E' scandaloso il silenzio di Bersani e del PD sul massacro dei pacifisti ed il sequestro di settecento persone e di tutto il materiale destinato a Gaza. Bersani si dovrebbe vergognare di stare zitto per non turbare i suoi rapporti con i poteri ebraici.
Questo silenzio non sarà dimenticato. Il PD è oramai perduto per sempre alla causa della democrazia e della libertà.
Pietro Ancona
lunedì 31 maggio 2010
Punire i pacifisti, punire la Turchia!
Punire i pacifisti, punire la Turchia!
L'aggressione mafiosa alla piccola flotta di imbarcazioni pacifiste che portava aiuti alla martoriata popolazione di Gaza si è proposta diversi obiettivi, analizzati con freddezza dai dirigenti militari e politici dello Stato nazista di Israele. E' stata aggredita l'imbarcazione turca con spargimento di sangue per un meditato progetto di rivalsa. Bisognava punire in modo esemplare la Turchia che, nei giorni scorsi, in una iniziativa congiunta con il Brasile, ha raggiunto un importante accordo di pace e di collaborazione nucleare con l'Iran. Turchia e Brasile hanno accettato la discussione con l'Iran riconoscendo il suo diritto di dotarsi di una industria nucleare dal momento che, per quanto sia grande produttrice di petrolio, ha bisogno come tutti di una opzione diversa per assicurare energia ai suoi settanta milioni di abitanti. L'accordo tripolare, rarissima iniziativa diplomatica assunta al difuori della diplomazia di guerra degli USA e dei suoi alleati, è stato accolto con irritazione dalla casa Bianca e, naturalmente, da Israele. Questa, dotata di un possente arsenale di bombe nucleari di cui ha sempre negato l'esistenza, vuole essere la sola potenza atomica del Medio Oriente. Gli accordi generali sottoscritti all'ONU per fare del MO una zona denuclearizzata hanno accresciuto il ruolo della Turchia e la sua importanza diplomatica e militare finora conculcata dagli USA e ridotta ad alleato passivo buono per fare transitare gli aerei da bombardamento americani nei suoi cieli.
L'altro scopo del blitz notturno è ribadire davanti al mondo che le regole del diritto internazionale non valgono per Israele. Lo spargimento di sangue è stato voluto per scoraggiare l'iniziativa umanitaria in Europa e nel Mondo a favore di una popolazione prigioniera da anni ed impedita a muoversi da un muro al quale presto se ne aggiungerà un'altro ad opera degli egiziani, degli Usa e di alcuni paesi della Nato.
Ripagando Israele della sua stessa moneta bisognerebbe approvare all'ONU sanzioni nei suoi confronti pari a quelle che esso impone ai palestinesi. Condividendo le sofferenze che si impongono agli altri forse potrebbe esserci un rinsavimento. In ogni caso, la comunità internazionale dovrebbe intervenire con molta energia per contrastare la megalomania di una entità che si vanta di avere gli Usa e quindi il mondo nelle sue mani.
Bastava vedere stamane a TG3 come si contorceva per non dire la verità Claudio Pagliara il corrispondente Rai da Gerusalemme o la lettrice protempore di Prima Pagina Laura Cesaretti del Foglio per avere una idea del potere della lobby israeliana sui massmedia occidentali. Claudio Pagliara
è stato quasi sul punto di dire che i soldati israeliani paracadutati sulla flottiglia sono stati aggrediti.
Un servilismo canino da suscitare conati di vomito.
Mi auguro che il popolo palestinese si riunifichi subito e riprenda la sua lotta per l'indipendenza e la libertà contro il cuculo che si è infilato nel suo nido uccidendone i piccoli.
Il mondo non può continuare ad essere preda della diplomazia di guerra e delle azioni di guerra degli USA che non si propongono la pace ma la sottomissione di tutti all'Impero.Non c'è una sola azione diplomatica di pace promossa dagli USA ma soltanto accordi per fare del male a qualcuno o qualcosa. Dove non si può usare la guerra o la diplomazia di guerra, si usano i titoli tossici e l'inquinamento finanziario per fare fallire gli Stati che si vogliono disgregare e ridurre in miseria.
Pietro Ancona
http://medioevosociale-pietro.blogspot.com/
www.spazioamico.it
http://www.radio.rai.it/grr/view.cfm?V_IDNOTIZIA=60071&Q_PROG_ID=421&Tematica=27
L'aggressione mafiosa alla piccola flotta di imbarcazioni pacifiste che portava aiuti alla martoriata popolazione di Gaza si è proposta diversi obiettivi, analizzati con freddezza dai dirigenti militari e politici dello Stato nazista di Israele. E' stata aggredita l'imbarcazione turca con spargimento di sangue per un meditato progetto di rivalsa. Bisognava punire in modo esemplare la Turchia che, nei giorni scorsi, in una iniziativa congiunta con il Brasile, ha raggiunto un importante accordo di pace e di collaborazione nucleare con l'Iran. Turchia e Brasile hanno accettato la discussione con l'Iran riconoscendo il suo diritto di dotarsi di una industria nucleare dal momento che, per quanto sia grande produttrice di petrolio, ha bisogno come tutti di una opzione diversa per assicurare energia ai suoi settanta milioni di abitanti. L'accordo tripolare, rarissima iniziativa diplomatica assunta al difuori della diplomazia di guerra degli USA e dei suoi alleati, è stato accolto con irritazione dalla casa Bianca e, naturalmente, da Israele. Questa, dotata di un possente arsenale di bombe nucleari di cui ha sempre negato l'esistenza, vuole essere la sola potenza atomica del Medio Oriente. Gli accordi generali sottoscritti all'ONU per fare del MO una zona denuclearizzata hanno accresciuto il ruolo della Turchia e la sua importanza diplomatica e militare finora conculcata dagli USA e ridotta ad alleato passivo buono per fare transitare gli aerei da bombardamento americani nei suoi cieli.
L'altro scopo del blitz notturno è ribadire davanti al mondo che le regole del diritto internazionale non valgono per Israele. Lo spargimento di sangue è stato voluto per scoraggiare l'iniziativa umanitaria in Europa e nel Mondo a favore di una popolazione prigioniera da anni ed impedita a muoversi da un muro al quale presto se ne aggiungerà un'altro ad opera degli egiziani, degli Usa e di alcuni paesi della Nato.
Ripagando Israele della sua stessa moneta bisognerebbe approvare all'ONU sanzioni nei suoi confronti pari a quelle che esso impone ai palestinesi. Condividendo le sofferenze che si impongono agli altri forse potrebbe esserci un rinsavimento. In ogni caso, la comunità internazionale dovrebbe intervenire con molta energia per contrastare la megalomania di una entità che si vanta di avere gli Usa e quindi il mondo nelle sue mani.
Bastava vedere stamane a TG3 come si contorceva per non dire la verità Claudio Pagliara il corrispondente Rai da Gerusalemme o la lettrice protempore di Prima Pagina Laura Cesaretti del Foglio per avere una idea del potere della lobby israeliana sui massmedia occidentali. Claudio Pagliara
è stato quasi sul punto di dire che i soldati israeliani paracadutati sulla flottiglia sono stati aggrediti.
Un servilismo canino da suscitare conati di vomito.
Mi auguro che il popolo palestinese si riunifichi subito e riprenda la sua lotta per l'indipendenza e la libertà contro il cuculo che si è infilato nel suo nido uccidendone i piccoli.
Il mondo non può continuare ad essere preda della diplomazia di guerra e delle azioni di guerra degli USA che non si propongono la pace ma la sottomissione di tutti all'Impero.Non c'è una sola azione diplomatica di pace promossa dagli USA ma soltanto accordi per fare del male a qualcuno o qualcosa. Dove non si può usare la guerra o la diplomazia di guerra, si usano i titoli tossici e l'inquinamento finanziario per fare fallire gli Stati che si vogliono disgregare e ridurre in miseria.
Pietro Ancona
http://medioevosociale-pietro.blogspot.com/
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Carlo Pisacane
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Carlo Pisacane, eroe risorgimentale. Anarchico.
italia | storia e memoria | opinioni mercoled� 05 maggio, 2010 20:12 by A
Nel giorno in cui si danno avvio ai festeggiamenti dei 150 anni di questo putrido paese, è giusto ricordare Carlo Pisacane, ingiustamente definito patriota ma in realtà socialista libertario, anarchico e rivoluzionario.
Carlo Pisacane fu uomo di pensiero e d'azione; aveva una concezione filosofico-politica formatasi dalle letture di Carlo Cattaneo e di Pierre Joseph Proudhon, che lo fece approdare ad una socialista, federalista e antiautoritaria.
I principi basilari del suo pensiero sono tre: libertà e associazione sono termini complementari. Non esiste libertà senza uguaglianza; il Risorgimento deve essere rivoluzione mediante rivoluzionario, nel senso che deve eliminare le ineguaglianze sociali e non essere un movimento banalmente teso alla costruzione di uno Stato nazionale; il popolo è mosso soprattutto dai bisogni materiali piuttosto che da quelli ideali (come sosteneva invece Mazzini).
Sulla rivoluzione sociale
L'idea rivoluzionaria in Carlo Pisacane fu sempre centrale. Egli rifiutò ardentemente l’idea di uno Stato autoritario, auspicando un'associazione di comuni federati libertariamente.
Il Pisacane non era quindi un patriota, nel senso più becero del termine (come spesso ancora oggi viene superficialmente definito dalla storiografia ufficiale), ma un rivoluzionario di matrice libertaria, fortemente avverso al riformismo. Il suo radicalismo è ben espresso nel suo Testamento politico (appendice del Saggio sulla rivoluzione), in cui si può leggere:
«Per quanto mi riguarda, io non farei il più piccolo sacrificio per cambiare un ministero e per ottenere una costituzione, neppure per scacciare gli austriaci della Lombardia e riunire questa provincia al Regno di Sardegna. Per mio avviso la dominazione della Casa di Savoia e la dominazione della casa d’Austria sono precisamente la stessa cosa. Io credo pure che il regime costituzionale del Piemonte è più nocivo all’Italia di quello che lo sia la tirannia di Ferdinando II […] Io credo al socialismo… il socialismo di cui parlo può definirsi in qeste due parole: libertà e associazione».
Sulla religione
«Chi ha creato il mondo? Nol so. Di tutte le ipotesi la più assurda è quella di supporre l'esistenza di un Dio, e l'uomo creato a sua immagine; questo Dio, l'uomo l'ha creato ad immagine propria, e ne ha fatto il Creatore del mondo; e così una particella è diventata creatrice del tutto [...] gli uomini oggi si associano non già per pregare e soffrire, ma per prestarsi vicendevole aiuto, lavorando per acquistare maggior prosperità e per combattere; l'aspirazione del socialismo non è quella di ascendere in cielo, ma di godere sulla terra. La differenza che passa tra esso e il Vangelo è la stessa che si riscontra fra la rigogliosa vita di un corpo giovine, ed il rantolo di un moribondo.» (Carlo Pisacane in Saggio sulla rivoluzione).
Sull'amore
«Tutte le leggi, egli dice, sono scaturite dalle dipendenze che la violenza e l'ignoranza stabilì fra gli uomini; ed in tal guisa il matrimonio risultò dai ratti, che i più forti fecero delle più belle, per usurparne il godimento. La natura, per contro, sottopone l'unione dei sessi alla sola legge dell'amore, e se un'altra regola, qualunque siasi, interviene, l'unione cangiasi in contratto, in prostituzione.... L'amore adunque, nel nostro patto sociale, sarà la sola condizione richiesta a rendere legittimo il congiungimento dei due sessi.» (Carlo Pisacane in Saggio sulla Rivoluzione).
Sulla libertà
«La libertà non ammette restrizioni di sorta alcuna, nè fa d'uopo d'educazione o di tirocinio per gustarla; essa è sentimento innato nell'umana natura.» (Carlo Pisacane in Saggio sulla rivoluzione).
http://ita.anarchopedia.org/Carlo_Pisacane
Carlo Pisacane, eroe risorgimentale. Anarchico.
italia | storia e memoria | opinioni mercoled� 05 maggio, 2010 20:12 by A
Nel giorno in cui si danno avvio ai festeggiamenti dei 150 anni di questo putrido paese, è giusto ricordare Carlo Pisacane, ingiustamente definito patriota ma in realtà socialista libertario, anarchico e rivoluzionario.
Carlo Pisacane fu uomo di pensiero e d'azione; aveva una concezione filosofico-politica formatasi dalle letture di Carlo Cattaneo e di Pierre Joseph Proudhon, che lo fece approdare ad una socialista, federalista e antiautoritaria.
I principi basilari del suo pensiero sono tre: libertà e associazione sono termini complementari. Non esiste libertà senza uguaglianza; il Risorgimento deve essere rivoluzione mediante rivoluzionario, nel senso che deve eliminare le ineguaglianze sociali e non essere un movimento banalmente teso alla costruzione di uno Stato nazionale; il popolo è mosso soprattutto dai bisogni materiali piuttosto che da quelli ideali (come sosteneva invece Mazzini).
Sulla rivoluzione sociale
L'idea rivoluzionaria in Carlo Pisacane fu sempre centrale. Egli rifiutò ardentemente l’idea di uno Stato autoritario, auspicando un'associazione di comuni federati libertariamente.
Il Pisacane non era quindi un patriota, nel senso più becero del termine (come spesso ancora oggi viene superficialmente definito dalla storiografia ufficiale), ma un rivoluzionario di matrice libertaria, fortemente avverso al riformismo. Il suo radicalismo è ben espresso nel suo Testamento politico (appendice del Saggio sulla rivoluzione), in cui si può leggere:
«Per quanto mi riguarda, io non farei il più piccolo sacrificio per cambiare un ministero e per ottenere una costituzione, neppure per scacciare gli austriaci della Lombardia e riunire questa provincia al Regno di Sardegna. Per mio avviso la dominazione della Casa di Savoia e la dominazione della casa d’Austria sono precisamente la stessa cosa. Io credo pure che il regime costituzionale del Piemonte è più nocivo all’Italia di quello che lo sia la tirannia di Ferdinando II […] Io credo al socialismo… il socialismo di cui parlo può definirsi in qeste due parole: libertà e associazione».
Sulla religione
«Chi ha creato il mondo? Nol so. Di tutte le ipotesi la più assurda è quella di supporre l'esistenza di un Dio, e l'uomo creato a sua immagine; questo Dio, l'uomo l'ha creato ad immagine propria, e ne ha fatto il Creatore del mondo; e così una particella è diventata creatrice del tutto [...] gli uomini oggi si associano non già per pregare e soffrire, ma per prestarsi vicendevole aiuto, lavorando per acquistare maggior prosperità e per combattere; l'aspirazione del socialismo non è quella di ascendere in cielo, ma di godere sulla terra. La differenza che passa tra esso e il Vangelo è la stessa che si riscontra fra la rigogliosa vita di un corpo giovine, ed il rantolo di un moribondo.» (Carlo Pisacane in Saggio sulla rivoluzione).
Sull'amore
«Tutte le leggi, egli dice, sono scaturite dalle dipendenze che la violenza e l'ignoranza stabilì fra gli uomini; ed in tal guisa il matrimonio risultò dai ratti, che i più forti fecero delle più belle, per usurparne il godimento. La natura, per contro, sottopone l'unione dei sessi alla sola legge dell'amore, e se un'altra regola, qualunque siasi, interviene, l'unione cangiasi in contratto, in prostituzione.... L'amore adunque, nel nostro patto sociale, sarà la sola condizione richiesta a rendere legittimo il congiungimento dei due sessi.» (Carlo Pisacane in Saggio sulla Rivoluzione).
Sulla libertà
«La libertà non ammette restrizioni di sorta alcuna, nè fa d'uopo d'educazione o di tirocinio per gustarla; essa è sentimento innato nell'umana natura.» (Carlo Pisacane in Saggio sulla rivoluzione).
http://ita.anarchopedia.org/Carlo_Pisacane
domenica 30 maggio 2010
calce viva e forno crematorio
All'ingresso del lager di Fenestrelle (Torino) stava scritto: "Ognuno vale per quel che produce."
All'ingresso del lager di Auschtwitz stava scritto: Arbeit Macht Frei (il lavoro rende liberi).
I prigionieri non sono più esseri umani. Ma individui improduttivi da sopprimere al più presto...
I meridionali chiusi a Fenestrelle venivano quasi subito squagliati nella calce viva. Costava nutrirli...... Pare si tratti di oltre ventimila infelici.
L'ideologia nazista nasce a Torino e viene incubata da Casa Savoia e dalla gretta e feroce corte che frequentava i suoi palazzi.
In fondo il leghismo di oggi non è che la volgata antimeridionale delle soldataglie piemontesi che invasero e depredarono il Mezzogiorno.
Pontelandolfo è stato molto più orribile di Marzabotto.
Spero che la storiografia corregga la versione retorica, bolsa, fascista dell'unità d'Italia magari per una diversa coesione nazionale fatta di verità e giustizia.
Pietro Ancona
All'ingresso del lager di Auschtwitz stava scritto: Arbeit Macht Frei (il lavoro rende liberi).
I prigionieri non sono più esseri umani. Ma individui improduttivi da sopprimere al più presto...
I meridionali chiusi a Fenestrelle venivano quasi subito squagliati nella calce viva. Costava nutrirli...... Pare si tratti di oltre ventimila infelici.
L'ideologia nazista nasce a Torino e viene incubata da Casa Savoia e dalla gretta e feroce corte che frequentava i suoi palazzi.
In fondo il leghismo di oggi non è che la volgata antimeridionale delle soldataglie piemontesi che invasero e depredarono il Mezzogiorno.
Pontelandolfo è stato molto più orribile di Marzabotto.
Spero che la storiografia corregga la versione retorica, bolsa, fascista dell'unità d'Italia magari per una diversa coesione nazionale fatta di verità e giustizia.
Pietro Ancona
sabato 29 maggio 2010
All'ingresso dei lagers
All'ingresso del lager di Fenestrelle (Torino) stava scritto: "Ognuno vale per quel che produce."
All'ingresso delo lager di Auschtwitz stava scritta: Arbeit Macht Frei (il lavoro rende liberi).
All'ingresso delo lager di Auschtwitz stava scritta: Arbeit Macht Frei (il lavoro rende liberi).
O briganti o emigranti!
la storia vista da un'altra parte (per cercare di capire)
Dopo l' "invenzione" del "contrassegno per marchiare gli ebrei con un panno sulla spalla" (vedi AMEDEO VIII DI SAVOIA) - quindi un precursore dello "antisemitismo" hitleriano - nel 1863 un altro sabaudo inventava i "lager", e le "vasche di calce" per scioglierci dentro i cadaveri dei reclusi soccombenti borbonici.
1863 - cronologia di un anno infame
la pulizia etnica piemontese
I LAGER SABAUDI
IL TALLONE DI FERRO DEI SAVOIA - Dopo la conquista del Sud, 5212 condanne a morte.
Prigionieri e ribelli puniti con decreti e una legge del 1863
MIGLIAIA DI SOLDATI BORBONICI
DEPORTATI NEI LAGER DEL NORD
di STEFANIA MAFFEO
Il "lager" di Fenestrelle. La ciclopica sabauda cortina bastionata
Cinquemiladuecentododici condanne a morte, 6564 arresti, 54 paesi rasi al suolo, 1 milione di morti. Queste le cifre della repressione consumata all'indomani dell'Unità d'Italia dai Savoia. La prima pulizia etnica della modernità occidentale operata sulle popolazioni meridionali dettata dalla Legge Pica, promulgata dal governo Minghetti del 15 agosto 1863 "… per la repressione del brigantaggio nel Meridione"[1].
Questa legge istituiva, sotto l'egida savoiarda, tribunali di guerra per il Sud ed i soldati ebbero carta bianca, le fucilazioni, anche di vecchi, donne e bambini, divennero cosa ordinaria e non straordinaria. Un genocidio la cui portata è mitigata solo dalla fuga e dall'emigrazione forzata, nell'inesorabile comandamento di destino: "O briganti, o emigranti".
Lemkin, che ha definito il primo concetto di genocidio, sosteneva: "… genocidio non significa necessariamente la distruzione immediata di una nazione…esso intende designare un piano coordinato di differenti azioni miranti a distruggere i fondamenti essenziali della vita dei gruppi nazionali. Obiettivi di un piano siffatto sarebbero la disintegrazione delle istituzioni politiche e sociali, della cultura, della lingua, dei sentimenti nazionali, della religione e della vita economica dei gruppi nazionali e la distruzione della sicurezza personale, della libertà, della salute, della dignità e persino delle vite degli individui…non a causa delle loro qualità individuali, ma in quanto membri del gruppo nazionale".
Deportazioni, l'incubo della reclusione, persecuzione della Chiesa cattolica, profanazioni dei templi, fucilazioni di massa, stupri, perfino bambine (figlie di "briganti") costretti ai ferri carcerari.
Una pagina non ancora scritta è quella relativa alle carceri in cui furono rinchiusi i soldati "vinti". Il governo piemontese dovette affrontare il problema dei prigionieri, 1700 ufficiali dell'esercito borbonico (su un giornale satirico dell'epoca era rappresentata la caricatura dell'esercito borbonico: il soldato con la testa di leone, l'ufficiale con la testa d'asino, il generale senza testa) e 24.000 soldati, senza contare quelli che ancora resistevano nelle fortezze di Gaeta, Messina e Civitella del Tronto.
Ma il problema fu risolto con la boria del vincitore, non con la pietas che sarebbe stata più utile, forse necessaria. Un primo tentativo di risolvere il problema ci fu con il decreto del 20 dicembre 1860, anche se le prime deportazioni dei soldati duosiciliani incominciarono già verso ottobre del 1860, in quanto la resistenza duosiciliana era iniziata con episodi isolati e non coordinati nell'agosto del 1860, dopo lo sbarco dei garibaldini e dalla stampa fu presentata come espressione di criminalità comune. Il decreto chiamava alle armi gli uomini che sarebbero stati di leva negli anni dal 1857 al 1860 nell'esercito delle Due Sicilie, ma si rivelò un fallimento. Si presentarono solo 20.000 uomini sui previsti 72.000; gli altri si diedero alla macchia e furono chiamati "briganti". (nel '43, dopo l'8 settembre, accadde quasi la stessa cosa, ma dato che vinsero (gli anglo-americani) la lotta la chiamarono di "resistenza" , e gli uomini "partigiani". Ndr.)
A migliaia questi uomini furono concentrati dei depositi di Napoli o nelle carceri, poi trasferiti con il decreto del 20 gennaio 1861, che istituì "Depositi d'uffiziali d'ogni arma dello sciolto esercito delle Due Sicilie".
La Marmora ordinò ai procuratori di "non porre in libertà nessuno dei detenuti senza l'assenso dell'esercito".
Per la maggior parte furono stipati nelle navi peggio degli animali (anche se molti percorsero a piedi l'intero tragitto) e fatti sbarcare a Genova, da dove, attraversando laceri ed affamati la via Assarotti, venivano smistati in vari campi di concentramento istituiti a Fenestrelle, S. Maurizio Canavese, Alessandria, nel forte di S. Benigno in Genova, Milano, Bergamo, Forte di Priamar presso Savona, Parma, Modena, Bologna, Ascoli Piceno ed altre località del Nord.
Presso il Forte di Priamar fu relegato l'aiutante maggiore Giuseppe Santomartino, che difendeva la fortezza di Civitella del Tronto. Alla caduta del baluardo abruzzese, Santomartino fu processato dai (vincitori) Piemontesi e condannato a morte. In seguito alle pressioni dei francesi la condanna fu commutata in 24 anni di carcere da scontare nel forte presso Savona. Poco dopo il suo arrivo, una notte, fu trovato morto, lasciando moglie e cinque figli. Si disse che aveva tentato di fuggire. Un esempio di morte sospetta su cui non fu mai aperta un'inchiesta per accertare le vere cause del decesso.
In quei luoghi, veri e propri lager, ma istituiti per un trattamento di "correzione ed idoneità al servizio", i prigionieri, appena coperti da cenci di tela, potevano mangiare una sozza brodaglia con un po' di pane nero raffermo, subendo dei trattamenti veramente bestiali, ogni tipo di nefandezze fisiche e morali. Per oltre dieci anni, tutti quelli che venivano catturati, oltre 40.000, furono fatti deliberatamente morire a migliaia per fame, stenti, maltrattamenti e malattie.
