di Luca Telese, il Fatto Quotidiano, 26 luglio 2011 -
Domanda: come fa una importante organizzazione sindacale che consulta i lavoratori su un accordo impopolare ad occultare un risultato (prevedibilmente) sgradito? Risposta: con un referendum secretato. Ovvero disegnando un omissis, come nei documenti dei servizi segreti. Non ci credete? Per ulteriori precisazioni chiedere all'ideatrice di questo ennesimo paradosso del burocratese sindacale, Susanna Camusso. (...)
PER QUANTO POSSA sembrare incredibile, infatti, la segretaria generale della
Cgil ha avuto una pensata da manuale, per disinnescare con un trattamento
³bulgaro² ogni possibile dissenso all¹ultimo accordo che ha sottoscritto: ha
preso carta e penna, e ha scritto alle organizzazioni del suo stesso
sindacato incaricate di organizzare le consultazioni nelle fabbriche, di
tenere segreti i risultati dei lavoratori non iscritti. Ancora una volta non
ci credete? Questo il passaggio testuale: "Il voto eventualmente espresso da
non iscritti o da lavoratori iscritti ad altre Organizzazioni non potrà in
nessun modo essere preso in considerazione". Compresa la comunicazione dei
risultati finali.
Ovviamente anche questo ennesimo pasticcio del burocrate-sindacalese ha
una spiegazione che rende comprensibile, non tanto la scelta suicida, ma
almeno la logica che l¹ha guidata. La Camusso, infatti, si prepara a
fronteggiare il presumibile dissenso all¹accordo che ha appena firmato
insieme alla Cisl e alla Uil con Confindustria: questo accordo, che abbiamo
definito il ³porcellum sindaca-le², annulla il voto dei lavoratori sui
contratti (già questa una bella pensata) quando la maggioranza dei
rappresentanti sindacali lo sottoscrive. In pratica: se il 50% più uno dei
rappresentati sindacali firma un contratto (a seconda delle fabbriche
bastano anche due sole organizzazioni) non si vota. In virtù di questo
accordo, poi, i sindacati firmatari, sono vinco-lati a non scioperare. Un
patto oneroso per la Cgil, soprattutto per quella parte dell¹organizzazione
(la Fiom, ma non solo) che aveva fatto del consenso la bandiera delle ultime
battaglie (a partire dai referendum alla Fiat).
QUINDI SI PREPARA a fronteggiare il sindacato di Maurizio Landini (che fa
votare iscritti e non iscritti) predisponendo un protocollo quasi
brezneviano. In virtù del regolamento interno e delle interpretazioni che la
stessa Camusso sollecita alla Commissione di garanzia, l¹unico organismo
dirigente che si può pronunciare sulla materia è il direttivo: in tutte le
sedi e in tutte le assemblee, si potrà illustrare una sola posizione.
Indovinate quale? Quella della Camusso.
Ma anche la Fiom adotta le sue contromosse. Il sindacato dei
metalmeccanici sceglie di stampare il testo, senza commenti e di
diffonderlo, così almeno i lavoratori sapranno che cosa votano. Certo,
questa volta a temere il voto non sono la Confindustria e gli altri
sindacati, ma gli stessi dirigenti Cgil. Così, la burocratja sindacale
partorisce: il voto invisibile. Secondo la segretaria della Cgil, infatti,
si possono consultare i lavoratori, solo a patto di non divulgare il loro
verdetto. Sarebbe come far vedere la partita solo agli spettatori delle
tribuna, sarebbe come fare le primarie in America consentendo il voto solo
agli agit prop dei comitati elettorali democratici o repubblicani, sarebbe
come fare le elezioni e limitare lo scrutinio solo agli iscritti ai partiti.
L¹ultima ciliegina? ³L¹invito scrive ancora la segretaria è a dare
puntuale attuazione alle modalità di consultazione definite dal Comitato
direttivo nazionale della CGIL affinché tutti i voti delle iscritte e degli
iscritti siano considerati e concorrano ad approvare l¹Accordo². Quelli che
votando, insomma, concorrono solo ad approvarlo. Una bella idea della
democrazia diretta. Ma si sa, nel tempo in cui tutto cambia, chi ha paura di
essere sconfitto preferisce nascondere i fatti piuttosto che incassare una
bocciatura.
mercoledì 27 luglio 2011
lunedì 25 luglio 2011
L'ambiguo compromesso del 28 giugno di Umberto Romagnoli
DALLA RIVISTA "EGUAGLIANZA E LIBERTA'
Sindacato
L'ambiguo compromesso del 28 giugno
Per valutare l’intesa sindacati-Confindustria la cautela è d’obbligo, sia
per i suoi aspetti contraddittori (come ad esempio il principio della
preminenza del contratto collettivo nazionale che coesiste con quello della
sua derogabilità), sia perché non scioglie il nodo della rappresentatività.
Ma quest’ultimo punto, in questa fase politica, forse non è un male
Umberto Romagnoli
Ormai, il codice comunicativo di cui si servono gli attori collettivi è
decifrabile con crescente difficoltà dagli esperti di diritto sindacale;
figurarsi l’effetto che fa sui comuni mortali. Anche per questo i mass media
si sono limitati ad informare che, sottoscrivendo l’intesa del 28 giugno, le
parti sociali hanno compiuto un gesto di responsabilità. Ma hanno fornito
notizie superficiali e incomplete sui contenuti effettivamente negoziati.
Per esempio, ai più è sfuggito che un conto è leggere in un saggio di
dottrina che la clausola di tregua non ha effetto vincolante per i singoli
lavoratori, perché la titolarità individuale del diritto di sciopero
(secondo l’opinione prevalente) non si tocca; cosa diversa è vedere
riportata la medesima opinione nel testo di un accordo sindacale. Infatti,
il punto 6 dell’intesa, riconoscendo la liceità sia della conflittualità
sociale spontanea (una volta la definivano selvaggia) che dell’azione di
prevenzione e contrasto alla medesima che il sindacato s’impegna con la
controparte a sviluppare, dà per scontato che lo scollamento tra la logica
del comportamento dell’organizzazione e la dinamica degli interessi reali
rientri nella normalità: come dire che il sindacato sa di avere piazzato nel
suo sottoscala una carica di tritolo che potrebbe scoppiare là per là, senza
preoccuparsi che in questo modo finisca per deteriorarsi il tessuto
democratico.
Analogamente, si evita di precisare che la RSU è di natura ibrida, perché
non tutti i componenti hanno legittimazione elettorale, e che quelli
designati dal sindacato (nella misura di un terzo della totalità) possono
essere di fatto e de iure determinanti per la formazione della maggioranza
(semplice) che chiude la trattativa aziendale. Non saprei dire se e quanto
calcolata, ma la reticenza rende meno impressionante la circostanza che i
destinatari degli effetti del contratto non hanno diritto a manifestare l’eventuale
dissenso (punto 4). Insomma, la valorizzazione della RSU come agente
contrattuale è accompagnata da una presunzione assoluta di consenso dei
diretti interessati che le permette di operare in un clima di accentuato
decisionismo.
Come si vede, la povertà dell’informazione data in pasto al grande pubblico
contribuisce a rendere insuperabile la sfida dell’ermetismo del documento.
Vero è che ogni mestiere è contraddistinto da un linguaggio gergale. Ma ciò
che imbarazza è lo sfuggente quadro d’insieme, la contraddittorietà degli
orientamenti che vi affiorano, la mancanza di condivisione progettuale.
Infatti,
- il principio della preminenza del contratto collettivo nazionale (punti 2
e 3) coesiste con quello della sua derogabilità, la cui latitudine potrà
variare da un minimo ad un massimo inimmaginabili a priori (punto 3), ma che
(come dispone il punto 7 che ha l’aria di equivalere ad una disposizione di
diritto tra il transitorio e il suppletivo) è ammessa anche “ove non
prevista” e comunque “in attesa” dei prossimi rinnovi contrattuali.
- L’assunto che tutti i lavoratori devono poter contare sugli standard
protettivi fissati dal contratto collettivo nazionale è ribadito e condiviso
(punto 2), ma questo contratto è orfano dell’erga omnes; cui oltretutto gli
stessi sindacati sono da sempre avversi, perché temono i Danai anche se
portano doni, e difatti non li sollecitano: come invece succede per la
contrattazione aziendale a favore della quale il punto 8 auspica, con le
movenze di un avviso comune, interventi del potere pubblico sub specie di
facilitazioni fiscali (punto 8).
- La legittimazione della RSA come agente contrattuale, sia pure sulla base
di una presunzione di consenso soltanto relativa (punto 5), potrebbe
emarginare dallo scenario delle relazioni sindacali a livello aziendale un
istituto di natura (ancora soltanto) convenzionale come la RSU: tutto
dipende dall’andamento del processo di riconciliazione appena riaperto tra
le confederazioni e dunque dalla volontà di istituire RSU anziché RSA. Alla
fin dei conti, la sopravvivenza della RSU dipende fondamentalmente dalla
necessità di azionare il meccanismo di calcolo adottato per misurare la
rappresentatività sindacale a livello nazionale (punto 1); ragion per cui la
diffusione della RSU diventa una variabile dipendente dalla tenuta dell’opzione
favorevole alla centralità del contratto nazionale: cosa cui le parti
sociali non sembrano particolarmente interessate, visto che il contratto
aziendale può definire “specifiche intese modificative anche in via
sperimentale e temporanea” (punto 7). “Anche”, sta scritto proprio così; e
la congiunzione, se non è il frutto di un involontario e innocente lapsus
calami, sottintende che la figura del contratto aziendale derogatorio “in
via sperimentale e temporanea” si aggiunge alla figura principale: quella
del contratto aziendale definitivamente sostitutivo.
In conclusione, gli attori collettivi esibiscono una concezione proprietaria
della rappresentanza e della contrattazione collettiva che non si sa se
definire proterva o ingenua. Di sicuro, risale all’epoca precostituzionale
delle sue origini. Il che significa che hanno interiorizzato il privilegio
di far da sé in un contesto che ne esalta l’autonomia negoziale a tal segno
da ritenere di poterla esercitare non solo al di fuori, ma anche al di sopra
delle leggi dello Stato.
Per quanto sia meritoriamente percorsa da ritrovate pulsioni unitarie, l’intesa
del 28 giugno è tardiva ed insieme prematura. E’ tardiva perché è arrivata
solamente in seguito alla, e in conseguenza della, crisi di sistema che ha
invelenito le relazioni sindacali, traumatizzato il mondo del lavoro e
umiliato il suo settore più direttamente coinvolto. Al tempo stesso, l’intesa
è prematura perché brucia i tempi di una storia giuridica del diritto
sindacale avvitata nella monocultura del cosiddetto diritto comune.
Infatti, ha del paradossale che il tentativo (riconoscibile nella
formulazione del punto 1) di dare al contratto nazionale di lavoro un
assetto più adeguato al ruolo che dovrebbe svolgere secondo le previsioni
costituzionali sia stata inserito nell’agenda delle priorità solamente per
liberalizzare gli sviluppi della contrattazione aziendale in deroga. Come
dire che il processo di rimozione delle incertezze regolative che
indeboliscono la contrattazione nazionale nel dopo-costituzione ha ricevuto
un’improvvisa accelerazione proprio perché, e quando, molti vorrebbero che
la contrattazione aziendale facesse fare al livello negoziale superiore la
fine del maschio dell’ape regina: avvenuta la fecondazione, muore. Mai,
infatti, nemmeno quando il contratto nazionale di categoria era l’unica e
più attiva fonte di produzione di regole del lavoro dipendente, gli
interrogativi suscitati dal suo precario e rabberciato impianto normativo
sono stati oggetto dell’ossessiva attenzione che le parti sociali dedicano
al contratto aziendale d’inizio millennio. Sgradevole quanto fondato,
pertanto, è il sospetto che, se la Confindustria (come, peraltro, la coppia
Cisl-Uil) non fosse stata pressata dall’esigenza di attribuire ai contratti
aziendali conclusi dalle RSA un’efficacia ultra partes, non sarebbe stato
sancito l’obbligo degli agenti contrattuali a livello nazionale di rifarsi
il maquillage in senso virtuosamente democraticistico. Anzi, unitamente alla
previsione del test della validazione consensuale dei contrati aziendali
stipulati dalle RSA, la verificabilità preventiva della rappresentatività è
la misura compensativa di maggior spessore ottenuta dalla Cgil in cambio del
suo avallo alla svolta della contrattazione collettiva in chiave
aziendalistica.
Al di là di questo aspetto, il dubbio più inquietante è che con l’intesa sia
stato siglato l’ennesimo armistizio di una guerra cominciata per inutile
necessità tanto tempo fa. L’ossimoro – che piacerebbe all’inventore del
teatro dell’assurdo – rimanda alla stagione in cui lo stesso sindacato si
batteva per de-costituzionalizzare l’intero diritto sindacale ed esprime l’idea
che, adesso, anche lui dovrebbe rendersi conto di avere partecipato ad una
guerra destinata a chiudersi senza vinti né vincitori. Il fatto è che,
sbagliando nel momento giusto, aveva ragione ad avere torto ed erano gli
altri ad avere torto, perché avevano ragione nel momento sbagliato.
A lasciarli fare, i nostalgici dello Stato che ci aveva preso gusto a
comportarsi da padre-padrone del sindacato avrebbero cercato in tutti i modi
di riprodurre l’eguale nel diseguale; mentre proprio un movimento
sindacale – che aveva ritardi storici da colmare quanto ad esperienza di
libertà – aveva uno straordinario bisogno della chance di costruirsi la sua,
imparando la grammatica e la sintassi del diritto generato dai gruppi in un
regime di autoregolazione sociale il più lontano possibile dal diritto
pubblico: gli schemi regolativi prefabbricati glielo avrebbero impedito e lo
avrebbero soffocato in fretta.
In un soprassalto di autocritica, però, il sindacato e noi con lui dovremmo
riconoscere che l’errore del passato – ma, ripeto, fu una culpa felix – è
stato quello di avere alimentato la vulgata immunitaria che nasconde, anche
se solamente a se stessa, che il sindacato è un’associazione privata
originata da un contratto liberamente stipulato e, ciononostante, incline ad
omologarsi alle istituzioni in bilico tra pubblico e privato, ma più
sbilanciate verso il pubblico che verso il privato.
Infatti, la sindrome universalista che ne fa un soggetto proclive a
contrattare con efficacia generale e a sollecitare la partecipazione agli
scioperi anche dei non-iscritti ha resistito. Ma la cosa non stupisce. “La
bipolarità del sindacato come libero soggetto di autotutela in una sfera di
diritto privato e, al tempo stesso, come soggetto di una funzione pubblica è
presente nella stessa Costituzione”. Parola di padre costituente: si
chiamava Vittorio Foa.
Quindi, se l’Assemblea deliberò che il potere contrattuale collettivo è
proporzionato alla consistenza associativa del sindacato che lo esercita
(art. 39) è solo perché sapeva che bisognava marcare una netta cesura con l’esperienza
corporativa ove il sindacato era un terminale della burocrazia statale. Per
questo, giudicò opportuno enfatizzare quella che Max Weber definirebbe l’etica
del consenso. Senza però l’intenzione di sacralizzarne l’esclusività. Anzi,
un indicatore di natura elettiva capace di misurare l’ampiezza del consenso
sociale oltre la sfera della rappresentanza associativa è il più aderente
alla valenza istituzionale di un sindacato inclusivo come il nostro ed il
più compatibile con i fondamenti di una democrazia. Come testimonia l’esperienza
di diritto comparato, è un’ulteriore verifica che, sommandosi alla prima,
irrobustisce la legittimazione del potere collettivo nella misura in cui
permette di coniugare l’etica del consenso con l’etica (direbbe ancora Max
Weber) della responsabilità politica.
La sindrome universalista del sindacato non appartiene soltanto all’ideologia
o alla retorica. Se lo statuto dei lavoratori la sponsorizzò con l’art. 19
che voltava le spalle al sindacato “degli iscritti”, la legislazione della
seconda metà degli anni ’90 – rimasta immodificata sul punto e anzi
riciclata proprio dall’intesa che sto commentando – se ne è servita per
disegnare l’identikit del sindacato “dei lavoratori”.
In proposito, è d’obbligo sottolineare che Massimo D’Antona considerava la
legge che ha contrattualizzato in chiave privatistica la disciplina del
pubblico impiego a stregua di un test aperto ad esiti atti a promuovere un
generale effetto-imitazione: un laboratorio ove si sarebbe sperimentata la
fattibilità di un più vasto programma di politica del diritto tendente a
favorire la guarigione della democrazia sindacale dal male oscuro taciuto
dal non-detto dello Statuto dei lavoratori che aveva dato scacco matto a
generazioni di operatori giuridici e sindacali, perché nessuno poteva
rispondere alle più elementari domande: del tipo “chi rappresenta chi”,
come si ottiene la legittimazione a firmare contratti collettivi e quale
efficacia giuridica essi abbiano realmente. La prospettiva dell’interazione
possibile tra pubblico e privato – dove il pubblico fa da apri-pista e il
privato segue – è delineata nelle parole conclusive del saggio di Massimo
che era ancora in bozze quando l’autore fu ucciso dalle Br: “Il nocciolo
duro dell’art. 39 trova nella riforma della contrattazione collettiva nelle
pubbliche amministrazioni il passaggio verso una nuova stagione della
legislazione sindacale post-Costituzionale”.
Orbene, se quella è stata la manifestazione più significativa della
persistente attualità della sindrome universalista del sindacato, a distanza
di alcuni lustri l’incipit dell’intesa del 28 giugno ne costituisce una
ulteriore e non secondaria riprova. Riconfermare che “il contratto
collettivo nazionale ha la funzione di garantire la certezza dei trattamenti
economici e normativi per tutti i lavoratori del settore ovunque impiegati
nel territorio nazionale” (punto 2) ha un significato forte. In una
situazione caratterizzata da opzioni largamente favorevoli alla
contrattazione aziendale, vuol dire riaffermare l’esistenza di una gerarchia
dei livelli negoziali, per cui “la contrattazione collettiva aziendale si
esercita per le materie delegate, in tutto o in parte, dal contratto
collettivo di categoria” (punto 3). Sicuramente, è proprio per rafforzare l’autorevolezza
del livello superiore nella sua pretesa di governare l’insieme delle
politiche contrattuali che il punto 1 obbliga i relativi agenti contrattuali
a certificare la propria rappresentatività in base a regole mutuate dalla
legislazione vigente da alcuni lustri nell’area del pubblico impiego e
predetermina la soglia al di sotto della quale non si acquista la
legittimazione a negoziare.
Però, la trasposizione in sede pattizia del modello legislativo di
riferimento è parziale. Non si dice come il contratto potrà essere
stipulato. Non viene presa in considerazione nemmeno l’eventualità che possa
ripetersi l’esperienza della contrattazione separata a livello nazionale che
aveva affaticato la fase più recente dei rapporti sindacali; e l’omissione
equivale alla scelta di non escluderla. In sostanza, tutto resta come prima.
Dunque, il discorso sulla contrattazione nazionale si spezza bruscamente,
come un coitus interruptus sul più bello, e si passa ad altro. Il cuore dell’intesa,
infatti, è la soluzione del problema dell’efficacia vincolante del contratto
aziendale nei confronti di coloro che non sono sindacalmente organizzati o
appartengono a sindacati non-firmatari. E’ il ritorno del tormentone
esorcizzato, ma non rimosso, dell’estensione dell’efficacia oltre il
perimetro tracciato dal diritto comune dei contratti tra privati, per il
quale il contratto ha forza di legge solamente tra le parti.
Il problema, come ho già detto, è risolto prevedendo due forme di contratti
aziendali: distinte per soggetti ed effetti prodotti. Per soggetti, perché
agenti contrattuali possono essere tanto le RSU quanto le RSA. Per effetti,
perché l’efficacia vincolante per tutto il personale del contratto firmato
dalla RSU si produce col funzionamento di un semplice automatismo, mentre il
contratto firmato dalla RSA è esposto al rischio della destabilizzazione in
seguito ad un vaglio referendario a richiesta dei dissenzienti.
