismo, secondo una segnalazione della famiglia. Oggi i funerali di Emanuele a Siracusa.
(27 agosto 1999)
http://archiviostorico.corriere.it/1999/agosto/27/Para_sette_casi_nonnismo_Pisa_co_0_9908271946.shtml
http://solleviamoci.wordpress.com/2009/08/14/in-memoria-di-emanuele-scieri-14-16-agosto-1999-2009/
lunedì 21 settembre 2009
LA CEI E LO STATO
lettera al Corriere
===
Caro Romano,
l'interferenza della Cei nella vita italiana è davvero pesante. Oggi ha richiamato l'art.54 della Costituzione per criticare la mancanza di sobrietà
del personale politico.Tutti vi abbiamo letto critiche alle sregolatezze della vita privata del Presidente del Consiglio che per quanto giuste non sono accettabili.
La CEI ha espresso un giudizio positivo sul lavoro "prezioso" svolto dal Senato in materia di biotestamento (non saremo liberi di decidere di noi stessi) ha avanzato nuove richieste di finanziamento della scuola privata mentre si licenziano quarantamila professori nella scuola pubblica e
ha espresso opinioni in tema di immigrazione e di afghanistan.
La Cei detta le norme e l'agenda della politica italiana. Questo è inaccettabile . Non siamo una dependance del Vaticano. Non possiamo vivere sempre in regime di sovranità limitata.
Pietro Ancona
===
Caro Romano,
l'interferenza della Cei nella vita italiana è davvero pesante. Oggi ha richiamato l'art.54 della Costituzione per criticare la mancanza di sobrietà
del personale politico.Tutti vi abbiamo letto critiche alle sregolatezze della vita privata del Presidente del Consiglio che per quanto giuste non sono accettabili.
La CEI ha espresso un giudizio positivo sul lavoro "prezioso" svolto dal Senato in materia di biotestamento (non saremo liberi di decidere di noi stessi) ha avanzato nuove richieste di finanziamento della scuola privata mentre si licenziano quarantamila professori nella scuola pubblica e
ha espresso opinioni in tema di immigrazione e di afghanistan.
La Cei detta le norme e l'agenda della politica italiana. Questo è inaccettabile . Non siamo una dependance del Vaticano. Non possiamo vivere sempre in regime di sovranità limitata.
Pietro Ancona
Usa, Russia e Israele
Archivio Settembre 2009 L'AMORE SUL MAR ARTICO
by Gianluca Freda (20/09/2009 - 21:19)
blogghete
A questo punto credo di poterlo dire: chi pensava che l’amministrazione Obama sarebbe stata una mera continuazione della politica dell’era Bush sotto le inedite spoglie “politically correct” di un presidente nero aveva compiuto una valutazione imprecisa. Ho aspettato diversi mesi prima di scriverlo, perché io stesso sospettavo che l’elezione di Obama non fosse altro che la solita operazione di facciata, in cui si muta la confezione affinché il contenuto rimanga lo stesso. Bene, credo ormai di poter dire che non era così. Con l’elezione di Obama i rapporti tra USA e Israele sono profondamente mutati; e cambiare i rapporti tra USA e Israele significa cambiare radicalmente faccia all’intera geopolitica internazionale. Ci aveva visto giusto Israel Shamir, i cui articoli ho tradotto e pubblicato nei mesi passati: Obama è sì l’ennesima “creatura” della lobby ebraica statunitense, come i suoi detrattori giustamente affermano. Costoro si dimenticano però di dire che quando parliamo di lobby e di Stati Uniti non parliamo di entità monolitiche che condividano, nella loro interezza, un rigoroso fine unitario. Esistono ramificazioni, devianze, scontri, rivalità, molteplicità ed inconciliabilità d’interessi all’interno di questi organismi ed è da questi contrasti interni che è nata la figura del nuovo presidente. Scriveva Shamir qualche mese fa che Obama rappresenta il trionfo dell’ala sinistra della lobby ebraica (che ha i propri interessi economici in territorio USA) sull’ala destra filoisraeliana che durante l’amministrazione Bush-Cheney aveva trasformato la politica estera americana in uno strumento di terrore globale totalmente asservito agli interessi israeliani. Gli attacchi dell’11 settembre 2001, organizzati e gestiti da elementi del Mossad e della CIA, con la stretta collaborazione di figure di primo piano dell’amministrazione USA, avevano segnato – con le loro conseguenze internazionali – la fase di massimo asservimento della politica statunitense ai diktat israeliani. Non è più così, e le evidenze del cambiamento di rotta sono ormai abbondanti. Alcune di esse sono recentissime e piuttosto clamorose.