Quelli deportati a Fenestrelle [2], fortezza situata a quasi duemila metri di altezza, sulle montagne piemontesi, sulla sinistra del Chisone, ufficiali, sottufficiali e soldati (tutti quei militari borbonici che non vollero finire il servizio militare obbligatorio nell'esercito sabaudo, tutti quelli che si dichiararono apertamente fedeli al Re Francesco II, quelli che giurarono aperta resistenza ai piemontesi) subirono il trattamento più feroce.
Fenestrelle (nella foto di apertura) più che un forte, era un insieme di forti, protetti da altissimi bastioni ed uniti da una scala, scavata nella roccia, di 4000 gradini. Era una ciclopica cortina bastionata cui la naturale asperità dei luoghi ed il rigore del clima conferivano un aspetto sinistro. Faceva tanto spavento come la relegazione in Siberia. I detenuti tentarono anche di organizzare una rivolta il 22 agosto del 1861 per impadronirsi della fortezza, ma fu scoperta in tempo ed il tentativo ebbe come risultato l'inasprimento delle pene con i più costretti con palle al piede da 16 chili, ceppi e catene.
Erano stretti insieme assassini, sacerdoti, giovanetti, vecchi, miseri popolani e uomini di cultura. Senza pagliericci, senza coperte, senza luce. Un carcerato venne ucciso da una sentinella solo perché aveva proferito ingiurie contro i Savoia. Vennero smontati i vetri e gli infissi per rieducare con il freddo i segregati. Laceri e poco nutriti era usuale vederli appoggiati a ridosso dei muraglioni, nel tentativo disperato di catturare i timidi raggi solari invernali, ricordando forse con nostalgia il caldo di altri climi mediterranei.
Spesso le persone imprigionate non sapevano nemmeno di cosa fossero accusati ed erano loro sequestrati tutti i beni. Spesso la ragione per cui erano stati catturati era proprio solo per rubare loro il danaro che possedevano. Molti non erano nemmeno registrati, sicché solo dopo molti anni venivano processati e condannati senza alcuna spiegazione logica.
Pochissimi riuscirono a sopravvivere: la vita in quelle condizioni, anche per le gelide temperature che dovevano sopportare senza alcun riparo, non superava i tre mesi. E proprio a Fenestrelle furono vilmente imprigionati la maggior parte di quei valorosi soldati che, in esecuzione degli accordi intervenuti dopo la resa di Gaeta, dovevano invece essere lasciati liberi alla fine delle ostilità.
Dopo sei mesi di eroica resistenza dovettero subire un trattamento infame che incominciò subito dopo essere stati disarmati, venendo derubati di tutto e vigliaccamente insultati dalle truppe piemontesi.
La liberazione avveniva solo con la morte ed i corpi (non erano ancora in uso i forni crematori) venivano disciolti nella calce viva collocata in una grande vasca situata nel retro della chiesa che sorgeva all'ingresso del Forte. Una morte senza onore, senza tombe, senza lapidi e senza ricordo, affinché non restassero tracce dei misfatti compiuti. Ancora oggi, entrando a Fenestrelle, su un muro è ancora visibile l'iscrizione: "Ognuno vale non in quanto è ma in quanto produce".
(ricorda molto la scritta dei lager nazisti "
Non era più gradevole il campo impiantato nelle "lande di San Martino" presso Torino per la "rieducazione" dei militari sbandati, rieducazione che procedeva con metodi di inaudita crudeltà. Così, in questi luoghi terribili, i fratelli "liberati", maceri, cenciosi, affamati, affaticati, venivano rieducati e tormentati dai fratelli "liberatori".
Altre migliaia di "liberati" venivano confinati nelle isole, a Gorgonia, Capraia, Giglio, all'Elba, Ponza, in Sardegna, nella Maremma malarica. Tutte le atrocità che si susseguirono per anni sono documentate negli Atti Parlamentari, nelle relazioni delle Commissioni d'Inchiesta sul Brigantaggio, nei vari carteggi parlamentari dell'epoca e negli Archivi di Stato dei capoluoghi dove si svolsero i fatti.
Francesco Proto Carafa, duca di Maddaloni, sosteneva in Parlamento: "Ma che dico di un governo che strappa dal seno delle famiglie tanti vecchi generali, tanti onorati ufficiali solo per il sospetto che nutrissero amore per il loro Re sventurato, e rilegagli a vivere nelle fortezze di Alessandria ed in altre inospitali terre del Piemonte…Sono essi trattati peggio che i galeotti. Perché il governo piemontese abbia a spiegar loro tanto lusso di crudeltà? Perché abbia a torturare con la fame e con l'inerzia e la prigione uomini nati in Italia come noi?".
Ma della mozione presentata non fu autorizzata la pubblicazione negli Atti Parlamentari, vietandosene la discussione in aula [3]. Il generale Enrico Della Rocca, che condusse l'assedio di Gaeta, nella sua autobiografia riporta una lettera alla moglie, in cui dice: "Partiranno, soldati ed ufficiali, per Napoli e Torino...", precisando, a proposito della resa di Capua, "...le truppe furono avviate a piedi a Napoli per essere trasportate in uno dei porti di S.M. il Re di Sardegna. Erano 11.500 uomini" [4].
Alfredo Comandini, deputato mazziniano dell'età giolittiana, che compilò "L'Italia nei Cento Anni (1801-1900) del secolo XIX giorno per giorno illustrata", riporta un'incisione del 1861, ripresa da "Mondo Illustrato" di quell'anno, raffigurante dei soldati borbonici detenuti nel campo di concentramento di S. Maurizio, una località sita a 25 chilometri da Torino. Egli annota che, nel settembre del 1861, quando il campo fu visitato dai ministri Bastogi e Ricasoli, erano detenuti 3.000 soldati delle Due Sicilie e nel mese successivo erano arrivati a 12.447 uomini.
Il 18 ottobre 1861 alcuni prigionieri militari e civili capitolati a Gaeta e prigionieri a Ponza scrissero a Biagio Cognetti, direttore di "Stampa Meridionale", per denunciare lo stato di detenzione in cui versavano, in palese violazione della Capitolazione, che prevedeva il ritorno alle famiglie dei prigionieri dopo 15 giorni dalla caduta di Messina e Civitella del Tronto ed erano già trascorsi 8 mesi. Il 19 novembre 1861 il generale Manfredo Fanti inviava un dispaccio al Conte di Cavour chiedendo di noleggiare all'estero dei vapori per trasportare a Genova 40.000 prigionieri di guerra. Cavour così scriveva al luogotenente Farini due giorni dopo: "Ho pregato La Marmora di visitare lui stesso i prigionieri napoletani che sono a Milano", ammettendo, in tal modo, l'esistenza di un altro campo di prigionia situato nel capoluogo lombardo per ospitare soldati napoletani.
Questa la risposta del La Marmora: "…non ti devo lasciar ignorare che i prigionieri napoletani dimostrano un pessimo spirito. Su 1600 che si trovano a Milano non arriveranno a 100 quelli che acconsentono a prendere servizio. Sono tutti coperti di rogna e di verminia…e quel che è più dimostrano avversione a prendere da noi servizio. Jeri a taluni che con arroganza pretendevano aver il diritto di andare a casa perché non volevano prestare un nuovo giuramento, avendo giurato fedeltà a Francesco Secondo, gli rinfacciai altamente che per il loro Re erano scappati, e ora per la Patria comune, e per il Re eletto si rifiutavano a servire, che erano un branco di car…che avessimo trovato modo di metterli alla ragione".
Le atrocità commesse dai Piemontesi si volsero anche contro i magistrati, i dipendenti pubblici e le classi colte, che resistettero passivamente con l'astensione ai suffragi elettorali e la diffusione ad ogni livello della stampa legittimista clandestina contro l'occupazione savoiarda. Particolarmente eloquente è anche un brano tratto da Civiltà Cattolica: "Per vincere la resistenza dei prigionieri di guerra, già trasportati in Piemonte e Lombardia, si ebbe ricorso ad un espediente crudele e disumano, che fa fremere. Quei meschinelli, appena coperti da cenci di tela, rifiniti di fame perché tenuti a mezza razione con cattivo pane ed acqua ed una sozza broda, furono fatti scortare nelle gelide casematte di Fenestrelle e d'altri luoghi posti nei più aspri luoghi delle Alpi. Uomini nati e cresciuti in clima sì caldo e dolce, come quello delle Due Sicilie, eccoli gittati, peggio che non si fa coi negri schiavi, a spasimare di fame e di stento per le ghiacciaie".
Ancora possiamo leggere dal diario del soldato borbonico Giuseppe Conforti, nato a Catanzaro il 14.3.1836 (abbreviato per amor di sintesi): "Nella mia uscita fu principio la guerra del 1860, dopo questa campagna che per aver tradimenti si sono perduto tutto e noi altri povere soldati manggiando erba dovettimo fuggire, aggiunti alla provincia della Basilicata sortí un prete nemico di Dio e del mondo con una porzione di quei giudei e ci voleva condicendo che meritavamo di essere uccisi per la federtà che avevamo portato allo notro patrone. Ci hanno portato innanzi a un carnefice Piemontesa condicendo perché aveva tardato tanto ad abbandonare quell'assassino di Borbone. Io li sono risposto che non poteva giammai abbandonarlo perché aveva giurato fedeltà a lui e lui mi à ditto che dovevo tornare indietro asservire sotto la Bandiera d' Italia. Il terzo giorno sono scappato, giunto a Girifarchio dove teneva mio fratello sacerdote vedendomi redutto a quello misero stato e dicendo mal del mio Re io li risposi che il mio Re no aveva colpa del nostri patimenti che sono stato le nostri soperiori traditori; siamo fatto questioni e lo sono lasciato".
"Allo mio paese sono stato arrestato e dopo 7 mesi di scurre priggione mi anno fatto partire per il Piemonte. Il 15 gennaio del 1862 ci anno portato affare il giuramento, in quello stesso anno sono stato 3 volte all'ospidale e in pregiona a pane e accua. Principio del 1863 fuggito da sotto le armi di vittorio, il 24 sono giunto in Roma, il giorno 30 sono andato alludienza del mio desiderato e amato dal Re', Francesco 2 e li ò raccontato tutti i miei ragioni"[5].
Vittorio Emanuele II, il re vittorioso...
...e Francesco II, il re vinto, nella fortezza di Gaeta
Un ulteriore passo avanti nella studio di questa fase poco "chiara" del post unificazione è stato fatto recentemente, quando un ricercatore trovò dei documenti presso l'Archivio Storico del Ministero degli Esteri attestanti che, nel 1869, il governo italiano voleva acquistare un'isola dall'Argentina per relegarvi i soldati napoletani prigionieri, quindi dovevano essere ancora tanti [6].
Questi uomini del Sud finirono i loro giorni in terra straniera ed ostile, certamente con il commosso ricordo e la struggente nostalgia della Patria lontana. Molti di loro erano poco più che ragazzi [7].
Era la politica della criminalizzazione del dissenso, il rifiuto di ammettere l'esistenza di valori diversi dai propri, il rifiuto di negare ai "liberati" di credere ancora nei valori in cui avevano creduto. I combattenti delle Due Sicilie, i soldati dell'ex esercito borbonico ed i tanti civili detenuti nei "lager dei Savoia", uomini in gran parte anonimi per la pallida memoria che ne è giunta fino a noi, vissero un eroismo fatto di gesti concreti, ed in molti casi ordinari, a cui non è estraneo chiunque sia capace di adempiere fedelmente il proprio compito fino in fondo, sapendo opporsi ai tentativi sovvertitori, con la libertà interiore di chi non si lascia asservire dallo "spirito del tempo".
STEFANIA MAFFEO
NOTE
[1] Legge Pica:
" Art.1: Fino al 31 dicembre nelle province infestate dal brigantaggio, e che tali saranno dichiarate con decreto reale, i componenti comitiva, o banda armata composta almeno di tre persone, la quale vada scorrendo le pubbliche strade o le campagne per commettere crimini o delitti, ed i loro complici, saranno giudicati dai tribunali militari;
Art.2: I colpevoli del reato di brigantaggio, i quali armata mano oppongono resistenza alla forza pubblica, saranno puniti con la fucilazione;
Art.3: Sarà accordata a coloro che si sono già costituiti, o si costituiranno volontariamente nel termine di un mese dalla pubblicazione della presente legge, la diminuzione da uno a tre gradi di pena;
Art.4: Il Governo avrà inoltre facoltà di assegnare, per un tempo non maggiore di un anno, un domicilio coatto agli oziosi, ai vagabondi, alle persone sospette, secondo la designazione del Codice Penale, nonché ai manutengoli e camorristi;
Art.5: In aumento dell'articolo 95 del bilancio approvato per 1863 è aperto al Ministero dell'Interno il credito di un milione di lire per sopperire alle spese di repressione del brigantaggio. (Fonte: Atti parlamentari. Camera dei Deputati)
[2] Il luogo non era nuovo a situazioni del genere perché già Napoleone se ne era servito per detenervi i prigionieri politici ed un illustre napoletano, Don Vincenzo Baccher, il padre degli eroici fratelli realisti fucilati dalla Repubblica Partenopea il 13 giugno del 1799, che vi aveva passato 9 anni, dal 1806 al 1815, tornando a Napoli alla venerabile età di 82 anni.
[3] Giovanni De Matteo, Brigantaggio e Risorgimento - legittimisti e briganti tra i Borbone ed i Savoia, Guida Editore, Napoli, 2000.
[4] Questa informazione e tutte le seguenti sono state reperite nei saggi "I campi di concentramento", di Francesco Maurizio Di Giovine, nella rivista L'Alfiere, Napoli, novembre 1993, pag. 11 e "A proposito del campo di concentramento di Fenestrelle", dello stesso autore, pubblicato su L'Alfiere, dicembre 2002, pag. 8.
[5] Fulvio Izzo, I Lager dei Savoia, Controcorrente, Napoli 1999.
[6] S. Grilli, Cayenna all'italiana, Il Giornale, 22 marzo 1997.
[7] Sul sito www.duesicilie.org/Caduti.html è possibile ritrovare i nomi, con data di nascita e provenienza di alcuni martiri di Fenestrelle, nel periodo compreso tra il 1860 ed il 1865. Erano poco più che ragazzi: il più giovane aveva 22 anni, il più vecchio 32.
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vedi L'INSABBIAMENTO CULTURALE DELLA "QUESTIONE MERIDIONALE" >
vedi I BRIGANTI? VI DICO IO CHI SONO! >
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Dopo l' "invenzione" del "contrassegno per marchiare gli ebrei con un panno sulla spalla" (vedi AMEDEO VIII DI SAVOIA) - quindi un precursore dello "antisemitismo" hitleriano - nel 1863 un altro sabaudo inventava i "lager", e le "vasche di calce" per scioglierci dentro i cadaveri dei reclusi soccombenti borbonici.
1863 - cronologia di un anno infame
la pulizia etnica piemontese
I LAGER SABAUDI
IL TALLONE DI FERRO DEI SAVOIA - Dopo la conquista del Sud, 5212 condanne a morte.
Prigionieri e ribelli puniti con decreti e una legge del 1863
MIGLIAIA DI SOLDATI BORBONICI
DEPORTATI NEI LAGER DEL NORD
di STEFANIA MAFFEO
Il "lager" di Fenestrelle. La ciclopica sabauda cortina bastionata
Cinquemiladuecentododici condanne a morte, 6564 arresti, 54 paesi rasi al suolo, 1 milione di morti. Queste le cifre della repressione consumata all'indomani dell'Unità d'Italia dai Savoia. La prima pulizia etnica della modernità occidentale operata sulle popolazioni meridionali dettata dalla Legge Pica, promulgata dal governo Minghetti del 15 agosto 1863 "… per la repressione del brigantaggio nel Meridione"[1].
Questa legge istituiva, sotto l'egida savoiarda, tribunali di guerra per il Sud ed i soldati ebbero carta bianca, le fucilazioni, anche di vecchi, donne e bambini, divennero cosa ordinaria e non straordinaria. Un genocidio la cui portata è mitigata solo dalla fuga e dall'emigrazione forzata, nell'inesorabile comandamento di destino: "O briganti, o emigranti".
Lemkin, che ha definito il primo concetto di genocidio, sosteneva: "… genocidio non significa necessariamente la distruzione immediata di una nazione…esso intende designare un piano coordinato di differenti azioni miranti a distruggere i fondamenti essenziali della vita dei gruppi nazionali. Obiettivi di un piano siffatto sarebbero la disintegrazione delle istituzioni politiche e sociali, della cultura, della lingua, dei sentimenti nazionali, della religione e della vita economica dei gruppi nazionali e la distruzione della sicurezza personale, della libertà, della salute, della dignità e persino delle vite degli individui…non a causa delle loro qualità individuali, ma in quanto membri del gruppo nazionale".
Deportazioni, l'incubo della reclusione, persecuzione della Chiesa cattolica, profanazioni dei templi, fucilazioni di massa, stupri, perfino bambine (figlie di "briganti") costretti ai ferri carcerari.
Una pagina non ancora scritta è quella relativa alle carceri in cui furono rinchiusi i soldati "vinti". Il governo piemontese dovette affrontare il problema dei prigionieri, 1700 ufficiali dell'esercito borbonico (su un giornale satirico dell'epoca era rappresentata la caricatura dell'esercito borbonico: il soldato con la testa di leone, l'ufficiale con la testa d'asino, il generale senza testa) e 24.000 soldati, senza contare quelli che ancora resistevano nelle fortezze di Gaeta, Messina e Civitella del Tronto.
Ma il problema fu risolto con la boria del vincitore, non con la pietas che sarebbe stata più utile, forse necessaria. Un primo tentativo di risolvere il problema ci fu con il decreto del 20 dicembre 1860, anche se le prime deportazioni dei soldati duosiciliani incominciarono già verso ottobre del 1860, in quanto la resistenza duosiciliana era iniziata con episodi isolati e non coordinati nell'agosto del 1860, dopo lo sbarco dei garibaldini e dalla stampa fu presentata come espressione di criminalità comune. Il decreto chiamava alle armi gli uomini che sarebbero stati di leva negli anni dal 1857 al 1860 nell'esercito delle Due Sicilie, ma si rivelò un fallimento. Si presentarono solo 20.000 uomini sui previsti 72.000; gli altri si diedero alla macchia e furono chiamati "briganti". (nel '43, dopo l'8 settembre, accadde quasi la stessa cosa, ma dato che vinsero (gli anglo-americani) la lotta la chiamarono di "resistenza" , e gli uomini "partigiani". Ndr.)
A migliaia questi uomini furono concentrati dei depositi di Napoli o nelle carceri, poi trasferiti con il decreto del 20 gennaio 1861, che istituì "Depositi d'uffiziali d'ogni arma dello sciolto esercito delle Due Sicilie".
La Marmora ordinò ai procuratori di "non porre in libertà nessuno dei detenuti senza l'assenso dell'esercito".
Per la maggior parte furono stipati nelle navi peggio degli animali (anche se molti percorsero a piedi l'intero tragitto) e fatti sbarcare a Genova, da dove, attraversando laceri ed affamati la via Assarotti, venivano smistati in vari campi di concentramento istituiti a Fenestrelle, S. Maurizio Canavese, Alessandria, nel forte di S. Benigno in Genova, Milano, Bergamo, Forte di Priamar presso Savona, Parma, Modena, Bologna, Ascoli Piceno ed altre località del Nord.
Presso il Forte di Priamar fu relegato l'aiutante maggiore Giuseppe Santomartino, che difendeva la fortezza di Civitella del Tronto. Alla caduta del baluardo abruzzese, Santomartino fu processato dai (vincitori) Piemontesi e condannato a morte. In seguito alle pressioni dei francesi la condanna fu commutata in 24 anni di carcere da scontare nel forte presso Savona. Poco dopo il suo arrivo, una notte, fu trovato morto, lasciando moglie e cinque figli. Si disse che aveva tentato di fuggire. Un esempio di morte sospetta su cui non fu mai aperta un'inchiesta per accertare le vere cause del decesso.
In quei luoghi, veri e propri lager, ma istituiti per un trattamento di "correzione ed idoneità al servizio", i prigionieri, appena coperti da cenci di tela, potevano mangiare una sozza brodaglia con un po' di pane nero raffermo, subendo dei trattamenti veramente bestiali, ogni tipo di nefandezze fisiche e morali. Per oltre dieci anni, tutti quelli che venivano catturati, oltre 40.000, furono fatti deliberatamente morire a migliaia per fame, stenti, maltrattamenti e malattie.
Quelli deportati a Fenestrelle [2], fortezza situata a quasi duemila metri di altezza, sulle montagne piemontesi, sulla sinistra del Chisone, ufficiali, sottufficiali e soldati (tutti quei militari borbonici che non vollero finire il servizio militare obbligatorio nell'esercito sabaudo, tutti quelli che si dichiararono apertamente fedeli al Re Francesco II, quelli che giurarono aperta resistenza ai piemontesi) subirono il trattamento più feroce.
Fenestrelle (nella foto di apertura) più che un forte, era un insieme di forti, protetti da altissimi bastioni ed uniti da una scala, scavata nella roccia, di 4000 gradini. Era una ciclopica cortina bastionata cui la naturale asperità dei luoghi ed il rigore del clima conferivano un aspetto sinistro. Faceva tanto spavento come la relegazione in Siberia. I detenuti tentarono anche di organizzare una rivolta il 22 agosto del 1861 per impadronirsi della fortezza, ma fu scoperta in tempo ed il tentativo ebbe come risultato l'inasprimento delle pene con i più costretti con palle al piede da 16 chili, ceppi e catene.
Erano stretti insieme assassini, sacerdoti, giovanetti, vecchi, miseri popolani e uomini di cultura. Senza pagliericci, senza coperte, senza luce. Un carcerato venne ucciso da una sentinella solo perché aveva proferito ingiurie contro i Savoia. Vennero smontati i vetri e gli infissi per rieducare con il freddo i segregati. Laceri e poco nutriti era usuale vederli appoggiati a ridosso dei muraglioni, nel tentativo disperato di catturare i timidi raggi solari invernali, ricordando forse con nostalgia il caldo di altri climi mediterranei.
Spesso le persone imprigionate non sapevano nemmeno di cosa fossero accusati ed erano loro sequestrati tutti i beni. Spesso la ragione per cui erano stati catturati era proprio solo per rubare loro il danaro che possedevano. Molti non erano nemmeno registrati, sicché solo dopo molti anni venivano processati e condannati senza alcuna spiegazione logica.
Pochissimi riuscirono a sopravvivere: la vita in quelle condizioni, anche per le gelide temperature che dovevano sopportare senza alcun riparo, non superava i tre mesi. E proprio a Fenestrelle furono vilmente imprigionati la maggior parte di quei valorosi soldati che, in esecuzione degli accordi intervenuti dopo la resa di Gaeta, dovevano invece essere lasciati liberi alla fine delle ostilità.
Dopo sei mesi di eroica resistenza dovettero subire un trattamento infame che incominciò subito dopo essere stati disarmati, venendo derubati di tutto e vigliaccamente insultati dalle truppe piemontesi.
La liberazione avveniva solo con la morte ed i corpi (non erano ancora in uso i forni crematori) venivano disciolti nella calce viva collocata in una grande vasca situata nel retro della chiesa che sorgeva all'ingresso del Forte. Una morte senza onore, senza tombe, senza lapidi e senza ricordo, affinché non restassero tracce dei misfatti compiuti. Ancora oggi, entrando a Fenestrelle, su un muro è ancora visibile l'iscrizione: "Ognuno vale non in quanto è ma in quanto produce".
(ricorda molto la scritta dei lager nazisti "
Non era più gradevole il campo impiantato nelle "lande di San Martino" presso Torino per la "rieducazione" dei militari sbandati, rieducazione che procedeva con metodi di inaudita crudeltà. Così, in questi luoghi terribili, i fratelli "liberati", maceri, cenciosi, affamati, affaticati, venivano rieducati e tormentati dai fratelli "liberatori".
Altre migliaia di "liberati" venivano confinati nelle isole, a Gorgonia, Capraia, Giglio, all'Elba, Ponza, in Sardegna, nella Maremma malarica. Tutte le atrocità che si susseguirono per anni sono documentate negli Atti Parlamentari, nelle relazioni delle Commissioni d'Inchiesta sul Brigantaggio, nei vari carteggi parlamentari dell'epoca e negli Archivi di Stato dei capoluoghi dove si svolsero i fatti.