Vista la percezione negativa che si è guadagnata negli ambienti sindacali la
prassi della validazione per via referendaria dei contratti collettivi, si
potrebbe congetturare che il contratto firmato dalla RSU sia il più
desiderabile. Tuttavia, l’intero castello non può reggere per deficit di
base legale, perché condivide l’insostenibile leggerezza dell’autoreferenzialità
di soggetti che si ritengono blindati dentro un ordinamento domestico sulla
soglia del quale anche lo Stato deve arrestarsi, con le sue leggi e i suoi
giudici, attribuendo una portata paralegislativa al loro bricolage
negoziale.
Il passaggio dalla RSA statutarie alle RSU non è stato legificato e le RSU
sono tuttora ciò che sono sempre state: figli sbandati di genitori sbadati,
nati da accordi che hanno un’efficacia limitata a quanti volontariamente vi
aderiscono. Ancora una volta, insomma, gli attori del sistema
giuridico-sindacale si sono esercitati – e stavolta con più arditezza del
solito – nel gioco del labirinto noto alla tradizione dell’enigmistica. Esso
consiste nell’indovinare un percorso la cui meta è la scoperta d’una entità
contraddittoria, come può esserlo un’organizzazione della società civile
che, senza rinunciare alle sue radici extra-legali, aspira ad impadronirsi
dell’autorità che è propria delle istituzioni riconducibili ai paradigmi
categorizzati dal diritto dello Stato. Il labirinto, come si sa, ha molti
falsi ingressi. Se ne sceglie uno a piacere, si fa un giretto e ci si
ritrova subito fuori. E’ successo anche il 28 giugno. E non poteva non
succedere perché l’efficacia estesa ai terzi è un predicato sconosciuto al
diritto dei contratti. Per questo, malgrado l’impressionante numero di
chiodi che sigillano la bara in cui è stato deposto e giace, l’art. 39
somiglia ad una stella morta da cui continua ad arrivare la luce,
testimoniando con ciò che la sua inattuazione non gli impedisce di
conservare attualità.
Poiché questo è il nodo irrisolto del diritto sindacale nel
dopo-Costituzione, è presumibile che gli attori collettivi continueranno ad
aggirarsi nel loro labirinto. E lo faranno non solo perché amano galleggiare
nel limbo strategico che riescono a mascherare solamente coi cerotti dell’unità
d’azione tra sindacati disposti a sottoporsi ad una cura omeopatica che li
fa apparire omogenei e quasi eguali, ma anche perché – in presenza di una
maggioranza parlamentare che ha certificato all’unanimità che Ruby è nipote
di Mubarak – è opportuno che l’art. 39 resti dove la storia lo ha finora
condannato a stare. Come dire che la sua persistente attualità non equivale
(ancora) alla sua attuabilità.
Ad ogni modo, l’intesa del 28 giugno non è soltanto quel che a prima vista
sembrerebbe: il remake di un film proiettato in più occasioni sullo schermo
delle relazioni sindacali in Italia. La dinamica del negoziato è stata
pesantemente influenzata da due illustri convitati di pietra: la Fiom e la
Fiat. La loro presenza ha disseppellito e reso visibile un elemento
costitutivo della contrattazione collettiva. Non c’è infatti contratto
collettivo che non sia espressione della logica autodifensiva dei contraenti
che ragionano da soggetti organizzati che vogliono durare e rafforzarsi
proprio tramite l’azione contrattuale. Come il padrone non si siede al
tavolo contrattuale coi sindacati per trattare la propria estinzione, così i
sindacati partecipano alle trattative per riceverne la linfa necessaria per
mettersi in sicurezza come organizzazioni.
Stavolta, la Confindustria era tenuta a difendere l’integrità di una
membership insidiata dalla minaccia di secessione del suo associato
simbolicamente più significativo e la Cgil doveva uscire dall’isolamento in
cui, con la complicità di Cisl e Uil, era piombata in seguito all’emarginazione
dal circuito contrattuale e che il ribellismo della Fiom aveva aggravato,
aumentandone la risonanza mediatica.
Benché fosse sovra-rappresentata nella trattativa interconfederale di
giugno, la Fiat si è dichiarata insoddisfatta. In primo luogo, le è toccato
subire una clausola di tregua sindacale che lascia l’impresa in balia di
scioperi spontanei (punto 6). In secondo luogo, si attendeva la ratifica
“senza se e senza ma” degli accordi aziendali che hanno provocato un nutrito
contenzioso giudiziario tuttora in corso ed invece ha dovuto accontentarsi
di sentirsi dire che, se fossero stipulati adesso, sarebbero validi (punto
7).
Tuttavia, l’insoddisfazione della Fiom è, se possibile, superiore. Un po’
perché il punto 7 contiene il velato (ma mica tanto) rimprovero di non avere
ascoltato il consiglio inizialmente suggerito dalla Cgil di tapparsi gli
occhi davanti ad accordi del tipo “prendere o lasciare” e, pur di restare in
gioco, apporvi una “firma tecnica”, e un po’ perché teme che la possibilità
di praticare d’ora in avanti, e fin d’ora, una contrattazione aziendale in
deroga possa orientare la magistratura verso un permissivismo lontano
anni-luce dal clima di scontro che le vicende di Pomigliano e Mirafiori
avevano creato nel paese. Per giunta, il diritto a coinvolgere i diretti
interessati nei processi decisionali che preparano la sottoscrizione dei
contratti collettivi a livello nazionale non è stato sancito e chissà se lo
sarà. Vero è che l’istanza non è stata bocciata seccamente: l’intesa
Cgil-Cisl-Uil allegata all’intesa del 28 giugno ne rinvia l’esame a momenti
successivi che non promettono granché. L’istanza referendaria cui la Fiom
non può non assegnare una valenza identitaria – dal momento che è alloggiata
nel suo statuto interno – è in netta contro-tendenza. Il suo futuro è
incerto sia perché nel frattempo si è radicato l’aristocratico e
anacronistico convincimento che il sindacato sia un po’ mandatario e un po’
tutore e che il lavoratore non abbia la piena capacità d’agire, somigliando
piuttosto ad un minorenne col complesso di Peter Pan, sia perché oggi più
che mai è minoritaria l’idea che la politica non è solo comando, ma è anche
mettere la gente nelle condizioni di governarsi da sé. Senza dire poi del
timore di rovinosi impatti sulla carriera di dirigente sindacale che spiega
la riluttanza di quanti esercitano per professione il potere di decidere “in
nome e per conto” a interpellare governati arrabbiati o delusi e mettersi
così in discussione.
Nondimeno, la Fiom farebbe bene a chiedersi se non sia ragionevole dubitare
che il coinvolgimento della base abbia necessariamente una virtù salvifica.
Nei tempi bui di una crisi economica come quella che il paese sta
attraversando, la contrattazione – segnatamente a livello aziendale – è e
sarà tendenzialmente più ablativa che concessiva, generosa nel distribuire
sacrifici e avara nel procurare vantaggi. Pertanto, la verifica del consenso
ha e avrà un esito presumibilmente confermativo, nell’ampia misura in cui si
svolge nel clima ricattatorio che favorisce il reato di estorsione. Non a
caso, a Pomigliano e altrove il referendum tra i lavoratori è stato
fermamente voluto prima di tutto dalla Fiat. E questa è una testimonianza
molto persuasiva dell’esistenza di situazioni in cui, anziché espressione di
un libero confronto democratico, il referendum sui contratti collettivi si
converte nel sogno della sola democrazia possibile. Quella che ha parecchie
delle caratteristiche di una democrazia imposta con la violenza. Come in
Iraq o in Afganista
(22/07/2011)
UMBERTO ROMAGNOLI giurista
^
Sindacato
L'ambiguo compromesso del 28 giugno
Per valutare l’intesa sindacati-Confindustria la cautela è d’obbligo, sia
per i suoi aspetti contraddittori (come ad esempio il principio della
preminenza del contratto collettivo nazionale che coesiste con quello della
sua derogabilità), sia perché non scioglie il nodo della rappresentatività.
Ma quest’ultimo punto, in questa fase politica, forse non è un male
Umberto Romagnoli
Ormai, il codice comunicativo di cui si servono gli attori collettivi è
decifrabile con crescente difficoltà dagli esperti di diritto sindacale;
figurarsi l’effetto che fa sui comuni mortali. Anche per questo i mass media
si sono limitati ad informare che, sottoscrivendo l’intesa del 28 giugno, le
parti sociali hanno compiuto un gesto di responsabilità. Ma hanno fornito
notizie superficiali e incomplete sui contenuti effettivamente negoziati.
Per esempio, ai più è sfuggito che un conto è leggere in un saggio di
dottrina che la clausola di tregua non ha effetto vincolante per i singoli
lavoratori, perché la titolarità individuale del diritto di sciopero
(secondo l’opinione prevalente) non si tocca; cosa diversa è vedere
riportata la medesima opinione nel testo di un accordo sindacale. Infatti,
il punto 6 dell’intesa, riconoscendo la liceità sia della conflittualità
sociale spontanea (una volta la definivano selvaggia) che dell’azione di
prevenzione e contrasto alla medesima che il sindacato s’impegna con la
controparte a sviluppare, dà per scontato che lo scollamento tra la logica
del comportamento dell’organizzazione e la dinamica degli interessi reali
rientri nella normalità: come dire che il sindacato sa di avere piazzato nel
suo sottoscala una carica di tritolo che potrebbe scoppiare là per là, senza
preoccuparsi che in questo modo finisca per deteriorarsi il tessuto
democratico.
Analogamente, si evita di precisare che la RSU è di natura ibrida, perché
non tutti i componenti hanno legittimazione elettorale, e che quelli
designati dal sindacato (nella misura di un terzo della totalità) possono
essere di fatto e de iure determinanti per la formazione della maggioranza
(semplice) che chiude la trattativa aziendale. Non saprei dire se e quanto
calcolata, ma la reticenza rende meno impressionante la circostanza che i
destinatari degli effetti del contratto non hanno diritto a manifestare l’eventuale
dissenso (punto 4). Insomma, la valorizzazione della RSU come agente
contrattuale è accompagnata da una presunzione assoluta di consenso dei
diretti interessati che le permette di operare in un clima di accentuato
decisionismo.
Come si vede, la povertà dell’informazione data in pasto al grande pubblico
contribuisce a rendere insuperabile la sfida dell’ermetismo del documento.
Vero è che ogni mestiere è contraddistinto da un linguaggio gergale. Ma ciò
che imbarazza è lo sfuggente quadro d’insieme, la contraddittorietà degli
orientamenti che vi affiorano, la mancanza di condivisione progettuale.
Infatti,
- il principio della preminenza del contratto collettivo nazionale (punti 2
e 3) coesiste con quello della sua derogabilità, la cui latitudine potrà
variare da un minimo ad un massimo inimmaginabili a priori (punto 3), ma che
(come dispone il punto 7 che ha l’aria di equivalere ad una disposizione di
diritto tra il transitorio e il suppletivo) è ammessa anche “ove non
prevista” e comunque “in attesa” dei prossimi rinnovi contrattuali.
- L’assunto che tutti i lavoratori devono poter contare sugli standard
protettivi fissati dal contratto collettivo nazionale è ribadito e condiviso
(punto 2), ma questo contratto è orfano dell’erga omnes; cui oltretutto gli
stessi sindacati sono da sempre avversi, perché temono i Danai anche se
portano doni, e difatti non li sollecitano: come invece succede per la
contrattazione aziendale a favore della quale il punto 8 auspica, con le
movenze di un avviso comune, interventi del potere pubblico sub specie di
facilitazioni fiscali (punto 8).
- La legittimazione della RSA come agente contrattuale, sia pure sulla base
di una presunzione di consenso soltanto relativa (punto 5), potrebbe
emarginare dallo scenario delle relazioni sindacali a livello aziendale un
istituto di natura (ancora soltanto) convenzionale come la RSU: tutto
dipende dall’andamento del processo di riconciliazione appena riaperto tra
le confederazioni e dunque dalla volontà di istituire RSU anziché RSA. Alla
fin dei conti, la sopravvivenza della RSU dipende fondamentalmente dalla
necessità di azionare il meccanismo di calcolo adottato per misurare la
rappresentatività sindacale a livello nazionale (punto 1); ragion per cui la
diffusione della RSU diventa una variabile dipendente dalla tenuta dell’opzione
favorevole alla centralità del contratto nazionale: cosa cui le parti
sociali non sembrano particolarmente interessate, visto che il contratto
aziendale può definire “specifiche intese modificative anche in via
sperimentale e temporanea” (punto 7). “Anche”, sta scritto proprio così; e
la congiunzione, se non è il frutto di un involontario e innocente lapsus
calami, sottintende che la figura del contratto aziendale derogatorio “in
via sperimentale e temporanea” si aggiunge alla figura principale: quella
del contratto aziendale definitivamente sostitutivo.
In conclusione, gli attori collettivi esibiscono una concezione proprietaria
della rappresentanza e della contrattazione collettiva che non si sa se
definire proterva o ingenua. Di sicuro, risale all’epoca precostituzionale
delle sue origini. Il che significa che hanno interiorizzato il privilegio
di far da sé in un contesto che ne esalta l’autonomia negoziale a tal segno
da ritenere di poterla esercitare non solo al di fuori, ma anche al di sopra
delle leggi dello Stato.
Per quanto sia meritoriamente percorsa da ritrovate pulsioni unitarie, l’intesa
del 28 giugno è tardiva ed insieme prematura. E’ tardiva perché è arrivata
solamente in seguito alla, e in conseguenza della, crisi di sistema che ha
invelenito le relazioni sindacali, traumatizzato il mondo del lavoro e
umiliato il suo settore più direttamente coinvolto. Al tempo stesso, l’intesa
è prematura perché brucia i tempi di una storia giuridica del diritto
sindacale avvitata nella monocultura del cosiddetto diritto comune.
Infatti, ha del paradossale che il tentativo (riconoscibile nella
formulazione del punto 1) di dare al contratto nazionale di lavoro un
assetto più adeguato al ruolo che dovrebbe svolgere secondo le previsioni
costituzionali sia stata inserito nell’agenda delle priorità solamente per
liberalizzare gli sviluppi della contrattazione aziendale in deroga. Come
dire che il processo di rimozione delle incertezze regolative che
indeboliscono la contrattazione nazionale nel dopo-costituzione ha ricevuto
un’improvvisa accelerazione proprio perché, e quando, molti vorrebbero che
la contrattazione aziendale facesse fare al livello negoziale superiore la
fine del maschio dell’ape regina: avvenuta la fecondazione, muore. Mai,
infatti, nemmeno quando il contratto nazionale di categoria era l’unica e
più attiva fonte di produzione di regole del lavoro dipendente, gli
interrogativi suscitati dal suo precario e rabberciato impianto normativo
sono stati oggetto dell’ossessiva attenzione che le parti sociali dedicano
al contratto aziendale d’inizio millennio. Sgradevole quanto fondato,
pertanto, è il sospetto che, se la Confindustria (come, peraltro, la coppia
Cisl-Uil) non fosse stata pressata dall’esigenza di attribuire ai contratti
aziendali conclusi dalle RSA un’efficacia ultra partes, non sarebbe stato
sancito l’obbligo degli agenti contrattuali a livello nazionale di rifarsi
il maquillage in senso virtuosamente democraticistico. Anzi, unitamente alla
previsione del test della validazione consensuale dei contrati aziendali
stipulati dalle RSA, la verificabilità preventiva della rappresentatività è
la misura compensativa di maggior spessore ottenuta dalla Cgil in cambio del
suo avallo alla svolta della contrattazione collettiva in chiave
aziendalistica.
Al di là di questo aspetto, il dubbio più inquietante è che con l’intesa sia
stato siglato l’ennesimo armistizio di una guerra cominciata per inutile
necessità tanto tempo fa. L’ossimoro – che piacerebbe all’inventore del
teatro dell’assurdo – rimanda alla stagione in cui lo stesso sindacato si
batteva per de-costituzionalizzare l’intero diritto sindacale ed esprime l’idea
che, adesso, anche lui dovrebbe rendersi conto di avere partecipato ad una
guerra destinata a chiudersi senza vinti né vincitori. Il fatto è che,
sbagliando nel momento giusto, aveva ragione ad avere torto ed erano gli
altri ad avere torto, perché avevano ragione nel momento sbagliato.
A lasciarli fare, i nostalgici dello Stato che ci aveva preso gusto a
comportarsi da padre-padrone del sindacato avrebbero cercato in tutti i modi
di riprodurre l’eguale nel diseguale; mentre proprio un movimento
sindacale – che aveva ritardi storici da colmare quanto ad esperienza di
libertà – aveva uno straordinario bisogno della chance di costruirsi la sua,
imparando la grammatica e la sintassi del diritto generato dai gruppi in un
regime di autoregolazione sociale il più lontano possibile dal diritto
pubblico: gli schemi regolativi prefabbricati glielo avrebbero impedito e lo
avrebbero soffocato in fretta.
In un soprassalto di autocritica, però, il sindacato e noi con lui dovremmo
riconoscere che l’errore del passato – ma, ripeto, fu una culpa felix – è
stato quello di avere alimentato la vulgata immunitaria che nasconde, anche
se solamente a se stessa, che il sindacato è un’associazione privata
originata da un contratto liberamente stipulato e, ciononostante, incline ad
omologarsi alle istituzioni in bilico tra pubblico e privato, ma più
sbilanciate verso il pubblico che verso il privato.
Infatti, la sindrome universalista che ne fa un soggetto proclive a
contrattare con efficacia generale e a sollecitare la partecipazione agli
scioperi anche dei non-iscritti ha resistito. Ma la cosa non stupisce. “La
bipolarità del sindacato come libero soggetto di autotutela in una sfera di
diritto privato e, al tempo stesso, come soggetto di una funzione pubblica è
presente nella stessa Costituzione”. Parola di padre costituente: si
chiamava Vittorio Foa.
Quindi, se l’Assemblea deliberò che il potere contrattuale collettivo è
proporzionato alla consistenza associativa del sindacato che lo esercita
(art. 39) è solo perché sapeva che bisognava marcare una netta cesura con l’esperienza
corporativa ove il sindacato era un terminale della burocrazia statale. Per
questo, giudicò opportuno enfatizzare quella che Max Weber definirebbe l’etica
del consenso. Senza però l’intenzione di sacralizzarne l’esclusività. Anzi,
un indicatore di natura elettiva capace di misurare l’ampiezza del consenso
sociale oltre la sfera della rappresentanza associativa è il più aderente
alla valenza istituzionale di un sindacato inclusivo come il nostro ed il
più compatibile con i fondamenti di una democrazia. Come testimonia l’esperienza
di diritto comparato, è un’ulteriore verifica che, sommandosi alla prima,
irrobustisce la legittimazione del potere collettivo nella misura in cui
permette di coniugare l’etica del consenso con l’etica (direbbe ancora Max
Weber) della responsabilità politica.
La sindrome universalista del sindacato non appartiene soltanto all’ideologia
o alla retorica. Se lo statuto dei lavoratori la sponsorizzò con l’art. 19
che voltava le spalle al sindacato “degli iscritti”, la legislazione della
seconda metà degli anni ’90 – rimasta immodificata sul punto e anzi
riciclata proprio dall’intesa che sto commentando – se ne è servita per
disegnare l’identikit del sindacato “dei lavoratori”.
In proposito, è d’obbligo sottolineare che Massimo D’Antona considerava la
legge che ha contrattualizzato in chiave privatistica la disciplina del
pubblico impiego a stregua di un test aperto ad esiti atti a promuovere un
generale effetto-imitazione: un laboratorio ove si sarebbe sperimentata la
fattibilità di un più vasto programma di politica del diritto tendente a
favorire la guarigione della democrazia sindacale dal male oscuro taciuto
dal non-detto dello Statuto dei lavoratori che aveva dato scacco matto a
generazioni di operatori giuridici e sindacali, perché nessuno poteva
rispondere alle più elementari domande: del tipo “chi rappresenta chi”,
come si ottiene la legittimazione a firmare contratti collettivi e quale
efficacia giuridica essi abbiano realmente. La prospettiva dell’interazione
possibile tra pubblico e privato – dove il pubblico fa da apri-pista e il
privato segue – è delineata nelle parole conclusive del saggio di Massimo
che era ancora in bozze quando l’autore fu ucciso dalle Br: “Il nocciolo
duro dell’art. 39 trova nella riforma della contrattazione collettiva nelle
pubbliche amministrazioni il passaggio verso una nuova stagione della
legislazione sindacale post-Costituzionale”.