Le ostilità tra le due ali della lobby israelo-americana divennero evidenti già subito dopo l’elezione di Obama, quando l’11 dicembre 2008 venne arrestato per bancarotta fraudolenta il finanziere ebreo Bernie Madoff. Il fallimento e l’arresto di Madoff, al di là della loro rilevanza di “monito”, misero in serie difficoltà economiche molti dei sostenitori dell’ala destra della lobby, riducendo all’osso le loro possibilità di finanziare politici di parte all’interno dell’amministrazione americana.
Poco prima dell’insediamento di Obama, Israele scatenò contro Gaza l’Operazione Piombo Fuso, una delle più atroci e sanguinarie azioni di sterminio mai progettate contro i palestinesi, con l’utilizzo di fosforo bianco e bombardamenti a tappeto contro la popolazione civile. Possiamo dire ora, con il senno del poi, che si trattò di un’azione dimostrativa rivolta non tanto a scongiurare l’inesistente rischio dei razzi di Hamas, ma a sottolineare l’intransigenza del governo israeliano riguardo la prosecuzione della consueta politica in Medio Oriente, con o senza l’approvazione dei nuovi inquilini della Casa Bianca.
Gli attacchi agli affari e all’immagine di Israele nel mondo si sono moltiplicati negli ultimi mesi, con l’arresto in New Jersey della rete di rabbini trafficanti in organi umani sotto l’egida d’Israele e con il riconoscimento della medaglia al valor militare ad uno dei superstiti della USS Liberty, la nave americana aggredita da forze militari israeliane nel 1967.
Uno degli ultimi “affronti” a Israele è stata la pubblicazione ad opera di Richard Goldstone, capo di una commissione d’indagine nominata dal Consiglio per i Diritti Umani delle Nazioni Unite, di un rapporto sui crimini di guerra compiuti da Israele durante l’Operazione Piombo Fuso (perfino la solitamente partigianissima Amnesty International ha definito quell’attacco contro i civili come “22 giorni di morte e distruzione”).
Il tentativo di affiancare ad Obama il cane da guardia USraeliano Joe Biden, per tenerlo sotto controllo, è fallito: le dichiarazioni di Obama e quelle di Biden, particolarmente riguardo all’Iran, sono quanto di più antitetico sia possibile immaginare. Già questo sarebbe sufficiente a rendere idea dello scontro in atto ai vertici della politica americana per ottenere finalmente un affrancamento degli USA dalla servitù sionista imposta al paese nell’ultimo decennio.
Ma gli eventi più clamorosi e significativi sono forse quelli relativi all’affare della Arctic Sea, la nave russa aggredita due mesi fa da non meglio identificati “pirati” e poi recuperata grazie ad un’azione congiunta delle forze americane e russe. La storia è inquietante e preoccupante: la Arctic Sea trasportava tre missili atomici recuperati dal sottomarino russo K-141 Kursk, affondato nel 2000 nel Mare di Barents in seguito ad un’esplosione, provocando la morte di tutti i 118 membri dell’equipaggio. I missili, recuperati grazie alle attrezzature della Arctic Sea in collaborazione con le forze militari finlandesi, dovevano essere spediti in Texas, presso l’installazione denominata Pantex Plant, per essere smantellati. Ma non sono mai arrivati in Texas. Il 24 luglio, mentre transitava attraverso il Baltico (attraverso la Manica, secondo altre fonti), la Arctic Sea è stata aggredita da “commandos non identificati”, che hanno preso possesso della nave spacciandosi per poliziotti svedesi antidroga. Il 12 agosto il Presidente russo Medvedev e il primo ministro Putin hanno organizzato un incontro sul Mar Nero con il presidente finlandese Tarja Halonen. E’ stato deciso di organizzare una ricerca a tappeto della nave dirottata utilizzando “tutte le risorse disponibili” della flotta russa. “Tutte le navi e tutti i vascelli della Marina Russa presenti nell’Atlantico”, ha dichiarato il comandante in capo della Marina Russa, Vladimir Vykotsky, “sono stati schierati alla ricerca della nave scomparsa”. Da questo colossale spiegamento di forze è già possibile intuire l’importanza della posta in gioco. Fonti dell’FSB (il Servizio di Sicurezza Federale della Russia) e del GRU (il servizio informazioni delle forze armate russe) temevano che dietro l’assalto vi fosse il progetto di organizzare un non meglio precisato attentato “false flag” in territorio statunitense, simile a quello dell’11 settembre 2001 di cui incolpare – probabilmente – l’Iran per giustificare un attacco militare contro la Repubblica Islamica. Se queste fonti fossero attendibili (sottolineo il “se”, perché la prudenza, in questi casi, non è mai troppa) l’attacco sarebbe dovuto avvenire il prossimo 22 settembre. Non è difficile immaginare quali servizi segreti e quale paese stiano dietro il dirottamento della Arctic Sea. E’ certo antisemita, ma non difficile.