Francesco Proto Carafa, duca di Maddaloni, sosteneva in Parlamento: "Ma che dico di un governo che strappa dal seno delle famiglie tanti vecchi generali, tanti onorati ufficiali solo per il sospetto che nutrissero amore per il loro Re sventurato, e rilegagli a vivere nelle fortezze di Alessandria ed in altre inospitali terre del Piemonte…Sono essi trattati peggio che i galeotti. Perché il governo piemontese abbia a spiegar loro tanto lusso di crudeltà? Perché abbia a torturare con la fame e con l'inerzia e la prigione uomini nati in Italia come noi?".
Ma della mozione presentata non fu autorizzata la pubblicazione negli Atti Parlamentari, vietandosene la discussione in aula [3]. Il generale Enrico Della Rocca, che condusse l'assedio di Gaeta, nella sua autobiografia riporta una lettera alla moglie, in cui dice: "Partiranno, soldati ed ufficiali, per Napoli e Torino...", precisando, a proposito della resa di Capua, "...le truppe furono avviate a piedi a Napoli per essere trasportate in uno dei porti di S.M. il Re di Sardegna. Erano 11.500 uomini" [4].
Alfredo Comandini, deputato mazziniano dell'età giolittiana, che compilò "L'Italia nei Cento Anni (1801-1900) del secolo XIX giorno per giorno illustrata", riporta un'incisione del 1861, ripresa da "Mondo Illustrato" di quell'anno, raffigurante dei soldati borbonici detenuti nel campo di concentramento di S. Maurizio, una località sita a 25 chilometri da Torino. Egli annota che, nel settembre del 1861, quando il campo fu visitato dai ministri Bastogi e Ricasoli, erano detenuti 3.000 soldati delle Due Sicilie e nel mese successivo erano arrivati a 12.447 uomini.
Il 18 ottobre 1861 alcuni prigionieri militari e civili capitolati a Gaeta e prigionieri a Ponza scrissero a Biagio Cognetti, direttore di "Stampa Meridionale", per denunciare lo stato di detenzione in cui versavano, in palese violazione della Capitolazione, che prevedeva il ritorno alle famiglie dei prigionieri dopo 15 giorni dalla caduta di Messina e Civitella del Tronto ed erano già trascorsi 8 mesi. Il 19 novembre 1861 il generale Manfredo Fanti inviava un dispaccio al Conte di Cavour chiedendo di noleggiare all'estero dei vapori per trasportare a Genova 40.000 prigionieri di guerra. Cavour così scriveva al luogotenente Farini due giorni dopo: "Ho pregato La Marmora di visitare lui stesso i prigionieri napoletani che sono a Milano", ammettendo, in tal modo, l'esistenza di un altro campo di prigionia situato nel capoluogo lombardo per ospitare soldati napoletani.
Questa la risposta del La Marmora: "…non ti devo lasciar ignorare che i prigionieri napoletani dimostrano un pessimo spirito. Su 1600 che si trovano a Milano non arriveranno a 100 quelli che acconsentono a prendere servizio. Sono tutti coperti di rogna e di verminia…e quel che è più dimostrano avversione a prendere da noi servizio. Jeri a taluni che con arroganza pretendevano aver il diritto di andare a casa perché non volevano prestare un nuovo giuramento, avendo giurato fedeltà a Francesco Secondo, gli rinfacciai altamente che per il loro Re erano scappati, e ora per la Patria comune, e per il Re eletto si rifiutavano a servire, che erano un branco di car…che avessimo trovato modo di metterli alla ragione".
Le atrocità commesse dai Piemontesi si volsero anche contro i magistrati, i dipendenti pubblici e le classi colte, che resistettero passivamente con l'astensione ai suffragi elettorali e la diffusione ad ogni livello della stampa legittimista clandestina contro l'occupazione savoiarda. Particolarmente eloquente è anche un brano tratto da Civiltà Cattolica: "Per vincere la resistenza dei prigionieri di guerra, già trasportati in Piemonte e Lombardia, si ebbe ricorso ad un espediente crudele e disumano, che fa fremere. Quei meschinelli, appena coperti da cenci di tela, rifiniti di fame perché tenuti a mezza razione con cattivo pane ed acqua ed una sozza broda, furono fatti scortare nelle gelide casematte di Fenestrelle e d'altri luoghi posti nei più aspri luoghi delle Alpi. Uomini nati e cresciuti in clima sì caldo e dolce, come quello delle Due Sicilie, eccoli gittati, peggio che non si fa coi negri schiavi, a spasimare di fame e di stento per le ghiacciaie".
Ancora possiamo leggere dal diario del soldato borbonico Giuseppe Conforti, nato a Catanzaro il 14.3.1836 (abbreviato per amor di sintesi): "Nella mia uscita fu principio la guerra del 1860, dopo questa campagna che per aver tradimenti si sono perduto tutto e noi altri povere soldati manggiando erba dovettimo fuggire, aggiunti alla provincia della Basilicata sortí un prete nemico di Dio e del mondo con una porzione di quei giudei e ci voleva condicendo che meritavamo di essere uccisi per la federtà che avevamo portato allo notro patrone. Ci hanno portato innanzi a un carnefice Piemontesa condicendo perché aveva tardato tanto ad abbandonare quell'assassino di Borbone. Io li sono risposto che non poteva giammai abbandonarlo perché aveva giurato fedeltà a lui e lui mi à ditto che dovevo tornare indietro asservire sotto la Bandiera d' Italia. Il terzo giorno sono scappato, giunto a Girifarchio dove teneva mio fratello sacerdote vedendomi redutto a quello misero stato e dicendo mal del mio Re io li risposi che il mio Re no aveva colpa del nostri patimenti che sono stato le nostri soperiori traditori; siamo fatto questioni e lo sono lasciato".
"Allo mio paese sono stato arrestato e dopo 7 mesi di scurre priggione mi anno fatto partire per il Piemonte. Il 15 gennaio del 1862 ci anno portato affare il giuramento, in quello stesso anno sono stato 3 volte all'ospidale e in pregiona a pane e accua. Principio del 1863 fuggito da sotto le armi di vittorio, il 24 sono giunto in Roma, il giorno 30 sono andato alludienza del mio desiderato e amato dal Re', Francesco 2 e li ò raccontato tutti i miei ragioni"[5].
Vittorio Emanuele II, il re vittorioso...
...e Francesco II, il re vinto, nella fortezza di Gaeta
Un ulteriore passo avanti nella studio di questa fase poco "chiara" del post unificazione è stato fatto recentemente, quando un ricercatore trovò dei documenti presso l'Archivio Storico del Ministero degli Esteri attestanti che, nel 1869, il governo italiano voleva acquistare un'isola dall'Argentina per relegarvi i soldati napoletani prigionieri, quindi dovevano essere ancora tanti [6].
Questi uomini del Sud finirono i loro giorni in terra straniera ed ostile, certamente con il commosso ricordo e la struggente nostalgia della Patria lontana. Molti di loro erano poco più che ragazzi [7].
Era la politica della criminalizzazione del dissenso, il rifiuto di ammettere l'esistenza di valori diversi dai propri, il rifiuto di negare ai "liberati" di credere ancora nei valori in cui avevano creduto. I combattenti delle Due Sicilie, i soldati dell'ex esercito borbonico ed i tanti civili detenuti nei "lager dei Savoia", uomini in gran parte anonimi per la pallida memoria che ne è giunta fino a noi, vissero un eroismo fatto di gesti concreti, ed in molti casi ordinari, a cui non è estraneo chiunque sia capace di adempiere fedelmente il proprio compito fino in fondo, sapendo opporsi ai tentativi sovvertitori, con la libertà interiore di chi non si lascia asservire dallo "spirito del tempo".
STEFANIA MAFFEO
NOTE
[1] Legge Pica:
" Art.1: Fino al 31 dicembre nelle province infestate dal brigantaggio, e che tali saranno dichiarate con decreto reale, i componenti comitiva, o banda armata composta almeno di tre persone, la quale vada scorrendo le pubbliche strade o le campagne per commettere crimini o delitti, ed i loro complici, saranno giudicati dai tribunali militari;
Art.2: I colpevoli del reato di brigantaggio, i quali armata mano oppongono resistenza alla forza pubblica, saranno puniti con la fucilazione;
Art.3: Sarà accordata a coloro che si sono già costituiti, o si costituiranno volontariamente nel termine di un mese dalla pubblicazione della presente legge, la diminuzione da uno a tre gradi di pena;
Art.4: Il Governo avrà inoltre facoltà di assegnare, per un tempo non maggiore di un anno, un domicilio coatto agli oziosi, ai vagabondi, alle persone sospette, secondo la designazione del Codice Penale, nonché ai manutengoli e camorristi;
Art.5: In aumento dell'articolo 95 del bilancio approvato per 1863 è aperto al Ministero dell'Interno il credito di un milione di lire per sopperire alle spese di repressione del brigantaggio. (Fonte: Atti parlamentari. Camera dei Deputati)
[2] Il luogo non era nuovo a situazioni del genere perché già Napoleone se ne era servito per detenervi i prigionieri politici ed un illustre napoletano, Don Vincenzo Baccher, il padre degli eroici fratelli realisti fucilati dalla Repubblica Partenopea il 13 giugno del 1799, che vi aveva passato 9 anni, dal 1806 al 1815, tornando a Napoli alla venerabile età di 82 anni.
[3] Giovanni De Matteo, Brigantaggio e Risorgimento - legittimisti e briganti tra i Borbone ed i Savoia, Guida Editore, Napoli, 2000.
[4] Questa informazione e tutte le seguenti sono state reperite nei saggi "I campi di concentramento", di Francesco Maurizio Di Giovine, nella rivista L'Alfiere, Napoli, novembre 1993, pag. 11 e "A proposito del campo di concentramento di Fenestrelle", dello stesso autore, pubblicato su L'Alfiere, dicembre 2002, pag. 8.
[5] Fulvio Izzo, I Lager dei Savoia, Controcorrente, Napoli 1999.
[6] S. Grilli, Cayenna all'italiana, Il Giornale, 22 marzo 1997.
[7] Sul sito www.duesicilie.org/Caduti.html è possibile ritrovare i nomi, con data di nascita e provenienza di alcuni martiri di Fenestrelle, nel periodo compreso tra il 1860 ed il 1865. Erano poco più che ragazzi: il più giovane aveva 22 anni, il più vecchio 32.
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venerdì 28 maggio 2010
APARTHEID O CATTURA DELLA CGIL?
Apartheid o cattura della CGIL?
La signora Marcegaglia si è dichiarata parzialmente scontenta delle misure adottate dal Governo dell'amico Berlusconi che la vorrebbe al Ministero dell'Industria e per questo si è esposto ad una figuraccia all'assemblea della Confindustria. Dichiararsi scontenti è per la Confindustria una tecnica lungamente e monotamente sperimentata. Se esaminano le sue risoluzioni approvate negli ultimi trentacinque anni basta leggerne una per leggerle tutte. Sono tutte identiche! Si chiede flessibilità
per assicurare maggiore produttività al sistema e sopratutto "riforme strutturali". Per riforme strutturali si intende, in soldoni, cancellare le voci di spesa permanenti destinate a reiterarsi di anno in anno. Queste spese riguardano il welfare: scuola, sanità, pensioni. Le uniche spese che non si mettono in discussione sono quelle per le forze armate e le relative forniture e le forze di polizia. Se lo Stato si riducesse soltanto a gestire l'Esercito e la Polizia e cancellasse tutto il resto o lo riducesse a proporzione miserella (come negli Usa) gli industriali italiani sarebbero assai contenti.
Nel corso degli ultimi dieci anni si è intensificata l'erosione dei diritti dei lavoratori non soltanto con le leggi ma anche con l'uso della contrattazione sindacale. In verità questa tendenza è stata inaugurata all'epoca del governo di Giuliano Amato con gli accordi sottoscritti purtroppo anche da Trentin sulla abolizione della scala mobile e poi allargati alla dinamica dei salari un anno dopo con il governo Ciampi.
Nel 1975 si era realizzato l'ultimo accordo dell'era keinesiana dell'economia italiana con il punto unico pesante di scala mobile firmato da Agnelli e Lama.
Un folto stuolo di commercialisti dei diritti insidiati al Ministero del Lavoro e nelle Commissioni di Camera e Senato coltivano l'ossessione della "modernizzazione" del giuslavorismo. Se osservate quante cose riescono ad introdurre di soppiatto o più o meno apertamente in leggi-omnibus, nelle finanziarie, nei cosidetti collegati vi rendete conto che ci troviamo dinanzi al più grande svilimento
del diritto del lavoro mai perpetrato in Italia: l'ultimo obiettivo che questi legulei si sono dati è quello di rendere quasi inagibile ai lavoratori la magistratura. Dai diritti conclamati e riassunti magistralmente
nella Costituzione e nello Statuto dei Lavoratori si sta gradatamente passando agli "obblighi" ed ai "divieti" fino a rendere la figura del lavoratore meno titolata di diritti di quella dei comuni cittadini.
La Marcegaglia, lavorando di contrappunto con Sacconi che pratica l'apartheid della CGIL e vuole andare avanti soltanto con "i complici" Cisl e UIL, ha proposto alle confederazioni dei lavoratori la convocazione di una grande assise per la crescita. La Cisl ha immediatamente aderito alla proposta e credo che anche la UIL non si farà pregare. L'assise per la crescita ha un solo scopo: fare prigioniera la CGIL, costringendola dentro lo schema iperliberista di una ulteriore perdita di salari e diritti. La differenza tra la scaltra Marcegaglia ed il brutale Sacconi consiste non in diversi ascolti di quanto ha da dire la CGIL, ma soltanto se farla prigioniera magari con l'aiuto del PD o discriminarla e relegarla nel ghetto in cui sono stati rinchiusi i sindacati di base ed i partiti comunisti. Il fatto che la CGIL abbia una dottrina e si comporti come una grande forza moderata che subisce più che proporre non conta niente. La Marcegaglia non si fida. Sa che la CGIL è il sindacato per antonomasia, l'incarnazione dello spirito di lotta e che spesso è animata da profonde pulsioni e da ribellioni della sua base sociale alla ingiustizia. Non si può escludere che la spinta dei lavoratori possa collocare la CGIL anche contro la volontà collaborazionista dei suoi gruppi dirigenti in posizione ancora più nettamente contrapposta al regime.
Mentre la Marcegaglia faceva la sua proposta altri cinque lavoratori lasciavano la loro vita sul posto di lavoro. Riprova che nonostante la legge sulla sicurezza (che non viene rispettata) l'olocausto umano al Dio Profitto continua e continuerà in futuro. Il congelamento delle retribuzioni previsto dalla manovra sarà una glaciazione dal momento che dal 1993, tranne per gli stipendi della dirigenza e del manageriato oscenamente superpagato, si è in regime di quasi congelamento. Non a caso siamo al quaranta per cento in meno della media europea.
La Confindustria non ha alcuna voglia di aprirsi ai problemi della società italiana legati alla depressione in cui vivono venti milioni di lavoratori. Non vuole dialogare. Vuole soltanto rafforzare un dispositivo di sicurezza che blocca i lavoratori in fondo al pozzo dove li ha cacciati. Vuole anche continuare ad usare il mercato parallelo del precariato che,garantisce salari inferiori anche della metà dei minimi contrattuali. Oltre sei milioni di persone sono sfottute da contratti a progetto, da partite Iva e da altri marchingegni della Biagi.
Mi auguro che la CGIL respinga l'invito e che a Bonanni che le rimprovera sarcasticamente di aver fatto tanti scioperi generali inutili risponda aggiustando il suo tiro. Non basta fare uno sciopero generale. Bisogna anche vedere che cosa si propone di denunziare e di ottenere. Se lo sciopero è dirottato per interventi "moderatori" del PD soltanto sul fisco o su richieste marginali che non toccano le questioni fondamentali del contendere si dà ragione al sarcasmo di Bonanni. Bisogna che
lo sciopero generale della CGIL abbia chiarezza e venga preceduto dalla recessione dagli accordi sulla concertazione, dagli accordi del luglio 2007 e dalla richiesta di ritiro del collegato lavoro sullo art.18 e della abrogazione della legge Biagi. Con la possibilità che si profila di uno scatenamento della inflazione sarebbe anche opportuno chiedere una protezione dei salari e delle pensioni con la reintroduzione di una indicizzazione legata al costo della vita.
Pietro Ancona
http://medioevosociale-pietro.blogspot.com/
www.spazioamico.it
http://www.borsaitaliana.it/borsa/notizie/mf-dow-jones/italia-dettaglio.html?newsId=739206&lang=it
La signora Marcegaglia si è dichiarata parzialmente scontenta delle misure adottate dal Governo dell'amico Berlusconi che la vorrebbe al Ministero dell'Industria e per questo si è esposto ad una figuraccia all'assemblea della Confindustria. Dichiararsi scontenti è per la Confindustria una tecnica lungamente e monotamente sperimentata. Se esaminano le sue risoluzioni approvate negli ultimi trentacinque anni basta leggerne una per leggerle tutte. Sono tutte identiche! Si chiede flessibilità
per assicurare maggiore produttività al sistema e sopratutto "riforme strutturali". Per riforme strutturali si intende, in soldoni, cancellare le voci di spesa permanenti destinate a reiterarsi di anno in anno. Queste spese riguardano il welfare: scuola, sanità, pensioni. Le uniche spese che non si mettono in discussione sono quelle per le forze armate e le relative forniture e le forze di polizia. Se lo Stato si riducesse soltanto a gestire l'Esercito e la Polizia e cancellasse tutto il resto o lo riducesse a proporzione miserella (come negli Usa) gli industriali italiani sarebbero assai contenti.
Nel corso degli ultimi dieci anni si è intensificata l'erosione dei diritti dei lavoratori non soltanto con le leggi ma anche con l'uso della contrattazione sindacale. In verità questa tendenza è stata inaugurata all'epoca del governo di Giuliano Amato con gli accordi sottoscritti purtroppo anche da Trentin sulla abolizione della scala mobile e poi allargati alla dinamica dei salari un anno dopo con il governo Ciampi.
Nel 1975 si era realizzato l'ultimo accordo dell'era keinesiana dell'economia italiana con il punto unico pesante di scala mobile firmato da Agnelli e Lama.
Un folto stuolo di commercialisti dei diritti insidiati al Ministero del Lavoro e nelle Commissioni di Camera e Senato coltivano l'ossessione della "modernizzazione" del giuslavorismo. Se osservate quante cose riescono ad introdurre di soppiatto o più o meno apertamente in leggi-omnibus, nelle finanziarie, nei cosidetti collegati vi rendete conto che ci troviamo dinanzi al più grande svilimento
del diritto del lavoro mai perpetrato in Italia: l'ultimo obiettivo che questi legulei si sono dati è quello di rendere quasi inagibile ai lavoratori la magistratura. Dai diritti conclamati e riassunti magistralmente
nella Costituzione e nello Statuto dei Lavoratori si sta gradatamente passando agli "obblighi" ed ai "divieti" fino a rendere la figura del lavoratore meno titolata di diritti di quella dei comuni cittadini.
La Marcegaglia, lavorando di contrappunto con Sacconi che pratica l'apartheid della CGIL e vuole andare avanti soltanto con "i complici" Cisl e UIL, ha proposto alle confederazioni dei lavoratori la convocazione di una grande assise per la crescita. La Cisl ha immediatamente aderito alla proposta e credo che anche la UIL non si farà pregare. L'assise per la crescita ha un solo scopo: fare prigioniera la CGIL, costringendola dentro lo schema iperliberista di una ulteriore perdita di salari e diritti. La differenza tra la scaltra Marcegaglia ed il brutale Sacconi consiste non in diversi ascolti di quanto ha da dire la CGIL, ma soltanto se farla prigioniera magari con l'aiuto del PD o discriminarla e relegarla nel ghetto in cui sono stati rinchiusi i sindacati di base ed i partiti comunisti. Il fatto che la CGIL abbia una dottrina e si comporti come una grande forza moderata che subisce più che proporre non conta niente. La Marcegaglia non si fida. Sa che la CGIL è il sindacato per antonomasia, l'incarnazione dello spirito di lotta e che spesso è animata da profonde pulsioni e da ribellioni della sua base sociale alla ingiustizia. Non si può escludere che la spinta dei lavoratori possa collocare la CGIL anche contro la volontà collaborazionista dei suoi gruppi dirigenti in posizione ancora più nettamente contrapposta al regime.
Mentre la Marcegaglia faceva la sua proposta altri cinque lavoratori lasciavano la loro vita sul posto di lavoro. Riprova che nonostante la legge sulla sicurezza (che non viene rispettata) l'olocausto umano al Dio Profitto continua e continuerà in futuro. Il congelamento delle retribuzioni previsto dalla manovra sarà una glaciazione dal momento che dal 1993, tranne per gli stipendi della dirigenza e del manageriato oscenamente superpagato, si è in regime di quasi congelamento. Non a caso siamo al quaranta per cento in meno della media europea.
La Confindustria non ha alcuna voglia di aprirsi ai problemi della società italiana legati alla depressione in cui vivono venti milioni di lavoratori. Non vuole dialogare. Vuole soltanto rafforzare un dispositivo di sicurezza che blocca i lavoratori in fondo al pozzo dove li ha cacciati. Vuole anche continuare ad usare il mercato parallelo del precariato che,garantisce salari inferiori anche della metà dei minimi contrattuali. Oltre sei milioni di persone sono sfottute da contratti a progetto, da partite Iva e da altri marchingegni della Biagi.
Mi auguro che la CGIL respinga l'invito e che a Bonanni che le rimprovera sarcasticamente di aver fatto tanti scioperi generali inutili risponda aggiustando il suo tiro. Non basta fare uno sciopero generale. Bisogna anche vedere che cosa si propone di denunziare e di ottenere. Se lo sciopero è dirottato per interventi "moderatori" del PD soltanto sul fisco o su richieste marginali che non toccano le questioni fondamentali del contendere si dà ragione al sarcasmo di Bonanni. Bisogna che
lo sciopero generale della CGIL abbia chiarezza e venga preceduto dalla recessione dagli accordi sulla concertazione, dagli accordi del luglio 2007 e dalla richiesta di ritiro del collegato lavoro sullo art.18 e della abrogazione della legge Biagi. Con la possibilità che si profila di uno scatenamento della inflazione sarebbe anche opportuno chiedere una protezione dei salari e delle pensioni con la reintroduzione di una indicizzazione legata al costo della vita.
Pietro Ancona
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giovedì 27 maggio 2010
NEET
NEET
In contemporanea con le misure predisposte dal Governo per recuperare 25 miliardi giunge notizia dall'Istat sui giovani italiani costretti a restare nelle case genitoriali perchè privi di lavoro e se ne hanno uno, questo é malpagato e inidoneo a renderli autosufficienti. L'Italia degli inglesismi ha già trovato il termine per definire questo fenomeno: "Neet" che sembra voler dire "niente lavoro, niente scuola, niente formazione."
La porta del futuro è sbarrata davanti a milioni di giovani ai quali si uniranno nel corso dei prossimi tre anni gli espulsi dall'insegnamento. Sopravviveranno fino a quando saranno in vita i genitori, provenienti da una generazione vissuta in un paese più civile, più ordinato e meno ingiusto, amministrato da partiti che avevano alto il senso dello Stato e della coesione sociale.
Da tempo le due formazioni politiche che si contendono il governo centro destra e centro sinistra
hanno messo in comune ideologie e politiche e si applicano a trasferire in Italia le terribili esperienze del reaganismo e del tatcherismo alterando profondamente un equilibrio sociale
che ha garantito per molti decenni una relativa prosperità e speranza nel futuro.
Il grimaldello che ha distrutto la prosperità italiana si chiama "privatizzazione". La pubblica amministrazione è stata devastata dall'ingresso degli interessi privati. Oggi lo Stato costa molto di più perchè appesantito ed infarcito da interessi privati e dallo sconvolgimento prodotto dalla riforma Bassanini che ha creato isole di iperprivilegiati che da soli pesano assai di più
della massa dei comuni impiegati e funzionari. Non si fanno più concorsi o se ne fanno pochissimi
e tutto il reclutamento viene esternalizzato, mal pagato e umiliato da condizioni vessatorie. Non è possibile che a fronte di una media di retribuzioni nette inferiori ai 20 mila euro annui ci siano stipendi
che superano il milione di euro pagati dai contribuenti. Il costo della cosidetto management pubblico è davvero osceno!