Orbene, se quella è stata la manifestazione più significativa della
persistente attualità della sindrome universalista del sindacato, a distanza
di alcuni lustri l’incipit dell’intesa del 28 giugno ne costituisce una
ulteriore e non secondaria riprova. Riconfermare che “il contratto
collettivo nazionale ha la funzione di garantire la certezza dei trattamenti
economici e normativi per tutti i lavoratori del settore ovunque impiegati
nel territorio nazionale” (punto 2) ha un significato forte. In una
situazione caratterizzata da opzioni largamente favorevoli alla
contrattazione aziendale, vuol dire riaffermare l’esistenza di una gerarchia
dei livelli negoziali, per cui “la contrattazione collettiva aziendale si
esercita per le materie delegate, in tutto o in parte, dal contratto
collettivo di categoria” (punto 3). Sicuramente, è proprio per rafforzare l’autorevolezza
del livello superiore nella sua pretesa di governare l’insieme delle
politiche contrattuali che il punto 1 obbliga i relativi agenti contrattuali
a certificare la propria rappresentatività in base a regole mutuate dalla
legislazione vigente da alcuni lustri nell’area del pubblico impiego e
predetermina la soglia al di sotto della quale non si acquista la
legittimazione a negoziare.
Però, la trasposizione in sede pattizia del modello legislativo di
riferimento è parziale. Non si dice come il contratto potrà essere
stipulato. Non viene presa in considerazione nemmeno l’eventualità che possa
ripetersi l’esperienza della contrattazione separata a livello nazionale che
aveva affaticato la fase più recente dei rapporti sindacali; e l’omissione
equivale alla scelta di non escluderla. In sostanza, tutto resta come prima.
Dunque, il discorso sulla contrattazione nazionale si spezza bruscamente,
come un coitus interruptus sul più bello, e si passa ad altro. Il cuore dell’intesa,
infatti, è la soluzione del problema dell’efficacia vincolante del contratto
aziendale nei confronti di coloro che non sono sindacalmente organizzati o
appartengono a sindacati non-firmatari. E’ il ritorno del tormentone
esorcizzato, ma non rimosso, dell’estensione dell’efficacia oltre il
perimetro tracciato dal diritto comune dei contratti tra privati, per il
quale il contratto ha forza di legge solamente tra le parti.
Il problema, come ho già detto, è risolto prevedendo due forme di contratti
aziendali: distinte per soggetti ed effetti prodotti. Per soggetti, perché
agenti contrattuali possono essere tanto le RSU quanto le RSA. Per effetti,
perché l’efficacia vincolante per tutto il personale del contratto firmato
dalla RSU si produce col funzionamento di un semplice automatismo, mentre il
contratto firmato dalla RSA è esposto al rischio della destabilizzazione in
seguito ad un vaglio referendario a richiesta dei dissenzienti.
Vista la percezione negativa che si è guadagnata negli ambienti sindacali la
prassi della validazione per via referendaria dei contratti collettivi, si
potrebbe congetturare che il contratto firmato dalla RSU sia il più
desiderabile. Tuttavia, l’intero castello non può reggere per deficit di
base legale, perché condivide l’insostenibile leggerezza dell’autoreferenzialità
di soggetti che si ritengono blindati dentro un ordinamento domestico sulla
soglia del quale anche lo Stato deve arrestarsi, con le sue leggi e i suoi
giudici, attribuendo una portata paralegislativa al loro bricolage
negoziale.
Il passaggio dalla RSA statutarie alle RSU non è stato legificato e le RSU
sono tuttora ciò che sono sempre state: figli sbandati di genitori sbadati,
nati da accordi che hanno un’efficacia limitata a quanti volontariamente vi
aderiscono. Ancora una volta, insomma, gli attori del sistema
giuridico-sindacale si sono esercitati – e stavolta con più arditezza del
solito – nel gioco del labirinto noto alla tradizione dell’enigmistica. Esso
consiste nell’indovinare un percorso la cui meta è la scoperta d’una entità
contraddittoria, come può esserlo un’organizzazione della società civile
che, senza rinunciare alle sue radici extra-legali, aspira ad impadronirsi
dell’autorità che è propria delle istituzioni riconducibili ai paradigmi
categorizzati dal diritto dello Stato. Il labirinto, come si sa, ha molti
falsi ingressi. Se ne sceglie uno a piacere, si fa un giretto e ci si
ritrova subito fuori. E’ successo anche il 28 giugno. E non poteva non
succedere perché l’efficacia estesa ai terzi è un predicato sconosciuto al
diritto dei contratti. Per questo, malgrado l’impressionante numero di
chiodi che sigillano la bara in cui è stato deposto e giace, l’art. 39
somiglia ad una stella morta da cui continua ad arrivare la luce,
testimoniando con ciò che la sua inattuazione non gli impedisce di
conservare attualità.
Poiché questo è il nodo irrisolto del diritto sindacale nel
dopo-Costituzione, è presumibile che gli attori collettivi continueranno ad
aggirarsi nel loro labirinto. E lo faranno non solo perché amano galleggiare
nel limbo strategico che riescono a mascherare solamente coi cerotti dell’unità
d’azione tra sindacati disposti a sottoporsi ad una cura omeopatica che li
fa apparire omogenei e quasi eguali, ma anche perché – in presenza di una
maggioranza parlamentare che ha certificato all’unanimità che Ruby è nipote
di Mubarak – è opportuno che l’art. 39 resti dove la storia lo ha finora
condannato a stare. Come dire che la sua persistente attualità non equivale
(ancora) alla sua attuabilità.
Ad ogni modo, l’intesa del 28 giugno non è soltanto quel che a prima vista
sembrerebbe: il remake di un film proiettato in più occasioni sullo schermo
delle relazioni sindacali in Italia. La dinamica del negoziato è stata
pesantemente influenzata da due illustri convitati di pietra: la Fiom e la
Fiat. La loro presenza ha disseppellito e reso visibile un elemento
costitutivo della contrattazione collettiva. Non c’è infatti contratto
collettivo che non sia espressione della logica autodifensiva dei contraenti
che ragionano da soggetti organizzati che vogliono durare e rafforzarsi
proprio tramite l’azione contrattuale. Come il padrone non si siede al
tavolo contrattuale coi sindacati per trattare la propria estinzione, così i
sindacati partecipano alle trattative per riceverne la linfa necessaria per
mettersi in sicurezza come organizzazioni.
Stavolta, la Confindustria era tenuta a difendere l’integrità di una
membership insidiata dalla minaccia di secessione del suo associato
simbolicamente più significativo e la Cgil doveva uscire dall’isolamento in
cui, con la complicità di Cisl e Uil, era piombata in seguito all’emarginazione
dal circuito contrattuale e che il ribellismo della Fiom aveva aggravato,
aumentandone la risonanza mediatica.
Benché fosse sovra-rappresentata nella trattativa interconfederale di
giugno, la Fiat si è dichiarata insoddisfatta. In primo luogo, le è toccato
subire una clausola di tregua sindacale che lascia l’impresa in balia di
scioperi spontanei (punto 6). In secondo luogo, si attendeva la ratifica
“senza se e senza ma” degli accordi aziendali che hanno provocato un nutrito
contenzioso giudiziario tuttora in corso ed invece ha dovuto accontentarsi
di sentirsi dire che, se fossero stipulati adesso, sarebbero validi (punto
7).
Tuttavia, l’insoddisfazione della Fiom è, se possibile, superiore. Un po’
perché il punto 7 contiene il velato (ma mica tanto) rimprovero di non avere
ascoltato il consiglio inizialmente suggerito dalla Cgil di tapparsi gli
occhi davanti ad accordi del tipo “prendere o lasciare” e, pur di restare in
gioco, apporvi una “firma tecnica”, e un po’ perché teme che la possibilità
di praticare d’ora in avanti, e fin d’ora, una contrattazione aziendale in
deroga possa orientare la magistratura verso un permissivismo lontano
anni-luce dal clima di scontro che le vicende di Pomigliano e Mirafiori
avevano creato nel paese. Per giunta, il diritto a coinvolgere i diretti
interessati nei processi decisionali che preparano la sottoscrizione dei
contratti collettivi a livello nazionale non è stato sancito e chissà se lo
sarà. Vero è che l’istanza non è stata bocciata seccamente: l’intesa
Cgil-Cisl-Uil allegata all’intesa del 28 giugno ne rinvia l’esame a momenti
successivi che non promettono granché. L’istanza referendaria cui la Fiom
non può non assegnare una valenza identitaria – dal momento che è alloggiata
nel suo statuto interno – è in netta contro-tendenza. Il suo futuro è
incerto sia perché nel frattempo si è radicato l’aristocratico e
anacronistico convincimento che il sindacato sia un po’ mandatario e un po’
tutore e che il lavoratore non abbia la piena capacità d’agire, somigliando
piuttosto ad un minorenne col complesso di Peter Pan, sia perché oggi più
che mai è minoritaria l’idea che la politica non è solo comando, ma è anche
mettere la gente nelle condizioni di governarsi da sé. Senza dire poi del
timore di rovinosi impatti sulla carriera di dirigente sindacale che spiega
la riluttanza di quanti esercitano per professione il potere di decidere “in
nome e per conto” a interpellare governati arrabbiati o delusi e mettersi
così in discussione.
Nondimeno, la Fiom farebbe bene a chiedersi se non sia ragionevole dubitare
che il coinvolgimento della base abbia necessariamente una virtù salvifica.
Nei tempi bui di una crisi economica come quella che il paese sta
attraversando, la contrattazione – segnatamente a livello aziendale – è e
sarà tendenzialmente più ablativa che concessiva, generosa nel distribuire
sacrifici e avara nel procurare vantaggi. Pertanto, la verifica del consenso
ha e avrà un esito presumibilmente confermativo, nell’ampia misura in cui si
svolge nel clima ricattatorio che favorisce il reato di estorsione. Non a
caso, a Pomigliano e altrove il referendum tra i lavoratori è stato
fermamente voluto prima di tutto dalla Fiat. E questa è una testimonianza
molto persuasiva dell’esistenza di situazioni in cui, anziché espressione di
un libero confronto democratico, il referendum sui contratti collettivi si
converte nel sogno della sola democrazia possibile. Quella che ha parecchie
delle caratteristiche di una democrazia imposta con la violenza. Come in
Iraq o in Afganista
(22/07/2011)
UMBERTO ROMAGNOLI giurista
^
domenica 24 luglio 2011
la strage dei giovani socialisti
E' stato attaccato il Primo Ministro laburista della Norvegia e sono stati uccisi cento giovani socialisti, una ecatombe atroce di giovani vite spezzate per sempre. Sembra una punizione inflitta alla Norvegia per le sue scelte politiche. Sono convinto che l'assassino non abbia ideato e realizzato la strage da solo ma guidato da potenti forze che vogliono costringere la Norvegia ed i socialisti europei a fare altro.
è un militare professionista killer di una potente entità che ha voluto punire la Norvegia per le sue scelte politiche. Non a caso sono stati uccisi cento giovani socialisti ed è stata devastata la sede del primo ministro.Non è un fondamentalista cristiano e se lo è questa qualifica è una copertura per la sua natura di killer.Semmai il fondamentalismo è della entità statale che lo ha messo in movimento e che non risconosce altri fuori di se stessa
la fretta dell'assassino di definirsi è assai sospetta. E' depistaggio!!
. Ma non si tratta della punizione che un pazzo allucinato dalle sue convinzioni ha voluto infliggere. Non avrebbe mai avuto la capacità di organizzare da solo tutto. Tutta la vicenda deve essere chiarita ed a me l'assassino appare come il terminale di una complessa macchina di guerra e di morte. Spero che verrà alla luce tutto molto presto
la psichiatria e l'ideologia dei gruppi, gruppuscoli o partiti di destra non c'entrano niente. Per me si tratta di una spaventosa punizione inflitta alla Norvegia da una entità esterna (se preferite estera) di cui il killer è un esecutore militare preciso e spietato. Forse la Norvegia viene punita per le sue aperture verso i palestinesi, forse è un avvertimento a coloro che vogliono ritirarsi dalla mostruosa avventura libica di certo la matrice non è interna alla Norvegia. Intanto deve essere chiarito tutto a cominciare dai tempi tecnici impiegati per finire alla cattura. Se si fosse trattato di un folle alla fine si sarebbe ucciso. A quanto pare si è lasciato prendere senza resistere. Ora ci tratta tutti da imbecilli spiegandoci che è tutto conseguenza del suo fondamentalismo e che ha fatto tutto da solo
E' importante sapere che cosa ha fatto l'assassino nell'ultimo decennio di che cosa è vissuto quante volte è stato all'estero se i suoi documenti sono veri dove vive la sua famiglia quale scuola ha frequentato etc......
è un militare professionista killer di una potente entità che ha voluto punire la Norvegia per le sue scelte politiche. Non a caso sono stati uccisi cento giovani socialisti ed è stata devastata la sede del primo ministro.Non è un fondamentalista cristiano e se lo è questa qualifica è una copertura per la sua natura di killer.Semmai il fondamentalismo è della entità statale che lo ha messo in movimento e che non risconosce altri fuori di se stessa
la fretta dell'assassino di definirsi è assai sospetta. E' depistaggio!!
. Ma non si tratta della punizione che un pazzo allucinato dalle sue convinzioni ha voluto infliggere. Non avrebbe mai avuto la capacità di organizzare da solo tutto. Tutta la vicenda deve essere chiarita ed a me l'assassino appare come il terminale di una complessa macchina di guerra e di morte. Spero che verrà alla luce tutto molto presto
la psichiatria e l'ideologia dei gruppi, gruppuscoli o partiti di destra non c'entrano niente. Per me si tratta di una spaventosa punizione inflitta alla Norvegia da una entità esterna (se preferite estera) di cui il killer è un esecutore militare preciso e spietato. Forse la Norvegia viene punita per le sue aperture verso i palestinesi, forse è un avvertimento a coloro che vogliono ritirarsi dalla mostruosa avventura libica di certo la matrice non è interna alla Norvegia. Intanto deve essere chiarito tutto a cominciare dai tempi tecnici impiegati per finire alla cattura. Se si fosse trattato di un folle alla fine si sarebbe ucciso. A quanto pare si è lasciato prendere senza resistere. Ora ci tratta tutti da imbecilli spiegandoci che è tutto conseguenza del suo fondamentalismo e che ha fatto tutto da solo
E' importante sapere che cosa ha fatto l'assassino nell'ultimo decennio di che cosa è vissuto quante volte è stato all'estero se i suoi documenti sono veri dove vive la sua famiglia quale scuola ha frequentato etc......
martedì 19 luglio 2011
La mia attiva solidarietà al Professor Eros Barone
VareseNews / Lettere al direttore / La via giudiziaria al Lettere al direttore
La via giudiziaria al totalitarismo
Gian Marco Martignoni ripercorre la vicenda giudiziaria che vede il professor Eros Barone opposto alla Lega Nord e invita a tramutare la solidarietà verso il professore in una presenza militante alle prossime udienze
Caro Direttore,
nel primo numero della nuova serie della rivista Alfabeta, luglio- agosto 2010, Umberto Eco, segnalando come l’attacco agli intellettuali venga sempre da destra, così conclude il suo intervento d’apertura a questo fascicolo dedicato alla figura e alla funzione degli intellettuali: “ Ed è proprio nel momento in cui rinasce l’uso del termine intellettuale come insulto, e come designazione di chi vuol ficcare il naso in questioni che non dovrebbero riguardarlo, che bisogna rivendicare questo compito di vigilanza proprio dalle funzioni intellettuali, guarda caso, la cosa meno autoreferenziale che esista”.
Ringraziando Antonio Di Biase per aver opportunamente segnalato come caso nazionale il processo politico istruito in data 14.10 nei confronti di Eros Barone, si veda la sua lettera del 29.10 “ Solidarietà a Barone”, mi sembra utile richiamare alla memoria dove è andato a ficcare il naso il professore Eros Barone nel dicembre del 2006 .
Premesso che nel novembre 2006 a Binago veniva ucciso un giovane rom da un vigile comunale, il professor Barone, in relazione alla lettera “ La deriva filofascista della Lega” del 1° dicembre, intervenne in data 2.12 per criticare le aberranti e odiose dichiarazioni del neo segretario della Lega Nord Rizzi” con la lettera titolata “ Leghismo e fascismo”. Rizzi aveva parlato addirittura di “uno zingaro in meno”.
In seguito alla lettera di tal Vanessa Pratt “la Lega non è etichettabile” del 11.12 il professor Barone replicò con la lettera del 12 dicembre “ Piccoli Hitler”, che è l’oggetto della richiesta del risarcimento pari a 50.000 euro per danni morali.
Essendo intervenuto in quel dibattito in data 7.12 con la lettera “ Basta con questa destra barbarica”, ritengo che l’azione di carattere intimidatorio promossa nei confronti di Eros Barone si configuri come una plateale lesione dell’articolo 21 della Costituzione, che recita “tutti hanno diritto di manifestare liberamente il proprio pensiero con la parola, lo scritto e ogni altro mezzo di diffusione”.
Salvatore Lo Leggio nel blog segnalato da De Biase ha sviluppato un approfondito ragionamento a partire da altri casi verificatesi nella nostra provincia oltre a quello di Barone, tra i quali spicca la denuncia-querela da parte del Comune di Varese nei confronti di Michele Serra, che nella sua rubrica “Satira preventiva” sul settimanale “L’espresso” si è permesso di collegare la vicenda Malpensa con la Lega Nord e la città di Varese.
L’avvocato utilizzato dalla Lega Nord per le azioni legali (compreso il comune di Tradate per quanto concerne la vicenda del bonus bebè) si chiama Gianfranco Orelli: pertanto Salvatore Lo Leggio nel pezzo sopracitato è giunto alla pertinente e lapidaria considerazione che saremmo in presenza in terra varesina di una “via giudiziaria al totalitarismo”.
Totalitarismo leghista che aborre il diritto di critica, alla stessa stregua del “totalitarismo post-ideologico” berlusconiano, i cui caratteri sono stati ben tratteggiati dallo storico Antonio Gibelli nel pampleth “Berlusconi passato alla storia”, recentemente tradotto anche in Francia.
D’altronde, che la Lega Nord sia debole coi forti e forte coi deboli è dimostrato a iosa dai fatti, e certamente non sono gli strali plebei contro “Roma ladrona” a poter celare il populismo demagogico e reazionario di questa formazione politica, che è annoverata nell’estrema destra europea (si veda a tal proposito l’ottimo volume comparativo di Alain Bihr “L’avvenire di un passato”).
Infatti, in Francia il destrorso Sarkozy mai si sognerebbe di associare al governo il Front National di Le Pen, che è l’equivalente della Lega Nord in quel paese, poiché il sistema dei media ha comunque una sua obiettività, ed il rapporto tra le classi – si veda la sequenza impressionante degli scioperi contro la riforma delle pensioni, - non è così deteriorato come in Italia, a causa di una speciosa divisione sindacale operata da Cisl e Uil a danno della Cgil e soprattutto dell’unità del mondo del lavoro.
Diversamente nel nostro paese, segnato da una manipolazione televisiva senza eguali in Europa, la Lega Nord, pur essendo una formazione politica anti-nazionale, che utilizza il “federalismo” per mascherare il suo discorso secessionista, è funzionale ai disegni autoritari del presidente del consiglio Silvio Berlusconi. Al punto che da tempo gli storici più avveduti dibattono attorno al “modernismo reazionario” che contraddistinguerebbe la cosiddetta seconda repubblica, non disdegnando di comparare sul piano dell’analogia storica il berlusconismo con il fascismo.
Anche se sarà sempre troppo tardi quando in sede storica verrà tirato il bilancio dei danni morali e culturali, sociali e politici provocati dalle innumerevoli cene di Arcore del lunedì sera.
Pertanto, è per me un dovere e un onore l’essere stato chiamato a testimoniare in difesa dell’onestà intellettuale e della probità del professor Eros Barone, che oltre ad essere un amico fraterno, compagno di letture più o meno eretiche, è anche un compagno da sempre in prima linea nelle lotte sindacali di categoria e confederali promosse dalla Cgil.
Infine, credo che la solidarietà spontaneamente manifestatasi nella comunità dei lettori di Varesenews debba tramutarsi in una presenza militante nelle prossime udienze che si terranno presso il Tribunale di Varese, soprattutto da parte di chi “vuol ficcare il naso in questioni che non dovrebbero riguardarlo”.