Fortunatamente i piani dello stato “più democratico del Medio Oriente”, per questa volta, sono andati a monte. Un’azione congiunta delle forze navali russe e americane, avvenuta il 17 agosto, è riuscita a recuperare la Arctic Sea, arrestando i membri del commando di dirottatori, i quali sono stati definiti dal Ministro della Difesa russo, Anatoly Serdyukov, come “terroristi della CIA” in possesso di falsi passaporti russi, estoni e lettoni. L’appartenenza dei dirottatori alla CIA non deve certo far pensare che il coinvolgimento di Israele nell’operazione sia minore. Scrive l’autore del sito www.whatdoesitmean.com, che si firma con lo pseudonimo di Sorcha Faal:
“Una cosa poco nota al pubblico americano, ma risaputa nel resto del mondo, è che la Central Intelligence Agency (CIA) è attualmente prossima al ‘caos totale’, visto che né l’amministrazione Obama, né i settori delle forze armate USA leali al nuovo presidente, riescono a tenere sotto controllo quegli ‘elementi deviati’ che in passato hanno lavorato in stretta collaborazione con l’intelligence pakistana (ISI) e l’Istituto Israeliano per l’Intelligence e le Operazioni Speciali (Mossad) per creare una propria organizzazione terroristica più conosciuta con il nome di Al Qaeda”.
Dopo il recupero della Arctic Sea e l’arresto dei dirottatori, il presidente israeliano Netanyahu si è precipitato a Mosca, furibondo, in quella che viene definita da fonti del Ministero degli Esteri russo come “un’infrazione senza precedenti ai protocolli internazionali”. Netanyahu ha cercato in tutti i modi di tenere segreto il proprio “blitz” a Mosca: il viaggio è stato compiuto lunedì 7 settembre con un jet privato israeliano ufficialmente diretto a Tbilisi, in Georgia, il quale però, non appena giunto nello spazio aereo russo, ha richiesto un “permesso urgente” per atterrare nella base aerea moscovita di Kubinka. Qui Netanyahu è stato ricevuto da alcuni allibiti ufficiali dell’FSB, nonché da rappresentanti diplomatici russi e israeliani, convocati d’urgenza. Nonostante le cautele, la notizia della spedizione di Netanyahu è trapelata sulla stampa israeliana: lo Yediot Achronot ha parlato della repentina spedizione del primo ministro, nonostante le fonti ufficiali continuassero a sostenere che l’improvvisa sparizione di Netanyahu il 7 settembre era dovuta alla sua presenza in una “installazione di sicurezza israeliana”. Il quotidiano Ha’aretz ha citato un “alto funzionario di Gerusalemme”, il quale avrebbe confermato la visita di Netanyahu a Mosca in compagnia di Meir Kalifi, ministro per gli Affari Militari e Uzi Arad, consigliere per la Sicurezza Nazionale d’Israele (quest’ultimo implicato in operazioni di spionaggio su suolo americano a favore d’Israele, attraverso l’organizzazione israelo-americana nota come AIPAC). Ha’aretz scrive anche che il Ministro degli Esteri israeliano, Avigdor Lieberman, e il Ministro della Difesa, Ehud Barak, erano stati informati del viaggio, ma avevano ricevuto l’ordine di non diffondere la notizia.
Secondo fonti ufficiose citate sempre dal sito www.whatdoesitmean.com, l’incontro fra Netanyahu e le autorità russe sarebbe stato a dir poco tempestoso. Netanyahu avrebbe richiesto, “furente”, la “restituzione immediata di tutti i documenti, l’equipaggiamento e gli agenti del Mossad” catturati nel corso dell’operazione russo-americana per liberare la Arctic Sea. Di fronte al rifiuto di Medvedev – il quale avrebbe anche minacciato ritorsioni contro Israele in caso di attacco contro l’Iran - avrebbe replicato con frasi come: “Israele è pronto a trascinare il mondo intero nell’abisso insieme a sé, se sarà necessario”, “la Russia deve guardarsi le spalle” e “non siate sorpresi quando i funghi atomici inizieranno a comparire su Teheran”.