Tutta la pubblica amministrazione, nelle mani di una oligarchia politica stipendiata che da sola costa circa 100 miliardi di lire, viene usata per soddisfare interessi di gruppi e di privati. I beni culturali diventano spa. I segretari comunali hanno dato vita ad una agenzia che costa centinaia di milioni di euro l'anno e di cui non c'è alcun bisogno. Inoltre c'è il fenomeno abnorme dei consulenti. Ricordo che il Sindaco di Palermo aveva un consulente per la Cina tra i cinquemila che aveva nominato a fronte dei quattromila dipendenti. Il fenomeno della consulenza che costa miliardi di euro si è sviluppato per consentire alla borghesia dei professionisti di spolpare lo Stato. Ora, con il federalismo demaniale, il patrimonio pubblico si volatizzerà. Nello stesso tempo si applicano pesanti terapie di dimagrimento dei servizi essenziali del welfare come scuola e sanità che presto raggiungeranno i livelli di degrado tipici degli USA.
Tutto quello che si è fatto dopo la svolta ideologica liberista è costato e continua a costare molto di più. A questo maggior costo spesso corrisponde un peggioramento del servizio reso. E' eclatante il caso della privatizzazione dell'acqua e della nettezza urbana. Costi insopportabili e servizi scadenti e sempre più a rischio. Mai come ora si sono susseguite una dopo l'altra le crisi di raccolta delle immondezze.
E' scoraggiante constatare come l'opposizione parlamentare non si renda conto della necessità di una svolta radicale. Abrogare la legge Biagi, vietare le consulenze e le esternalizzazioni, avviare un processo di abolizione delle regioni, espellere tutte le agenzie che operano dentro la pubblica amministrazione dovrebbero essere le prime misure da assumere per avviare un processo di risanamento.
Se i meccanismi presenti saranno lasciati indisturbati l'Italia è destinata a diventare una landa desolata
abitata da milioni di infelici che vivono accanto ai miliardari che tutti gli anni si raduno con i loro yachts davanti Villa Certosa.
Pietro Ancona
http://medioevosociale-pietro.blogspot.com/
http://www.asca.it/regioni-ISTAT_GIOVANI__60_SU_100__BAMBOCCIONI__GIOCO_FORZA_PER_MOTIVI_ECONOMICI-497894-puglia-14.html
In contemporanea con le misure predisposte dal Governo per recuperare 25 miliardi giunge notizia dall'Istat sui giovani italiani costretti a restare nelle case genitoriali perchè privi di lavoro e se ne hanno uno, questo é malpagato e inidoneo a renderli autosufficienti. L'Italia degli inglesismi ha già trovato il termine per definire questo fenomeno: "Neet" che sembra voler dire "niente lavoro, niente scuola, niente formazione."
La porta del futuro è sbarrata davanti a milioni di giovani ai quali si uniranno nel corso dei prossimi tre anni gli espulsi dall'insegnamento. Sopravviveranno fino a quando saranno in vita i genitori, provenienti da una generazione vissuta in un paese più civile, più ordinato e meno ingiusto, amministrato da partiti che avevano alto il senso dello Stato e della coesione sociale.
Da tempo le due formazioni politiche che si contendono il governo centro destra e centro sinistra
hanno messo in comune ideologie e politiche e si applicano a trasferire in Italia le terribili esperienze del reaganismo e del tatcherismo alterando profondamente un equilibrio sociale
che ha garantito per molti decenni una relativa prosperità e speranza nel futuro.
Il grimaldello che ha distrutto la prosperità italiana si chiama "privatizzazione". La pubblica amministrazione è stata devastata dall'ingresso degli interessi privati. Oggi lo Stato costa molto di più perchè appesantito ed infarcito da interessi privati e dallo sconvolgimento prodotto dalla riforma Bassanini che ha creato isole di iperprivilegiati che da soli pesano assai di più
della massa dei comuni impiegati e funzionari. Non si fanno più concorsi o se ne fanno pochissimi
e tutto il reclutamento viene esternalizzato, mal pagato e umiliato da condizioni vessatorie. Non è possibile che a fronte di una media di retribuzioni nette inferiori ai 20 mila euro annui ci siano stipendi
che superano il milione di euro pagati dai contribuenti. Il costo della cosidetto management pubblico è davvero osceno!
Tutta la pubblica amministrazione, nelle mani di una oligarchia politica stipendiata che da sola costa circa 100 miliardi di lire, viene usata per soddisfare interessi di gruppi e di privati. I beni culturali diventano spa. I segretari comunali hanno dato vita ad una agenzia che costa centinaia di milioni di euro l'anno e di cui non c'è alcun bisogno. Inoltre c'è il fenomeno abnorme dei consulenti. Ricordo che il Sindaco di Palermo aveva un consulente per la Cina tra i cinquemila che aveva nominato a fronte dei quattromila dipendenti. Il fenomeno della consulenza che costa miliardi di euro si è sviluppato per consentire alla borghesia dei professionisti di spolpare lo Stato. Ora, con il federalismo demaniale, il patrimonio pubblico si volatizzerà. Nello stesso tempo si applicano pesanti terapie di dimagrimento dei servizi essenziali del welfare come scuola e sanità che presto raggiungeranno i livelli di degrado tipici degli USA.
Tutto quello che si è fatto dopo la svolta ideologica liberista è costato e continua a costare molto di più. A questo maggior costo spesso corrisponde un peggioramento del servizio reso. E' eclatante il caso della privatizzazione dell'acqua e della nettezza urbana. Costi insopportabili e servizi scadenti e sempre più a rischio. Mai come ora si sono susseguite una dopo l'altra le crisi di raccolta delle immondezze.
E' scoraggiante constatare come l'opposizione parlamentare non si renda conto della necessità di una svolta radicale. Abrogare la legge Biagi, vietare le consulenze e le esternalizzazioni, avviare un processo di abolizione delle regioni, espellere tutte le agenzie che operano dentro la pubblica amministrazione dovrebbero essere le prime misure da assumere per avviare un processo di risanamento.
Se i meccanismi presenti saranno lasciati indisturbati l'Italia è destinata a diventare una landa desolata
abitata da milioni di infelici che vivono accanto ai miliardari che tutti gli anni si raduno con i loro yachts davanti Villa Certosa.
Pietro Ancona
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mercoledì 26 maggio 2010
Manovra e dintorni
Manovra e dintorni
Gli alti lai delle Regioni contro la manovra proposta dal Governo sono del tutto ingiustificati. Le Regioni, approfittando dei loro poteri e sfruttando l'ideologia delle privatizzazioni hanno creato da almeno dieci anni a questa parte e continuano a creare una oligarchia fatta di oligarchetti della parapolitica e inventandosi enti pubblico-privati amministrati da consigli pieni come uova di persone con stipendi da managers tra i più alti del mondo. La gestione di questi enti è spesso fallimentare, ma chi se ne frega.... Si sono creati migliaia e migliaia di amministratori. Sono tanti che potrebbero creare un Sindacato come quello che si creò in Sicilia trenta anni fa costituito dagli amministratori delle aziende ESPI a capitale quasi interamente regionale.
Le Regioni andrebbero soppresse perchè non producono servizi utili alla cittadinanza ed al territorio
ed assorbono come spugne le risorse finanziarie provenienti dallo Stato o spremute agli abitanti.
Se si mettono in fila i bilanci regionali e se ne fa una somma il risultato è spaventoso. Lo è ancora di più se si aggiunge ad esso l'indebitamento con le banche, all'estero, spesso garantito da società di rating che lucrano assai bene per le loro certificazioni. Che motivo c'è di certificare con una agenzia di rating un bilancio di Ente dotato di un consiglio? Il motivo è legato soltanto ai traffici finanziari che si intessono tra le banche e questi enti. Quanti enti locali in Italia si fanno certificare?
Ho sentito a Ballarò Epifani. Un Epifani loquace, combattivo, a volte financo aggressivo. Ha protestato contro l'iniquità della manovra che, more solito, si scarica tutta sui poveri, sul lavoro dipendente e sopratutto su quella fascia di ceto medio che, esclusa dalle esenzioni dai tiket e le altre agevolazioni, viene caricata della soma.
Ma non ha detto una sola parola sul fatto che da quasi venti anni, per via di un diabolico accordo stipulato con confindustria e governo, i miglioramenti vengono rapportati ad un "tasso di inflazione programmato". Il risultato è un congelamento delle retribuzioni che ha fatto regredire al 23 posto della scala OCSE l'Italia. A pensarci bene, non ha detto una parola contro la proposta di congelamento
ed ha steso su questo una cortina fumogena di accuse al governo. E' una tecnica della comunicazione
mutuata da Bersani che urla alla Gelmini un "non rompere i c.....agli eroici professori" che ha avuto vasta risonanza massmediatica ma, in effetti, non si è troppo affaticato a difendere la Scuola pubblica ed i Professori preso nei laccioli del filovaticanismo di parte del PD e del liberismo della sua elite di teste d'uovo.
La manovra come è già stato detto è soltanto depressiva. Produrrà nuova disoccupazione e rallenterà il commercio interno. Non servirà a niente perchè la questione dei conti dell'Italia e dell'Europa non è economica ma politica. Gli USA vogliono liberarsi dell'Euro e non gradiscono la stessa esistenza dell'UE. Non potendo bombardare Roma o Berlino o Parigi, come hanno fatto e fanno con Kabul, Bagdad, il Pakistan e tanti altri disgraziati "stati canaglia", usano l'arma dello inquinamento finanziario prima ed ora del fallimento procurato degli Stati più deboli.
Avrebbe fatto meglio l'Italia a darsi un programma diametralmente opposto a quello di Tremonti.
Non 25 miliardi di risparmi che provocheranno depressione per cento miliardi, ma investimenti e spese di pari importo. Aumentando i servizi, il welfare, i salari, l'occupazione.
Un programma espansivo protetto da misure draconiane di difesa dei titoli di stato costringendo gli speculatori a sudare sangue se pescati a tramare. Gran parte dei titoli di Stato hanno collocazione interna. Per i titoli negoziati all'estero misure ancora più forti di quelle adottate dal governo tedesco.
Pietro Ancona
http://medioevosociale-pietro.blogspot.com/
www.spazioamico.it
Gli alti lai delle Regioni contro la manovra proposta dal Governo sono del tutto ingiustificati. Le Regioni, approfittando dei loro poteri e sfruttando l'ideologia delle privatizzazioni hanno creato da almeno dieci anni a questa parte e continuano a creare una oligarchia fatta di oligarchetti della parapolitica e inventandosi enti pubblico-privati amministrati da consigli pieni come uova di persone con stipendi da managers tra i più alti del mondo. La gestione di questi enti è spesso fallimentare, ma chi se ne frega.... Si sono creati migliaia e migliaia di amministratori. Sono tanti che potrebbero creare un Sindacato come quello che si creò in Sicilia trenta anni fa costituito dagli amministratori delle aziende ESPI a capitale quasi interamente regionale.
Le Regioni andrebbero soppresse perchè non producono servizi utili alla cittadinanza ed al territorio
ed assorbono come spugne le risorse finanziarie provenienti dallo Stato o spremute agli abitanti.
Se si mettono in fila i bilanci regionali e se ne fa una somma il risultato è spaventoso. Lo è ancora di più se si aggiunge ad esso l'indebitamento con le banche, all'estero, spesso garantito da società di rating che lucrano assai bene per le loro certificazioni. Che motivo c'è di certificare con una agenzia di rating un bilancio di Ente dotato di un consiglio? Il motivo è legato soltanto ai traffici finanziari che si intessono tra le banche e questi enti. Quanti enti locali in Italia si fanno certificare?
Ho sentito a Ballarò Epifani. Un Epifani loquace, combattivo, a volte financo aggressivo. Ha protestato contro l'iniquità della manovra che, more solito, si scarica tutta sui poveri, sul lavoro dipendente e sopratutto su quella fascia di ceto medio che, esclusa dalle esenzioni dai tiket e le altre agevolazioni, viene caricata della soma.
Ma non ha detto una sola parola sul fatto che da quasi venti anni, per via di un diabolico accordo stipulato con confindustria e governo, i miglioramenti vengono rapportati ad un "tasso di inflazione programmato". Il risultato è un congelamento delle retribuzioni che ha fatto regredire al 23 posto della scala OCSE l'Italia. A pensarci bene, non ha detto una parola contro la proposta di congelamento
ed ha steso su questo una cortina fumogena di accuse al governo. E' una tecnica della comunicazione
mutuata da Bersani che urla alla Gelmini un "non rompere i c.....agli eroici professori" che ha avuto vasta risonanza massmediatica ma, in effetti, non si è troppo affaticato a difendere la Scuola pubblica ed i Professori preso nei laccioli del filovaticanismo di parte del PD e del liberismo della sua elite di teste d'uovo.
La manovra come è già stato detto è soltanto depressiva. Produrrà nuova disoccupazione e rallenterà il commercio interno. Non servirà a niente perchè la questione dei conti dell'Italia e dell'Europa non è economica ma politica. Gli USA vogliono liberarsi dell'Euro e non gradiscono la stessa esistenza dell'UE. Non potendo bombardare Roma o Berlino o Parigi, come hanno fatto e fanno con Kabul, Bagdad, il Pakistan e tanti altri disgraziati "stati canaglia", usano l'arma dello inquinamento finanziario prima ed ora del fallimento procurato degli Stati più deboli.
Avrebbe fatto meglio l'Italia a darsi un programma diametralmente opposto a quello di Tremonti.
Non 25 miliardi di risparmi che provocheranno depressione per cento miliardi, ma investimenti e spese di pari importo. Aumentando i servizi, il welfare, i salari, l'occupazione.
Un programma espansivo protetto da misure draconiane di difesa dei titoli di stato costringendo gli speculatori a sudare sangue se pescati a tramare. Gran parte dei titoli di Stato hanno collocazione interna. Per i titoli negoziati all'estero misure ancora più forti di quelle adottate dal governo tedesco.
Pietro Ancona
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martedì 25 maggio 2010
aumentare gli stipendi ed i salari!
Congelare per tre anni stipendi e salari in Italia è un crimine perchè in effetti, con l'ascensione libera dei costi per vivere, diventa una vera e propria decurtazione di almeno il trenta per cento.-
I salari italiani sono di almeno il quaranta per cento inferiori alla media OCSE. Siamo al 23 posto della classifica.
Che cosa si vuole? Se queste sono le regole non possiamo starci dentro-
La CGIL dovrebbe organizzare lo sciopero generale e chiedere la riassunzione di tutti i licenziati dal settore pubblico e privato e l'aumento di almeno il dieci per cento di tutte le retribuzioni
http://www.ansa.it/web/notizie/rubriche/topnews/2010/05/11/visualizza_new.html_1791175474.html
Pietro Ancona
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I salari italiani sono di almeno il quaranta per cento inferiori alla media OCSE. Siamo al 23 posto della classifica.
Che cosa si vuole? Se queste sono le regole non possiamo starci dentro-
La CGIL dovrebbe organizzare lo sciopero generale e chiedere la riassunzione di tutti i licenziati dal settore pubblico e privato e l'aumento di almeno il dieci per cento di tutte le retribuzioni
http://www.ansa.it/web/notizie/rubriche/topnews/2010/05/11/visualizza_new.html_1791175474.html
Pietro Ancona
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I lavoratori sono soli
I lavoratori sono soli
La CGIL non ha finora commentato la risoluzione sul lavoro approvata dall'assemblea nazionale del PD. Un documento squallido che chiude ogni speranza di lotta al precariato,ai bassi salari,alla perdita dei diritti. Un silenzio che non preannunzia opposizione o almeno critica dal momento che il PD è il partito di riferimento di grandissima parte dei quadri dirigenti della Confederazione. Questi si adegueranno alle indicazioni del Partito oppure rivendicheranno la loro autonomia e l'autonoma elaborazione delle politiche della CGIL?
Io credo che la CGIL si adeguerà alle indicazioni del documento del Partito. Questa convinzione scaturisce dall'esame dei suoi comportamenti , dalle deliberazioni del Congresso, dalla sua voglia di stare "in gioco" di partecipare alle scelte politiche e sociali che saranno approvate dal Governo.
La CGIL, come la Cisl e l'UIL, continua a giocare di rimessa. Non si muove. Aspetta le decisioni del Governo sulla manovra finanziaria che sottrarrà risorse vitali a salari,pensioni,scuola,sanità e si limiterà a proporre una qualche modesta "riduzione del danno". Il richiamo di Napolitano alla coesione nazionale, allo spirito patriottico di accettazione dei sacrifici per salvare l'Italia servirà a coprire l'ennesima bastonata ai lavoratori dipendenti, ai pensionati, ai poveri. Venticinque miliardi si potrebbero ricavare da una drastica riduzione dei costi della politica e della parapolitica (spendiamo oltre cento miliardi di euro per gli stipendi ai politici, ai consulenti, ai consiglieri di amministrazione) ma si preferirà prelevarli da coloro che già stentano ad arrivare alla fine del mese.
Il gioco si è fatto pesante a livello internazionale. Il capitalismo mondiale ha una sua centrale di direzione che muove vari organismi come il Fondo Monetario Internazionale o le stesse Agenzie di Rating che assolvono a funzioni di killeraggio quando si ritiene opportuno aggredire. La Grecia, il Portogallo, la Spagna, sono state già aggredite per avere disavanzi addirittura inferiori a quello degloi USA che, però, si sono concessi il privilegio di stampare dollari senza alcuna copertura e di imporli al mondo intero. Il capitalismo è in una fase di parossismo ideologico. Gli accordi di Maastrict già abbastanza jugulatori gli stanno stretti e vorrebbe subito l'americanizzazione dell'Europa cioè la scomparsa del welfare che l'ha reso civile a fronte della barbarie in cui è costretto a vivere il popolo americano.
Non deve sfuggire il fatto che le tre nazioni nel mirino sono a direzione socialista anche se trattasi di un socialismo nominale con contenuti liberisti. Ma lo zio Sam non si fida lo stesso. Inoltre l'attacco alla Grecia è un grimaldello per scassinare l'Europa. Per il popolo greco c'è già pollice verso del Nerone che manipola i mercati. Anche la difesa approntata dal governo tedesco di non consentire negoziazioni allo scoperto dei suoi titoli di Stato ha fatto alzare acutissimi strilli ai liberisti che vorrebbero il "mercato" libero da regole e cioè un far west dove scorazzare e magari incenerire le risorse di interi popoli. Insomma, si vuole libertà di strangolamento.
Anche l'Italia è nel mirino un giorno si ed uno no. E' sconcertante che PD e CGIL non trovino di meglio che attaccare Berlusconi per avere "sottovalutato" la crisi da almeno due anni. Una critica di destra alla destra per sfuggire ad una analisi veritiera delle cause del terremoto finanziario originato dalla pirateria di Wall Street ed al quale il sistema occidentale non vuole porre alcun rimedio. E' la guerra degli USA con il mondo intero condotta attraverso le Borse ed il terrorismo sui disavanzi dei bilanci statali. L'Asia viene attaccata in più parti militarmente. L'Europa e l'Euro vengono attaccati finanziariamente. IL fine è uno solo: riaffermare una supremazia violenta e sempre più aggressiva degli USA.
I lavoratori italiani hanno la disgrazia di non avere alcun punto di riferimento oltre la sinistra comunista. Cgil,Cisl,UIL e PD si limitano a smussare qualche angolo ma non faranno niente per contrastare il loro impoverimento e la perdita di diritti. Semmai fanno a gara per dimostrare alla Confindustria quanto sono consapevoli e patriottici e come sono disposti a cedere tutto dall'art.18
allo Statuto dei Diritti.
Se in Italia esistesse la democrazia e cioè l'esistenza di una dialettica tra le forze politiche e le forze sociali nei prossimi giorni avremmo battaglia in Parlamento e sciopero generale nel Paese. Ma la democrazia non esiste e non solo perchè abbiamo una destra autoritaria al potere ma anche per una opposizione che è interfacciale al governo e Sindacati Confederali che fanno gli interessi della Confindustria. Sindacati che non difendono i loro rappresentati ma si limitano ad amministrarli con quello che passa il convento.
Pietro Ancona
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http://www.rassegna.it/articoli/2010/05/25/62839/
La CGIL non ha finora commentato la risoluzione sul lavoro approvata dall'assemblea nazionale del PD. Un documento squallido che chiude ogni speranza di lotta al precariato,ai bassi salari,alla perdita dei diritti. Un silenzio che non preannunzia opposizione o almeno critica dal momento che il PD è il partito di riferimento di grandissima parte dei quadri dirigenti della Confederazione. Questi si adegueranno alle indicazioni del Partito oppure rivendicheranno la loro autonomia e l'autonoma elaborazione delle politiche della CGIL?
Io credo che la CGIL si adeguerà alle indicazioni del documento del Partito. Questa convinzione scaturisce dall'esame dei suoi comportamenti , dalle deliberazioni del Congresso, dalla sua voglia di stare "in gioco" di partecipare alle scelte politiche e sociali che saranno approvate dal Governo.
La CGIL, come la Cisl e l'UIL, continua a giocare di rimessa. Non si muove. Aspetta le decisioni del Governo sulla manovra finanziaria che sottrarrà risorse vitali a salari,pensioni,scuola,sanità e si limiterà a proporre una qualche modesta "riduzione del danno". Il richiamo di Napolitano alla coesione nazionale, allo spirito patriottico di accettazione dei sacrifici per salvare l'Italia servirà a coprire l'ennesima bastonata ai lavoratori dipendenti, ai pensionati, ai poveri. Venticinque miliardi si potrebbero ricavare da una drastica riduzione dei costi della politica e della parapolitica (spendiamo oltre cento miliardi di euro per gli stipendi ai politici, ai consulenti, ai consiglieri di amministrazione) ma si preferirà prelevarli da coloro che già stentano ad arrivare alla fine del mese.
Il gioco si è fatto pesante a livello internazionale. Il capitalismo mondiale ha una sua centrale di direzione che muove vari organismi come il Fondo Monetario Internazionale o le stesse Agenzie di Rating che assolvono a funzioni di killeraggio quando si ritiene opportuno aggredire. La Grecia, il Portogallo, la Spagna, sono state già aggredite per avere disavanzi addirittura inferiori a quello degloi USA che, però, si sono concessi il privilegio di stampare dollari senza alcuna copertura e di imporli al mondo intero. Il capitalismo è in una fase di parossismo ideologico. Gli accordi di Maastrict già abbastanza jugulatori gli stanno stretti e vorrebbe subito l'americanizzazione dell'Europa cioè la scomparsa del welfare che l'ha reso civile a fronte della barbarie in cui è costretto a vivere il popolo americano.
Non deve sfuggire il fatto che le tre nazioni nel mirino sono a direzione socialista anche se trattasi di un socialismo nominale con contenuti liberisti. Ma lo zio Sam non si fida lo stesso. Inoltre l'attacco alla Grecia è un grimaldello per scassinare l'Europa. Per il popolo greco c'è già pollice verso del Nerone che manipola i mercati. Anche la difesa approntata dal governo tedesco di non consentire negoziazioni allo scoperto dei suoi titoli di Stato ha fatto alzare acutissimi strilli ai liberisti che vorrebbero il "mercato" libero da regole e cioè un far west dove scorazzare e magari incenerire le risorse di interi popoli. Insomma, si vuole libertà di strangolamento.
Anche l'Italia è nel mirino un giorno si ed uno no. E' sconcertante che PD e CGIL non trovino di meglio che attaccare Berlusconi per avere "sottovalutato" la crisi da almeno due anni. Una critica di destra alla destra per sfuggire ad una analisi veritiera delle cause del terremoto finanziario originato dalla pirateria di Wall Street ed al quale il sistema occidentale non vuole porre alcun rimedio. E' la guerra degli USA con il mondo intero condotta attraverso le Borse ed il terrorismo sui disavanzi dei bilanci statali. L'Asia viene attaccata in più parti militarmente. L'Europa e l'Euro vengono attaccati finanziariamente. IL fine è uno solo: riaffermare una supremazia violenta e sempre più aggressiva degli USA.
I lavoratori italiani hanno la disgrazia di non avere alcun punto di riferimento oltre la sinistra comunista. Cgil,Cisl,UIL e PD si limitano a smussare qualche angolo ma non faranno niente per contrastare il loro impoverimento e la perdita di diritti. Semmai fanno a gara per dimostrare alla Confindustria quanto sono consapevoli e patriottici e come sono disposti a cedere tutto dall'art.18
allo Statuto dei Diritti.
Se in Italia esistesse la democrazia e cioè l'esistenza di una dialettica tra le forze politiche e le forze sociali nei prossimi giorni avremmo battaglia in Parlamento e sciopero generale nel Paese. Ma la democrazia non esiste e non solo perchè abbiamo una destra autoritaria al potere ma anche per una opposizione che è interfacciale al governo e Sindacati Confederali che fanno gli interessi della Confindustria. Sindacati che non difendono i loro rappresentati ma si limitano ad amministrarli con quello che passa il convento.