La prima seduta in cui si potrà tangibilmente essere a fianco del professor Barone è stata calendarizzata per il 15 giugno del 2011.
Cordiali saluti
8/11/2010
Gian Marco Martignoni della Cgil di Vareseredazione@varesenews.it
La via giudiziaria al totalitarismo
Gian Marco Martignoni ripercorre la vicenda giudiziaria che vede il professor Eros Barone opposto alla Lega Nord e invita a tramutare la solidarietà verso il professore in una presenza militante alle prossime udienze
Caro Direttore,
nel primo numero della nuova serie della rivista Alfabeta, luglio- agosto 2010, Umberto Eco, segnalando come l’attacco agli intellettuali venga sempre da destra, così conclude il suo intervento d’apertura a questo fascicolo dedicato alla figura e alla funzione degli intellettuali: “ Ed è proprio nel momento in cui rinasce l’uso del termine intellettuale come insulto, e come designazione di chi vuol ficcare il naso in questioni che non dovrebbero riguardarlo, che bisogna rivendicare questo compito di vigilanza proprio dalle funzioni intellettuali, guarda caso, la cosa meno autoreferenziale che esista”.
Ringraziando Antonio Di Biase per aver opportunamente segnalato come caso nazionale il processo politico istruito in data 14.10 nei confronti di Eros Barone, si veda la sua lettera del 29.10 “ Solidarietà a Barone”, mi sembra utile richiamare alla memoria dove è andato a ficcare il naso il professore Eros Barone nel dicembre del 2006 .
Premesso che nel novembre 2006 a Binago veniva ucciso un giovane rom da un vigile comunale, il professor Barone, in relazione alla lettera “ La deriva filofascista della Lega” del 1° dicembre, intervenne in data 2.12 per criticare le aberranti e odiose dichiarazioni del neo segretario della Lega Nord Rizzi” con la lettera titolata “ Leghismo e fascismo”. Rizzi aveva parlato addirittura di “uno zingaro in meno”.
In seguito alla lettera di tal Vanessa Pratt “la Lega non è etichettabile” del 11.12 il professor Barone replicò con la lettera del 12 dicembre “ Piccoli Hitler”, che è l’oggetto della richiesta del risarcimento pari a 50.000 euro per danni morali.
Essendo intervenuto in quel dibattito in data 7.12 con la lettera “ Basta con questa destra barbarica”, ritengo che l’azione di carattere intimidatorio promossa nei confronti di Eros Barone si configuri come una plateale lesione dell’articolo 21 della Costituzione, che recita “tutti hanno diritto di manifestare liberamente il proprio pensiero con la parola, lo scritto e ogni altro mezzo di diffusione”.
Salvatore Lo Leggio nel blog segnalato da De Biase ha sviluppato un approfondito ragionamento a partire da altri casi verificatesi nella nostra provincia oltre a quello di Barone, tra i quali spicca la denuncia-querela da parte del Comune di Varese nei confronti di Michele Serra, che nella sua rubrica “Satira preventiva” sul settimanale “L’espresso” si è permesso di collegare la vicenda Malpensa con la Lega Nord e la città di Varese.
L’avvocato utilizzato dalla Lega Nord per le azioni legali (compreso il comune di Tradate per quanto concerne la vicenda del bonus bebè) si chiama Gianfranco Orelli: pertanto Salvatore Lo Leggio nel pezzo sopracitato è giunto alla pertinente e lapidaria considerazione che saremmo in presenza in terra varesina di una “via giudiziaria al totalitarismo”.
Totalitarismo leghista che aborre il diritto di critica, alla stessa stregua del “totalitarismo post-ideologico” berlusconiano, i cui caratteri sono stati ben tratteggiati dallo storico Antonio Gibelli nel pampleth “Berlusconi passato alla storia”, recentemente tradotto anche in Francia.
D’altronde, che la Lega Nord sia debole coi forti e forte coi deboli è dimostrato a iosa dai fatti, e certamente non sono gli strali plebei contro “Roma ladrona” a poter celare il populismo demagogico e reazionario di questa formazione politica, che è annoverata nell’estrema destra europea (si veda a tal proposito l’ottimo volume comparativo di Alain Bihr “L’avvenire di un passato”).
Infatti, in Francia il destrorso Sarkozy mai si sognerebbe di associare al governo il Front National di Le Pen, che è l’equivalente della Lega Nord in quel paese, poiché il sistema dei media ha comunque una sua obiettività, ed il rapporto tra le classi – si veda la sequenza impressionante degli scioperi contro la riforma delle pensioni, - non è così deteriorato come in Italia, a causa di una speciosa divisione sindacale operata da Cisl e Uil a danno della Cgil e soprattutto dell’unità del mondo del lavoro.
Diversamente nel nostro paese, segnato da una manipolazione televisiva senza eguali in Europa, la Lega Nord, pur essendo una formazione politica anti-nazionale, che utilizza il “federalismo” per mascherare il suo discorso secessionista, è funzionale ai disegni autoritari del presidente del consiglio Silvio Berlusconi. Al punto che da tempo gli storici più avveduti dibattono attorno al “modernismo reazionario” che contraddistinguerebbe la cosiddetta seconda repubblica, non disdegnando di comparare sul piano dell’analogia storica il berlusconismo con il fascismo.
Anche se sarà sempre troppo tardi quando in sede storica verrà tirato il bilancio dei danni morali e culturali, sociali e politici provocati dalle innumerevoli cene di Arcore del lunedì sera.
Pertanto, è per me un dovere e un onore l’essere stato chiamato a testimoniare in difesa dell’onestà intellettuale e della probità del professor Eros Barone, che oltre ad essere un amico fraterno, compagno di letture più o meno eretiche, è anche un compagno da sempre in prima linea nelle lotte sindacali di categoria e confederali promosse dalla Cgil.
Infine, credo che la solidarietà spontaneamente manifestatasi nella comunità dei lettori di Varesenews debba tramutarsi in una presenza militante nelle prossime udienze che si terranno presso il Tribunale di Varese, soprattutto da parte di chi “vuol ficcare il naso in questioni che non dovrebbero riguardarlo”.
La prima seduta in cui si potrà tangibilmente essere a fianco del professor Barone è stata calendarizzata per il 15 giugno del 2011.
Cordiali saluti
8/11/2010
Gian Marco Martignoni della Cgil di Vareseredazione@varesenews.it
lunedì 18 luglio 2011
la speculazione contro l'Italia non viene contestata!!!
E' straordinario ed avvilente il commento del Direttore di Repubblica sullo stato finanziario dell'Italia dopo la manovra. La speculazione contro l'Italia viene accettata come fatto "normale" sul quale non c'è niente di dire o da fare. Tutto fa brodo per fare una polemica provincialistica e cieca contro Berlusconi che sarebbe causa dell'attacco all'Italia per la sua scarsa "credibilità". Una cosa ridicola e grottesca! La manovra è stata fatta dal Parlamento italiano!
Questo atteggiamento della grande stampa e della opposizione indebolisce l'Italia perchè legittima la speculazione e la incoraggia ad attaccare ancora l'Italia. Una speculazione che arricchisce WallStreet e che si serve del killeraggio delle agenzie di rating.
Essere contro il governo non significa usare anche quanto danneggia l'Italia ed il risparmio di milioni di piccoli investitori in titoli di stato.
Non una proposta è stata avanzata per salvare gli Stati sovrani dalla speculazione di gruppi potenti di speculatori privati. Bisognerebbe regolare i mercati e questo è possibile ma non se ne parla neppure.
L'attacco di Mauro è maramaldesco.
Pietro Ancona
Questo atteggiamento della grande stampa e della opposizione indebolisce l'Italia perchè legittima la speculazione e la incoraggia ad attaccare ancora l'Italia. Una speculazione che arricchisce WallStreet e che si serve del killeraggio delle agenzie di rating.
Essere contro il governo non significa usare anche quanto danneggia l'Italia ed il risparmio di milioni di piccoli investitori in titoli di stato.
Non una proposta è stata avanzata per salvare gli Stati sovrani dalla speculazione di gruppi potenti di speculatori privati. Bisognerebbe regolare i mercati e questo è possibile ma non se ne parla neppure.
L'attacco di Mauro è maramaldesco.
Pietro Ancona
la difesa dei diritti umani e la lotta contro l'imperialismo
La difesa dei diritti umani e la lotta contro l'imperialismo
pubblicata da Anita Silviano il giorno domenica 10 luglio 2011 alle ore 15.29
di Alejandro Teitelbaum (ARGENPRESS.info)
I. L'aggressione imperialista contro la Libia guidata dalla Francia, Gran Bretagna e Stati Uniti ha ancora una volta evidenziato la confusione dominante in gran parte della sinistra e nei "progressisti" di varie matrici, i cui pensieri e le opinioni sono modellate dal'l egemonia ideologica - culturale del capitalismo vestito per l'occasione di "dirittoumanismo".
Qualcosa di simile è successo con l'aggressione contro l'Iraq e la Jugoslavia: non si doveva condannarle perché significava sostenere dittatori come Saddam Hussein e Milosevic.
Non ci riferiamo qui al comportamento dei socialdemocratici che sostengono l'aggressione da parte del governo (attivamente la Spagna di Zapatero e la Grecia di Papandreou, dissanguate dal capitale finanziario transnazionale) o dell'opposizione, come nel caso del Partito Socialista francese.
Alcuni gruppi e partiti auto-proclamatesi di sinistra e anticapitalisti hanno accolto con favore la "primavera araba" in Libia e dopo sfumarono le loro analisi denunciando l'aggressione delle grandi potenze, scatenata con il pretesto di "proteggere i civili".
Altri gruppi e persone anch'essi auto-proclamatesi di "sinistra", molto pochi in questa fase degli avvenimenti dopo l'attacco diventato massicciamente impopolare anche negli Stati aggressori -mantengono il loro sostegno ai ribelli,ma denunciano anche nel nome dei diritti umani del popolo libico, l'aggressione imperialista.
E accettano come verità inconfutabili la versione dei fatti offerta dai grandi monopoli principali della dis-informazione.
Gheddafi sarebbe un pazzo che ha saccheggiato il suo paese ed ha depositato miliardi nelle banche estere. Quando le sue truppe erano alle porte di Bengasi il Consiglio di Sicurezz adecise di creare una fly zona sopra la Libia e immediatamente l'aviazione francese cominciò a bombardare le truppe di Gheddafi poste di fronte a Bengasi impedendo così il genocidio della sua popolazione, che sarebbe stato imminente secondo l'informazione dalle grandi potenze e dei monopoli dei media al loro servizio, sempre degna di fede per questi dirittoumanisti con i paraocchi.
I ribelli, dal canto loro sarebbero combattenti per i diritti umani, assettati di libertà e democrazia e non un conglomerato eterogeneo che include nella sua cupola di ex alti funzionari del regime di Gheddafi, responsabili di gravi violazioni dei diritti umani.
II. La Libia è un paese quasi completamente desertico fatta eccezione per una stretta striscia di costa (1770 km di costa), dove vi sono i principali centri abitati del paese.
Ha 6.500.000 abitanti (un milione alla fine della seconda guerra mondiale, la maggior parte nomade) e una superficie di 175000 mila chilometri quadrati. Attualmente Tripoli ha circa due milioni di abitanti, un milione Bengasi, Misurata 480.000 eTobruk 200.000.
Ha giacimenti petroliferi di ottima qualità che costituisce la fonte quasi esclusiva delle risorse e si suppone abbia grandi riserve non ancora rilevate e sfruttate.
L'altra sua ricchezza naturale è l'acqua. Sotto una superfice secca e quasi desertica, nella maggior parte del territorio, vi è una enorme riserva di acqua fossile potabile stimata in 150 mila km cubici chiamata Falda acquifera di Nubia che copre circa 2 milioni di chilometri quadrati e comprende una parte del Ciad, Egitto, Libia e Sudan.
Nel 1983, la Libia ha iniziato in un progetto di irrigazione, conosciuto come il Grande fiume Artificiale per potere utilizzare tali riserve sotterranee per portare più di cinque milioni di metri cubi di acqua al giorno nelle città costiere. Attualmente, il Grande Fiume fornisce acqua potabile e per l'irrigazione al 70 per cento della popolazione, portando l'acqua dal sud verso le zone costiere del nord,alle città costiere di Tripoli, Tobruk, Sirte, Bengasi ed altre. Con un costo stimato di 30.000 milioni di dollari finanziato dalla vendita del petrolio, la rete del Grande Fiume Artificiale,con quasi 5.000 chilometri di tubi e più di 1.300 pozzi scavati a 500 metri di profondità e stazioni di pompaggio nel deserto del Sahara mira anche ad aumentare la quantità di terra coltivabile. Inoltre, l'acqua è molto economica: 35 centesimi (di dollari) al m3.
Appropriarsi di questo enorme serbatoio di acqua potabile è anche l'intenzione delle potenze imperialiste, mandatarie delle multinazionali come l'ex Lyonnaise des Eaux (gruppo Suez) e altre, che hanno il controllo della maggior parte delle risorse idriche in tutto il mondo .
Se lo scopo di Gheddafi fosse stato quello di annientare la popolazionedi Bengasi, bastava che ricorresse al semplice espediente di tagliare la fornitura d'acqua alla città.
Dal 1990 il Programma delle Nazioni Unite per lo Sviluppo (UNDP) pubblica un indice di sviluppo umano dei paesi del mondo sulla base di vari parametri fornendo una classifica sulla qualità della vita delle persone, tra l'educazione, l'aspettativa di vita, salute e reddito,tenedo conto di questi parametri in base al sesso.
Ignora i cosiddetti indici della libertà umana. L' indice del 2010 comprende 169 paesi e la Libia è classificato 53esimo con un indice di 75 (in aumento rispetto agli anni precedenti) su una scala con un massimo teorico di 100. La Norvegia è al primo posto con un indice di 93. La Libia ha l'indice più alto dell'Africa, seguita da vicino dalla Algeria, Mauricio e Tunisia e in America Latina, seconda solo al Cile (78,3), Argentina (77,5) e Uruguay (76,5) rispettivamente al 45esimo, 46 e 52esimo posto. Messico e Cuba sono all'incirca allo stesso livello della Libia.
Quindi, la Libia è un paese di medio sviluppo umano, ottenuto grazie ad un buon uso dei suoi proventi petroliferi, ma con un grave deficit in termini di diritti civili e politici, stimato oggettivamente, e soprattutto secondo i criteri di valutazione dei paesi occidentali "civilizzati".
III. Dopo la "riconciliazione" di Gheddafi con l'Occidente, le gravi carenze della Libia nel campo dei diritti civili e politici non hanno preoccupato le grandi potenze che ricevettero in pompa magna il leader libico, desiderosi di fare buoni affari, soprattutto per ottenere concessioni petrolifere la vendita di armi e l'offerta da parte della Francia della costruzione di una centrale nucleare.
Si realizzarono così diverse concessioni petrolifere e importanti vendite di armi.
Nel solo 2009 la Gran Bretagna, Francia e Italia hanno venduto armi alla Libia rispettivamente per 25, 30 e 111 milioni di euro. Nello stesso anno, Malta figura nella lista dei venditori della Libia per 80 milioni di euro. Malta non ha nessuna industria delle armi ed è ovviamente solo un paese di transito. Da parte sua la Francia ha cercato di vendere alla Libia aerei Rafale prodotto da Dassault. Gli stessi utilizzati adesso per bombardare la Libia.
Ma essendo Gheddafi un individuo imprevedibile, a quanto pare, cominciò a progettare la revisione delle concessioni petrolifere e a promuovere l'idea dell' autonomia finanziaria dell'Africa dalle valute delle grandi potenze.
Inoltre, le riserve di petrolio e le falde acquifere in Libia sono un bottino che stimola l'appetito degli aggressori.Alle quali bisogna aggiungere i depositi dello Stato libico in banche estere e le 144 tonnellate di oro (circa 4.600 milioni di euro ) depositate nelle banche libiche.
Così la "primavera" libica (organizzata - per alcuni, dai servizi francesi e, probabilmente, in parte spontaneamente) era una buona occasione per stabilire in Libia di un governo "democratico" cioè a dire,completamente sottomesso all'avidità occidentale.
Ma la ribellione non si è diffusa a macchia d'olio, come speravano gli alfieri dei diritti umani e ha dovuto usare la foglia di fico di una risoluzione del Consiglio di Sicurezza di intervenire militarmente a favore dei ribelli.
L'intervento può portare, se non si fa sentire di più l'impopolarità nei paesi aggressori, se non si accentuano i disaccordi in seno alla NATO e gli aggressori riescono a raccogliere le forze necessarie, in una invasione terrestre. Cosa che comporterà l'attuazione del caos in Libia per molti anni, come in Iraq e in Afghanistan e il fare della regione una polveriera a causa della disseminazione delle armi,come ha avvertito qualche giorno fa il presidente del Niger, Mahamadou Issoufou.
IV. Più di quattro mesi di bombardamenti aerei (e ora anche navali) ininterrotti è una forma terrorismo internazionale di Stato rivolto a minare il morale del nemico, in particolare della popolazione civile L'Italia lo impiegò in Etiopia nel 1935-36, il Giappone in Cina nel 1937-39, Germania e Italia durante la guerra civile spagnola (Madrid 1936, Guernica, 1937), la Germania nazista e gli Alleati durante la seconda guerra mondiale (Varsavia, Rotterdam, Londra, Dresda, Hiroshima, Nagasaki, ecc) .. Stati Uniti l' hanno ampiamente utilizzato in Vietnam, Panama, Iraq, Jugoslavia, Afghanistan e nuovamente in Iraq.
Centinaia di migliaia di lavoratori stranieri (provenienti da altri paesi dell' Africa e Asia) sono stati cacciati dalla Libia, rimanendo senza lavoro e senza stipendio, mediante i quali contribuivano al mantenimento delle loro famiglie nei paesi d'origine. L'economia della Libia è quasi paralizzata e le vittime civili dei "bombardamenti umanitari" sono tanti da entrambe le parti.
La costruzione di un nuovo quartiere di Tripoli di 25.000 case è crollato a causa dell'aggressione.
Impossibile conciliare questi fatti con il presunto"dirittoumanismo" di coloro che vogliono liberare la Libia da Gheddafi da una postazione di Internet o dal caffè di Parigi o un'altra capitale europea.
L'imminente genocidio della popolazione di Bengasi, che aveva lo scopo di giustificare l'inizio dei bombardamenti (in realtà l'aviazione anglo-francese è diventata parte di una guerra civile) è un argomento simile alle "armi di distruzione di massa "in possesso di Saddam Hussein per giustificare l'aggressione contro l'Iraq.
La Royal Air Force non è alla sua prima esercitazione in materia. Nell' ottobre del 1944, dopo la ritirata tedesca dalla Grecia, i comunisti greci e dei loro alleati (ELAS), la forza più importante della resistenza contro l'occupazione nazista,controllavano Atene e potevano formare un governo. Il primo ministro britannico Churchill ordinò lo sbarco delle truppe britanniche in Grecia e il bombardamento attuato dalla RAF dei quartieri popolari di Atene per impedire l'accesso dei comunisti al potere. Il risultato fu che in Grecia fu restaurata la monarchia e si formò un governo di centro destra.
Nel luglio del 1956, il presidente egiziano Gamal Abdel Nasser nazionalizzò il Canale di Suez. Nel mese di ottobre dello stesso anno la Gran Bretagna (governo conservatore di Anthony Eden) Francia (governo socialista di Guy Mollet) e Israele ( governo di Ben Gurion ) attaccarono militarmente l'Egitto al fine di appropriarsi del Canale di Suez, ma senza l'appoggio degli Stati Uniti Uniti fallirono il tentativo.
V. I fatti sono questi. Ma i teorici della "sinistra" quelli dell'appoggio ai diritti umani delle grandi potenze sostengono che i fatti confermano i loro punti di vista. E quelli che chiudono gli occhi alla realtà, sono gli altri (" sinistra anacronistica legata a vecchi cliché"): "Non si va contro la realtà, altrimenti la realtà diventa un incubo fastidioso ed è meglio ignorarla" (Abel Samir, la verità è che è stato il petrolio, a spingere Obama alla guerra contro Gheddafi?, Argenpress, 23 giugno).