Di sicuro sembra che il rifiuto di Medvedev sia costato caro alla Russia: dopo l’azione di recupero della Arctic Sea, il territorio russo è stato funestato da una serie di attacchi terroristici che hanno provocato finora un centinaio di morti. Il 17 agosto (lo stesso giorno del ritrovamento e della liberazione della Arctic Sea e del suo equipaggio) un attentato alla centrale idroelettrica di Sayano-Shushenskaya ha provocato una disastrosa inondazione con almeno 75 vittime; il 12 settembre un “attentatore ceceno” si è fatto esplodere presso una stazione di polizia a Grozny, provocando la morte di due agenti e il ferimento di almeno altre tre persone. Ma l’incidente politicamente più grave è stato l’attacco alla base aerea di Tambov, in cui sono conservati alcuni dei documenti segreti più importanti dell’intelligence russo. Un “commando” non meglio precisato ha attaccato la base la notte del 13 settembre, prendendo di mira simultaneamente 3 torrette di guardia poste a protezione del bunker sotterraneo e uccidendo 3 guardie Spetsnaz del GRU e due ufficiali. In meno di 15 minuti i membri del commando sono riusciti a penetrare nell’installazione, disattivare il sistema antincendio e attaccare il bunker in cui erano contenuti i file segreti con ordigni incendiari. Secondo alcune fonti, nella base sarebbero stati conservati i file russi riguardanti gli eventi dell’11 settembre 2001. L’agenzia di stampa RIA Novosti riferisce:
“L’incendio scoppiato presso la sede del Direttorato dell’Intelligence Russa è avvenuto durante la notte e ha riguardato un’area di 400 metri quadri. Due ufficiali e tre militari sono rimasti uccisi. L’incendio ha gravemente danneggiato un’unità segreta in cui sono conservati documenti di particolare importanza governativa, ha riferito una fonte, aggiungendo che il Ministro della Difesa russo ha ordinato al proprio primo funzionario, Col. Gen. Alexander Kolmakov, di recarsi sul sito. “I danni sono definiti ‘molto gravi’”, ha aggiunto la fonte”.
Questa ondata di attacchi terroristici, che ha fatto seguito all’inaudita alleanza russo-statunitense per sventare un piano dell’intelligence israeliana, sembra aver generato un ulteriore avvicinamento tra le autorità di Washington e quelle di Mosca. E’ del 16 settembre la notizia di un colloquio tra Putin, Obama e il primo ministro canadese Harper, volto a fronteggiare una “emergenza senza precedenti” generata da una politica israeliana “finita totalmente fuori controllo”. La riunione è stata convocata dopo che Israele aveva interrotto tutti i negoziati con l’inviato di Obama, George Mitchell, a seguito della pubblicazione del già citato rapporto di Richard Goldstone sui crimini commessi da Israele durante l’operazione Piombo Fuso. La situazione è stata resa ancora più preoccupante dalle dichiarazioni rilasciate alla Reuters dall’ex ministro della difesa israeliano Ephraim Sneh (alleato del leader dell’opposizione israeliana, Tzipi Livni, che Netanyahu ha sconfitto alle scorse elezioni) secondo il quale sarebbe imminente un attacco di Israele alle installazioni nucleari iraniane nel caso in cui Stati Uniti ed Europa non si decidessero ad inasprire le sanzioni contro la Repubblica Islamica.
E’ nel corso di questi colloqui che Obama ha acconsentito, a sorpresa, a rinunciare allo “scudo” missilistico che, nelle intenzioni dell’amministrazione Bush-Cheney, avrebbe dovuto essere posizionato in Polonia e Repubblica Ceca allo scopo di “circondare” la Russia.
Putin, dal canto suo, ha dichiarato di rinunciare al progetto di una nuova supervaluta che avrebbe dovuto sostituire il dollaro negli scambi internazionali, riposizionando le proprie richieste sulla domanda di una pluralità di valute accanto al dollaro. Putin – per mezzo del Ministro delle Finanze russo, Alexei Kudrin - ha inoltre rinunciato alla causa da 22 miliardi di dollari intentata alla Bank of New York, di proprietà della famiglia Mellon, accontentandosi di una cifra simbolica per le “spese processuali”, pari a 14 milioni di dollari. La causa contro la Bank of New York, se condotta a buon fine, avrebbe creato ulteriori difficoltà alla già traballante politica economica del presidente americano.