Pietro Ancona
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lunedì 24 maggio 2010
La CGIL ed il sindacalismo di base
La CGIL dovrebbe svincolarsi dal patto mafioso con Cisl ed UIL che finisce con il legarla anche alla Confindustria ed aprirsi al sindacalismo di base a cominciare da un grande sciopero generale contro l'incrudelimento del liberismo occidentale
Il Manifesto
IL BATTESIMO DI USB ED E' SUBITO SCIOPERO
| di Francesco Piccioni
Il nuovo sindacato si mobilita contro la manovra
Il dado è tratto. Stamattina, al teatro Capranica di Roma, l'Unione sindacale di base (Usb) sigla il suo atto di nascita. Un percorso «lungo e faticoso», spiegano molti delegati. Perché l'ostacolo più grande all'unificazione di alcune delle sigle del sindacalismo di base sta da sempre nella «cultura dell'autosufficienza», nella difficoltà ad abbandonare il terreno del già noto per affrontare un orizzonte più vasto.
Questa nascita è dunque «una rottura creatrice» col vecchio mondo antico, quello delimitato dai confini aziendali o di comparto; quello fatto di «nicchie» per qualche motivo conservabili in un contesto che andava comunque cambiando. «Oggi costruiamo il sindacato che serve, non un altro sindacato», si ripete, a significare che è la realtà sociale e del lavoro a imporre un altro modo di stare in campo. Gira una metafora calcistica. «Finora abbiamo giocato a calcetto, ogni sigla per conto proprio; oggi si comincia a giocare a calcio, in undici e in campo grande. Cambiano le tattiche,il tipo di allenamento, il modo di coprire il terreno e programmare lo sforzo».
Fuori di metafora, «da lunedì dobbiamo cambiare passo, modo di lavorare». Perché non c'è tempo di fermarsi a pensare, «dobbiamo farlo camminando». La manovra correttiva del governo ancora non è nota nei dettagli, ma è chiaro che a pagare saranno chiamati i lavoratori dipendenti, a cominciare dal settore pubblico e dal sistema pensionistico. La lista delle mobilitazioni già proclamate è notevole. Il 28 maggio una serie di manifestazioni cittadine si indirizzeranno alle sedi di grandi banche. Il 5 giugno ci sarà una manifestazione nazionale a Roma, insieme ai Cobas e altre organizzazioni e associazioni, contro la manovra. Il 7 è previsto uno sciopero del settore aeroportuale (soprattutto nell'handling), mentre l'8 e il 9 ci sarà la mobilitazione dei lavoratori socialmente utili, cassintegrati e in mobilità. L'11 sarà poi la volta del trasporto pubblico locale, con sciopero di 24 ore, dove si cerca di mettere nel contratto il divieto di sciopero (portando a conclusione un lungo processo iniziato con la legge 146, modificata poi da una serie di forzature operate dalla cosiddetta «commissione di garanzia»). Il 14, infine, ci sarà lo sciopero generale dei pubblici.
Un programma che presuppone l'esistenza di una «massa critica» organizzata e determinata, capace ormai di costituire il «nucleo gravitazionale» di una galassia pulviscolare esistente da oltre trenta anni. L'idea non è però quella della «lotta per la lotta», ma «per incidere» e ottenere risultati. Per riuscirci, «occorre avere anche un punto di vista unitario - non unico - da Trieste a Trapani», perché «un sindacato che non riesce a leggere la realtà e i processi non può rappresentare i lavoratori con efficacia».
Si mostra consapevolezza di «poter svolgere un ruolo importante», ma «di non aver concluso qui il percorso unitario; la porta è e deve restare aperta», visto che «non pensiamo davvero di essere noi il tutto». Il metodo resta quello del «confronto e delle iniziative». Lo spazio politico-sindacale - «specie dopo il congresso della Cgil» - «non è mai stato così grande». Avere «l'ambizione di coprirlo» è «il minimo».
La struttura organizzativa è di tipo confederale «perché occorre avere un sindacato generale», mentre all'interno delle due macro-aree (pubblico e privato) sarà «intercategoriale», per cercare di ricomporre un lavoro continuamente che viene continuamente smembrato e ricomposto.
L'allargamento a «sindacato metropolitano» è un presa d'atto che «si implementa l'area sociale fatta di precarietà e povertà», ma che «non incontra mai il sindacato» e quindi va cercata e organizzata a partire dai territori.
C'è anche la consapevolezza di «dover riprendere a far cultura», dando nuova linfa e contenuti ai «valori di solidarietà, diritti, lavoro, ugualianza». E in questo convergono le attività di un centro studi che rivendica di aver individuato, oltre 10 anni fa, l'emergere di una fase fatta di «competizione fra macroaree monetarie, più che di globalizzazione pura e semplice»; e uno sviluppo ormai internazionale di esperienze sindacali «di base, che vanno ora messe in rete».
Si esce di qui con l'impressione che qualcosa si sta muovendo, anche se andrà a incontrare difficoltà imponenti, avversari duri. Ma non è mai detto che, nella crisi, le uniche via d'uscita siano per forza a destra.
Il Manifesto
IL BATTESIMO DI USB ED E' SUBITO SCIOPERO
| di Francesco Piccioni
Il nuovo sindacato si mobilita contro la manovra
Il dado è tratto. Stamattina, al teatro Capranica di Roma, l'Unione sindacale di base (Usb) sigla il suo atto di nascita. Un percorso «lungo e faticoso», spiegano molti delegati. Perché l'ostacolo più grande all'unificazione di alcune delle sigle del sindacalismo di base sta da sempre nella «cultura dell'autosufficienza», nella difficoltà ad abbandonare il terreno del già noto per affrontare un orizzonte più vasto.
Questa nascita è dunque «una rottura creatrice» col vecchio mondo antico, quello delimitato dai confini aziendali o di comparto; quello fatto di «nicchie» per qualche motivo conservabili in un contesto che andava comunque cambiando. «Oggi costruiamo il sindacato che serve, non un altro sindacato», si ripete, a significare che è la realtà sociale e del lavoro a imporre un altro modo di stare in campo. Gira una metafora calcistica. «Finora abbiamo giocato a calcetto, ogni sigla per conto proprio; oggi si comincia a giocare a calcio, in undici e in campo grande. Cambiano le tattiche,il tipo di allenamento, il modo di coprire il terreno e programmare lo sforzo».
Fuori di metafora, «da lunedì dobbiamo cambiare passo, modo di lavorare». Perché non c'è tempo di fermarsi a pensare, «dobbiamo farlo camminando». La manovra correttiva del governo ancora non è nota nei dettagli, ma è chiaro che a pagare saranno chiamati i lavoratori dipendenti, a cominciare dal settore pubblico e dal sistema pensionistico. La lista delle mobilitazioni già proclamate è notevole. Il 28 maggio una serie di manifestazioni cittadine si indirizzeranno alle sedi di grandi banche. Il 5 giugno ci sarà una manifestazione nazionale a Roma, insieme ai Cobas e altre organizzazioni e associazioni, contro la manovra. Il 7 è previsto uno sciopero del settore aeroportuale (soprattutto nell'handling), mentre l'8 e il 9 ci sarà la mobilitazione dei lavoratori socialmente utili, cassintegrati e in mobilità. L'11 sarà poi la volta del trasporto pubblico locale, con sciopero di 24 ore, dove si cerca di mettere nel contratto il divieto di sciopero (portando a conclusione un lungo processo iniziato con la legge 146, modificata poi da una serie di forzature operate dalla cosiddetta «commissione di garanzia»). Il 14, infine, ci sarà lo sciopero generale dei pubblici.
Un programma che presuppone l'esistenza di una «massa critica» organizzata e determinata, capace ormai di costituire il «nucleo gravitazionale» di una galassia pulviscolare esistente da oltre trenta anni. L'idea non è però quella della «lotta per la lotta», ma «per incidere» e ottenere risultati. Per riuscirci, «occorre avere anche un punto di vista unitario - non unico - da Trieste a Trapani», perché «un sindacato che non riesce a leggere la realtà e i processi non può rappresentare i lavoratori con efficacia».
Si mostra consapevolezza di «poter svolgere un ruolo importante», ma «di non aver concluso qui il percorso unitario; la porta è e deve restare aperta», visto che «non pensiamo davvero di essere noi il tutto». Il metodo resta quello del «confronto e delle iniziative». Lo spazio politico-sindacale - «specie dopo il congresso della Cgil» - «non è mai stato così grande». Avere «l'ambizione di coprirlo» è «il minimo».
La struttura organizzativa è di tipo confederale «perché occorre avere un sindacato generale», mentre all'interno delle due macro-aree (pubblico e privato) sarà «intercategoriale», per cercare di ricomporre un lavoro continuamente che viene continuamente smembrato e ricomposto.
L'allargamento a «sindacato metropolitano» è un presa d'atto che «si implementa l'area sociale fatta di precarietà e povertà», ma che «non incontra mai il sindacato» e quindi va cercata e organizzata a partire dai territori.
C'è anche la consapevolezza di «dover riprendere a far cultura», dando nuova linfa e contenuti ai «valori di solidarietà, diritti, lavoro, ugualianza». E in questo convergono le attività di un centro studi che rivendica di aver individuato, oltre 10 anni fa, l'emergere di una fase fatta di «competizione fra macroaree monetarie, più che di globalizzazione pura e semplice»; e uno sviluppo ormai internazionale di esperienze sindacali «di base, che vanno ora messe in rete».
Si esce di qui con l'impressione che qualcosa si sta muovendo, anche se andrà a incontrare difficoltà imponenti, avversari duri. Ma non è mai detto che, nella crisi, le uniche via d'uscita siano per forza a destra.
domenica 23 maggio 2010
Il PD e lo Statuto di Sacconi
Un lavoratore (operaio o impiegato) è una persona che svolge un'attività manuale o intellettuale a scopo produttivo, in cambio di un compenso; generalmente il termine è riferito a coloro che prestano l'attività lavorativa alle dipendenze di un datore di lavoro." l' Imprenditore svolge (non presta) la sua attività in vista di un profitto, il professionista dà le sue consulenze o il suo ingegno in cambio di una parcella, di un onorario; il lavoratore autonomo (quando non si tratti di un fumus come i ragazzi a partita Iva) è una persona che realizza qualcosa o in servizio (impianto idraulico, gioiello o altro) in cambio di una parcella che contiene anche le spese effettuate in materie impiegate."
Il codice civile definisce le caratteristiche che distinguono il lavoro dipendente: la subordinazione, l'orario, gli obblighi definiti dal ccnl. Il lavoratore è colui che, in cambio di una remunerazione, esegue
un lavoro sulla base delle direttive che gli vengono impartite.
Nel documento approvato dall'Assemblea Nazionale del PD è scritto: "il PD intende rappresentare il lavoro in tutte le sue forme, dal lavoro (relativamente) stabile, a tempo indeterminato, al lavoro precario e parasubordinato,dal lavoro di artigiani, commercianti e professionisti, al lavoro dello imprenditore. Poi, propone "l'introduzione dello Statuto dei Lavoratori autonomi e dei Professionisti per definire un denominatore di tutele e di incentivi corrispondente alle esigenze comuni di artigiani, commercianti e professionisti."
Ora questo ecumenismo nel voler esprimere le esigenze del lavoro applicato a tutti i campi ivi compresa l'imprenditoria era una caratteristica della vecchia DC (si chiamava interclassismo) e del vecchio PCI ( si chiamava "rapporto con la piccola e media industria"). Insomma, i due maggiori partiti italiani si sforzavano di rappresentare tutto il mondo produttivo ma avevano il buon senso di
non volere ingabbiare la parte minus habens obbligandola dentro limiti di dialettica sociale convenienti ai
mayores habent. Il PC consigliava i sindacati a stupulare accordi particolare con artigiani o commercianti o piccoli imprenditori come sostegno ideologico e politico alla loro esistenza insidiata dai monopoli e dalle grandi imprese. Questo avveniva a livello territoriale e aziendale. Ricordo un contratto stipulato a Palermo con Libero Grasso, imprenditore e persona onesta verso i lavoratori ed eroe della lotta contro il pizzo mafioso, che appunto stabiliva differenziali salariali a sostegno della sua impresa tessile. Qualcosa di simile avveniva con le imprese cooperativa e la cosa appariva giusta e ragionevole anche ai lavoratori perchè la cooperazione era ancora densa di contenuti sociali ed appariva una alternativa alla produzione capitalistica. Oggi non è più così. "La Coop sei tu!" è una potente organizzazione finanziaria che ha cancellato il suo scopo sociale rivolto alla crescita dei produttori e dei lavoratori.E' un gigante del capitalismo italiano.
Nel documento approvato dal PD per giustificare la scelta di tutelare il lavoratore dipendente si afferma che bisogna tutelare anche quello autonomo, il commerciante, il professionista. Ma che genere di tutela può darsi al professionista? Che cosa la società deve dare al notaio, al medico libero esercente, al commerciante di agrumi, al bottegaio, al commerciante all'ingrosso?
Tra queste categorie delle professioni borghesi le condizioni non sono tutte identiche. Ci sono avvocati che lavorano per conto di altri avvocati e spesso in condizioni di vera e propria umiliazione sociale e salariale. L'avvocato che è sfruttato da uno studio deve essere certamente protetto. Cose del genere si possono scrivere su tutte le professioni ed i mestieri. Come si fa a ridurre alla grossolano semplificazione che sono tutte manifestazioni del lavoro che vanno tutelate? Tutelate da che cosa e da chi? E' grottesco mettere tutti lavoratori dipendenti e altri nello stesso pentolone.
Insomma, se non abbiamo capito male, il PD, dopo aver fatto finta di difendere lo Statuto dei Diritti dei Lavoratori, apre alla proposta di Sacconi dello Statuto dei Lavori. I lavoratori dipendenti, in questo nuovo scenario che va a crearsi, vengono collocati ( ma con molte disparità) sullo stesso piano degli imprenditori, dei professionisti, dei commercianti, degli autonomi. Tutti bisognosi di tutele, magari dal cattivissimo sindacato che chiede un pò di soldi in più in busta paga e disturba la quiete sociale e la libertà degli altri soggetti sociali.
Il PD non ha capito o fa finta di non capire che l'interclassismo nell'era del liberismo è soltanto lotta di classe con tutti i mezzi a cominciare da quellio giuridici ai lavoratori dipendenti.
Insomma, a differenza dello storico Labour Party, che si dichiara partito del lavoro perchè espressione delle classi lavoratrici e dei loro sindacati, il PD si dichiara partito del Lavoro comprendovi la Marcegaglia, Montezemolo, la Confindustria e quanti professionisti ancorano le loro "barche" nel mare antistante Villa Certosa per rendere omaggio al loro leader carismatico, il Presidente Operaio Silvio Berlusconi!
Pietro Ancona
http://medioevosociale-pietro.blogspot.com/
www.spazioamico.it
Il codice civile definisce le caratteristiche che distinguono il lavoro dipendente: la subordinazione, l'orario, gli obblighi definiti dal ccnl. Il lavoratore è colui che, in cambio di una remunerazione, esegue
un lavoro sulla base delle direttive che gli vengono impartite.
Nel documento approvato dall'Assemblea Nazionale del PD è scritto: "il PD intende rappresentare il lavoro in tutte le sue forme, dal lavoro (relativamente) stabile, a tempo indeterminato, al lavoro precario e parasubordinato,dal lavoro di artigiani, commercianti e professionisti, al lavoro dello imprenditore. Poi, propone "l'introduzione dello Statuto dei Lavoratori autonomi e dei Professionisti per definire un denominatore di tutele e di incentivi corrispondente alle esigenze comuni di artigiani, commercianti e professionisti."
Ora questo ecumenismo nel voler esprimere le esigenze del lavoro applicato a tutti i campi ivi compresa l'imprenditoria era una caratteristica della vecchia DC (si chiamava interclassismo) e del vecchio PCI ( si chiamava "rapporto con la piccola e media industria"). Insomma, i due maggiori partiti italiani si sforzavano di rappresentare tutto il mondo produttivo ma avevano il buon senso di
non volere ingabbiare la parte minus habens obbligandola dentro limiti di dialettica sociale convenienti ai
mayores habent. Il PC consigliava i sindacati a stupulare accordi particolare con artigiani o commercianti o piccoli imprenditori come sostegno ideologico e politico alla loro esistenza insidiata dai monopoli e dalle grandi imprese. Questo avveniva a livello territoriale e aziendale. Ricordo un contratto stipulato a Palermo con Libero Grasso, imprenditore e persona onesta verso i lavoratori ed eroe della lotta contro il pizzo mafioso, che appunto stabiliva differenziali salariali a sostegno della sua impresa tessile. Qualcosa di simile avveniva con le imprese cooperativa e la cosa appariva giusta e ragionevole anche ai lavoratori perchè la cooperazione era ancora densa di contenuti sociali ed appariva una alternativa alla produzione capitalistica. Oggi non è più così. "La Coop sei tu!" è una potente organizzazione finanziaria che ha cancellato il suo scopo sociale rivolto alla crescita dei produttori e dei lavoratori.E' un gigante del capitalismo italiano.
Nel documento approvato dal PD per giustificare la scelta di tutelare il lavoratore dipendente si afferma che bisogna tutelare anche quello autonomo, il commerciante, il professionista. Ma che genere di tutela può darsi al professionista? Che cosa la società deve dare al notaio, al medico libero esercente, al commerciante di agrumi, al bottegaio, al commerciante all'ingrosso?
Tra queste categorie delle professioni borghesi le condizioni non sono tutte identiche. Ci sono avvocati che lavorano per conto di altri avvocati e spesso in condizioni di vera e propria umiliazione sociale e salariale. L'avvocato che è sfruttato da uno studio deve essere certamente protetto. Cose del genere si possono scrivere su tutte le professioni ed i mestieri. Come si fa a ridurre alla grossolano semplificazione che sono tutte manifestazioni del lavoro che vanno tutelate? Tutelate da che cosa e da chi? E' grottesco mettere tutti lavoratori dipendenti e altri nello stesso pentolone.
Insomma, se non abbiamo capito male, il PD, dopo aver fatto finta di difendere lo Statuto dei Diritti dei Lavoratori, apre alla proposta di Sacconi dello Statuto dei Lavori. I lavoratori dipendenti, in questo nuovo scenario che va a crearsi, vengono collocati ( ma con molte disparità) sullo stesso piano degli imprenditori, dei professionisti, dei commercianti, degli autonomi. Tutti bisognosi di tutele, magari dal cattivissimo sindacato che chiede un pò di soldi in più in busta paga e disturba la quiete sociale e la libertà degli altri soggetti sociali.
Il PD non ha capito o fa finta di non capire che l'interclassismo nell'era del liberismo è soltanto lotta di classe con tutti i mezzi a cominciare da quellio giuridici ai lavoratori dipendenti.
Insomma, a differenza dello storico Labour Party, che si dichiara partito del lavoro perchè espressione delle classi lavoratrici e dei loro sindacati, il PD si dichiara partito del Lavoro comprendovi la Marcegaglia, Montezemolo, la Confindustria e quanti professionisti ancorano le loro "barche" nel mare antistante Villa Certosa per rendere omaggio al loro leader carismatico, il Presidente Operaio Silvio Berlusconi!
Pietro Ancona
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sabato 22 maggio 2010
le clarisse di aversa
LE CLARISSE DI AVERSA
Nelle ultime quarantotto ore, la tv si è occupata della Chiesa Cattolica da ben tre volte: rai due, rai tre e la sette. A rai due, in anno zero, sul tema della pedofilia, a la sette, per il patrimonio immobiliare del Vaticano a Roma, a rai tre per la vicenda dello sfratto delle monachelle di clausura dal loro convento di Aversa. Nello stesso tempo i massmedia si sono occupati degli intrecci tra finanza vaticana e cricca. Un vero e proprio coinvolgimento in crimini contro lo Stato. Insomma le cronache della Chiesa diventano sempre più inquietanti.
La trasmissione "Mi manda Rai Tre" è stato dominata da due piccole figure di monache molto anziane. Raccontavano il loro sfratto dal Monastero dove avevano trascorso tutta la vita motivato dalle autorità ecclesiastiche da futilità come l'uso del telefonino o i contatti con il mondo esterno. In verità i motivi del loro brutale allontamento non sono chiari. Si è malpensanti se si congettura che probabilmente ci sono progetti speculativi sul Convento cinquecentesco che loro continuavano ad abitare?
Di certo c'è che il Vaticano e la Curia non hanno tenuto in nessun conto gli interessi ed i sentimenti delle clarisse trattate con scandalosa brutalità. Il vescovo di Aversa ha rimproverato il loro rifiuto alla obbedienza agli ordini della gerarchia e si è spinto fino ad adombrare disordine nella tenuta dei conti del Convento. Un prete "sposato" le ha invitate alla letizia, ha dato dei consigli strampalati ma che volevano ingraziarsi i persecutori delle suore. Ma queste se la sono cavata molto bene e nella loro voce di protesta per la violenza subita vibravano le corde di una dignità umana e religiosa che suscitava rispetto, ammirazione, condivisione della loro causa. La Chiesa non ha tenuto in nessun conto il fatto che da oltre mezzo secolo costituivano una comunità. Smembrare e disperdere otto persone in tarda età, liberarsene senza alcuno scrupolo destinandole a tante sperdute località è davvero una crudeltà insopportabile. Ma a fronte della potenza dell'Autorità che le ha schiacciate e
gettate come cose inutili, hanno reagito con straordinaria forza: hanno riaffermato il loro diritto a continuare a stare insieme, a non disperdere la loro coesione affettiva e si sono qualificate come autentiche portatrici di valori di umanità, dignità, giustizia. Queste suore hanno la certezza di essere
interpreti del Vangelo. Il Papa, il Vescovo, il Vaticano ne sono usciti con le ossa rotte. La Chiesa rappresentata da questo Papa è il contrario del cristianesimo. La religione di Cristo non può continuare ad essere rappresentata da uno Stato che la imbriglia nelle sue politiche. Non sono condivisibili gli interessi finanziari, l'uso spregiudicato dell'otto per mille, l'appoggio al colonialismo
armato dell'Occidente. Il prelato che ha officiato la messa per i due alpini caduti in Afghanistan si è lasciato andare in un incredibile giustificazionismo della guerra di sterminio e non ha avuto una sola parola di pietà per i massacrati dai bombardamenti e per i bambini che nascono deformi per l'avvelenamento di uranio e di fosforo delle armi Nato. Questa Chiesa non ha un grande futuro. Se vuole continuare a vivere deve rinnovarsi, rinunziare ad essere Stato, immergersi nel Vangelo, riconsiderare criticamente tutta la sua storia dal delitto di Ipazia ai nostri giorni.
L'ossessione del potere temporale ha fatto della Religione uno strumento di oppressione.La Chiesa per essere davvero cristiana deve tornare ad essere povera e dei poveri. Ma questo non succederà-
Pietro Ancona
http://medioevosociale-pietro.blogspot.com/
www.spazioamico.it
http://corrieredelmezzogiorno.corriere.it/napoli/notizie/cronaca/2010/17-maggio-2010/aversa-protesta-contro-trasferimento-cappuccinelle-convento-1703030751228.shtml
http://www.webdiocesi.chiesacattolica.it/pls/cci_dioc_new/bd_edit_doc_dioc.edit_documento?p_id=924778&id_pagina=4808&rifi=&rifp=&vis=1
Nelle ultime quarantotto ore, la tv si è occupata della Chiesa Cattolica da ben tre volte: rai due, rai tre e la sette. A rai due, in anno zero, sul tema della pedofilia, a la sette, per il patrimonio immobiliare del Vaticano a Roma, a rai tre per la vicenda dello sfratto delle monachelle di clausura dal loro convento di Aversa. Nello stesso tempo i massmedia si sono occupati degli intrecci tra finanza vaticana e cricca. Un vero e proprio coinvolgimento in crimini contro lo Stato. Insomma le cronache della Chiesa diventano sempre più inquietanti.
La trasmissione "Mi manda Rai Tre" è stato dominata da due piccole figure di monache molto anziane. Raccontavano il loro sfratto dal Monastero dove avevano trascorso tutta la vita motivato dalle autorità ecclesiastiche da futilità come l'uso del telefonino o i contatti con il mondo esterno. In verità i motivi del loro brutale allontamento non sono chiari. Si è malpensanti se si congettura che probabilmente ci sono progetti speculativi sul Convento cinquecentesco che loro continuavano ad abitare?