Samir in un articolo pubblicato in Argenpress il 13 giugno ha scritto:
"... E questi di sinistra sono diventati una costellazione di individui, partiti, organizzazioni, giornali, siti web, che sono rimasti bloccati in slogan, luoghi comuni e grandiose affermazioni contro l'impero americano e i suoi alleati, a prescindere che questo impero a volte agisce in difesa dei diritti umani, ma non dalla ideologia, ma da altri interessi, come il dominio geopolitico in una zona del mondo o la difesa della propria posizione dominante in una determinta regione"
Per arrivare a questa conclusione Samir, oltre a mettere in atto, come fa, l'invalidità dell'analisi leninista dell'imperialismo nel ventunesimo secolo, avrebbe dovuto dimostrare che l'impero attua in alcuni casi la difesa dei diritti umani. Non può farlo. Invece, è facile dimostrare che l'imperialismo statunitense o altri, agisce sempre contro i diritti umani, sia tramando contro e /o governi progressisti o appoggiando dittature quando fanno comodo ai loro interessi.
Lo dice egli stesso: gli Stati Uniti non ha amici, hanno interessi.
Alcuni esempi di interventi imperialisti:
Intervento della Central Intelligence Agency (CIA) nel 1953 del colpo di stato in Iran contro il governo del Dr. Mossadegh aveva nazionalizzato il petrolio; l'invasione del Guatemala nel 1954 da una forza armata promossa e finanziata dalla CIA e dalla United Fruit; invasione di Santo Domingo nel 1965; colpo di stato in Cile nel 1973; l'invasione di Granada nel 1983; invasione di Panama nel 1989; l'espulsione di Aristide da Haiti nel 2004 mediante un'azione congiunta degli Stati Uniti e Francia.
In Africa, al momento della decolonizzazione emersero leader come Patrice Lumumba, Kwame Nkrumah, Amilcar Cabral e Jomo Kenyatta, che lottarono per un percorso autonomo per il loro popolo, contrari agli interessi delle ex metropoli e delle loro imprese. Essi furono abbattuti o uccisi, come Lumumba e Cabral, e sostituiti da leader dittatoriale, corrotti e fedeli alle grandi potenze neocoloniali.
L'aggressore imperialista e saccheggiatore è l'attuale fase che caratterizza il capitalismo nel suo complesso (quello che alcuni chiamano globalizzazione) e i suoi sostenitori lo difendono con unghie e coi denti, non importadogli nulla dei diritti umani del proprio popolo e meno che mai dei diritti umani altri popoli.
Samir si dedica nel suo articolo del 23 giugno a "interpretare la struttura economica e politica nella quale operano gli USA" ... "La classe dirigente dell'impero si concentra soprattutto in due parti: democratici e repubblicani. Questi ultimi rappresentano gli interessi più reazionari di questo grande paese. Tra le loro fila ci sono i proprietari delle grandi compagnie petrolifere americane, i rappresentanti politici di questi capitalisti o dei consorzi finanziari trasformati in società multinazionali e transnazionali. Soprattutto le grandi compagnie petrolifere. Pertanto, se il possesso della ricchezza petrolifera della Libia sarebbe stata la motivazione principale del coinvolgimento degli Stati Uniti nella guerra civile della Libia, a fianco dei ribelli, il partito repubblicano sarebbe, come è logico, il più interessato a che gli Stati Uniti che siano coinvolti nella guerra e vincerla il più possibile "...
E' sicuro che il ruolo del capitale industriale è stato notevolmente rafforzato durante l'amministrazione Bush, soprattutto quello delle industrie petrolifere e degli armamenti. Nell'amministrazione Bush erano fortemente rappresentati entrambi i settori.
Con Obama ha riguadagnato primato il capitale finanziario, ma questo non significa dire che ci siano interessi o strategie contrastanti tra repubblicani e democratici, come non c'è contraddizione fondamentale tra capitale industriale e capitale finanziario, dal momento che la loro fusione caratterizza la fase imperialista del capitalismo e la nascita di multinazionali, come sottolineato da Hilferding nel 1910 ( Il capitale finanziario) e da Lenin nel 1916 (L'imperialismo fase suprema del capitalismo). Non dimentichiamo che con Obama il bilancio militare degli Stati Uniti continuò e continua ad aumentare.
Quindi non ha senso alcuno sostenere che i repubblicani sono falchi reazionari rappresentanti politici dei capitalisti e delle società transnazionali e i Democratici le colombe difensori dei diritti umani. Ricordiamo che l'invasione della Baia dei Porci ha avuto luogo durante l'amministrazione democratica di Kennedy e che Clinton,un democratico, governava questo "grande paese", come lo chiama Samir, quando gli Stati Uniti hanno promosso il colpo di stato ad Haiti nel 1991, scatenato la guerra contro la Jugoslavia (Madeleine Albright, rappresentante di Clinton, è stato colei che ha causato il fallimento dei negoziati di Rambouillet tra la Jugoslavia e l'Unione europea) e intrapreso la guerra del Golfo.
Così il democratico Obama ha cambiato il modo ma non la sostanza di tali operazioni. Il golpe in Honduras nel giugno 2009 è stato criticato dal governo degli Stati Uniti, che ha appoggiato le decisioni delle organizzazioni internazionali (ONU e OAS) esigendo il reintegro del presidente deposto. Ma è innegabile che senza la luce verde degli Stati Uniti,il colpo di Stato non si sarebbe potuto attuare, perché questo paese ha il controllo delle forze armate dell'Honduras attraverso la sua base di Soto Cano essenziale per la geopolitica subregionale degli Stati Uniti. Da lì ha fornito supporto logistico ai "contras" in Nicaragua durante il governo sandinista.
Samir sostiene che l'opposizione di una maggioranza di repubblicani e democratici nel Congresso per continuare la guerra contro la Libia si deve al fatto che credono che non ci siano interessi americani in gioco in Libia (ma solo scopi umanitari). Samir dimentica due cose: la prima è che si avvicinano le elezioni negli Stati Uniti e i congressisti dovranno presentarsi agli elettori e rendere conto anche di questa guerra impopolare, nonostante la bassa affluenza yankee. La seconda è che l'America è sull'orlo del fallimento con un debito di 15 miliardi di dollari.
È per questo che Obama, dopo aver lanciato un centinaio di missili Tomahawk sulla Libia, a quanto pare con uranio impoverito, ha lasciato il maggiore carico dell'aggressione al suo alleato Cameron e al suo barboncino Sarkozy, "l'americano", che ha fatto il calcolo sbagliato di "guerra lampo" contro Gheddafi per ri-salire nei sondaggi in vista delle prossime elezioni.
Samir scrive ... "Poi ci sono quelli che dicono perché gli Stati Uniti e la NATO non si coinvolgono anche in Arabia Saudita, Yemen, Siria e altrove. Da quando gli USA e NATO sono fino alle orecchie nel pantano dell'Iraq e dell'Afghanistan non sono in grado, oltre di partecipare in Libia, affondando in un altro pantano. "
Samir ha ragione in parte:gli imperialisti sono- grazie a Dio- impantanati.
Ma se non intervengono a Bahrain,Yemen e Arabia Saudita è perché si tratta di dittature amiche. A Bahrain ha sede la quinta flotta della Marina yankee. L'Arabia Saudita, la migliore amica di lunga data degli Stati Uniti ha inviato truppe a Bahrain a marzo per porre fine alle manifestazioni della maggioranza sciita.
Samir afferma: " Gli scontri armati tra le potenze enunciati da Lenin non si verificheranno più e si cerca l'integrazione degli Stati in grandi entità di paesi interagenti per il modello delle loro economia e, naturalmente, politicamente uniti, come l'Unione europea. Gli USA non sono interessati oggi a qualcosa di diverso dal mantenere la sua supremazia al fine di dominare la politica mondiale e ottenere così, anche, uno sviluppo e progresso tecnologico ed economico di punta. Il confronto armato sarebbe quindi fuori luogo. Così oggi possiamo vedere che ci sono attualmente quattro grandi formazioni degli Stati nell'area politica ed economica, ma in ogni caso non solo si rispettano a vicenda, ma anche partecipano in un modo o nell'altro ai vantaggi del sistema capitalista ".
Le grandi potenze competiranno rispettosamente con le altre per mantenere la loro supremazia e uno "sviluppo e il progresso tecnologico ed economico di punta" partecipando tutte "ai vantaggi del sistema capitalista."
Indubbiamente il capitalismo ha i suoi vantaggi ... per coloro che stanno ai vertici della piramide sociale.
Samir non si è informato che dalla fine della Seconda Guerra Mondiale sono stati uccisi circa 30 milioni di persone nei conflitti armati, sia in guerre coloniali intraprese direttamente dalle grandi potenze o in dispute inter-imperialiste per il controllo delle risorse naturali nei paesi poveri, combattute sotto forma di guerre locali. Secondo la rivista medica britannica The Lancet nel gennaio 2006, solo nella Repubblica democratica del Congo, dieci anni di guerra civile ha provocato la morte di 3,5 /4,5 milioni di persone. Il Congo ha la sfortuna di avere un sottosuolo enormemente ricco di minerali strategici. In Ruanda, il responsabili del genocidio di 800.000 persone sono stati protetti nella loro ritirata dall'esercito francese (Operazione Turchese). Un gruppo di ricercatori della Brown University ha appena pubblicato una valutazione dei costi finanziari e umani delle guerre condotte dagli Stati Uniti dal 2001 in Iraq, Afghanistan e Pakistan. Calcolano il numero dei morti in azioni militari in 225.000, gli sfollati in circa 8 milioni e il costo finanziario in poco più di due miliardi di dollari (vedi http://costsofwar.org/).
Samir aggiunge: "Coloro che vedono la guerra come un modo di fare buoni affari non sanno di cosa stanno parlando."
Contrariamente a quanto Samir afferma la guerra è una scelta ricorrente del capitale monopolista in tempi di crisi economica, perché è un modo per rilanciare la produzione industriale senza la necessità di stimolare la domanda ( lo Stato acquista la produzione di armi con i soldi dei contribuenti senza consultarli e il popolo eletto nemico "consuma" sicuramente ed inconsapevolmente le le bombe sganciate sulla sua testa). E dopo la guerra i maggiori monopoli dell'industria civile si accaparrano dell'attività di ricostruzione e degli "aiuti umanitari".
Nel suo libro "Capitalismo, Socialismo e Democrazia" (1942), l'economista Joseph Schumpeter sosteneva che "il capitalismo è per sua natura una forma o un metodo di cambiamento economico" per sostituire il vecchio con il nuovo, ciò che egli chiama "distruzione creativa "(nuovi consumatori, nuovi prodotti, nuovi metodi di produzione o trasporto, nuovi mercati, nuove forme di organizzazione industriale, ecc) .. La guerra sarebbe stata la forma più drastica di "distruzione creativa" inerente al capitalismo
Inoltre, l'industria delle armi è sempre interessata a collocare la sua produzione,testare i suoi nuovi prodotti in condizioni reali (la Guerra del Golfo, Jugoslavia, l'aggressione in Afghanistan,in Iraq, assalto a Gaza, Libia, ecc.) espandere i suoi mercati, ad esempio attraverso l'incorporazione di nuovi paesi alla NATO: il presidente del "Comitato americano per l'allargamento della NATO" è il vice presidente della Lockheed Martin, una società che è al secondo posto tra i maggiori fabbricanti e trafficanti di armi nel mondo.
Secondo la Relazione annuale 2010 della Stockholm International Peace Research Institute (SIPRI) nel 2009, le spese militari mondiali ammontavano a 1.000 miliardi e 531milioni di dollari, il per cento in più rispetto al 2008 e il 49 per cento in più rispetto al 2000 . Le spese militari nel 2009 rappresentavano il 2,7% del PIL mondiale di quell'anno.
Sempre secondo il SIPRI nel 2008 sono state vendute armi in tutto il mondo per 384 miliardi e 352 miliardi di dollari, cioè il 90% furono vendite delle aziende USA (230 miliardi) e dell'Europa occidentale (122 miliardi ).
VI. Samir sottoscrive la teoria, in contrasto con la realtà dei fatti,della "denazionalizzazione" del potere economico transnazionale e l'emergere di una sola classe dirigente globalizzata:
"E 'molto difficile oggi sapere esattamente chi sono le grandi società multinazionali, dal momento che, come suggerisce il nome, sono i capitali di molti paesi o dei capitalisti di differenti nazioni e non sempre dei capitalisti di un unico paese.. Società che sembrano inglesi hanno capitali tedeschi, italiani, turchi, cinesi, giapponesi, ecc. E così è nella stragrande maggioranza delle multinazionali. Il capitale è ora più che mai internazionale. Pertanto, si condividono interesse di ogni tipo, perché l'unica cosa che muove questi capitalisti sono i buoni affari e guadagnare quanto più denaro possibile ".
Le classi dirigenti di tutto il mondo convergo sull'obiettivo strategico di preservare il sistema, mentre sono contemporaneamente in competizione feroce fra loro.
Le relazioni tra le multinazionali sono la combinazione di una guerra spietata per il controllo dei mercati o delle aree di influenza, di assorbimenti o acquisizioni forzate o consensuale, di fusioni e di pratiche restrittive e dell'intento permanente, e mai riuscito di stabilire norme private e volontarie del chiaro gioco fra di esse. Perché la legge suprema del reale rapporto tra le multinazionali è "mangiare o essere mangiati."
Le compagnie transnazionali sono versatili e molteplici e cambiano spesso i nomi. Questo avviene sia a seguito di fusioni, anche se rimangono le stesse aziende come un modo di cercare di essere dimenticate dal pubblico dopo aver acquisito una cattiva reputazione a causa del loro coinvolgimento in reati finanziari o economici o di gravi violazioni diritti umani.
Ma le fusioni,i trasferimenti e i cambi di nome, non significa che le multinazionali sono diventate entità virtuale e sfuggente. E 'vero che la loro immagine viene spersonalizzata quando si costituisce come società anonima rispetto tempo in cui il monopolio veniva identificato con un nome (Rockefeller, Mellon, ecc) .. E 'anche vero però che ancora oggi hanno elementi reali e tangibili: capitale, sede, leader responsabili, e così via.
Ulteriore prova della loro esistenza determinata nello spazio e nel tempo è la presenza e influenza in organismi e incontri internazionali e nel ruolo che esercitano nelle linee guida delle istituzioni finanziarie internazionali e dell'Organizzazione mondiale del Commercio mediante i rappresentanti delle grandi potenze e delle proprie equipe di giuristi ed economisti della la loro influenza sugli orientamenti economici e finanziari e nella politica della maggior parte degli stati del pianeta. La loro reale e tangibile esistenza è evidente anche nel quasi monopolio che hanno sui mass media ...
Esse possono essere domiciliate in uno o più paesi :nella sede reale della organizzazione madre e nella realizzazione delle principali attività e / o del paese in cui la società è stato registrata.
Ma è sempre possibile identificare la nazionalità della società transnazionale, nel senso che c'è uno Stato che le sostiene e difende i loro interessi contro gli altri stati per motivi politici, militari ed altro.
E difende anche i loro interessi negli organismi intergovernativi come l'Organizzazione Mondiale del Commercio, il Fondo monetario internazionale e la Banca mondiale.
Come dato ulteriore che conferma la base nazionale delle imprese multinazionali: la crisi finanziaria ha mostrato come i governi delle grandi potenze hanno fornito centinaia di miliardi di dollari per salvare le loro banche, E NON LE BANCHE DEL VICINO.
Lenin è ancora, in sostanza, attuale
Scriveva, infatti, nel 1916: "Il capitalismo è diventato un sistema universale di oppressione coloniale e di strangolamento finanziario della stragrande maggioranza della popolazione mondiale a causa di una manciata di paesi« progrediti ». Questo "bottino" è ripartito tra due o tre potenze rapaci del potere mondiale, armate fino ai denti (America, Inghilterra, Giappone), che per la divisione del bottino coivolgono nella loro guerra tutto il mondo "(L'imperialismo, fase suprema del capitalismo. Prefazione alle edizioni francese e tedesca di luglio 1920, paragrafo II).
VII. Conclusione
La violazione dei diritti umani degli individui e dei popoli è inerente al capitalismo nella sua fase imperialista. Di regola, le dittature sono supportate e promosse da parte delle potenze imperialiste. E quando il popolo vuole intraprendere la strada della liberazione nazionale e sociale, le grandi potenze che sentono minacciati i loro interessi e il capitale monopolistico che essi rappresentano, l'aggrediscono con tutti i mezzi. Qui ci sono i fatti a dimostrarlo.
Così la pietra angolare della solidarietà internazionale con i popoli che lottano per i loro diritti e delle libertà deve essere la lotta contro il capitalismo imperialista, nemico comune di tutta l'umanità.
Rifiutando la trappola ideologica dell'imperialismo "umanitario".
(traduzione di Anita Silviano)
pubblicata da Anita Silviano il giorno domenica 10 luglio 2011 alle ore 15.29
di Alejandro Teitelbaum (ARGENPRESS.info)
I. L'aggressione imperialista contro la Libia guidata dalla Francia, Gran Bretagna e Stati Uniti ha ancora una volta evidenziato la confusione dominante in gran parte della sinistra e nei "progressisti" di varie matrici, i cui pensieri e le opinioni sono modellate dal'l egemonia ideologica - culturale del capitalismo vestito per l'occasione di "dirittoumanismo".
Qualcosa di simile è successo con l'aggressione contro l'Iraq e la Jugoslavia: non si doveva condannarle perché significava sostenere dittatori come Saddam Hussein e Milosevic.
Non ci riferiamo qui al comportamento dei socialdemocratici che sostengono l'aggressione da parte del governo (attivamente la Spagna di Zapatero e la Grecia di Papandreou, dissanguate dal capitale finanziario transnazionale) o dell'opposizione, come nel caso del Partito Socialista francese.
Alcuni gruppi e partiti auto-proclamatesi di sinistra e anticapitalisti hanno accolto con favore la "primavera araba" in Libia e dopo sfumarono le loro analisi denunciando l'aggressione delle grandi potenze, scatenata con il pretesto di "proteggere i civili".
Altri gruppi e persone anch'essi auto-proclamatesi di "sinistra", molto pochi in questa fase degli avvenimenti dopo l'attacco diventato massicciamente impopolare anche negli Stati aggressori -mantengono il loro sostegno ai ribelli,ma denunciano anche nel nome dei diritti umani del popolo libico, l'aggressione imperialista.
E accettano come verità inconfutabili la versione dei fatti offerta dai grandi monopoli principali della dis-informazione.
Gheddafi sarebbe un pazzo che ha saccheggiato il suo paese ed ha depositato miliardi nelle banche estere. Quando le sue truppe erano alle porte di Bengasi il Consiglio di Sicurezz adecise di creare una fly zona sopra la Libia e immediatamente l'aviazione francese cominciò a bombardare le truppe di Gheddafi poste di fronte a Bengasi impedendo così il genocidio della sua popolazione, che sarebbe stato imminente secondo l'informazione dalle grandi potenze e dei monopoli dei media al loro servizio, sempre degna di fede per questi dirittoumanisti con i paraocchi.
I ribelli, dal canto loro sarebbero combattenti per i diritti umani, assettati di libertà e democrazia e non un conglomerato eterogeneo che include nella sua cupola di ex alti funzionari del regime di Gheddafi, responsabili di gravi violazioni dei diritti umani.
II. La Libia è un paese quasi completamente desertico fatta eccezione per una stretta striscia di costa (1770 km di costa), dove vi sono i principali centri abitati del paese.
Ha 6.500.000 abitanti (un milione alla fine della seconda guerra mondiale, la maggior parte nomade) e una superficie di 175000 mila chilometri quadrati. Attualmente Tripoli ha circa due milioni di abitanti, un milione Bengasi, Misurata 480.000 eTobruk 200.000.
Ha giacimenti petroliferi di ottima qualità che costituisce la fonte quasi esclusiva delle risorse e si suppone abbia grandi riserve non ancora rilevate e sfruttate.
L'altra sua ricchezza naturale è l'acqua. Sotto una superfice secca e quasi desertica, nella maggior parte del territorio, vi è una enorme riserva di acqua fossile potabile stimata in 150 mila km cubici chiamata Falda acquifera di Nubia che copre circa 2 milioni di chilometri quadrati e comprende una parte del Ciad, Egitto, Libia e Sudan.