Come si vede, i colloqui russo-americani hanno dato luogo a risultati di notevole rilievo in tempi brevissimi, il che non può non far pensare ad un’alleanza tattica o strategica per fronteggiare una minaccia comune. Un diplomatico russo che ha voluto restare anonimo avrebbe dichiarato: “Mai nel corso della storia avevo visto così tante e profonde divergenze tra noi e gli americani appianarsi in un tempo così breve... e di questo dobbiamo ringraziare Israele”. Se davvero (ma lo si prenda con tutte le cautele possibili) dietro questi accordi ci fosse la necessità di fare fronte comune contro una politica israeliana finita fuori controllo, staremmo senz’altro assistendo al più rivoluzionario rivolgimento di politica internazionale degli ultimi 40 anni. In ogni caso se l’idea di un Obama “salvatore del mondo” continua ad essere sciocca ed ingenua, penso che anche quella di un Obama mero “continuatore” del progetto neocon con mezzi più subdoli sia da mettere definitivamente in soffitta di fronte a questi avvenimenti. A meno che, naturalmente, la progettualità fraudolenta dei padroni del mondo non si muova per strade così tortuose ed astute da rendersi irriconoscibile anche all’analisi più disincantata.
by Gianluca Freda (20/09/2009 - 21:19)
blogghete
A questo punto credo di poterlo dire: chi pensava che l’amministrazione Obama sarebbe stata una mera continuazione della politica dell’era Bush sotto le inedite spoglie “politically correct” di un presidente nero aveva compiuto una valutazione imprecisa. Ho aspettato diversi mesi prima di scriverlo, perché io stesso sospettavo che l’elezione di Obama non fosse altro che la solita operazione di facciata, in cui si muta la confezione affinché il contenuto rimanga lo stesso. Bene, credo ormai di poter dire che non era così. Con l’elezione di Obama i rapporti tra USA e Israele sono profondamente mutati; e cambiare i rapporti tra USA e Israele significa cambiare radicalmente faccia all’intera geopolitica internazionale. Ci aveva visto giusto Israel Shamir, i cui articoli ho tradotto e pubblicato nei mesi passati: Obama è sì l’ennesima “creatura” della lobby ebraica statunitense, come i suoi detrattori giustamente affermano. Costoro si dimenticano però di dire che quando parliamo di lobby e di Stati Uniti non parliamo di entità monolitiche che condividano, nella loro interezza, un rigoroso fine unitario. Esistono ramificazioni, devianze, scontri, rivalità, molteplicità ed inconciliabilità d’interessi all’interno di questi organismi ed è da questi contrasti interni che è nata la figura del nuovo presidente. Scriveva Shamir qualche mese fa che Obama rappresenta il trionfo dell’ala sinistra della lobby ebraica (che ha i propri interessi economici in territorio USA) sull’ala destra filoisraeliana che durante l’amministrazione Bush-Cheney aveva trasformato la politica estera americana in uno strumento di terrore globale totalmente asservito agli interessi israeliani. Gli attacchi dell’11 settembre 2001, organizzati e gestiti da elementi del Mossad e della CIA, con la stretta collaborazione di figure di primo piano dell’amministrazione USA, avevano segnato – con le loro conseguenze internazionali – la fase di massimo asservimento della politica statunitense ai diktat israeliani. Non è più così, e le evidenze del cambiamento di rotta sono ormai abbondanti. Alcune di esse sono recentissime e piuttosto clamorose.
Le ostilità tra le due ali della lobby israelo-americana divennero evidenti già subito dopo l’elezione di Obama, quando l’11 dicembre 2008 venne arrestato per bancarotta fraudolenta il finanziere ebreo Bernie Madoff. Il fallimento e l’arresto di Madoff, al di là della loro rilevanza di “monito”, misero in serie difficoltà economiche molti dei sostenitori dell’ala destra della lobby, riducendo all’osso le loro possibilità di finanziare politici di parte all’interno dell’amministrazione americana.
Poco prima dell’insediamento di Obama, Israele scatenò contro Gaza l’Operazione Piombo Fuso, una delle più atroci e sanguinarie azioni di sterminio mai progettate contro i palestinesi, con l’utilizzo di fosforo bianco e bombardamenti a tappeto contro la popolazione civile. Possiamo dire ora, con il senno del poi, che si trattò di un’azione dimostrativa rivolta non tanto a scongiurare l’inesistente rischio dei razzi di Hamas, ma a sottolineare l’intransigenza del governo israeliano riguardo la prosecuzione della consueta politica in Medio Oriente, con o senza l’approvazione dei nuovi inquilini della Casa Bianca.