Di certo c'è che il Vaticano e la Curia non hanno tenuto in nessun conto gli interessi ed i sentimenti delle clarisse trattate con scandalosa brutalità. Il vescovo di Aversa ha rimproverato il loro rifiuto alla obbedienza agli ordini della gerarchia e si è spinto fino ad adombrare disordine nella tenuta dei conti del Convento. Un prete "sposato" le ha invitate alla letizia, ha dato dei consigli strampalati ma che volevano ingraziarsi i persecutori delle suore. Ma queste se la sono cavata molto bene e nella loro voce di protesta per la violenza subita vibravano le corde di una dignità umana e religiosa che suscitava rispetto, ammirazione, condivisione della loro causa. La Chiesa non ha tenuto in nessun conto il fatto che da oltre mezzo secolo costituivano una comunità. Smembrare e disperdere otto persone in tarda età, liberarsene senza alcuno scrupolo destinandole a tante sperdute località è davvero una crudeltà insopportabile. Ma a fronte della potenza dell'Autorità che le ha schiacciate e
gettate come cose inutili, hanno reagito con straordinaria forza: hanno riaffermato il loro diritto a continuare a stare insieme, a non disperdere la loro coesione affettiva e si sono qualificate come autentiche portatrici di valori di umanità, dignità, giustizia. Queste suore hanno la certezza di essere
interpreti del Vangelo. Il Papa, il Vescovo, il Vaticano ne sono usciti con le ossa rotte. La Chiesa rappresentata da questo Papa è il contrario del cristianesimo. La religione di Cristo non può continuare ad essere rappresentata da uno Stato che la imbriglia nelle sue politiche. Non sono condivisibili gli interessi finanziari, l'uso spregiudicato dell'otto per mille, l'appoggio al colonialismo
armato dell'Occidente. Il prelato che ha officiato la messa per i due alpini caduti in Afghanistan si è lasciato andare in un incredibile giustificazionismo della guerra di sterminio e non ha avuto una sola parola di pietà per i massacrati dai bombardamenti e per i bambini che nascono deformi per l'avvelenamento di uranio e di fosforo delle armi Nato. Questa Chiesa non ha un grande futuro. Se vuole continuare a vivere deve rinnovarsi, rinunziare ad essere Stato, immergersi nel Vangelo, riconsiderare criticamente tutta la sua storia dal delitto di Ipazia ai nostri giorni.
L'ossessione del potere temporale ha fatto della Religione uno strumento di oppressione.La Chiesa per essere davvero cristiana deve tornare ad essere povera e dei poveri. Ma questo non succederà-
Pietro Ancona
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venerdì 21 maggio 2010
Un interessante articolo apparso su "Rassegna Sindacale"
di renato
pubblicato il 04/05/2010
Marco Biagi e il Libro bianco
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Secondo alcuni osservatori, le norme in materia di lavoro varate dal centrodestra rappresenterebbero uno stravolgimento del pensiero "riformista" di Marco Biagi
di Renato Fioretti
Come già verificatosi nel gennaio 2009, all’atto della firma dell’Accordo quadro “separato” sulla contrattazione decentrata, anche in occasione dell’approvazione del Ddl 1167 si è riproposta una (ormai) stucchevole querelle. Infatti, all’indomani del 3 marzo, è tornato in discussione il rapporto tra i provvedimenti in materia di lavoro adottati dai governi Berlusconi e le linee teoriche espresse attraverso il Libro bianco.
Da un lato si schierano coloro che ritengono non esserci alcuna relazione diretta tra le posizioni sostenute da Marco Biagi e la produzione legislativa successiva al 2001. Per alcuni, tra i sostenitori di questa tesi, le norme varate dal centrodestra rappresenterebbero, addirittura, uno stravolgimento del pensiero “riformista” dello studioso ucciso dalle Br.
Personalmente, sono sempre stato convinto del contrario.
Già in altra occasione ho rilevato che soltanto gli ottimisti “a contratto” e i distratti “per vocazione” avrebbero potuto sostenere che il decreto legislativo 276/03 rappresentasse l’atto finale del percorso avviato attraverso la legge-delega 30/03, piuttosto che il primo (fondamentale) tassello di un puzzle già ampiamente delineato. Quindi, a mio parere, le misure adottate dall’Esecutivo in carica dimostrano che siamo di fronte ad un percorso “a tappe”, teso a realizzare tutto quanto previsto dal “Libro”: vero e proprio “Manifesto per la controriforma del diritto del lavoro”!
In questo senso, anche le più recenti disposizioni, piuttosto che un’alterazione delle teorie di Biagi, rappresentano, invece, la sostanziale trasposizione in norme di legge di programmi e progetti già esplicitamente espressi nell’ottobre 2001. Ad inequivocabile conferma, è sufficiente riportare (solo) alcuni dei passaggi di quella vasta elaborazione teorica.
Il primo aspetto è rappresentato dall’insistenza con la quale nel Libro bianco veniva richiamata l’esigenza di non “comprimere” l’autonomia delle parti: laddove per “parti” si intendevano i datori di lavoro ed il singolo lavoratore, piuttosto che quelle sindacali.
Un altro indizio, che avrebbe (già) dovuto preoccupare tutti - non solo la Cgil - era contenuto nel passaggio relativo alla valutazione delle c.d. “clausole di non regressione” previste dalle Direttive comunitarie. In quel caso, attraverso un acrobatico esercizio lessicale, teso a stravolgere una consolidata prassi interpretativa, si sosteneva, in definitiva, la possibilità di modificare in peius la normativa nazionale, fermo restando il rispetto dei requisiti minimi previsti dal Legislatore comunitario.
Un’ulteriore anticipazione era rappresentata dall’inequivocabile affermazione secondo la quale, al fine di adeguare i differenziali di produttività - tra aziende e tra le diverse realtà territoriali - e, contemporaneamente, ridurre il divario occupazionale tra Nord e Sud, si rendeva necessario “aumentare la flessibilità salariale e stimolare una più accentuata differenziazione dei salari reali”.
D’altra parte, anche rispetto all’attualissimo tema della giustizia, il Libro non lasciava alcuno spazio all’immaginazione! A parte un lapidario giudizio, estremamente negativo, circa le (scadenti) qualità professionali dei giudici del lavoro, il testo redatto dall’attuale ministro del welfare e dal prof. Biagi già indicava nei collegi arbitrali le sedi più idonee a dirimere le controversie di lavoro, secondo criteri di equità ed efficienza.
E’ quindi evidente che le disposizioni previste dal Ddl 1167 non rappresentano un’improvvisa ed estemporanea iniziativa del ministro Sacconi. Esse si inseriscono, piuttosto, in un disegno organico già tracciato ed ignorato solo da coloro i quali fingevano - ed ancora fingono - di non rilevarlo tra le righe del suddetto “Manifesto”.
Tra l’altro, questi sono solo alcuni dei temi già annunciati. Sono certo che presto ne saranno posti altri all’ordine del giorno.
Penso, in particolare, al ruolo che dovrebbe assumere il contratto collettivo di lavoro - destinato a svolgere la funzione di “accordo quadro” per salvaguardare (solo) le retribuzioni minime - al ripristino delle c. d. “gabbie salariali” e all’istituzione di un salario minimo legale che, a mio avviso, piuttosto che garantire coloro i quali oggi non sono tutelati da un contratto collettivo, produrrebbe un’inevitabile “corsa al ribasso” - rispetto agli attuali minimi contrattuali - dei salari.
Termino questa prima parte tornando brevemente al Ddl 1167. Lo faccio riportando le (preoccupate) considerazioni di Vitantonio Lippolis - responsabile UO Vigilanza 2 presso la DPL di Modena - che non può certo essere annoverato tra gli oppositori “a prescindere”. Egli, concludendo un approfondito esame delle sostanziali modifiche apportate all’istituto della certificazione dei contratti di lavoro, afferma: “Un sensato giudizio al riguardo non potrà, tuttavia, essere disgiunto dall’effettivo utilizzo che si farà in futuro dello stesso istituto, auspicando che non venga impiegato con finalità potenzialmente aberranti che potrebbero comportare conseguenze anche estremamente sfavorevoli a carico dei prestatori di lavoro che, notoriamente, restano la parte più debole del rapporto”. Lascio al lettore valutare lo stridente contrasto tra quanto paventato e le dichiarazioni rilasciate dai massimi esponenti di Cisl e Uil che, del Ddl in esame, si limitano a rilevare la presenza di: ” luci ed ombre”!
In questo quadro, se, in materia di lavoro, la posizione del maggior partito di opposizione si limita alla proposta del c.d. “Contratto unico di ingresso” (CUI) - ultima versione tra il Contratto unico di Boeri ed il Contratto di transizione di Ichino - siamo davvero in una condizione di oggettiva gravità per le sorti dei lavoratori italiani!
Risale, infatti, al 5 febbraio scorso il Ddl 2000, d’iniziativa di alcuni senatori del Pd - primo firmatario Nerozzi (ex Cgil!) - per l’istituzione di un nuovo strumento contrattuale destinato a diventare “la forma tipica di prima assunzione alle dipendenze del medesimo datore o committente”.
Lo schema ricalca, sostanzialmente, la ben nota proposta elaborata da Boeri alcuni anni or sono.
In questa sede, eviterò di riproporre i motivi che mi inducono a ritenere il contratto unico - in tutte le sue versioni - un ulteriore (raffinato e subdolo) tentativo di aggiramento dell’art. 18 dello Statuto.
Mi preme evidenziare, piuttosto, la mancanza di coerenza da parte di coloro che - dal versante dell’opposizione - nel denunciare la frammentazione e le iniquità presenti nell’attuale mercato del lavoro, quali “conseguenze della proliferazione delle fattispecie legali di prestazione lavorativa”, ritengono (poi) di risolvere la condizione di apartheid, nella quale versano soprattutto le giovani generazioni, attraverso la riduzione generalizzata dei diritti e delle tutele.
Personalmente, considero prioritario ricondurre a norma di civiltà l’insopportabile incipit dell’art. 1 del decreto legislativo 276/03, laddove prevede che le norme in esso contenute sono intese a rendere compatibili le esigenze delle aziende alle aspirazioni dei lavoratori. E’ necessario, in questo senso, ripristinare il riequilibrio dei poteri tra le parti.
Per cercare di fare questo, è opportuno, a mio parere, agire con coerenza e battersi, da sinistra, per conquistare misure tese a:
- ridefinizione della “centralità” del rapporto di lavoro a tempo indeterminato tra le possibili tipologie contrattuali stipulabili tra le parti;
- ripristino di causali “oggettive”, previste dalla legge e dalla contrattazione collettiva di settore e territoriale, per la stipula di rapporti di lavoro a termine;
- esclusione della possibilità del ricorso a forme di lavoro parasubordinato in tutti i casi in cui esse coincidano con l’oggetto sociale delle imprese;
- riferimento ai parametri contrattuali del corrispondente settore produttivo per la determinazione dei compensi spettanti ai lavoratori a progetto;
- rivisitazione di alcune norme del contratto di lavoro a tempo parziale, in particolare di quelle relative al lavoro supplementare ed alle clausole elastiche e flessibili;
- adeguamento a quelli del lavoro subordinato di tutti i costi fiscali e contributivi a carico delle aziende, a prescindere dalla tipologia contrattuale sottoscritta;
- ripristino della clausola relativa allo stato di “attività preesistente”, nei casi di cessione di ramo d’azienda.
Resto convinto che solo così, rifuggendo da una condizione di oggettiva subalternità - che induce l’opposizione a proporre “riforme” che nulla hanno a che vedere con qualsiasi programma politico alternativo realisticamente riformatore - sarà possibile tentare di evitare che si realizzi compiutamente un progetto che si prospetta drammatico per le sorti dei lavoratori.
Renato Fioretti
04/05/2010 15:28
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E' verissimo. E' una menata quanto si favoleggia sul libro Bianco. La dottrina di spezzare le reni alle generazioni di lavoratori rendendoli giuridicamente ricattabili, precari, mal pagati è contenuta tutta nella elaborazione Biagi e nel vasto supermercato di strumenti di tortura inventati o copiati dal peggio della subcultura liberista anglosassone. La legge trenta è espressione del libro bianco.
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pubblicato il 04/05/2010
Marco Biagi e il Libro bianco
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Secondo alcuni osservatori, le norme in materia di lavoro varate dal centrodestra rappresenterebbero uno stravolgimento del pensiero "riformista" di Marco Biagi
di Renato Fioretti
Come già verificatosi nel gennaio 2009, all’atto della firma dell’Accordo quadro “separato” sulla contrattazione decentrata, anche in occasione dell’approvazione del Ddl 1167 si è riproposta una (ormai) stucchevole querelle. Infatti, all’indomani del 3 marzo, è tornato in discussione il rapporto tra i provvedimenti in materia di lavoro adottati dai governi Berlusconi e le linee teoriche espresse attraverso il Libro bianco.
Da un lato si schierano coloro che ritengono non esserci alcuna relazione diretta tra le posizioni sostenute da Marco Biagi e la produzione legislativa successiva al 2001. Per alcuni, tra i sostenitori di questa tesi, le norme varate dal centrodestra rappresenterebbero, addirittura, uno stravolgimento del pensiero “riformista” dello studioso ucciso dalle Br.
Personalmente, sono sempre stato convinto del contrario.
Già in altra occasione ho rilevato che soltanto gli ottimisti “a contratto” e i distratti “per vocazione” avrebbero potuto sostenere che il decreto legislativo 276/03 rappresentasse l’atto finale del percorso avviato attraverso la legge-delega 30/03, piuttosto che il primo (fondamentale) tassello di un puzzle già ampiamente delineato. Quindi, a mio parere, le misure adottate dall’Esecutivo in carica dimostrano che siamo di fronte ad un percorso “a tappe”, teso a realizzare tutto quanto previsto dal “Libro”: vero e proprio “Manifesto per la controriforma del diritto del lavoro”!
In questo senso, anche le più recenti disposizioni, piuttosto che un’alterazione delle teorie di Biagi, rappresentano, invece, la sostanziale trasposizione in norme di legge di programmi e progetti già esplicitamente espressi nell’ottobre 2001. Ad inequivocabile conferma, è sufficiente riportare (solo) alcuni dei passaggi di quella vasta elaborazione teorica.
Il primo aspetto è rappresentato dall’insistenza con la quale nel Libro bianco veniva richiamata l’esigenza di non “comprimere” l’autonomia delle parti: laddove per “parti” si intendevano i datori di lavoro ed il singolo lavoratore, piuttosto che quelle sindacali.
Un altro indizio, che avrebbe (già) dovuto preoccupare tutti - non solo la Cgil - era contenuto nel passaggio relativo alla valutazione delle c.d. “clausole di non regressione” previste dalle Direttive comunitarie. In quel caso, attraverso un acrobatico esercizio lessicale, teso a stravolgere una consolidata prassi interpretativa, si sosteneva, in definitiva, la possibilità di modificare in peius la normativa nazionale, fermo restando il rispetto dei requisiti minimi previsti dal Legislatore comunitario.
Un’ulteriore anticipazione era rappresentata dall’inequivocabile affermazione secondo la quale, al fine di adeguare i differenziali di produttività - tra aziende e tra le diverse realtà territoriali - e, contemporaneamente, ridurre il divario occupazionale tra Nord e Sud, si rendeva necessario “aumentare la flessibilità salariale e stimolare una più accentuata differenziazione dei salari reali”.
D’altra parte, anche rispetto all’attualissimo tema della giustizia, il Libro non lasciava alcuno spazio all’immaginazione! A parte un lapidario giudizio, estremamente negativo, circa le (scadenti) qualità professionali dei giudici del lavoro, il testo redatto dall’attuale ministro del welfare e dal prof. Biagi già indicava nei collegi arbitrali le sedi più idonee a dirimere le controversie di lavoro, secondo criteri di equità ed efficienza.
E’ quindi evidente che le disposizioni previste dal Ddl 1167 non rappresentano un’improvvisa ed estemporanea iniziativa del ministro Sacconi. Esse si inseriscono, piuttosto, in un disegno organico già tracciato ed ignorato solo da coloro i quali fingevano - ed ancora fingono - di non rilevarlo tra le righe del suddetto “Manifesto”.
Tra l’altro, questi sono solo alcuni dei temi già annunciati. Sono certo che presto ne saranno posti altri all’ordine del giorno.
Penso, in particolare, al ruolo che dovrebbe assumere il contratto collettivo di lavoro - destinato a svolgere la funzione di “accordo quadro” per salvaguardare (solo) le retribuzioni minime - al ripristino delle c. d. “gabbie salariali” e all’istituzione di un salario minimo legale che, a mio avviso, piuttosto che garantire coloro i quali oggi non sono tutelati da un contratto collettivo, produrrebbe un’inevitabile “corsa al ribasso” - rispetto agli attuali minimi contrattuali - dei salari.
Termino questa prima parte tornando brevemente al Ddl 1167. Lo faccio riportando le (preoccupate) considerazioni di Vitantonio Lippolis - responsabile UO Vigilanza 2 presso la DPL di Modena - che non può certo essere annoverato tra gli oppositori “a prescindere”. Egli, concludendo un approfondito esame delle sostanziali modifiche apportate all’istituto della certificazione dei contratti di lavoro, afferma: “Un sensato giudizio al riguardo non potrà, tuttavia, essere disgiunto dall’effettivo utilizzo che si farà in futuro dello stesso istituto, auspicando che non venga impiegato con finalità potenzialmente aberranti che potrebbero comportare conseguenze anche estremamente sfavorevoli a carico dei prestatori di lavoro che, notoriamente, restano la parte più debole del rapporto”. Lascio al lettore valutare lo stridente contrasto tra quanto paventato e le dichiarazioni rilasciate dai massimi esponenti di Cisl e Uil che, del Ddl in esame, si limitano a rilevare la presenza di: ” luci ed ombre”!
In questo quadro, se, in materia di lavoro, la posizione del maggior partito di opposizione si limita alla proposta del c.d. “Contratto unico di ingresso” (CUI) - ultima versione tra il Contratto unico di Boeri ed il Contratto di transizione di Ichino - siamo davvero in una condizione di oggettiva gravità per le sorti dei lavoratori italiani!
Risale, infatti, al 5 febbraio scorso il Ddl 2000, d’iniziativa di alcuni senatori del Pd - primo firmatario Nerozzi (ex Cgil!) - per l’istituzione di un nuovo strumento contrattuale destinato a diventare “la forma tipica di prima assunzione alle dipendenze del medesimo datore o committente”.
Lo schema ricalca, sostanzialmente, la ben nota proposta elaborata da Boeri alcuni anni or sono.
In questa sede, eviterò di riproporre i motivi che mi inducono a ritenere il contratto unico - in tutte le sue versioni - un ulteriore (raffinato e subdolo) tentativo di aggiramento dell’art. 18 dello Statuto.
Mi preme evidenziare, piuttosto, la mancanza di coerenza da parte di coloro che - dal versante dell’opposizione - nel denunciare la frammentazione e le iniquità presenti nell’attuale mercato del lavoro, quali “conseguenze della proliferazione delle fattispecie legali di prestazione lavorativa”, ritengono (poi) di risolvere la condizione di apartheid, nella quale versano soprattutto le giovani generazioni, attraverso la riduzione generalizzata dei diritti e delle tutele.
Personalmente, considero prioritario ricondurre a norma di civiltà l’insopportabile incipit dell’art. 1 del decreto legislativo 276/03, laddove prevede che le norme in esso contenute sono intese a rendere compatibili le esigenze delle aziende alle aspirazioni dei lavoratori. E’ necessario, in questo senso, ripristinare il riequilibrio dei poteri tra le parti.
Per cercare di fare questo, è opportuno, a mio parere, agire con coerenza e battersi, da sinistra, per conquistare misure tese a:
- ridefinizione della “centralità” del rapporto di lavoro a tempo indeterminato tra le possibili tipologie contrattuali stipulabili tra le parti;
- ripristino di causali “oggettive”, previste dalla legge e dalla contrattazione collettiva di settore e territoriale, per la stipula di rapporti di lavoro a termine;
- esclusione della possibilità del ricorso a forme di lavoro parasubordinato in tutti i casi in cui esse coincidano con l’oggetto sociale delle imprese;
- riferimento ai parametri contrattuali del corrispondente settore produttivo per la determinazione dei compensi spettanti ai lavoratori a progetto;
- rivisitazione di alcune norme del contratto di lavoro a tempo parziale, in particolare di quelle relative al lavoro supplementare ed alle clausole elastiche e flessibili;
- adeguamento a quelli del lavoro subordinato di tutti i costi fiscali e contributivi a carico delle aziende, a prescindere dalla tipologia contrattuale sottoscritta;
- ripristino della clausola relativa allo stato di “attività preesistente”, nei casi di cessione di ramo d’azienda.
Resto convinto che solo così, rifuggendo da una condizione di oggettiva subalternità - che induce l’opposizione a proporre “riforme” che nulla hanno a che vedere con qualsiasi programma politico alternativo realisticamente riformatore - sarà possibile tentare di evitare che si realizzi compiutamente un progetto che si prospetta drammatico per le sorti dei lavoratori.
Renato Fioretti
04/05/2010 15:28
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E' verissimo. E' una menata quanto si favoleggia sul libro Bianco. La dottrina di spezzare le reni alle generazioni di lavoratori rendendoli giuridicamente ricattabili, precari, mal pagati è contenuta tutta nella elaborazione Biagi e nel vasto supermercato di strumenti di tortura inventati o copiati dal peggio della subcultura liberista anglosassone. La legge trenta è espressione del libro bianco.
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una supposizione: Santoro fonda un Partito?
Una supposizione: Santoro fonda un Partito?
Credo che l'idea gli sia venuta con l'enorme successo ottenuto al PalaDozza. Grande parte del popolo di sinistra non si riconosce più nel PD, giudica perdente votare per i comunisti cacciati via dal Parlamento, vorrebbe una alternativa concreta a Berlusconi. Un personaggio
capace di sconfiggerlo in campo aperto e che conosce tutti i meccanismi ed i marchingegni del consenso mediatico. Santoro sente oramai strettissima la rete TV, Anno Zero non gli basta più, credo che lo abbia anche stufato e si vedeva dal modo di condurre la scottante trasmissione di ieri sera sul pedofilismo nella Chiesa Cattolica. Vuole molto di più, scendere in campo come fece nel 94 il Cavaliere. Ha per l'appunto quindici anni in meno di Berlusconi e sembra godere di buona salute.
Perchè non provare? Grillo ha avuto successo. E' un predicatore via internet mentre Santoro è un telepredicatore. Entrambi godono di seguiti fidelizzati, di persone disposte a buttarsi sul fuoco per loro.
Berlusconi ha un seguito di fanatici che, se gli vede commettere un delitto, lo sostiene lo stesso. Quasi lo stesso si può dire di Santoro anche se i suoi sostenitori sono più colti e più dotati di ragione critica. Sebbene esca per la seconda volta dalla Rai con un gruzzolo miliardario in un contesto in cui la gente si uccide prima di morire di fame, i suoi fans non lo abbandonano e anzi ritengono che percepisca poco in confronto a Vespa ed altri. Insomma Santoro gode di una fidelizzazione a prova di qualsiasi evidenza o argomenti. Noto anche che scatena una certa aggressività nei suoi sostenitori non proprio come Berlusconi ma rilevante.
Se la fine delle ideologia ci porta a questo, mille volte meglio le ideologie ed il pensiero forte. I personaggi, i telepredicatori, i demagoghi di provincia, che invadono la politica e la occupano sono
manifestazioni di un degrado della politica che prima o poi ci priverà delle residue libertà e della democrazia. Guardavo esterrefatto la conferenza-stampa congiunta tra il Ministro Calderoli, piromane di leggi e della Costituzione, pascolatore di maiali antislamici ed Antonio Di Pietro dal multiforme
ingegno e dagli interessi molto articolati. Entrambi sostenevano il federalismo demaniale, il prossimo
sacco delle oligarchie regionali con la svendita e la privatizzazione del patrimonio ambientale, paesaggistico culturale dell'Italia regalata a voracissime bande territoriali. Anche Di Pietro prende voti dell'elettorato democratico e di sinistra, ma non renderà conto a nessuno dei suoi intrighi con Bossi.
Santoro fa parte da sempre della Oligarchia. Nel periodo di esilio impostogli da Berlusconi fu eletto
dal PD al Parlamento Europeo, dal quale si è dimesso dopo aver ricevuto anche qui una liquidazione
succulenta. Ora ha alzato lo sguardo verso un orizzonte più lontano. Perchè non incrociare la spada con Berlusconi contendendogli il controllo dell'Italia?