Nel 1983, la Libia ha iniziato in un progetto di irrigazione, conosciuto come il Grande fiume Artificiale per potere utilizzare tali riserve sotterranee per portare più di cinque milioni di metri cubi di acqua al giorno nelle città costiere. Attualmente, il Grande Fiume fornisce acqua potabile e per l'irrigazione al 70 per cento della popolazione, portando l'acqua dal sud verso le zone costiere del nord,alle città costiere di Tripoli, Tobruk, Sirte, Bengasi ed altre. Con un costo stimato di 30.000 milioni di dollari finanziato dalla vendita del petrolio, la rete del Grande Fiume Artificiale,con quasi 5.000 chilometri di tubi e più di 1.300 pozzi scavati a 500 metri di profondità e stazioni di pompaggio nel deserto del Sahara mira anche ad aumentare la quantità di terra coltivabile. Inoltre, l'acqua è molto economica: 35 centesimi (di dollari) al m3.
Appropriarsi di questo enorme serbatoio di acqua potabile è anche l'intenzione delle potenze imperialiste, mandatarie delle multinazionali come l'ex Lyonnaise des Eaux (gruppo Suez) e altre, che hanno il controllo della maggior parte delle risorse idriche in tutto il mondo .
Se lo scopo di Gheddafi fosse stato quello di annientare la popolazionedi Bengasi, bastava che ricorresse al semplice espediente di tagliare la fornitura d'acqua alla città.
Dal 1990 il Programma delle Nazioni Unite per lo Sviluppo (UNDP) pubblica un indice di sviluppo umano dei paesi del mondo sulla base di vari parametri fornendo una classifica sulla qualità della vita delle persone, tra l'educazione, l'aspettativa di vita, salute e reddito,tenedo conto di questi parametri in base al sesso.
Ignora i cosiddetti indici della libertà umana. L' indice del 2010 comprende 169 paesi e la Libia è classificato 53esimo con un indice di 75 (in aumento rispetto agli anni precedenti) su una scala con un massimo teorico di 100. La Norvegia è al primo posto con un indice di 93. La Libia ha l'indice più alto dell'Africa, seguita da vicino dalla Algeria, Mauricio e Tunisia e in America Latina, seconda solo al Cile (78,3), Argentina (77,5) e Uruguay (76,5) rispettivamente al 45esimo, 46 e 52esimo posto. Messico e Cuba sono all'incirca allo stesso livello della Libia.
Quindi, la Libia è un paese di medio sviluppo umano, ottenuto grazie ad un buon uso dei suoi proventi petroliferi, ma con un grave deficit in termini di diritti civili e politici, stimato oggettivamente, e soprattutto secondo i criteri di valutazione dei paesi occidentali "civilizzati".
III. Dopo la "riconciliazione" di Gheddafi con l'Occidente, le gravi carenze della Libia nel campo dei diritti civili e politici non hanno preoccupato le grandi potenze che ricevettero in pompa magna il leader libico, desiderosi di fare buoni affari, soprattutto per ottenere concessioni petrolifere la vendita di armi e l'offerta da parte della Francia della costruzione di una centrale nucleare.
Si realizzarono così diverse concessioni petrolifere e importanti vendite di armi.
Nel solo 2009 la Gran Bretagna, Francia e Italia hanno venduto armi alla Libia rispettivamente per 25, 30 e 111 milioni di euro. Nello stesso anno, Malta figura nella lista dei venditori della Libia per 80 milioni di euro. Malta non ha nessuna industria delle armi ed è ovviamente solo un paese di transito. Da parte sua la Francia ha cercato di vendere alla Libia aerei Rafale prodotto da Dassault. Gli stessi utilizzati adesso per bombardare la Libia.
Ma essendo Gheddafi un individuo imprevedibile, a quanto pare, cominciò a progettare la revisione delle concessioni petrolifere e a promuovere l'idea dell' autonomia finanziaria dell'Africa dalle valute delle grandi potenze.
Inoltre, le riserve di petrolio e le falde acquifere in Libia sono un bottino che stimola l'appetito degli aggressori.Alle quali bisogna aggiungere i depositi dello Stato libico in banche estere e le 144 tonnellate di oro (circa 4.600 milioni di euro ) depositate nelle banche libiche.
Così la "primavera" libica (organizzata - per alcuni, dai servizi francesi e, probabilmente, in parte spontaneamente) era una buona occasione per stabilire in Libia di un governo "democratico" cioè a dire,completamente sottomesso all'avidità occidentale.
Ma la ribellione non si è diffusa a macchia d'olio, come speravano gli alfieri dei diritti umani e ha dovuto usare la foglia di fico di una risoluzione del Consiglio di Sicurezza di intervenire militarmente a favore dei ribelli.
L'intervento può portare, se non si fa sentire di più l'impopolarità nei paesi aggressori, se non si accentuano i disaccordi in seno alla NATO e gli aggressori riescono a raccogliere le forze necessarie, in una invasione terrestre. Cosa che comporterà l'attuazione del caos in Libia per molti anni, come in Iraq e in Afghanistan e il fare della regione una polveriera a causa della disseminazione delle armi,come ha avvertito qualche giorno fa il presidente del Niger, Mahamadou Issoufou.
IV. Più di quattro mesi di bombardamenti aerei (e ora anche navali) ininterrotti è una forma terrorismo internazionale di Stato rivolto a minare il morale del nemico, in particolare della popolazione civile L'Italia lo impiegò in Etiopia nel 1935-36, il Giappone in Cina nel 1937-39, Germania e Italia durante la guerra civile spagnola (Madrid 1936, Guernica, 1937), la Germania nazista e gli Alleati durante la seconda guerra mondiale (Varsavia, Rotterdam, Londra, Dresda, Hiroshima, Nagasaki, ecc) .. Stati Uniti l' hanno ampiamente utilizzato in Vietnam, Panama, Iraq, Jugoslavia, Afghanistan e nuovamente in Iraq.
Centinaia di migliaia di lavoratori stranieri (provenienti da altri paesi dell' Africa e Asia) sono stati cacciati dalla Libia, rimanendo senza lavoro e senza stipendio, mediante i quali contribuivano al mantenimento delle loro famiglie nei paesi d'origine. L'economia della Libia è quasi paralizzata e le vittime civili dei "bombardamenti umanitari" sono tanti da entrambe le parti.
La costruzione di un nuovo quartiere di Tripoli di 25.000 case è crollato a causa dell'aggressione.
Impossibile conciliare questi fatti con il presunto"dirittoumanismo" di coloro che vogliono liberare la Libia da Gheddafi da una postazione di Internet o dal caffè di Parigi o un'altra capitale europea.
L'imminente genocidio della popolazione di Bengasi, che aveva lo scopo di giustificare l'inizio dei bombardamenti (in realtà l'aviazione anglo-francese è diventata parte di una guerra civile) è un argomento simile alle "armi di distruzione di massa "in possesso di Saddam Hussein per giustificare l'aggressione contro l'Iraq.
La Royal Air Force non è alla sua prima esercitazione in materia. Nell' ottobre del 1944, dopo la ritirata tedesca dalla Grecia, i comunisti greci e dei loro alleati (ELAS), la forza più importante della resistenza contro l'occupazione nazista,controllavano Atene e potevano formare un governo. Il primo ministro britannico Churchill ordinò lo sbarco delle truppe britanniche in Grecia e il bombardamento attuato dalla RAF dei quartieri popolari di Atene per impedire l'accesso dei comunisti al potere. Il risultato fu che in Grecia fu restaurata la monarchia e si formò un governo di centro destra.
Nel luglio del 1956, il presidente egiziano Gamal Abdel Nasser nazionalizzò il Canale di Suez. Nel mese di ottobre dello stesso anno la Gran Bretagna (governo conservatore di Anthony Eden) Francia (governo socialista di Guy Mollet) e Israele ( governo di Ben Gurion ) attaccarono militarmente l'Egitto al fine di appropriarsi del Canale di Suez, ma senza l'appoggio degli Stati Uniti Uniti fallirono il tentativo.
V. I fatti sono questi. Ma i teorici della "sinistra" quelli dell'appoggio ai diritti umani delle grandi potenze sostengono che i fatti confermano i loro punti di vista. E quelli che chiudono gli occhi alla realtà, sono gli altri (" sinistra anacronistica legata a vecchi cliché"): "Non si va contro la realtà, altrimenti la realtà diventa un incubo fastidioso ed è meglio ignorarla" (Abel Samir, la verità è che è stato il petrolio, a spingere Obama alla guerra contro Gheddafi?, Argenpress, 23 giugno).
Samir in un articolo pubblicato in Argenpress il 13 giugno ha scritto:
"... E questi di sinistra sono diventati una costellazione di individui, partiti, organizzazioni, giornali, siti web, che sono rimasti bloccati in slogan, luoghi comuni e grandiose affermazioni contro l'impero americano e i suoi alleati, a prescindere che questo impero a volte agisce in difesa dei diritti umani, ma non dalla ideologia, ma da altri interessi, come il dominio geopolitico in una zona del mondo o la difesa della propria posizione dominante in una determinta regione"
Per arrivare a questa conclusione Samir, oltre a mettere in atto, come fa, l'invalidità dell'analisi leninista dell'imperialismo nel ventunesimo secolo, avrebbe dovuto dimostrare che l'impero attua in alcuni casi la difesa dei diritti umani. Non può farlo. Invece, è facile dimostrare che l'imperialismo statunitense o altri, agisce sempre contro i diritti umani, sia tramando contro e /o governi progressisti o appoggiando dittature quando fanno comodo ai loro interessi.
Lo dice egli stesso: gli Stati Uniti non ha amici, hanno interessi.
Alcuni esempi di interventi imperialisti:
Intervento della Central Intelligence Agency (CIA) nel 1953 del colpo di stato in Iran contro il governo del Dr. Mossadegh aveva nazionalizzato il petrolio; l'invasione del Guatemala nel 1954 da una forza armata promossa e finanziata dalla CIA e dalla United Fruit; invasione di Santo Domingo nel 1965; colpo di stato in Cile nel 1973; l'invasione di Granada nel 1983; invasione di Panama nel 1989; l'espulsione di Aristide da Haiti nel 2004 mediante un'azione congiunta degli Stati Uniti e Francia.
In Africa, al momento della decolonizzazione emersero leader come Patrice Lumumba, Kwame Nkrumah, Amilcar Cabral e Jomo Kenyatta, che lottarono per un percorso autonomo per il loro popolo, contrari agli interessi delle ex metropoli e delle loro imprese. Essi furono abbattuti o uccisi, come Lumumba e Cabral, e sostituiti da leader dittatoriale, corrotti e fedeli alle grandi potenze neocoloniali.
L'aggressore imperialista e saccheggiatore è l'attuale fase che caratterizza il capitalismo nel suo complesso (quello che alcuni chiamano globalizzazione) e i suoi sostenitori lo difendono con unghie e coi denti, non importadogli nulla dei diritti umani del proprio popolo e meno che mai dei diritti umani altri popoli.
Samir si dedica nel suo articolo del 23 giugno a "interpretare la struttura economica e politica nella quale operano gli USA" ... "La classe dirigente dell'impero si concentra soprattutto in due parti: democratici e repubblicani. Questi ultimi rappresentano gli interessi più reazionari di questo grande paese. Tra le loro fila ci sono i proprietari delle grandi compagnie petrolifere americane, i rappresentanti politici di questi capitalisti o dei consorzi finanziari trasformati in società multinazionali e transnazionali. Soprattutto le grandi compagnie petrolifere. Pertanto, se il possesso della ricchezza petrolifera della Libia sarebbe stata la motivazione principale del coinvolgimento degli Stati Uniti nella guerra civile della Libia, a fianco dei ribelli, il partito repubblicano sarebbe, come è logico, il più interessato a che gli Stati Uniti che siano coinvolti nella guerra e vincerla il più possibile "...
E' sicuro che il ruolo del capitale industriale è stato notevolmente rafforzato durante l'amministrazione Bush, soprattutto quello delle industrie petrolifere e degli armamenti. Nell'amministrazione Bush erano fortemente rappresentati entrambi i settori.
Con Obama ha riguadagnato primato il capitale finanziario, ma questo non significa dire che ci siano interessi o strategie contrastanti tra repubblicani e democratici, come non c'è contraddizione fondamentale tra capitale industriale e capitale finanziario, dal momento che la loro fusione caratterizza la fase imperialista del capitalismo e la nascita di multinazionali, come sottolineato da Hilferding nel 1910 ( Il capitale finanziario) e da Lenin nel 1916 (L'imperialismo fase suprema del capitalismo). Non dimentichiamo che con Obama il bilancio militare degli Stati Uniti continuò e continua ad aumentare.
Quindi non ha senso alcuno sostenere che i repubblicani sono falchi reazionari rappresentanti politici dei capitalisti e delle società transnazionali e i Democratici le colombe difensori dei diritti umani. Ricordiamo che l'invasione della Baia dei Porci ha avuto luogo durante l'amministrazione democratica di Kennedy e che Clinton,un democratico, governava questo "grande paese", come lo chiama Samir, quando gli Stati Uniti hanno promosso il colpo di stato ad Haiti nel 1991, scatenato la guerra contro la Jugoslavia (Madeleine Albright, rappresentante di Clinton, è stato colei che ha causato il fallimento dei negoziati di Rambouillet tra la Jugoslavia e l'Unione europea) e intrapreso la guerra del Golfo.
Così il democratico Obama ha cambiato il modo ma non la sostanza di tali operazioni. Il golpe in Honduras nel giugno 2009 è stato criticato dal governo degli Stati Uniti, che ha appoggiato le decisioni delle organizzazioni internazionali (ONU e OAS) esigendo il reintegro del presidente deposto. Ma è innegabile che senza la luce verde degli Stati Uniti,il colpo di Stato non si sarebbe potuto attuare, perché questo paese ha il controllo delle forze armate dell'Honduras attraverso la sua base di Soto Cano essenziale per la geopolitica subregionale degli Stati Uniti. Da lì ha fornito supporto logistico ai "contras" in Nicaragua durante il governo sandinista.
Samir sostiene che l'opposizione di una maggioranza di repubblicani e democratici nel Congresso per continuare la guerra contro la Libia si deve al fatto che credono che non ci siano interessi americani in gioco in Libia (ma solo scopi umanitari). Samir dimentica due cose: la prima è che si avvicinano le elezioni negli Stati Uniti e i congressisti dovranno presentarsi agli elettori e rendere conto anche di questa guerra impopolare, nonostante la bassa affluenza yankee. La seconda è che l'America è sull'orlo del fallimento con un debito di 15 miliardi di dollari.
È per questo che Obama, dopo aver lanciato un centinaio di missili Tomahawk sulla Libia, a quanto pare con uranio impoverito, ha lasciato il maggiore carico dell'aggressione al suo alleato Cameron e al suo barboncino Sarkozy, "l'americano", che ha fatto il calcolo sbagliato di "guerra lampo" contro Gheddafi per ri-salire nei sondaggi in vista delle prossime elezioni.
Samir scrive ... "Poi ci sono quelli che dicono perché gli Stati Uniti e la NATO non si coinvolgono anche in Arabia Saudita, Yemen, Siria e altrove. Da quando gli USA e NATO sono fino alle orecchie nel pantano dell'Iraq e dell'Afghanistan non sono in grado, oltre di partecipare in Libia, affondando in un altro pantano. "
Samir ha ragione in parte:gli imperialisti sono- grazie a Dio- impantanati.
Ma se non intervengono a Bahrain,Yemen e Arabia Saudita è perché si tratta di dittature amiche. A Bahrain ha sede la quinta flotta della Marina yankee. L'Arabia Saudita, la migliore amica di lunga data degli Stati Uniti ha inviato truppe a Bahrain a marzo per porre fine alle manifestazioni della maggioranza sciita.
Samir afferma: " Gli scontri armati tra le potenze enunciati da Lenin non si verificheranno più e si cerca l'integrazione degli Stati in grandi entità di paesi interagenti per il modello delle loro economia e, naturalmente, politicamente uniti, come l'Unione europea. Gli USA non sono interessati oggi a qualcosa di diverso dal mantenere la sua supremazia al fine di dominare la politica mondiale e ottenere così, anche, uno sviluppo e progresso tecnologico ed economico di punta. Il confronto armato sarebbe quindi fuori luogo. Così oggi possiamo vedere che ci sono attualmente quattro grandi formazioni degli Stati nell'area politica ed economica, ma in ogni caso non solo si rispettano a vicenda, ma anche partecipano in un modo o nell'altro ai vantaggi del sistema capitalista ".
Le grandi potenze competiranno rispettosamente con le altre per mantenere la loro supremazia e uno "sviluppo e il progresso tecnologico ed economico di punta" partecipando tutte "ai vantaggi del sistema capitalista."
Indubbiamente il capitalismo ha i suoi vantaggi ... per coloro che stanno ai vertici della piramide sociale.
Samir non si è informato che dalla fine della Seconda Guerra Mondiale sono stati uccisi circa 30 milioni di persone nei conflitti armati, sia in guerre coloniali intraprese direttamente dalle grandi potenze o in dispute inter-imperialiste per il controllo delle risorse naturali nei paesi poveri, combattute sotto forma di guerre locali. Secondo la rivista medica britannica The Lancet nel gennaio 2006, solo nella Repubblica democratica del Congo, dieci anni di guerra civile ha provocato la morte di 3,5 /4,5 milioni di persone. Il Congo ha la sfortuna di avere un sottosuolo enormemente ricco di minerali strategici. In Ruanda, il responsabili del genocidio di 800.000 persone sono stati protetti nella loro ritirata dall'esercito francese (Operazione Turchese). Un gruppo di ricercatori della Brown University ha appena pubblicato una valutazione dei costi finanziari e umani delle guerre condotte dagli Stati Uniti dal 2001 in Iraq, Afghanistan e Pakistan. Calcolano il numero dei morti in azioni militari in 225.000, gli sfollati in circa 8 milioni e il costo finanziario in poco più di due miliardi di dollari (vedi http://costsofwar.org/).
Samir aggiunge: "Coloro che vedono la guerra come un modo di fare buoni affari non sanno di cosa stanno parlando."
Contrariamente a quanto Samir afferma la guerra è una scelta ricorrente del capitale monopolista in tempi di crisi economica, perché è un modo per rilanciare la produzione industriale senza la necessità di stimolare la domanda ( lo Stato acquista la produzione di armi con i soldi dei contribuenti senza consultarli e il popolo eletto nemico "consuma" sicuramente ed inconsapevolmente le le bombe sganciate sulla sua testa). E dopo la guerra i maggiori monopoli dell'industria civile si accaparrano dell'attività di ricostruzione e degli "aiuti umanitari".
Nel suo libro "Capitalismo, Socialismo e Democrazia" (1942), l'economista Joseph Schumpeter sosteneva che "il capitalismo è per sua natura una forma o un metodo di cambiamento economico" per sostituire il vecchio con il nuovo, ciò che egli chiama "distruzione creativa "(nuovi consumatori, nuovi prodotti, nuovi metodi di produzione o trasporto, nuovi mercati, nuove forme di organizzazione industriale, ecc) .. La guerra sarebbe stata la forma più drastica di "distruzione creativa" inerente al capitalismo
Inoltre, l'industria delle armi è sempre interessata a collocare la sua produzione,testare i suoi nuovi prodotti in condizioni reali (la Guerra del Golfo, Jugoslavia, l'aggressione in Afghanistan,in Iraq, assalto a Gaza, Libia, ecc.) espandere i suoi mercati, ad esempio attraverso l'incorporazione di nuovi paesi alla NATO: il presidente del "Comitato americano per l'allargamento della NATO" è il vice presidente della Lockheed Martin, una società che è al secondo posto tra i maggiori fabbricanti e trafficanti di armi nel mondo.
Secondo la Relazione annuale 2010 della Stockholm International Peace Research Institute (SIPRI) nel 2009, le spese militari mondiali ammontavano a 1.000 miliardi e 531milioni di dollari, il per cento in più rispetto al 2008 e il 49 per cento in più rispetto al 2000 . Le spese militari nel 2009 rappresentavano il 2,7% del PIL mondiale di quell'anno.
Sempre secondo il SIPRI nel 2008 sono state vendute armi in tutto il mondo per 384 miliardi e 352 miliardi di dollari, cioè il 90% furono vendite delle aziende USA (230 miliardi) e dell'Europa occidentale (122 miliardi ).