Gli attacchi agli affari e all’immagine di Israele nel mondo si sono moltiplicati negli ultimi mesi, con l’arresto in New Jersey della rete di rabbini trafficanti in organi umani sotto l’egida d’Israele e con il riconoscimento della medaglia al valor militare ad uno dei superstiti della USS Liberty, la nave americana aggredita da forze militari israeliane nel 1967.
Uno degli ultimi “affronti” a Israele è stata la pubblicazione ad opera di Richard Goldstone, capo di una commissione d’indagine nominata dal Consiglio per i Diritti Umani delle Nazioni Unite, di un rapporto sui crimini di guerra compiuti da Israele durante l’Operazione Piombo Fuso (perfino la solitamente partigianissima Amnesty International ha definito quell’attacco contro i civili come “22 giorni di morte e distruzione”).
Il tentativo di affiancare ad Obama il cane da guardia USraeliano Joe Biden, per tenerlo sotto controllo, è fallito: le dichiarazioni di Obama e quelle di Biden, particolarmente riguardo all’Iran, sono quanto di più antitetico sia possibile immaginare. Già questo sarebbe sufficiente a rendere idea dello scontro in atto ai vertici della politica americana per ottenere finalmente un affrancamento degli USA dalla servitù sionista imposta al paese nell’ultimo decennio.
Ma gli eventi più clamorosi e significativi sono forse quelli relativi all’affare della Arctic Sea, la nave russa aggredita due mesi fa da non meglio identificati “pirati” e poi recuperata grazie ad un’azione congiunta delle forze americane e russe. La storia è inquietante e preoccupante: la Arctic Sea trasportava tre missili atomici recuperati dal sottomarino russo K-141 Kursk, affondato nel 2000 nel Mare di Barents in seguito ad un’esplosione, provocando la morte di tutti i 118 membri dell’equipaggio. I missili, recuperati grazie alle attrezzature della Arctic Sea in collaborazione con le forze militari finlandesi, dovevano essere spediti in Texas, presso l’installazione denominata Pantex Plant, per essere smantellati. Ma non sono mai arrivati in Texas. Il 24 luglio, mentre transitava attraverso il Baltico (attraverso la Manica, secondo altre fonti), la Arctic Sea è stata aggredita da “commandos non identificati”, che hanno preso possesso della nave spacciandosi per poliziotti svedesi antidroga. Il 12 agosto il Presidente russo Medvedev e il primo ministro Putin hanno organizzato un incontro sul Mar Nero con il presidente finlandese Tarja Halonen. E’ stato deciso di organizzare una ricerca a tappeto della nave dirottata utilizzando “tutte le risorse disponibili” della flotta russa. “Tutte le navi e tutti i vascelli della Marina Russa presenti nell’Atlantico”, ha dichiarato il comandante in capo della Marina Russa, Vladimir Vykotsky, “sono stati schierati alla ricerca della nave scomparsa”. Da questo colossale spiegamento di forze è già possibile intuire l’importanza della posta in gioco. Fonti dell’FSB (il Servizio di Sicurezza Federale della Russia) e del GRU (il servizio informazioni delle forze armate russe) temevano che dietro l’assalto vi fosse il progetto di organizzare un non meglio precisato attentato “false flag” in territorio statunitense, simile a quello dell’11 settembre 2001 di cui incolpare – probabilmente – l’Iran per giustificare un attacco militare contro la Repubblica Islamica. Se queste fonti fossero attendibili (sottolineo il “se”, perché la prudenza, in questi casi, non è mai troppa) l’attacco sarebbe dovuto avvenire il prossimo 22 settembre. Non è difficile immaginare quali servizi segreti e quale paese stiano dietro il dirottamento della Arctic Sea. E’ certo antisemita, ma non difficile.
Fortunatamente i piani dello stato “più democratico del Medio Oriente”, per questa volta, sono andati a monte. Un’azione congiunta delle forze navali russe e americane, avvenuta il 17 agosto, è riuscita a recuperare la Arctic Sea, arrestando i membri del commando di dirottatori, i quali sono stati definiti dal Ministro della Difesa russo, Anatoly Serdyukov, come “terroristi della CIA” in possesso di falsi passaporti russi, estoni e lettoni. L’appartenenza dei dirottatori alla CIA non deve certo far pensare che il coinvolgimento di Israele nell’operazione sia minore. Scrive l’autore del sito www.whatdoesitmean.com, che si firma con lo pseudonimo di Sorcha Faal:
“Una cosa poco nota al pubblico americano, ma risaputa nel resto del mondo, è che la Central Intelligence Agency (CIA) è attualmente prossima al ‘caos totale’, visto che né l’amministrazione Obama, né i settori delle forze armate USA leali al nuovo presidente, riescono a tenere sotto controllo quegli ‘elementi deviati’ che in passato hanno lavorato in stretta collaborazione con l’intelligence pakistana (ISI) e l’Istituto Israeliano per l’Intelligence e le Operazioni Speciali (Mossad) per creare una propria organizzazione terroristica più conosciuta con il nome di Al Qaeda”.