Può darsi che le mie supposizioni almanaccate dopo la trasmissione di ieri sera di "AnnoZero" siano prive di fondamento. Me lo auguro. L'Italia non ha bisogno di nuovi Dei nell'Olimpo ma di un rientro alle regole ed alla sostanza della democrazia a cominciare dal ripristino della proporzionale e della elezione dei parlamentari per scelta degli elettori e non delle segreterie dei partiti. Il personalismo patologico al quale approdiamo dopo la involuzione leaderistica dei partiti italiani è il peggio della nostra storia politica.
Pietro Ancona
http://medioevosociale-pietro.blogspot.com/
www.spazioamico.it
Credo che l'idea gli sia venuta con l'enorme successo ottenuto al PalaDozza. Grande parte del popolo di sinistra non si riconosce più nel PD, giudica perdente votare per i comunisti cacciati via dal Parlamento, vorrebbe una alternativa concreta a Berlusconi. Un personaggio
capace di sconfiggerlo in campo aperto e che conosce tutti i meccanismi ed i marchingegni del consenso mediatico. Santoro sente oramai strettissima la rete TV, Anno Zero non gli basta più, credo che lo abbia anche stufato e si vedeva dal modo di condurre la scottante trasmissione di ieri sera sul pedofilismo nella Chiesa Cattolica. Vuole molto di più, scendere in campo come fece nel 94 il Cavaliere. Ha per l'appunto quindici anni in meno di Berlusconi e sembra godere di buona salute.
Perchè non provare? Grillo ha avuto successo. E' un predicatore via internet mentre Santoro è un telepredicatore. Entrambi godono di seguiti fidelizzati, di persone disposte a buttarsi sul fuoco per loro.
Berlusconi ha un seguito di fanatici che, se gli vede commettere un delitto, lo sostiene lo stesso. Quasi lo stesso si può dire di Santoro anche se i suoi sostenitori sono più colti e più dotati di ragione critica. Sebbene esca per la seconda volta dalla Rai con un gruzzolo miliardario in un contesto in cui la gente si uccide prima di morire di fame, i suoi fans non lo abbandonano e anzi ritengono che percepisca poco in confronto a Vespa ed altri. Insomma Santoro gode di una fidelizzazione a prova di qualsiasi evidenza o argomenti. Noto anche che scatena una certa aggressività nei suoi sostenitori non proprio come Berlusconi ma rilevante.
Se la fine delle ideologia ci porta a questo, mille volte meglio le ideologie ed il pensiero forte. I personaggi, i telepredicatori, i demagoghi di provincia, che invadono la politica e la occupano sono
manifestazioni di un degrado della politica che prima o poi ci priverà delle residue libertà e della democrazia. Guardavo esterrefatto la conferenza-stampa congiunta tra il Ministro Calderoli, piromane di leggi e della Costituzione, pascolatore di maiali antislamici ed Antonio Di Pietro dal multiforme
ingegno e dagli interessi molto articolati. Entrambi sostenevano il federalismo demaniale, il prossimo
sacco delle oligarchie regionali con la svendita e la privatizzazione del patrimonio ambientale, paesaggistico culturale dell'Italia regalata a voracissime bande territoriali. Anche Di Pietro prende voti dell'elettorato democratico e di sinistra, ma non renderà conto a nessuno dei suoi intrighi con Bossi.
Santoro fa parte da sempre della Oligarchia. Nel periodo di esilio impostogli da Berlusconi fu eletto
dal PD al Parlamento Europeo, dal quale si è dimesso dopo aver ricevuto anche qui una liquidazione
succulenta. Ora ha alzato lo sguardo verso un orizzonte più lontano. Perchè non incrociare la spada con Berlusconi contendendogli il controllo dell'Italia?
Può darsi che le mie supposizioni almanaccate dopo la trasmissione di ieri sera di "AnnoZero" siano prive di fondamento. Me lo auguro. L'Italia non ha bisogno di nuovi Dei nell'Olimpo ma di un rientro alle regole ed alla sostanza della democrazia a cominciare dal ripristino della proporzionale e della elezione dei parlamentari per scelta degli elettori e non delle segreterie dei partiti. Il personalismo patologico al quale approdiamo dopo la involuzione leaderistica dei partiti italiani è il peggio della nostra storia politica.
Pietro Ancona
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giovedì 20 maggio 2010
La sofferenza della CGIL
La sofferenza della CGIL
Nel giorno del quarantesimo anniversario dello Statuto dei Diritti dei Lavoratori realizzato in una stagione di grande temperie sociale e culturale che spingeva in alto la figura del lavoratore e ne faceva
soggetto della storia dopo i secoli terribili aperti dalla rivoluzione industriale in cui fu soltanto "utensile umano", alla CGIL che, assieme ai socialisti di Giacomo Brodolini e Pietro Nenni, ne fu artefice si infligge l'offesa della sua esclusione dagli incontri che il Governo ha il dovere di fare con le parti sociali per concordare il prelievo di 26 miliardi di euro.
La CGIL non è stata invitata dal Ministro del tesoro che si è riunito con Confindustria Cisl ed Uil
per stabilire norme che peseranno su tutti i lavoratori. Con ipocrisia l'incontro viene definito "informale" tanto per mettere le carte in ordine e fare finta di non volere discriminare.
Trattasi del secondo incontro "informale" sulla materia. Il Governo ritiene di potersi comportare
in modo tanto villano nei confronti della più grande Confederazione dei Lavoratori italiani ritenendo di poterne neutralizzare, dopo, la reazione con l'aiuto del PD che non smentisce la Cisl e l'UIL nella loro opera di assecondamento degli interessi della Confindustria e della destra. Magari pensa di poterla recuperare successivamente come è stato fatto con la riforma del contratto nazionale.
Questo accade all'indomani del più moderato Congresso della storia della CGIL. Un Congresso
che ha ribadito il valore dell'unità con Cisl e UIL nonostante questa da molto tempo sia diventata
un disvalore, un diabolico mezzo per sottrarre diritti e salari e riversarli a vantaggio dei ceti imprenditoriali e finanziari. Un Congresso che ha evitato di darsi obiettivi sulle questioni essenziali del
salario, del precariato, delle pensioni, del welfare.
La destra italiana non si fida. Sa che, per quanto possano essere moderati ed in difficoltà suoi gruppi dirigenti, la CGIL non può tradire se stessa, la sua storia, il suo ruolo di organizzazione che incarna le aspirazioni più profonde dei lavoratori. Tremonti, Sacconi e la Mercegaglia tengono fuori dall'uscio la CGIL per umiliare le ragioni delle classi lavoratrici . Mi auguro che Epifani non resti dietro l'uscio a fare anticamera, non pietisca per essere ammesso al tavolo della trattativa, riunisca d'urgenza il Comitato Direttivo della CGIL per un esame della terribile cura da cavallo che si vuole imporre alle famiglie italiane. Prenda esempio dalla Grecia che è al quarto sciopero generale e rivendichi con chiarezza l'intangibilità dello Statuto dei Diritti, dell'art.18, che uno stuolo di commercialisti delle imprese, che hanno preso il posto dei grandi giuslavoristi che vanno da Gino Giugni a Luciano Gallino, vorrebbe liquidare.
La destra italiana, con l'aiuto di Cisl e Uil, vuole la rottura. Deve imporre una camicia di forza
alla libertà ed alla democrazia che non potrebbe mai essere accettata dalla CGIL anche se il PD
mostra disponibilità anche con atti concreti come il ddl Nerozzi-Marini sul Cui.
Non si vuole alcun dialogo sociale. La destra utilizza la crisi mondiale per spingere ancora più
in basso i lavoratori caricandoli di tutto il peso di un reiquilibrio delle classi sociali ancora più duro per chi vive di lavoro dipendente.
Chieda la CGIL una verifica della rappresentatività. Cisl e UIL sono "bolle" sindacali gonfiate da decenni di unità sindacale che li ha accreditati anche con una legislazione di favore. La CGIL era e resta la Confederazione di gran lunga più rappresentativa. I suoi iscritti, sommati a quelli del sindacalismo di base, sono la stragrande maggioranza che non può e non deve essere esclusa
dal diritto di essere sentita, trattare, concludere accordi.
Si proclami subito uno sciopero generale contro le misure che stanno per essere concordate e che
mirano a criminalizzare i pensionati di invalidità ed imporre un congelamento delle retribuzioni coperto
dalla foglia di fico di modestissime, retrattili ed insignificanti correzioni delle enormi prebende degli Oligarchi della politica e dei Managers.
Pietro Ancona
http://medioevosociale-pietro.blogspot.com/
www.spazioamico.it
http://tg24.sky.it/tg24/economia/2010/05/19/quarantesimo_anniversario_statuto_dei_lavoratori.html
http://archivio-radiocor.ilsole24ore.com/articolo-813488/manovra-parti-sociali-colloquio/
Nel giorno del quarantesimo anniversario dello Statuto dei Diritti dei Lavoratori realizzato in una stagione di grande temperie sociale e culturale che spingeva in alto la figura del lavoratore e ne faceva
soggetto della storia dopo i secoli terribili aperti dalla rivoluzione industriale in cui fu soltanto "utensile umano", alla CGIL che, assieme ai socialisti di Giacomo Brodolini e Pietro Nenni, ne fu artefice si infligge l'offesa della sua esclusione dagli incontri che il Governo ha il dovere di fare con le parti sociali per concordare il prelievo di 26 miliardi di euro.
La CGIL non è stata invitata dal Ministro del tesoro che si è riunito con Confindustria Cisl ed Uil
per stabilire norme che peseranno su tutti i lavoratori. Con ipocrisia l'incontro viene definito "informale" tanto per mettere le carte in ordine e fare finta di non volere discriminare.
Trattasi del secondo incontro "informale" sulla materia. Il Governo ritiene di potersi comportare
in modo tanto villano nei confronti della più grande Confederazione dei Lavoratori italiani ritenendo di poterne neutralizzare, dopo, la reazione con l'aiuto del PD che non smentisce la Cisl e l'UIL nella loro opera di assecondamento degli interessi della Confindustria e della destra. Magari pensa di poterla recuperare successivamente come è stato fatto con la riforma del contratto nazionale.
Questo accade all'indomani del più moderato Congresso della storia della CGIL. Un Congresso
che ha ribadito il valore dell'unità con Cisl e UIL nonostante questa da molto tempo sia diventata
un disvalore, un diabolico mezzo per sottrarre diritti e salari e riversarli a vantaggio dei ceti imprenditoriali e finanziari. Un Congresso che ha evitato di darsi obiettivi sulle questioni essenziali del
salario, del precariato, delle pensioni, del welfare.
La destra italiana non si fida. Sa che, per quanto possano essere moderati ed in difficoltà suoi gruppi dirigenti, la CGIL non può tradire se stessa, la sua storia, il suo ruolo di organizzazione che incarna le aspirazioni più profonde dei lavoratori. Tremonti, Sacconi e la Mercegaglia tengono fuori dall'uscio la CGIL per umiliare le ragioni delle classi lavoratrici . Mi auguro che Epifani non resti dietro l'uscio a fare anticamera, non pietisca per essere ammesso al tavolo della trattativa, riunisca d'urgenza il Comitato Direttivo della CGIL per un esame della terribile cura da cavallo che si vuole imporre alle famiglie italiane. Prenda esempio dalla Grecia che è al quarto sciopero generale e rivendichi con chiarezza l'intangibilità dello Statuto dei Diritti, dell'art.18, che uno stuolo di commercialisti delle imprese, che hanno preso il posto dei grandi giuslavoristi che vanno da Gino Giugni a Luciano Gallino, vorrebbe liquidare.
La destra italiana, con l'aiuto di Cisl e Uil, vuole la rottura. Deve imporre una camicia di forza
alla libertà ed alla democrazia che non potrebbe mai essere accettata dalla CGIL anche se il PD
mostra disponibilità anche con atti concreti come il ddl Nerozzi-Marini sul Cui.
Non si vuole alcun dialogo sociale. La destra utilizza la crisi mondiale per spingere ancora più
in basso i lavoratori caricandoli di tutto il peso di un reiquilibrio delle classi sociali ancora più duro per chi vive di lavoro dipendente.
Chieda la CGIL una verifica della rappresentatività. Cisl e UIL sono "bolle" sindacali gonfiate da decenni di unità sindacale che li ha accreditati anche con una legislazione di favore. La CGIL era e resta la Confederazione di gran lunga più rappresentativa. I suoi iscritti, sommati a quelli del sindacalismo di base, sono la stragrande maggioranza che non può e non deve essere esclusa
dal diritto di essere sentita, trattare, concludere accordi.
Si proclami subito uno sciopero generale contro le misure che stanno per essere concordate e che
mirano a criminalizzare i pensionati di invalidità ed imporre un congelamento delle retribuzioni coperto
dalla foglia di fico di modestissime, retrattili ed insignificanti correzioni delle enormi prebende degli Oligarchi della politica e dei Managers.
Pietro Ancona
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http://tg24.sky.it/tg24/economia/2010/05/19/quarantesimo_anniversario_statuto_dei_lavoratori.html
http://archivio-radiocor.ilsole24ore.com/articolo-813488/manovra-parti-sociali-colloquio/
mercoledì 19 maggio 2010
una generazione sconfitta. Sette anni terribili
Cara Dott.ssa De Gregorio,
ieri sera, a Ballarò, lei paventava una imminente rivolta sociale e raccontava di essere stata fortemente impressionata da assemblee di giovani precari con scene drammatiche di pianto,disperazione,sofferenza.
Cinque milioni di giovani, praticamente tutti i nuovi occupati, si trovano in regime di precariato. Ma forse sono molto di più se aggiungiamo le partite IVA. Anche nel suo giornale probabilmente ci sarà una certa percentuale di giovani giornalisti assunti con una delle diavolerie della legge trenta. Precariato vuol dire anche salario da schiavi, disconoscimento dei titoli di studio o altro. Vuol dire niente welfare. Abbiamo casi di ingegneri pagati a settecento euro al mese oppure di persone assunte per cinque giorni la settimana esclusi il sabato e la domenica.
Questa situazione infernale esiste da sette anni ed è legale dal momento che la legge Biagi ha fornito un fumus giuridico di legalizzazione a quanto già avveniva seppur in misura certamente minore.
Nel 2007 è stata resa definitiva da Prodi con gli accordi sindacali del 23 luglio che hanno di fatto chiuso negativamente la promessa fatta dallo stesso Prodi nella campagna elettorale. Ricorda: diceva di voler liberare i giovani dal precariato.
Qualche giorno fa il gruppo senatoriale del PD ha presentato il disegno di legge Nerozzi-Marini che correda il precariato con la liquidazione dell'art.18. La legge sull'arbitrato in discussione al senato è stata contrastata molto debolmente dal PD che in grande parte la condivide.
L'Unità o il PD non hanno mai fatto un esame delle conseguenze della legge Biagi nonostante la sofferenza che giunge da milioni e milioni di ragazze e ragazze a cui è stato cancellato il futuro.
Non capisco, quindi, la schizzofrenia di una condivisione del disagio dei precari e di una partecipazione attiva ai progetti per rendere definitiva e senza alcuna possibilità di cambiamento la loro condizione. La rivolta che lei paventa probabilmente non ci sarà perchè l'isolamento di questa massa enorme di giovani è assoluto. Nessuno li ascolta. Il liberismo selvaggio è diventata dottrina generale nel Parlamento e nel sindacalismo confederale. Ma la disperazione che cova nella società italiana è terribile.
Pietro Ancona
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ieri sera, a Ballarò, lei paventava una imminente rivolta sociale e raccontava di essere stata fortemente impressionata da assemblee di giovani precari con scene drammatiche di pianto,disperazione,sofferenza.
Cinque milioni di giovani, praticamente tutti i nuovi occupati, si trovano in regime di precariato. Ma forse sono molto di più se aggiungiamo le partite IVA. Anche nel suo giornale probabilmente ci sarà una certa percentuale di giovani giornalisti assunti con una delle diavolerie della legge trenta. Precariato vuol dire anche salario da schiavi, disconoscimento dei titoli di studio o altro. Vuol dire niente welfare. Abbiamo casi di ingegneri pagati a settecento euro al mese oppure di persone assunte per cinque giorni la settimana esclusi il sabato e la domenica.
Questa situazione infernale esiste da sette anni ed è legale dal momento che la legge Biagi ha fornito un fumus giuridico di legalizzazione a quanto già avveniva seppur in misura certamente minore.
Nel 2007 è stata resa definitiva da Prodi con gli accordi sindacali del 23 luglio che hanno di fatto chiuso negativamente la promessa fatta dallo stesso Prodi nella campagna elettorale. Ricorda: diceva di voler liberare i giovani dal precariato.
Qualche giorno fa il gruppo senatoriale del PD ha presentato il disegno di legge Nerozzi-Marini che correda il precariato con la liquidazione dell'art.18. La legge sull'arbitrato in discussione al senato è stata contrastata molto debolmente dal PD che in grande parte la condivide.
L'Unità o il PD non hanno mai fatto un esame delle conseguenze della legge Biagi nonostante la sofferenza che giunge da milioni e milioni di ragazze e ragazze a cui è stato cancellato il futuro.
Non capisco, quindi, la schizzofrenia di una condivisione del disagio dei precari e di una partecipazione attiva ai progetti per rendere definitiva e senza alcuna possibilità di cambiamento la loro condizione. La rivolta che lei paventa probabilmente non ci sarà perchè l'isolamento di questa massa enorme di giovani è assoluto. Nessuno li ascolta. Il liberismo selvaggio è diventata dottrina generale nel Parlamento e nel sindacalismo confederale. Ma la disperazione che cova nella società italiana è terribile.
Pietro Ancona
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martedì 18 maggio 2010
Fenestrelle: Napolitano come Willy Brandt
Napolitano come Willy Brandt
Il Presidente Napolitano dovrebbe ispirarsi al grande statista socialdemocratico europeo Willy Brand
che si inginocchiò davanti il monumento del ghetto di Varsavia e chiese perdono per i crimini dei nazisti. Dovrebbe inginocchiarsi davanti la fortezza di Fenestrelle nell'alto Piemonte dove venivano deportati i resistenti meridionali i tantissimi contadini definiti "briganti" per morirvi squagliati nella calce viva o di fame e di freddo.L'unità d'Italia non si fa con la retorica patriottarda o intonando tutti insieme l'inno di Mameli. Si fa facendo conoscere la verità finora nascosta agli italiani da una storiografia fatta di menzogne. Soltanto la verità accompagnata da un atto di riconoscimento delle terribili colpe del genocidio nordista può mettere le basi, a 150 anni della fondazione dello Stato, di una vera nazione. La partecipazione alla prima guerra mondiale del tutto inutile e priva di senso non
ha avvicinato gli italiani sebbene abbia compiuto fraternizzazioni specialmente tra i soldati. La prima guerra mondiale fu la guerra dei feroci ufficiali dello Stato Sabaudo contro i loro soldati che venivano mandati deliberatamente al massacro oppure decimati e fucilati per futili motivi. Non è bastata a fare dell'Italia una Nazione.
Bisogna quindi fare piena luce sugli anni che vanno dal 1861 alla grande emigrazione transeoceanica del novecento. Elencare tutti i delitti ad uno ad uno. Rievocare i paesi rasi al suolo, le famiglie distrutte,le devastazioni e le ruberie in danno degli sventurati abitanti del Regno delle Due Sicilie. Tutto avvenne dopo la spedizione dei Mille ma già se ne sentivano i presagi nella strage di Bronte.
Si dovrebbero rimuovere i resti umani dei combattenti meridionali dal Museo Lombrosiano. Una vera vergogna che Borghezio vorrebbe conservare a dimostrazione della inferiorità etnica della gente del Sud.
Pietro Ancona
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mercoledì, ottobre 21, 2009By Web & Books
La prima pulizia etnica della modernità occidentale operata sulle popolazioni meridionali detta Legge Pica, promulgata dal governo Minghetti del 15 agosto 1862 “…per la repressione del brigantaggio nel Meridione”
Questa legge istituiva, sotto l’egida savoiarda, tribunali di guerra per il Sud ed i soldati ebbero carta bianca, le fucilazioni, anche di vecchi, donne e bambini, divennero cosa ordinaria e non straordinaria. Un genocidio la cui portata è mitigata solo dalla fuga e dall’emigrazione forzata, nell’inesorabile comandamento di destino: “O brigante o emigrante”
Lemkin, che ha definito il primo concetto di genocidio, sosteneva: “….genocidio non significa necessariamente la distruzione immediata di una nazione…esso intende designare un piano coordinato di differenti azioni mirati a distruggere i fondamenti essenziali della vita dei gruppi nazionali….Migliaia i soldati dell’esercito borbonico massacrati nel lager di Fenestrelle in Piemonte (nella foto). E ad osservare la foto la momoria riporta subito ad Auschswitz. E invece no. Non c’erano le camere a gas? I prigionieri, portati al Nord con quattro stracci addosso, a 2000 metri d’altezza, venivano gettati nella calce viva. Antonio Gramsci (1920): “Lo stato italiano è stato una dittatura feroce che ha messo a ferro e fuoco l´Italia meridionale e le isole, crocifiggendo, squartando, fucilando, seppellendo vivi i contadini poveri che scrittori salariati tentarono di infamare col marchio di briganti”. Giuseppe Garibaldi Lettera ad Adelaide Cairoli, 1868 “Gli oltraggi subiti dalle popolazioni meridionali sono incommensurabili. Sono convinto di non aver fatto male, nonostante ciò non rifarei oggi la via dell’Italia meridionale, temendo di essere preso a sassate, essendosi colà cagionato solo squallore e suscitato solo odio” Nino Bixio, autore dell’eccidio di Bronte, nel 1863 dichiarò in Parlamento: “Un sistema di sangue è stato stabilito nel Mezzogiorno. C’è l’Italia là, signori, e se volete che l’Italia si compia, bisogna farla con la giustizia, e non con l’effusione di sangue”. On.le Ferrari, liberale, nel novembre 1862 grida in aula: “Potete chiamarli briganti, ma combattono sotto la loro bandiera nazionale; potete chiamarli briganti, ma i padri di quei briganti hanno riportato due volte i Borboni sul trono di Napoli. E’ possibile, come il governo vuol far credere, che 1500 uomini comandati da due o tre vagabondi tengano testa a un esercito regolare di 120 mila uomini? Ho visto una città di 5 mila abitanti completamente distrutta e non dai briganti” (Ferrari allude a Pontelandolfo, paese raso al suolo dal regio esercito il 14 agosto 1861, 1250 morti). Nell’agosto del 1862 i paesi del SUD in rivolta contro l’invasione italiana erano 1.500 e fu dichiarato lo stato d’assedio e legge marziale, inizia violenta e dura la repressione dei paesi liberati dai partigiani Borbonici. La guerra di conquista durò oltre il 1880 e causò al Regno delle Due Sicilie 1.000.000 di morti, centinaia di paesi rasi al suolo, 500.000 prigionieri politici, l’intera economia distrutta e la diaspora di molte generazioni. Il Piemonte/Italia ebbe oltre 23.000 morti il doppio di quelle subite in tutte le sue sedicenti guerre d’indipendenza. Le atrocità compiute, ancora secretate per la vergogna, impedendo così l’imputazione di genocidio, primeggiano su quelle naziste e competono con quelle giacobine rivoluzionare in Vandea (1793), quando cuocevano a vapore anche preti e suore.
Il Presidente Napolitano dovrebbe ispirarsi al grande statista socialdemocratico europeo Willy Brand
che si inginocchiò davanti il monumento del ghetto di Varsavia e chiese perdono per i crimini dei nazisti. Dovrebbe inginocchiarsi davanti la fortezza di Fenestrelle nell'alto Piemonte dove venivano deportati i resistenti meridionali i tantissimi contadini definiti "briganti" per morirvi squagliati nella calce viva o di fame e di freddo.L'unità d'Italia non si fa con la retorica patriottarda o intonando tutti insieme l'inno di Mameli. Si fa facendo conoscere la verità finora nascosta agli italiani da una storiografia fatta di menzogne. Soltanto la verità accompagnata da un atto di riconoscimento delle terribili colpe del genocidio nordista può mettere le basi, a 150 anni della fondazione dello Stato, di una vera nazione. La partecipazione alla prima guerra mondiale del tutto inutile e priva di senso non
ha avvicinato gli italiani sebbene abbia compiuto fraternizzazioni specialmente tra i soldati. La prima guerra mondiale fu la guerra dei feroci ufficiali dello Stato Sabaudo contro i loro soldati che venivano mandati deliberatamente al massacro oppure decimati e fucilati per futili motivi. Non è bastata a fare dell'Italia una Nazione.