VI. Samir sottoscrive la teoria, in contrasto con la realtà dei fatti,della "denazionalizzazione" del potere economico transnazionale e l'emergere di una sola classe dirigente globalizzata:
"E 'molto difficile oggi sapere esattamente chi sono le grandi società multinazionali, dal momento che, come suggerisce il nome, sono i capitali di molti paesi o dei capitalisti di differenti nazioni e non sempre dei capitalisti di un unico paese.. Società che sembrano inglesi hanno capitali tedeschi, italiani, turchi, cinesi, giapponesi, ecc. E così è nella stragrande maggioranza delle multinazionali. Il capitale è ora più che mai internazionale. Pertanto, si condividono interesse di ogni tipo, perché l'unica cosa che muove questi capitalisti sono i buoni affari e guadagnare quanto più denaro possibile ".
Le classi dirigenti di tutto il mondo convergo sull'obiettivo strategico di preservare il sistema, mentre sono contemporaneamente in competizione feroce fra loro.
Le relazioni tra le multinazionali sono la combinazione di una guerra spietata per il controllo dei mercati o delle aree di influenza, di assorbimenti o acquisizioni forzate o consensuale, di fusioni e di pratiche restrittive e dell'intento permanente, e mai riuscito di stabilire norme private e volontarie del chiaro gioco fra di esse. Perché la legge suprema del reale rapporto tra le multinazionali è "mangiare o essere mangiati."
Le compagnie transnazionali sono versatili e molteplici e cambiano spesso i nomi. Questo avviene sia a seguito di fusioni, anche se rimangono le stesse aziende come un modo di cercare di essere dimenticate dal pubblico dopo aver acquisito una cattiva reputazione a causa del loro coinvolgimento in reati finanziari o economici o di gravi violazioni diritti umani.
Ma le fusioni,i trasferimenti e i cambi di nome, non significa che le multinazionali sono diventate entità virtuale e sfuggente. E 'vero che la loro immagine viene spersonalizzata quando si costituisce come società anonima rispetto tempo in cui il monopolio veniva identificato con un nome (Rockefeller, Mellon, ecc) .. E 'anche vero però che ancora oggi hanno elementi reali e tangibili: capitale, sede, leader responsabili, e così via.
Ulteriore prova della loro esistenza determinata nello spazio e nel tempo è la presenza e influenza in organismi e incontri internazionali e nel ruolo che esercitano nelle linee guida delle istituzioni finanziarie internazionali e dell'Organizzazione mondiale del Commercio mediante i rappresentanti delle grandi potenze e delle proprie equipe di giuristi ed economisti della la loro influenza sugli orientamenti economici e finanziari e nella politica della maggior parte degli stati del pianeta. La loro reale e tangibile esistenza è evidente anche nel quasi monopolio che hanno sui mass media ...
Esse possono essere domiciliate in uno o più paesi :nella sede reale della organizzazione madre e nella realizzazione delle principali attività e / o del paese in cui la società è stato registrata.
Ma è sempre possibile identificare la nazionalità della società transnazionale, nel senso che c'è uno Stato che le sostiene e difende i loro interessi contro gli altri stati per motivi politici, militari ed altro.
E difende anche i loro interessi negli organismi intergovernativi come l'Organizzazione Mondiale del Commercio, il Fondo monetario internazionale e la Banca mondiale.
Come dato ulteriore che conferma la base nazionale delle imprese multinazionali: la crisi finanziaria ha mostrato come i governi delle grandi potenze hanno fornito centinaia di miliardi di dollari per salvare le loro banche, E NON LE BANCHE DEL VICINO.
Lenin è ancora, in sostanza, attuale
Scriveva, infatti, nel 1916: "Il capitalismo è diventato un sistema universale di oppressione coloniale e di strangolamento finanziario della stragrande maggioranza della popolazione mondiale a causa di una manciata di paesi« progrediti ». Questo "bottino" è ripartito tra due o tre potenze rapaci del potere mondiale, armate fino ai denti (America, Inghilterra, Giappone), che per la divisione del bottino coivolgono nella loro guerra tutto il mondo "(L'imperialismo, fase suprema del capitalismo. Prefazione alle edizioni francese e tedesca di luglio 1920, paragrafo II).
VII. Conclusione
La violazione dei diritti umani degli individui e dei popoli è inerente al capitalismo nella sua fase imperialista. Di regola, le dittature sono supportate e promosse da parte delle potenze imperialiste. E quando il popolo vuole intraprendere la strada della liberazione nazionale e sociale, le grandi potenze che sentono minacciati i loro interessi e il capitale monopolistico che essi rappresentano, l'aggrediscono con tutti i mezzi. Qui ci sono i fatti a dimostrarlo.
Così la pietra angolare della solidarietà internazionale con i popoli che lottano per i loro diritti e delle libertà deve essere la lotta contro il capitalismo imperialista, nemico comune di tutta l'umanità.
Rifiutando la trappola ideologica dell'imperialismo "umanitario".
(traduzione di Anita Silviano)
il popolo libero e la guerra di Eros Barone pubblicato da Varese New
Ancora una volta è Lenin che ci offre la formula giusta per sintetizzare il significato profondo della partecipazione dell’Italia alla guerra contro la Libia: una guerra che è tanto sporca da essere diventata invisibile. In effetti, se si confrontano le situazioni belliche di 20 o di 8 anni fa con quella attuale, tutto risulta peggiore. Non solo per la quasi unanimità dei giudizi, ma anche per la irrilevanza delle voci che si distaccano dal coro. Ci si può, quindi, domandare se l’opinione pubblica sia così facilmente manipolabile, e la risposta è duplice. Sì, se si tratta di creare in pochi giorni un qualche consenso; no, se si guarda alle dinamiche profonde. Dopo due decenni di declino morale, economico e politico degli Stati Uniti e di crescita di altri modelli di sviluppo (Cina, India e Brasile), dopo i mutamenti politici ed elettorali, la scomparsa dei partiti storici e la nascita di nuovi partiti, la crescita di una generazione che non ha conosciuto il mondo bipolare e le varie forme di “guerra fredda”; si poteva, sì,
pensare che la destra come mentalità autoritaria avesse guadagnato terreno nella società e nella cultura diffusa, in corrispondenza alla decomposizione delle sinistre, ma non che il bene-rifugio sarebbero tornati ad essere, insieme con i ‘contractors’ occidentali che operano al fianco degli ascari monarchici e filo-imperialisti di Bengasi, gli aerei e gli elicotteri che, nel silenzio pressoché totale dei ‘mass media’, bombardano ininterrottamente da cinque mesi, giorno e notte, la popolazione di Tripoli e delle altre città che sono rimaste fedeli a Gheddafi.
È evidente che avevamo sottovalutato le dinamiche profonde costituite dagli interessi e dai sentimenti. Non solo i ceti dominanti, ma anche e forse soprattutto gli strati depressi o impoveriti, compresa una quota consistente dei cosiddetti ‘ceti medi riflessivi’, hanno qualcosa da difendere da quel Terzo Mondo che nelle nostre contrade ha il volto dell’arabo, un volto che è visibile ad ogni angolo di strada. La differenza che sconcerta chi faceva assegnamento sulla forza della ragione, la differenza che rende paurosi questi mesi, è che la media borghesia, l’Italia più o meno colta, una parte del ceto politico, che in qualche misura erano state una barriera alle peggiori tendenze dell’età di Bush (e che hanno plaudito all’avvento di Obama), si sono dislocate dalla parte di queste ultime, esprimendo un riflesso di difesa istintiva e di odio malcelato, una “unione sacra” che è tanto più inquietante quanto più è tacita, avendo assunto come marmoreo presupposto (non un minimo di confronto e di discussione, in termini sia etico-politici che geopolitici, circa la liceità, la legittimità e gli scopi di questa guerra neocoloniale, ma) la scotomizzazione della sua stessa esistenza, quasi che fosse unicamente un’operazione di polizia internazionale e, dunque, un ‘affare privato’ delle forze militari che la conducono e non un conflitto imperialistico destinato ad incidere profondamente sulle relazioni fra gli Stati e i popoli che si affacciano sul Mediterraneo. Sennonché constatare ciò significa enunciare una verità inconfutabile in una società irrespirabile. Il ‘colpo’ politico-istituzionale che, con il più autorevole avallo presidenziale, è giunto a cancellare l’articolo 11 della Costituzione, ha il consenso degli italiani, e non saranno la crisi economica e i tagli selvaggi al tenore e alla ‘qualità della vita’ imposti dalla finanziaria ‘lacrime e sangue’ a farli recedere dal consenso alla guerra ‘invisibile’, poiché basterà loro scendere in strada e guardare facce maghrebine e senegalesi, aprire il giornale, ascoltare i comunicati della radio.
Mentre scrivo questa riflessione etico-politica sulla guerra contro la Libia, i raid della Nato continuano a distruggere le città della Libia, ma l’effetto peggiore che hanno già ottenuto è la distruzione di ogni linguaggio razionale, la soppressione di qualsiasi voce contraria, l’instaurazione del terrorismo ideologico allo stato puro. Nel frattempo, qualche giornalista di lungo corso ci ricorda nei suoi editoriali, alivello interlineare, che per fare le frittate bisogna rompere le uova e che le vacanze con l’automobile, tanto più in tempi di crisi economica, non sono possibili senza la trasformazione, in pezzi di cadaveri impastati di sangue e di sabbia, di un elevato numero di corpi umani di etnia e di lingua araba. Quei corpi che, da vivi, non sia mai detto!, avrebbero voluto magari farci pagare il doppio ogni litro della loro benzina, mettendo a repentaglio, più di quanto già non siano, le borse mondiali (ecco il vincolo sanguinoso che, come insegna Lenin, unisce indissolubilmente, sotto il tallone di ferro dell’imperialismo, la crisi economica, la guerra e la reazione). Nessuno deve stupirsi, allora, per esprimerci con un’ipotiposi adoperata da uno scrittore che conosceva e praticava il “sarcasmo appassionato”, se «l’azionista vuole portarsi a casa, incartato nel quotidiano finanziario, un suo pezzetto di arabo morto perché i figli imparino a beccare e a nutrirsi».
Fra tanti nefasti effetti, la guerra in corso ha, tuttavia, quello utile di demistificare il moralismo che da ogni parte ci soffoca, e di spingerci a opporre a tale moralismo spicciolo la dura eticità del realismo politico (si potrebbe evocare, a questo proposito, il primato dell’eticità sulla moralità, cioè di Hegel su Kant). Ma ancora non basta: al realismo politico (che si basa sulla invarianza della “natura umana”) si deve opporre la positività dell’ideologia, vale a dire una finalità che non è solo un “dover essere” né solo un “poter essere”, ma la tensione dinamica e dialettica fra quello e questo.
Contro il moralista il realista ha ragione; ma contro il realista hanno ragione la fede nella liberazione, la speranza nella pace e nella giustizia e l’amore per l’uomo.
17/07/2011
Eros Baroneredazione@varesenews.it
pensare che la destra come mentalità autoritaria avesse guadagnato terreno nella società e nella cultura diffusa, in corrispondenza alla decomposizione delle sinistre, ma non che il bene-rifugio sarebbero tornati ad essere, insieme con i ‘contractors’ occidentali che operano al fianco degli ascari monarchici e filo-imperialisti di Bengasi, gli aerei e gli elicotteri che, nel silenzio pressoché totale dei ‘mass media’, bombardano ininterrottamente da cinque mesi, giorno e notte, la popolazione di Tripoli e delle altre città che sono rimaste fedeli a Gheddafi.
È evidente che avevamo sottovalutato le dinamiche profonde costituite dagli interessi e dai sentimenti. Non solo i ceti dominanti, ma anche e forse soprattutto gli strati depressi o impoveriti, compresa una quota consistente dei cosiddetti ‘ceti medi riflessivi’, hanno qualcosa da difendere da quel Terzo Mondo che nelle nostre contrade ha il volto dell’arabo, un volto che è visibile ad ogni angolo di strada. La differenza che sconcerta chi faceva assegnamento sulla forza della ragione, la differenza che rende paurosi questi mesi, è che la media borghesia, l’Italia più o meno colta, una parte del ceto politico, che in qualche misura erano state una barriera alle peggiori tendenze dell’età di Bush (e che hanno plaudito all’avvento di Obama), si sono dislocate dalla parte di queste ultime, esprimendo un riflesso di difesa istintiva e di odio malcelato, una “unione sacra” che è tanto più inquietante quanto più è tacita, avendo assunto come marmoreo presupposto (non un minimo di confronto e di discussione, in termini sia etico-politici che geopolitici, circa la liceità, la legittimità e gli scopi di questa guerra neocoloniale, ma) la scotomizzazione della sua stessa esistenza, quasi che fosse unicamente un’operazione di polizia internazionale e, dunque, un ‘affare privato’ delle forze militari che la conducono e non un conflitto imperialistico destinato ad incidere profondamente sulle relazioni fra gli Stati e i popoli che si affacciano sul Mediterraneo. Sennonché constatare ciò significa enunciare una verità inconfutabile in una società irrespirabile. Il ‘colpo’ politico-istituzionale che, con il più autorevole avallo presidenziale, è giunto a cancellare l’articolo 11 della Costituzione, ha il consenso degli italiani, e non saranno la crisi economica e i tagli selvaggi al tenore e alla ‘qualità della vita’ imposti dalla finanziaria ‘lacrime e sangue’ a farli recedere dal consenso alla guerra ‘invisibile’, poiché basterà loro scendere in strada e guardare facce maghrebine e senegalesi, aprire il giornale, ascoltare i comunicati della radio.
Mentre scrivo questa riflessione etico-politica sulla guerra contro la Libia, i raid della Nato continuano a distruggere le città della Libia, ma l’effetto peggiore che hanno già ottenuto è la distruzione di ogni linguaggio razionale, la soppressione di qualsiasi voce contraria, l’instaurazione del terrorismo ideologico allo stato puro. Nel frattempo, qualche giornalista di lungo corso ci ricorda nei suoi editoriali, alivello interlineare, che per fare le frittate bisogna rompere le uova e che le vacanze con l’automobile, tanto più in tempi di crisi economica, non sono possibili senza la trasformazione, in pezzi di cadaveri impastati di sangue e di sabbia, di un elevato numero di corpi umani di etnia e di lingua araba. Quei corpi che, da vivi, non sia mai detto!, avrebbero voluto magari farci pagare il doppio ogni litro della loro benzina, mettendo a repentaglio, più di quanto già non siano, le borse mondiali (ecco il vincolo sanguinoso che, come insegna Lenin, unisce indissolubilmente, sotto il tallone di ferro dell’imperialismo, la crisi economica, la guerra e la reazione). Nessuno deve stupirsi, allora, per esprimerci con un’ipotiposi adoperata da uno scrittore che conosceva e praticava il “sarcasmo appassionato”, se «l’azionista vuole portarsi a casa, incartato nel quotidiano finanziario, un suo pezzetto di arabo morto perché i figli imparino a beccare e a nutrirsi».
Fra tanti nefasti effetti, la guerra in corso ha, tuttavia, quello utile di demistificare il moralismo che da ogni parte ci soffoca, e di spingerci a opporre a tale moralismo spicciolo la dura eticità del realismo politico (si potrebbe evocare, a questo proposito, il primato dell’eticità sulla moralità, cioè di Hegel su Kant). Ma ancora non basta: al realismo politico (che si basa sulla invarianza della “natura umana”) si deve opporre la positività dell’ideologia, vale a dire una finalità che non è solo un “dover essere” né solo un “poter essere”, ma la tensione dinamica e dialettica fra quello e questo.
Contro il moralista il realista ha ragione; ma contro il realista hanno ragione la fede nella liberazione, la speranza nella pace e nella giustizia e l’amore per l’uomo.
17/07/2011
Eros Baroneredazione@varesenews.it
domenica 17 luglio 2011
la sentenza di Torino
La sentenza di Torino
Landini ha espresso soddisfazione per la sentenza di Torino che riconosce alla Fiom il diritto di stare in fabbrica seppur non firmataria degli accordi aziendali. In effetti mi pare che starà in fabbrica come un coniuge separato che avrà alcuni diritti ma non potrà essere partecipe dei processi decisionali riservati ai firmatari degli accordi. Su questo ha influito certamente l'accordo interconfederale che la CGIL assieme a Cisl ed Uil hanno firmato il 28 giugno scorso con la Confindustruia accordo che sembra avere ispirato la soluzione trovata dal giudice.
Inoltre la Fiom ha perso la causa nel suo focus più significativo riguardante il riconoscimento della Newco. E' stato c hiaro a tutti e sotto la luce del sole che la Newco viene costituita per azzerare lo stato delle relazioni interne alla fabbrica per danneggiare i diritti dei lavoratori che vi prestano attività. Ma la NEWCO per essere tale deve avere proprietà, capitali e ragione sociale davvero diversi da quelli di prima (come nel caso Alitalia) Qui la proprietà era Fiat e Fiat rimane, si producevano automobili e si produrranno automobili, niente viene modificato rispetto a prima. Si tratta di una operazione camaleontica di una mera sostituzione della insegna allo ingresso dello stabilimento. Perchè il giudice accetta una così plateale truffa ai danni dei dipendenti? Si è aperta la strada a quanti vorranno liberarsi dei gravami che maturano in anni di attività nei confronti di terzi e di metterli davanti all'alternativa di accettare una conditio ex novo o di andarsene a casa. Come se un operaio che ha quarantacinque anni e che da venti lavora in fabbrica possa tornare alla condizione iniziale della sua occupazione,alle nuove condizioni dettate dal datore di lavoro.
I giudici non vivono dentro una torre eburnea separati e distanti dalla società in cui esercitano la magistratura. Il giudice di Torino e prima di lui quello di Melfi sanno che il vento spira per spogliare i lavoratori di ogni loro diritto. Sanno che la CGIL ha mal visto e tollerato appena l'intransigenza della FIOM . Sanno che l'accordo del 28 giugno è stato incubato maturato e scritto per favorire un riferimento interconfederale alle ragioni della Fiat. Sanno che la Camusso ha posizionato il Direttivo della CGIL con 117 voti contro 21 per la logica che sottosta alla sentenza del Giudice. Perchè il Giudice dovrebbe dare ragione alla FIOM e scontentare la Fiat e con essa la CGIL, il PD, il Sindaco di Torino ?
e tutto l'establiscement italiano? Lo avrebbe dovuto fare per ragioni di giustizia, per scrivere una pagina liberale nella storia della magistratura del lavoro. Non ha voluto farlo ed ha cercato e trovato una mediazione opportunistica squilibrata a vantaggio della Fiat. Il giudice ha sentito che il giuslavorismo della Bocconi di Ichino di Boeri oggi è suffragato dagli orientamenti della CGIL, del PD, di parte della sinistra italiana e sa che le prossime leggi di questo Parlamento saranno in coerenza con le scelte generali di politica economica che hanno devastato il welfare italiano. Una fabbrica organizzata in coerenza con le scelte liberiste che postulano un impoverimento dei produttori a vantaggio dei proprietari e degli imprenditori. Una fabbrica meno libera con salari insufficienti in un Paese impoverito ed angosciato dai messaggi terroristici che arrivano dal potere sulla stabilità finanziaria e sullo stesso valore dell'euro.
Pietro Ancona
già sindacalista della CGIL e membro del CNEL
http://medioevosociale-pietro.blogspot.com/
www.spazioamico.it di Giuseppina Ficarra
Landini ha espresso soddisfazione per la sentenza di Torino che riconosce alla Fiom il diritto di stare in fabbrica seppur non firmataria degli accordi aziendali. In effetti mi pare che starà in fabbrica come un coniuge separato che avrà alcuni diritti ma non potrà essere partecipe dei processi decisionali riservati ai firmatari degli accordi. Su questo ha influito certamente l'accordo interconfederale che la CGIL assieme a Cisl ed Uil hanno firmato il 28 giugno scorso con la Confindustruia accordo che sembra avere ispirato la soluzione trovata dal giudice.