Dopo il recupero della Arctic Sea e l’arresto dei dirottatori, il presidente israeliano Netanyahu si è precipitato a Mosca, furibondo, in quella che viene definita da fonti del Ministero degli Esteri russo come “un’infrazione senza precedenti ai protocolli internazionali”. Netanyahu ha cercato in tutti i modi di tenere segreto il proprio “blitz” a Mosca: il viaggio è stato compiuto lunedì 7 settembre con un jet privato israeliano ufficialmente diretto a Tbilisi, in Georgia, il quale però, non appena giunto nello spazio aereo russo, ha richiesto un “permesso urgente” per atterrare nella base aerea moscovita di Kubinka. Qui Netanyahu è stato ricevuto da alcuni allibiti ufficiali dell’FSB, nonché da rappresentanti diplomatici russi e israeliani, convocati d’urgenza. Nonostante le cautele, la notizia della spedizione di Netanyahu è trapelata sulla stampa israeliana: lo Yediot Achronot ha parlato della repentina spedizione del primo ministro, nonostante le fonti ufficiali continuassero a sostenere che l’improvvisa sparizione di Netanyahu il 7 settembre era dovuta alla sua presenza in una “installazione di sicurezza israeliana”. Il quotidiano Ha’aretz ha citato un “alto funzionario di Gerusalemme”, il quale avrebbe confermato la visita di Netanyahu a Mosca in compagnia di Meir Kalifi, ministro per gli Affari Militari e Uzi Arad, consigliere per la Sicurezza Nazionale d’Israele (quest’ultimo implicato in operazioni di spionaggio su suolo americano a favore d’Israele, attraverso l’organizzazione israelo-americana nota come AIPAC). Ha’aretz scrive anche che il Ministro degli Esteri israeliano, Avigdor Lieberman, e il Ministro della Difesa, Ehud Barak, erano stati informati del viaggio, ma avevano ricevuto l’ordine di non diffondere la notizia.
Secondo fonti ufficiose citate sempre dal sito www.whatdoesitmean.com, l’incontro fra Netanyahu e le autorità russe sarebbe stato a dir poco tempestoso. Netanyahu avrebbe richiesto, “furente”, la “restituzione immediata di tutti i documenti, l’equipaggiamento e gli agenti del Mossad” catturati nel corso dell’operazione russo-americana per liberare la Arctic Sea. Di fronte al rifiuto di Medvedev – il quale avrebbe anche minacciato ritorsioni contro Israele in caso di attacco contro l’Iran - avrebbe replicato con frasi come: “Israele è pronto a trascinare il mondo intero nell’abisso insieme a sé, se sarà necessario”, “la Russia deve guardarsi le spalle” e “non siate sorpresi quando i funghi atomici inizieranno a comparire su Teheran”.
Di sicuro sembra che il rifiuto di Medvedev sia costato caro alla Russia: dopo l’azione di recupero della Arctic Sea, il territorio russo è stato funestato da una serie di attacchi terroristici che hanno provocato finora un centinaio di morti. Il 17 agosto (lo stesso giorno del ritrovamento e della liberazione della Arctic Sea e del suo equipaggio) un attentato alla centrale idroelettrica di Sayano-Shushenskaya ha provocato una disastrosa inondazione con almeno 75 vittime; il 12 settembre un “attentatore ceceno” si è fatto esplodere presso una stazione di polizia a Grozny, provocando la morte di due agenti e il ferimento di almeno altre tre persone. Ma l’incidente politicamente più grave è stato l’attacco alla base aerea di Tambov, in cui sono conservati alcuni dei documenti segreti più importanti dell’intelligence russo. Un “commando” non meglio precisato ha attaccato la base la notte del 13 settembre, prendendo di mira simultaneamente 3 torrette di guardia poste a protezione del bunker sotterraneo e uccidendo 3 guardie Spetsnaz del GRU e due ufficiali. In meno di 15 minuti i membri del commando sono riusciti a penetrare nell’installazione, disattivare il sistema antincendio e attaccare il bunker in cui erano contenuti i file segreti con ordigni incendiari. Secondo alcune fonti, nella base sarebbero stati conservati i file russi riguardanti gli eventi dell’11 settembre 2001. L’agenzia di stampa RIA Novosti riferisce:
“L’incendio scoppiato presso la sede del Direttorato dell’Intelligence Russa è avvenuto durante la notte e ha riguardato un’area di 400 metri quadri. Due ufficiali e tre militari sono rimasti uccisi. L’incendio ha gravemente danneggiato un’unità segreta in cui sono conservati documenti di particolare importanza governativa, ha riferito una fonte, aggiungendo che il Ministro della Difesa russo ha ordinato al proprio primo funzionario, Col. Gen. Alexander Kolmakov, di recarsi sul sito. “I danni sono definiti ‘molto gravi’”, ha aggiunto la fonte”.