Bisogna quindi fare piena luce sugli anni che vanno dal 1861 alla grande emigrazione transeoceanica del novecento. Elencare tutti i delitti ad uno ad uno. Rievocare i paesi rasi al suolo, le famiglie distrutte,le devastazioni e le ruberie in danno degli sventurati abitanti del Regno delle Due Sicilie. Tutto avvenne dopo la spedizione dei Mille ma già se ne sentivano i presagi nella strage di Bronte.
Si dovrebbero rimuovere i resti umani dei combattenti meridionali dal Museo Lombrosiano. Una vera vergogna che Borghezio vorrebbe conservare a dimostrazione della inferiorità etnica della gente del Sud.
Pietro Ancona
http://medioevosociale-pietro.blogspot.com/
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mercoledì, ottobre 21, 2009By Web & Books
La prima pulizia etnica della modernità occidentale operata sulle popolazioni meridionali detta Legge Pica, promulgata dal governo Minghetti del 15 agosto 1862 “…per la repressione del brigantaggio nel Meridione”
Questa legge istituiva, sotto l’egida savoiarda, tribunali di guerra per il Sud ed i soldati ebbero carta bianca, le fucilazioni, anche di vecchi, donne e bambini, divennero cosa ordinaria e non straordinaria. Un genocidio la cui portata è mitigata solo dalla fuga e dall’emigrazione forzata, nell’inesorabile comandamento di destino: “O brigante o emigrante”
Lemkin, che ha definito il primo concetto di genocidio, sosteneva: “….genocidio non significa necessariamente la distruzione immediata di una nazione…esso intende designare un piano coordinato di differenti azioni mirati a distruggere i fondamenti essenziali della vita dei gruppi nazionali….Migliaia i soldati dell’esercito borbonico massacrati nel lager di Fenestrelle in Piemonte (nella foto). E ad osservare la foto la momoria riporta subito ad Auschswitz. E invece no. Non c’erano le camere a gas? I prigionieri, portati al Nord con quattro stracci addosso, a 2000 metri d’altezza, venivano gettati nella calce viva. Antonio Gramsci (1920): “Lo stato italiano è stato una dittatura feroce che ha messo a ferro e fuoco l´Italia meridionale e le isole, crocifiggendo, squartando, fucilando, seppellendo vivi i contadini poveri che scrittori salariati tentarono di infamare col marchio di briganti”. Giuseppe Garibaldi Lettera ad Adelaide Cairoli, 1868 “Gli oltraggi subiti dalle popolazioni meridionali sono incommensurabili. Sono convinto di non aver fatto male, nonostante ciò non rifarei oggi la via dell’Italia meridionale, temendo di essere preso a sassate, essendosi colà cagionato solo squallore e suscitato solo odio” Nino Bixio, autore dell’eccidio di Bronte, nel 1863 dichiarò in Parlamento: “Un sistema di sangue è stato stabilito nel Mezzogiorno. C’è l’Italia là, signori, e se volete che l’Italia si compia, bisogna farla con la giustizia, e non con l’effusione di sangue”. On.le Ferrari, liberale, nel novembre 1862 grida in aula: “Potete chiamarli briganti, ma combattono sotto la loro bandiera nazionale; potete chiamarli briganti, ma i padri di quei briganti hanno riportato due volte i Borboni sul trono di Napoli. E’ possibile, come il governo vuol far credere, che 1500 uomini comandati da due o tre vagabondi tengano testa a un esercito regolare di 120 mila uomini? Ho visto una città di 5 mila abitanti completamente distrutta e non dai briganti” (Ferrari allude a Pontelandolfo, paese raso al suolo dal regio esercito il 14 agosto 1861, 1250 morti). Nell’agosto del 1862 i paesi del SUD in rivolta contro l’invasione italiana erano 1.500 e fu dichiarato lo stato d’assedio e legge marziale, inizia violenta e dura la repressione dei paesi liberati dai partigiani Borbonici. La guerra di conquista durò oltre il 1880 e causò al Regno delle Due Sicilie 1.000.000 di morti, centinaia di paesi rasi al suolo, 500.000 prigionieri politici, l’intera economia distrutta e la diaspora di molte generazioni. Il Piemonte/Italia ebbe oltre 23.000 morti il doppio di quelle subite in tutte le sue sedicenti guerre d’indipendenza. Le atrocità compiute, ancora secretate per la vergogna, impedendo così l’imputazione di genocidio, primeggiano su quelle naziste e competono con quelle giacobine rivoluzionare in Vandea (1793), quando cuocevano a vapore anche preti e suore.
lunedì 17 maggio 2010
Umberto Bossi pedagogo
Bossi pedagogo
Il capo della lega Nord ritiene che il federalismo servirà al Sud per educarlo ad usare meglio e con maggiore rispetto i soldi del prelievo fiscale del suo territorio, a non parassitarsi sulle regioni e sugli uomini operosi della Valle Padana, ad imparare a vivere con i propri mezzi. Insomma, il federalismo sarà sopratutto uno strumento educativo per i meridionali fannulloni e scrocconi e Bossi ne è il grande pedagogo.
Il Nord è assai più ricco del Sud ma non dà proprio niente a questo. Se desse come sostengono i
tronfi separatisti della Lega il livello della popolazione del sud dovrebbe essere eguale o vicino a quello del Nord. In effetti non è così. La popolazione meridionale è più povera appunto perchè meno ricca e non assistita nè dal Nord nè da chicchesia.
La leggenda del Nord che mantiene il Sud viene alimentata da intense campagne propagandistiche che impegnano i massmedia quasi quotidianamente. Il prof. Luca Ricolfi ha addirittura scritto un libro diventato cult per i leghisti: " Il sacco del Nord" nel quale viene spiegato come i virtuosi abitanti della Padania si siano accollati per quasi cinquanta anni il peso di una zavorra fatta di tutto l'ex Regno delle Due Sicilie e di parte dell'ex Stato della Chiesa. In sostanza, mentre il Nord consuma meno di quello che produce, al Sud avverrebbe il contrario attraverso, appunto, il salasso delle risorse guadagnate dal Nord.
In effetti, questa tesi è infondata. Se il Nord ha contribuito a pagare più tasse per il mantenimento dello Stato questo è esclusivamente dovuto alla sua maggiore ricchezza, alla sua straordinaria (fino a ieri) densità industriale. E' falso che le risorse prodotte dal Nord vengano stornate al Sud . Nella distribuzione delle risorse attraverso i trasferimenti lo Stato si comporta riferendosi a parametri che non sono certamente di favoritismo per il Sud.. La Lombardia, il Piemonte, il Veneto non sono in grado di dimostrare di avere ceduto risorse a vantaggio del Sud ed anzi hanno ricevuto molto di più di quanto non abbia avuto il Sud. Il Nord ha un sistema infrastrutturale finanziato dallo Stato che è di almeno dieci volte migliore per qualità ed efficienza di quello meridionale. Basti pensare al sistema autostradale. Inoltre la più grande industria del Nord e dell'Italia la Fiat di Torino è stata sostenuta per decenni da cospicui contributi statali in parte sotto forma di CIG usata per integrare i bilanci della azienda scaricandola dei periodi di magra commerciale.
Il progetto ideato da un economista di indubbio valore quale fu il Prof.Saraceno di industrializzazione del Sud con la Cassa per il Mezzogiorno (CASMEZ) fu vanificato dall'uso che torme di pirana ne fecero. Grande parte dei soldi erogati sono finiti ad aziende come l'Eni, la Montecatini, alle acciaierie di Stato. I beneficiari della Casmez furono per il 95% industrie ed industriali del Nord. Siamo giunti financo all'intervento corsaro e truffaldino di imprese padane che venivano a compiere scorrerie fingendo di impiantare fabbriche per impadronirsi dei cospicui incentivi e fuggire immediatamente lasciandosi macerie alle spalle.
I benefici dei salari erogati dalla Italcementi e dalla Montedison o dall'Eni a Gela e Siracusa, della Fiat a Termini, dell'ILva a Taranto non valgono i terribili e duraturi danni provocati dall'inquinamento
e dall'oscuramento della vocazione turistica e agricola dei luoghi.
In ogni caso, come dimostrano i documenti che corredano questo scritto, nella ripartizione delle risorse nazionali la parte leonina è stata ed è delle regioni del Nord. Che poi il Nord non riesca a smaltire quanto produce e riceve non è prova delle sue virtù sparagnine e di pratiche austere
di vita quanto di un surplus di risorse che, purtroppo, non credo avrà ancora in futuro neppure col federalismo fiscale separatista. Soltanto una nuova fase della economia, dopo il giro di boa della crisi in atto (se ci sarà) potrà riprendere e conservare i dati di prosperità attuali.
La classe dirigente del Nord non sta dando una grande prova di sè. Avvelena l'opinione pubblica e la istiga contro i meridionali e contro gli extracomunitari. Nei confronti di questi ha ispirato alla destra che controlla il Paese leggi di stampo nazista ed attua persecuzioni e campagne di odio che giungono financo all'omicidio. Naturalmente si serve della manodopera importata per la sua agricoltura che fallirebbe subito se ne fosse improvvisamente privata. Chi mungerebbe le vacche di padron Bertoldo se gli indiani sikh rientrassero in patria? Lo stesso dicasi per le sue concerie dove impiega manodopera dell'est europeo in condizioni ottocentesche di sfruttamento. Un operaio delle concerie non campa più di dieci-quindici anni dentro le esalazioni di acidi ed il grande calore in cui fatica anche per dieci ore al giorno per i pochi euro concessi dai terribili imprenditori locali.
Ritiene anche di poter fare a meno dei meridionali negli uffici e nelle scuole. Formigoni propone una radicale pulizia etnica già avviata dalla Gelmini. Pensa di avere i magistrati ed i professori sufficienti per sostituire i meridionali? Soltanto il certificato di nascita deciderà dell'impiego.
Il contesto politico e sociale in cui si avvia l'operazione "federalismo" è di odio e di cacciata dal Nord dei meridionali. Sbaglia Napolitano a non tenerne conto ed a pensare che l'Italia che uscirà da questa temperie non sarà ancora più avvelenata di quanto non sia oggi.
Il professore Giorgio Ruffolo, rendendosi conto che il federalismo di venti regioni che hanno dato pessima prova di se a cominciare dalla Lombardia non potrà che rendere irreversibile la crisi italiana,
propone tre grandi macroregioni. Sarebbe peggio che andar di notte!
Penso che dovremmo fermarci tutti. Analizzare criticamente che cosa sono diventate le Regioni dalla loro istituzione ad oggi. Prendere atto che hanno moltiplicato per venti i vizi dello statalismo e reso quasi insostenibile il peso fiscale, prendere atto che producono nuove entità istituzionali per via dei tumori oligarchici che tendono a riprodursi con le province e la istituzione di nuove regioni. Una si è fatta avanti: la Romagna ed altre sono pronte per il riconoscimento. Possiamo escludere che Catania rivendichi di diventare Regione autonoma?
Se l'Italia decidesse di sopprimere le Regioni e si potesse togliere il loro peso diventerebbe sicuramente migliore di quella che oggi è. Ma questo non è possibile e corriamo tutti verso il precipizio del federalismo che affosserà tutto e tutti se prima una grande ondata della crisi mondiale non ci avrà travolto.
La prima operazione da fare è riconvertire in classe dirigente l'oligarchia che oggi divora oltre cento miliardi di euro l'anno. Ridurre il costo della politica di almeno il settanta per cento. Non andare avanti con le privatizzazioni. Queste due misure aiuterebbero a recuperare il rispetto della popolazione e maggiori risorse per le riforme "giuste" da fare. Ma è possibile? Purtroppo non è possibile. Quando si tratta dei privilegi dell'Oligarchia, della casta, governo ed opposizione si stringono e fanno muro.
Pietro Ancona
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http://www.finanzalocale.interno.it/docum/studi/varie/formez03.html
http://www.mit.gov.it/mit/mop_all.php?p_id=07073
http://finanziamentipubblici.it/category/categoria-notizia/miccich%C3%A8-cipe?page=1
http://www.regioni.it/mhonarc/details_misc.aspx?id=4644
http://archiviostorico.corriere.it/2010/gennaio/26/Ricolfi_attenti_Gattopardo_fara_boccone_co_9_100126031.shtml
Il capo della lega Nord ritiene che il federalismo servirà al Sud per educarlo ad usare meglio e con maggiore rispetto i soldi del prelievo fiscale del suo territorio, a non parassitarsi sulle regioni e sugli uomini operosi della Valle Padana, ad imparare a vivere con i propri mezzi. Insomma, il federalismo sarà sopratutto uno strumento educativo per i meridionali fannulloni e scrocconi e Bossi ne è il grande pedagogo.
Il Nord è assai più ricco del Sud ma non dà proprio niente a questo. Se desse come sostengono i
tronfi separatisti della Lega il livello della popolazione del sud dovrebbe essere eguale o vicino a quello del Nord. In effetti non è così. La popolazione meridionale è più povera appunto perchè meno ricca e non assistita nè dal Nord nè da chicchesia.
La leggenda del Nord che mantiene il Sud viene alimentata da intense campagne propagandistiche che impegnano i massmedia quasi quotidianamente. Il prof. Luca Ricolfi ha addirittura scritto un libro diventato cult per i leghisti: " Il sacco del Nord" nel quale viene spiegato come i virtuosi abitanti della Padania si siano accollati per quasi cinquanta anni il peso di una zavorra fatta di tutto l'ex Regno delle Due Sicilie e di parte dell'ex Stato della Chiesa. In sostanza, mentre il Nord consuma meno di quello che produce, al Sud avverrebbe il contrario attraverso, appunto, il salasso delle risorse guadagnate dal Nord.
In effetti, questa tesi è infondata. Se il Nord ha contribuito a pagare più tasse per il mantenimento dello Stato questo è esclusivamente dovuto alla sua maggiore ricchezza, alla sua straordinaria (fino a ieri) densità industriale. E' falso che le risorse prodotte dal Nord vengano stornate al Sud . Nella distribuzione delle risorse attraverso i trasferimenti lo Stato si comporta riferendosi a parametri che non sono certamente di favoritismo per il Sud.. La Lombardia, il Piemonte, il Veneto non sono in grado di dimostrare di avere ceduto risorse a vantaggio del Sud ed anzi hanno ricevuto molto di più di quanto non abbia avuto il Sud. Il Nord ha un sistema infrastrutturale finanziato dallo Stato che è di almeno dieci volte migliore per qualità ed efficienza di quello meridionale. Basti pensare al sistema autostradale. Inoltre la più grande industria del Nord e dell'Italia la Fiat di Torino è stata sostenuta per decenni da cospicui contributi statali in parte sotto forma di CIG usata per integrare i bilanci della azienda scaricandola dei periodi di magra commerciale.
Il progetto ideato da un economista di indubbio valore quale fu il Prof.Saraceno di industrializzazione del Sud con la Cassa per il Mezzogiorno (CASMEZ) fu vanificato dall'uso che torme di pirana ne fecero. Grande parte dei soldi erogati sono finiti ad aziende come l'Eni, la Montecatini, alle acciaierie di Stato. I beneficiari della Casmez furono per il 95% industrie ed industriali del Nord. Siamo giunti financo all'intervento corsaro e truffaldino di imprese padane che venivano a compiere scorrerie fingendo di impiantare fabbriche per impadronirsi dei cospicui incentivi e fuggire immediatamente lasciandosi macerie alle spalle.
I benefici dei salari erogati dalla Italcementi e dalla Montedison o dall'Eni a Gela e Siracusa, della Fiat a Termini, dell'ILva a Taranto non valgono i terribili e duraturi danni provocati dall'inquinamento
e dall'oscuramento della vocazione turistica e agricola dei luoghi.
In ogni caso, come dimostrano i documenti che corredano questo scritto, nella ripartizione delle risorse nazionali la parte leonina è stata ed è delle regioni del Nord. Che poi il Nord non riesca a smaltire quanto produce e riceve non è prova delle sue virtù sparagnine e di pratiche austere
di vita quanto di un surplus di risorse che, purtroppo, non credo avrà ancora in futuro neppure col federalismo fiscale separatista. Soltanto una nuova fase della economia, dopo il giro di boa della crisi in atto (se ci sarà) potrà riprendere e conservare i dati di prosperità attuali.
La classe dirigente del Nord non sta dando una grande prova di sè. Avvelena l'opinione pubblica e la istiga contro i meridionali e contro gli extracomunitari. Nei confronti di questi ha ispirato alla destra che controlla il Paese leggi di stampo nazista ed attua persecuzioni e campagne di odio che giungono financo all'omicidio. Naturalmente si serve della manodopera importata per la sua agricoltura che fallirebbe subito se ne fosse improvvisamente privata. Chi mungerebbe le vacche di padron Bertoldo se gli indiani sikh rientrassero in patria? Lo stesso dicasi per le sue concerie dove impiega manodopera dell'est europeo in condizioni ottocentesche di sfruttamento. Un operaio delle concerie non campa più di dieci-quindici anni dentro le esalazioni di acidi ed il grande calore in cui fatica anche per dieci ore al giorno per i pochi euro concessi dai terribili imprenditori locali.
Ritiene anche di poter fare a meno dei meridionali negli uffici e nelle scuole. Formigoni propone una radicale pulizia etnica già avviata dalla Gelmini. Pensa di avere i magistrati ed i professori sufficienti per sostituire i meridionali? Soltanto il certificato di nascita deciderà dell'impiego.
Il contesto politico e sociale in cui si avvia l'operazione "federalismo" è di odio e di cacciata dal Nord dei meridionali. Sbaglia Napolitano a non tenerne conto ed a pensare che l'Italia che uscirà da questa temperie non sarà ancora più avvelenata di quanto non sia oggi.
Il professore Giorgio Ruffolo, rendendosi conto che il federalismo di venti regioni che hanno dato pessima prova di se a cominciare dalla Lombardia non potrà che rendere irreversibile la crisi italiana,
propone tre grandi macroregioni. Sarebbe peggio che andar di notte!
Penso che dovremmo fermarci tutti. Analizzare criticamente che cosa sono diventate le Regioni dalla loro istituzione ad oggi. Prendere atto che hanno moltiplicato per venti i vizi dello statalismo e reso quasi insostenibile il peso fiscale, prendere atto che producono nuove entità istituzionali per via dei tumori oligarchici che tendono a riprodursi con le province e la istituzione di nuove regioni. Una si è fatta avanti: la Romagna ed altre sono pronte per il riconoscimento. Possiamo escludere che Catania rivendichi di diventare Regione autonoma?
Se l'Italia decidesse di sopprimere le Regioni e si potesse togliere il loro peso diventerebbe sicuramente migliore di quella che oggi è. Ma questo non è possibile e corriamo tutti verso il precipizio del federalismo che affosserà tutto e tutti se prima una grande ondata della crisi mondiale non ci avrà travolto.
La prima operazione da fare è riconvertire in classe dirigente l'oligarchia che oggi divora oltre cento miliardi di euro l'anno. Ridurre il costo della politica di almeno il settanta per cento. Non andare avanti con le privatizzazioni. Queste due misure aiuterebbero a recuperare il rispetto della popolazione e maggiori risorse per le riforme "giuste" da fare. Ma è possibile? Purtroppo non è possibile. Quando si tratta dei privilegi dell'Oligarchia, della casta, governo ed opposizione si stringono e fanno muro.
Pietro Ancona
http://medioevosociale-pietro.blogspot.com/
www.spazioamico.it
http://www.finanzalocale.interno.it/docum/studi/varie/formez03.html
http://www.mit.gov.it/mit/mop_all.php?p_id=07073
http://finanziamentipubblici.it/category/categoria-notizia/miccich%C3%A8-cipe?page=1
http://www.regioni.it/mhonarc/details_misc.aspx?id=4644
http://archiviostorico.corriere.it/2010/gennaio/26/Ricolfi_attenti_Gattopardo_fara_boccone_co_9_100126031.shtml
domenica 16 maggio 2010
Il Museo della Mafia a Salemi
Un museo della mafia a Salemi nel cuore di una delle mafie più "blasonate" ed antiche della Sicilia, quella di Trapani, tra le meglio attorcigliate a massoneria e grandi potentati, può essere una buona idea
che io, comunque, non condivido. Per quanto ho potuto capire da ciò che ho letto dai giornali e dalla proibizione che il Sindaco Sgarbi ne ha fatto ai minori di sedici anni trattasi di una struttura progettata per colpire violentemente i sensi dei visitatori con una rappresentazione degli orrori dei cervelli che penzolano fuori dalla testa di persone crivellate dalla lupara oppure dalla ricostruzione della vasca dell'acido in cui venivano sciolte le carni delle vittime strangolate da qualcuno mentre altri
si masturbavano godendo dell'agonia dei mortituri (brancaccio). Questa rappresentazione della mafia
per quanto vera ne falsifica profondamente la realtà ed il significato. Ne fa un fenomeno, un Mostro da baraccone e si invitano le persone a vederla come se si trattasse dell'Uomo Elefante. Ne fa anche
un fenomeno antropologico del quale si mostrano i reperti come purtroppo ancora usano certi musei
italiani con i corpi o il cranio di famosi criminali esaminati da Lombroso o uccisi dalle nostre truppe coloniali.
Piuttosto che un Museo della Mafia sarebbe stato preferibile un memorial delle vittime della mafia con la ricostruzione della vita e della morte dei tantissimi martiri ed eroi della guerra senza quartiere che sindacalisti come Salvatore Carnevale o Placido Rizzotto magistrati come Rocco Chinnici o Falcone, poliziotti come Piazza e Agostino o Carlo Alberto Della Chiesa o politici come Pio La Torre
hanno combattuto perdendoci la vita. Trovandoci nel Trapanese ricorderei anche Rita Atria ed il suo difficile sofferto cammino di emancipazione pagato con la vita.
In ogni caso, nel museo della mafia di Salemi, mancano i capitoli della politica e dello Stato. Il recente libro di Massimo Ciancimino e di Francesco La Licata, "Don Vito", descrive il mostruoso connubio tra mafia e Stato, mafia e borghesia e la natura criminale del potere italiano.
Pietro Ancona
http://www.corriere.it/cronache/10_maggio_14/sgarbi-museo-mafia_07345140-5f84-11df-8c6e-00144f02aabe.shtml
che io, comunque, non condivido. Per quanto ho potuto capire da ciò che ho letto dai giornali e dalla proibizione che il Sindaco Sgarbi ne ha fatto ai minori di sedici anni trattasi di una struttura progettata per colpire violentemente i sensi dei visitatori con una rappresentazione degli orrori dei cervelli che penzolano fuori dalla testa di persone crivellate dalla lupara oppure dalla ricostruzione della vasca dell'acido in cui venivano sciolte le carni delle vittime strangolate da qualcuno mentre altri
si masturbavano godendo dell'agonia dei mortituri (brancaccio). Questa rappresentazione della mafia
per quanto vera ne falsifica profondamente la realtà ed il significato. Ne fa un fenomeno, un Mostro da baraccone e si invitano le persone a vederla come se si trattasse dell'Uomo Elefante. Ne fa anche
un fenomeno antropologico del quale si mostrano i reperti come purtroppo ancora usano certi musei
italiani con i corpi o il cranio di famosi criminali esaminati da Lombroso o uccisi dalle nostre truppe coloniali.
Piuttosto che un Museo della Mafia sarebbe stato preferibile un memorial delle vittime della mafia con la ricostruzione della vita e della morte dei tantissimi martiri ed eroi della guerra senza quartiere che sindacalisti come Salvatore Carnevale o Placido Rizzotto magistrati come Rocco Chinnici o Falcone, poliziotti come Piazza e Agostino o Carlo Alberto Della Chiesa o politici come Pio La Torre
hanno combattuto perdendoci la vita. Trovandoci nel Trapanese ricorderei anche Rita Atria ed il suo difficile sofferto cammino di emancipazione pagato con la vita.
In ogni caso, nel museo della mafia di Salemi, mancano i capitoli della politica e dello Stato. Il recente libro di Massimo Ciancimino e di Francesco La Licata, "Don Vito", descrive il mostruoso connubio tra mafia e Stato, mafia e borghesia e la natura criminale del potere italiano.
Pietro Ancona
http://www.corriere.it/cronache/10_maggio_14/sgarbi-museo-mafia_07345140-5f84-11df-8c6e-00144f02aabe.shtml
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