Questa ondata di attacchi terroristici, che ha fatto seguito all’inaudita alleanza russo-statunitense per sventare un piano dell’intelligence israeliana, sembra aver generato un ulteriore avvicinamento tra le autorità di Washington e quelle di Mosca. E’ del 16 settembre la notizia di un colloquio tra Putin, Obama e il primo ministro canadese Harper, volto a fronteggiare una “emergenza senza precedenti” generata da una politica israeliana “finita totalmente fuori controllo”. La riunione è stata convocata dopo che Israele aveva interrotto tutti i negoziati con l’inviato di Obama, George Mitchell, a seguito della pubblicazione del già citato rapporto di Richard Goldstone sui crimini commessi da Israele durante l’operazione Piombo Fuso. La situazione è stata resa ancora più preoccupante dalle dichiarazioni rilasciate alla Reuters dall’ex ministro della difesa israeliano Ephraim Sneh (alleato del leader dell’opposizione israeliana, Tzipi Livni, che Netanyahu ha sconfitto alle scorse elezioni) secondo il quale sarebbe imminente un attacco di Israele alle installazioni nucleari iraniane nel caso in cui Stati Uniti ed Europa non si decidessero ad inasprire le sanzioni contro la Repubblica Islamica.
E’ nel corso di questi colloqui che Obama ha acconsentito, a sorpresa, a rinunciare allo “scudo” missilistico che, nelle intenzioni dell’amministrazione Bush-Cheney, avrebbe dovuto essere posizionato in Polonia e Repubblica Ceca allo scopo di “circondare” la Russia.
Putin, dal canto suo, ha dichiarato di rinunciare al progetto di una nuova supervaluta che avrebbe dovuto sostituire il dollaro negli scambi internazionali, riposizionando le proprie richieste sulla domanda di una pluralità di valute accanto al dollaro. Putin – per mezzo del Ministro delle Finanze russo, Alexei Kudrin - ha inoltre rinunciato alla causa da 22 miliardi di dollari intentata alla Bank of New York, di proprietà della famiglia Mellon, accontentandosi di una cifra simbolica per le “spese processuali”, pari a 14 milioni di dollari. La causa contro la Bank of New York, se condotta a buon fine, avrebbe creato ulteriori difficoltà alla già traballante politica economica del presidente americano.
Come si vede, i colloqui russo-americani hanno dato luogo a risultati di notevole rilievo in tempi brevissimi, il che non può non far pensare ad un’alleanza tattica o strategica per fronteggiare una minaccia comune. Un diplomatico russo che ha voluto restare anonimo avrebbe dichiarato: “Mai nel corso della storia avevo visto così tante e profonde divergenze tra noi e gli americani appianarsi in un tempo così breve... e di questo dobbiamo ringraziare Israele”. Se davvero (ma lo si prenda con tutte le cautele possibili) dietro questi accordi ci fosse la necessità di fare fronte comune contro una politica israeliana finita fuori controllo, staremmo senz’altro assistendo al più rivoluzionario rivolgimento di politica internazionale degli ultimi 40 anni. In ogni caso se l’idea di un Obama “salvatore del mondo” continua ad essere sciocca ed ingenua, penso che anche quella di un Obama mero “continuatore” del progetto neocon con mezzi più subdoli sia da mettere definitivamente in soffitta di fronte a questi avvenimenti. A meno che, naturalmente, la progettualità fraudolenta dei padroni del mondo non si muova per strade così tortuose ed astute da rendersi irriconoscibile anche all’analisi più disincantata.
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