Inoltre la Fiom ha perso la causa nel suo focus più significativo riguardante il riconoscimento della Newco. E' stato c hiaro a tutti e sotto la luce del sole che la Newco viene costituita per azzerare lo stato delle relazioni interne alla fabbrica per danneggiare i diritti dei lavoratori che vi prestano attività. Ma la NEWCO per essere tale deve avere proprietà, capitali e ragione sociale davvero diversi da quelli di prima (come nel caso Alitalia) Qui la proprietà era Fiat e Fiat rimane, si producevano automobili e si produrranno automobili, niente viene modificato rispetto a prima. Si tratta di una operazione camaleontica di una mera sostituzione della insegna allo ingresso dello stabilimento. Perchè il giudice accetta una così plateale truffa ai danni dei dipendenti? Si è aperta la strada a quanti vorranno liberarsi dei gravami che maturano in anni di attività nei confronti di terzi e di metterli davanti all'alternativa di accettare una conditio ex novo o di andarsene a casa. Come se un operaio che ha quarantacinque anni e che da venti lavora in fabbrica possa tornare alla condizione iniziale della sua occupazione,alle nuove condizioni dettate dal datore di lavoro.
I giudici non vivono dentro una torre eburnea separati e distanti dalla società in cui esercitano la magistratura. Il giudice di Torino e prima di lui quello di Melfi sanno che il vento spira per spogliare i lavoratori di ogni loro diritto. Sanno che la CGIL ha mal visto e tollerato appena l'intransigenza della FIOM . Sanno che l'accordo del 28 giugno è stato incubato maturato e scritto per favorire un riferimento interconfederale alle ragioni della Fiat. Sanno che la Camusso ha posizionato il Direttivo della CGIL con 117 voti contro 21 per la logica che sottosta alla sentenza del Giudice. Perchè il Giudice dovrebbe dare ragione alla FIOM e scontentare la Fiat e con essa la CGIL, il PD, il Sindaco di Torino ?
e tutto l'establiscement italiano? Lo avrebbe dovuto fare per ragioni di giustizia, per scrivere una pagina liberale nella storia della magistratura del lavoro. Non ha voluto farlo ed ha cercato e trovato una mediazione opportunistica squilibrata a vantaggio della Fiat. Il giudice ha sentito che il giuslavorismo della Bocconi di Ichino di Boeri oggi è suffragato dagli orientamenti della CGIL, del PD, di parte della sinistra italiana e sa che le prossime leggi di questo Parlamento saranno in coerenza con le scelte generali di politica economica che hanno devastato il welfare italiano. Una fabbrica organizzata in coerenza con le scelte liberiste che postulano un impoverimento dei produttori a vantaggio dei proprietari e degli imprenditori. Una fabbrica meno libera con salari insufficienti in un Paese impoverito ed angosciato dai messaggi terroristici che arrivano dal potere sulla stabilità finanziaria e sullo stesso valore dell'euro.
Pietro Ancona
già sindacalista della CGIL e membro del CNEL
http://medioevosociale-pietro.blogspot.com/
www.spazioamico.it di Giuseppina Ficarra
giovedì 14 luglio 2011
Un articolo del Professore Luciano Gallino sulla crisi
articolo del professore Luciano Gallino sulla "crisi"pubblicata da Pietro Ancona il giorno venerdì 15 luglio 2011
Quella miopia politica delle misure di austerità
Data di pubblicazione: 14.07.2011
Autore: Gallino, Luciano La crisi come occasione per cambiare: il capitalismo finanziario la coglie per liquidare la democrazia, nel silenzio della politica ufficiale. La Repubbica, 15 luglio 2011 Le drastiche misure di austerità che i governi europei, incluso il nostro, stanno infliggendo ai loro cittadini non riguardano soltanto l´economia. Pongono questioni cruciali per il futuro della democrazia nella Ue. Prima questione: le organizzazioni cui i governi mostrano di avere ceduto la sovranità economica, quali il Fmi, la Bce, la Commissione europea e le agenzie di valutazione, non godono di alcuna legittimazione politica. Inoltre si sono mostrate incapaci sia di capire le cause reali della crisi, sia di predisporre interventi efficaci per rimediarvi. Come si spiega allora l´atteggiamento di supina deferenza che verso di loro mostrano i governi? Dopodiché occorre chiedersi quale sbocco politico le misure di austerità potrebbero avere nel medio periodo. Sia la storia del Novecento che molti segni recenti attestano che lo sbocco più probabile potrebbero essere regimi autoritari di destra.
Il Fmi per primo non ha saputo cogliere, fino all´estate 2008, elementi chiave sottesi alla crisi. Non ha dato peso al degrado dei bilanci del settore finanziario, ai rischi di un effetto leva troppo alto, alla bolla del mercato immobiliare, alla rapida espansione del sistema bancario ombra. Ha sottovalutato i rischi di contagio insiti nel sistema finanziario internazionale. Questa serie di giudizi negativi sulle capacità previsionali e terapeutiche del Fmi è stata formulata da un ufficio di valutazione interno al Fondo stesso, in un rapporto del febbraio 2011, non da avversari prevenuti. Sarebbero queste le credenziali con cui il Fmi vuole adesso imporre ai nostri paesi tagli ai bilanci pubblici e privatizzazioni a raffica che da un lato privano i cittadini di diritti fondamentali, dall´altro finiranno per peggiorare la stato dell´economia anziché migliorarlo?
Quanto alla Bce, si sa che i trattati di Maastricht le impongono un unico scopo: deve contenere l´inflazione sotto il 2 per cento. Sui computer lampeggiano indicatori drammatici: disoccupazione in rialzo, proliferazione dei lavori precari, crescita delle disuguaglianze, smantellamento dell´apparato pubblico, salari stagnanti, pensioni indecenti. Mentre il sistema finanziario che ha causato la crisi è apparso finora inattaccabile da ogni seria riforma. Tutto ciò cade al di fuori degli orizzonti della Bce. L´essenziale è la stabilità dei prezzi. L´idea che un punto di inflazione in più avrebbe di sicuro i suoi costi, ma potrebbe forse rendere meno stolidamente aggressive le misure di austerità a carico dei cittadini Ue, per la Bce appare irricevibile. Né gli orizzonti della Ce appaiono più ampi, come provano i documenti provenienti ogni mese da Bruxelles.
L´influenza che hanno sulle misure di austerità le agenzie di valutazione, alle quali i governi Ue sembrano guardare come a un giudizio di Dio, è ben rappresentato da una dichiarazione del primo ministro francese François Fillon. In vista delle presidenziali 2012, ha detto che per prima cosa «bisogna difendere la tripla A della Francia». A ben vedere la battuta suona grottesca. Ma altri governi Ue paiono condividere lo stesso intento, anche se quello tedesco a inizio luglio ha espresso critiche sul declassamento del debito portoghese. Al riguardo i media in genere fungono da diligenti amplificatori. Se una delle maggiori agenzie ci declassa il rating, ripetono ogni giorno, siamo rovinati. Nessuno comprerà più i titoli di stato, oppure gli interessi sui medesimi saliranno talmente da diventare insostenibili per il bilancio pubblico. Quindi i mega-tagli alla spesa sono privi di alternative. In realtà non è affatto vero, ma per chi è vittima della "cattura cognitiva" per mano delle dottrine economiche neo-liberali esse sono invisibili.
Un paio di cose dovrebbero considerare i governi Ue e i media, prima di genuflettersi dinanzi ai giudizi delle agenzie di valutazione. Anzitutto, come proprio esse si affannano a spiegare ogni volta che qualcuno vuol fargli causa perché grazie alle loro valutazioni ha perso molti soldi, i loro cocktail di lettere e segni sono semplici opinioni. Perciò possono essere giuste o sbagliate - lo dicono loro - e in forza del Primo Emendamento della Costituzione americana che tutela la libertà di parola, nessuno può prendersela se un´agenzia esprime un´opinione rivelatasi sbagliata. In secondo luogo, le agenzie di valutazione sono state - cito da una poderosa indagine sulla crisi presentata al Congresso Usa a gennaio 2011 - «ingranaggi essenziali nella ruota della distruzione finanziaria… I titoli connessi a un´ipoteca che furono al cuore della crisi non avrebbero potuto venire commercializzati e venduti senza il sigillo della loro approvazione». Sigillo consistente nella tripla A, il voto più alto che si possa dare alla solvibilità di un debitore. Prima della crisi tale voto veniva distribuito dalle agenzie a velocità supersonica. In sette anni, si legge nello stesso rapporto, la sola Moody´s lo attribuì a quasi 45.000 titoli ipotecari, in seguito malamente svalutati. Con i suddetti limiti autoconclamati, e un simile precedente storico, il tremore dei governi Ue dinanzi a dette agenzie appare o ingenuo, o politicamente sospetto.
Giorni fa il capo dell´eurogruppo Jean-Claude Juncker ha tranquillamente affermato che a causa delle misure di austerità «la sovranità dei greci verrà massicciamente limitata». Poiché l´austerità ha ovunque la stessa faccia, ne segue che dopo verrà limitata anche la sovranità dei portoghesi, degli spagnoli, degli italiani. Chissà se Juncker ha un´idea di dove possa condurre tale strada. Nel 1920 il giovane Keynes un´idea ce l´aveva. In merito alle riparazioni follemente punitive imposte alla Germania con il trattato di Versailles del 1919, scriveva in Le conseguenze economiche della pace: "La politica di ridurre la Germania alla servitù per una generazione, di degradare la vita di milioni di esseri umani, e di privare della felicità un´intera nazione dovrebbe essere considerata ripugnante e detestabile… anche se non fosse il seme dello sfacelo dell´intera vita civile dell´Europa" (enfasi di chi scrive). Keynes era rimasto colpito durante le trattative, cui aveva partecipato, dall´ottusa incapacità dei governanti delle potenze vincitrici di ragionare sulle conseguenze di misure che strappavano la sovranità economica a intere nazioni. I governanti di oggi non sembrano mostrare una maggiore lungimiranza di quelli di ieri, permettendo alle destre di guadagnare un crescente favore popolare al grido di "l´austerità uccide l´economia" (lanciato tra gli altri da Antonis Samara, leader della destra greca). Un grido destinato a far presa, perché coglie il nocciolo della questione, sebbene provenga paradossalmente dalla parte politica che reca le maggiori responsabilità della crisi
Quella miopia politica delle misure di austerità
Data di pubblicazione: 14.07.2011
Autore: Gallino, Luciano La crisi come occasione per cambiare: il capitalismo finanziario la coglie per liquidare la democrazia, nel silenzio della politica ufficiale. La Repubbica, 15 luglio 2011 Le drastiche misure di austerità che i governi europei, incluso il nostro, stanno infliggendo ai loro cittadini non riguardano soltanto l´economia. Pongono questioni cruciali per il futuro della democrazia nella Ue. Prima questione: le organizzazioni cui i governi mostrano di avere ceduto la sovranità economica, quali il Fmi, la Bce, la Commissione europea e le agenzie di valutazione, non godono di alcuna legittimazione politica. Inoltre si sono mostrate incapaci sia di capire le cause reali della crisi, sia di predisporre interventi efficaci per rimediarvi. Come si spiega allora l´atteggiamento di supina deferenza che verso di loro mostrano i governi? Dopodiché occorre chiedersi quale sbocco politico le misure di austerità potrebbero avere nel medio periodo. Sia la storia del Novecento che molti segni recenti attestano che lo sbocco più probabile potrebbero essere regimi autoritari di destra.
Il Fmi per primo non ha saputo cogliere, fino all´estate 2008, elementi chiave sottesi alla crisi. Non ha dato peso al degrado dei bilanci del settore finanziario, ai rischi di un effetto leva troppo alto, alla bolla del mercato immobiliare, alla rapida espansione del sistema bancario ombra. Ha sottovalutato i rischi di contagio insiti nel sistema finanziario internazionale. Questa serie di giudizi negativi sulle capacità previsionali e terapeutiche del Fmi è stata formulata da un ufficio di valutazione interno al Fondo stesso, in un rapporto del febbraio 2011, non da avversari prevenuti. Sarebbero queste le credenziali con cui il Fmi vuole adesso imporre ai nostri paesi tagli ai bilanci pubblici e privatizzazioni a raffica che da un lato privano i cittadini di diritti fondamentali, dall´altro finiranno per peggiorare la stato dell´economia anziché migliorarlo?
Quanto alla Bce, si sa che i trattati di Maastricht le impongono un unico scopo: deve contenere l´inflazione sotto il 2 per cento. Sui computer lampeggiano indicatori drammatici: disoccupazione in rialzo, proliferazione dei lavori precari, crescita delle disuguaglianze, smantellamento dell´apparato pubblico, salari stagnanti, pensioni indecenti. Mentre il sistema finanziario che ha causato la crisi è apparso finora inattaccabile da ogni seria riforma. Tutto ciò cade al di fuori degli orizzonti della Bce. L´essenziale è la stabilità dei prezzi. L´idea che un punto di inflazione in più avrebbe di sicuro i suoi costi, ma potrebbe forse rendere meno stolidamente aggressive le misure di austerità a carico dei cittadini Ue, per la Bce appare irricevibile. Né gli orizzonti della Ce appaiono più ampi, come provano i documenti provenienti ogni mese da Bruxelles.
L´influenza che hanno sulle misure di austerità le agenzie di valutazione, alle quali i governi Ue sembrano guardare come a un giudizio di Dio, è ben rappresentato da una dichiarazione del primo ministro francese François Fillon. In vista delle presidenziali 2012, ha detto che per prima cosa «bisogna difendere la tripla A della Francia». A ben vedere la battuta suona grottesca. Ma altri governi Ue paiono condividere lo stesso intento, anche se quello tedesco a inizio luglio ha espresso critiche sul declassamento del debito portoghese. Al riguardo i media in genere fungono da diligenti amplificatori. Se una delle maggiori agenzie ci declassa il rating, ripetono ogni giorno, siamo rovinati. Nessuno comprerà più i titoli di stato, oppure gli interessi sui medesimi saliranno talmente da diventare insostenibili per il bilancio pubblico. Quindi i mega-tagli alla spesa sono privi di alternative. In realtà non è affatto vero, ma per chi è vittima della "cattura cognitiva" per mano delle dottrine economiche neo-liberali esse sono invisibili.
Un paio di cose dovrebbero considerare i governi Ue e i media, prima di genuflettersi dinanzi ai giudizi delle agenzie di valutazione. Anzitutto, come proprio esse si affannano a spiegare ogni volta che qualcuno vuol fargli causa perché grazie alle loro valutazioni ha perso molti soldi, i loro cocktail di lettere e segni sono semplici opinioni. Perciò possono essere giuste o sbagliate - lo dicono loro - e in forza del Primo Emendamento della Costituzione americana che tutela la libertà di parola, nessuno può prendersela se un´agenzia esprime un´opinione rivelatasi sbagliata. In secondo luogo, le agenzie di valutazione sono state - cito da una poderosa indagine sulla crisi presentata al Congresso Usa a gennaio 2011 - «ingranaggi essenziali nella ruota della distruzione finanziaria… I titoli connessi a un´ipoteca che furono al cuore della crisi non avrebbero potuto venire commercializzati e venduti senza il sigillo della loro approvazione». Sigillo consistente nella tripla A, il voto più alto che si possa dare alla solvibilità di un debitore. Prima della crisi tale voto veniva distribuito dalle agenzie a velocità supersonica. In sette anni, si legge nello stesso rapporto, la sola Moody´s lo attribuì a quasi 45.000 titoli ipotecari, in seguito malamente svalutati. Con i suddetti limiti autoconclamati, e un simile precedente storico, il tremore dei governi Ue dinanzi a dette agenzie appare o ingenuo, o politicamente sospetto.
Giorni fa il capo dell´eurogruppo Jean-Claude Juncker ha tranquillamente affermato che a causa delle misure di austerità «la sovranità dei greci verrà massicciamente limitata». Poiché l´austerità ha ovunque la stessa faccia, ne segue che dopo verrà limitata anche la sovranità dei portoghesi, degli spagnoli, degli italiani. Chissà se Juncker ha un´idea di dove possa condurre tale strada. Nel 1920 il giovane Keynes un´idea ce l´aveva. In merito alle riparazioni follemente punitive imposte alla Germania con il trattato di Versailles del 1919, scriveva in Le conseguenze economiche della pace: "La politica di ridurre la Germania alla servitù per una generazione, di degradare la vita di milioni di esseri umani, e di privare della felicità un´intera nazione dovrebbe essere considerata ripugnante e detestabile… anche se non fosse il seme dello sfacelo dell´intera vita civile dell´Europa" (enfasi di chi scrive). Keynes era rimasto colpito durante le trattative, cui aveva partecipato, dall´ottusa incapacità dei governanti delle potenze vincitrici di ragionare sulle conseguenze di misure che strappavano la sovranità economica a intere nazioni. I governanti di oggi non sembrano mostrare una maggiore lungimiranza di quelli di ieri, permettendo alle destre di guadagnare un crescente favore popolare al grido di "l´austerità uccide l´economia" (lanciato tra gli altri da Antonis Samara, leader della destra greca). Un grido destinato a far presa, perché coglie il nocciolo della questione, sebbene provenga paradossalmente dalla parte politica che reca le maggiori responsabilità della crisi
la francia e l'occidente tradiscono la rivoluzione dell'89
Oggi si ricorda la presa della Bastiglia simbolo del potere della aristocrazia e avvio della rivoluzione francese che avrebbe sconvolto l'Europa riorganizzando il patto sociale basato sui principi che ancora impregnano largamente la legislazione delle cosidette democrazie occidentali. I principi di eguaglianza, libertà, fraternità che tuttavia non vengono rispettati nè dentro le democrazie nè nei rapporti tra queste ed il resto del mondo.
Mentre a Parigi i francesi si raccolgono nella piazza che fu della Bastiglia, un possente dispositivo militare fatto di portaerei, sommergibili, navi, aerei, elicotteri da guerra è spiegato sul mare antistante la Libia per conculcarne la libertà, distruggerla come nazione, depredarla. Appena ieri la Costa d'Avorio è stata massacrata dai francesi per portare al potere un loro uomo disponibile all'uso coloniale delle risorse della sua terra. Le potenze che si ispirano alla democrazia sono tutte unite in una alleanza controllata dagli USA ed occupano militarmente nazioni come l'Irak e l'Afghanistan, tengono sotto tiro il Pakistan e si accingono ad aggredire la Siria e l'Iran. La Francia e gli USA hanno provocato in Siria un vero e proprio tumore fatto di rivoltosi che vorrebbero farne il cortile di casa di Israele e distruggerne la cultura e la sovranità. Non è possibile fregiarsi dei valori dell'89 per negarli con la violenza agli altri popoli che si vorrebbero sottomettere. La libertà e l'eguaglianza e la fraternità sono indivisibili dalla pace. Nessun popolo ha diritto di opprimere un altro popolo nè di insediarne la prosperità come sta accadendo con i paesi sottoposti alla speculazione finanziaria dei signori di Wall Street. Oggi i valori della Rivoluzione francese e della stessa Costituzione americana sono incarnati dalla resistenza dei popoli al colonialismo. Hanno un loro alfiere in Gheddafi, nei rivoluzionari egiziani, tunisini, palestinesi ed i loro eroi in martiri come Lumumba, nelle classi lavoratrici e nei partiti comunisti che lottano in Europa contro la regressione delle condizioni di civiltà conquistate con lunghi anni di lotte. Il capitalismo si è separato dalla democrazia e dai valori provenienti dalla rivoluzione dell'89. Non vuole libertà, eguaglianza e fraternità ma potere per se e nuova diseguaglianza dei ceti, una diseguaglianza pari a quella dei popolani parigini con i nobili dell'aristocrazia. Oggi tra il precario ed il suo datore di lavoro intercorre la differenza che c'era tra il contadino ed il suo nobile proprietario terriero. Una nuova rivoluzione è necessaria per inverare le aspirazioni dell'89.
Oggi se vogliamo davvero l'affermazione dei diritti individuali e collettivi voluti dalla Rivoluzione dobbiamo riferirci al pensiero di due grandissimi europei: Carlo Marx ed Emanuele Kant. Il diritto sociale che scaturisce dall'opera di Marx e quello delle nazioni e sulla pace di Kant dovrebbero essere il riferimento di una nuova sinistra progressista.
Pietro Ancona
http://medioevosociale-pietro.blogspot.com/
www.spazioamico.it di Giuseppina Ficarra
Mentre a Parigi i francesi si raccolgono nella piazza che fu della Bastiglia, un possente dispositivo militare fatto di portaerei, sommergibili, navi, aerei, elicotteri da guerra è spiegato sul mare antistante la Libia per conculcarne la libertà, distruggerla come nazione, depredarla. Appena ieri la Costa d'Avorio è stata massacrata dai francesi per portare al potere un loro uomo disponibile all'uso coloniale delle risorse della sua terra. Le potenze che si ispirano alla democrazia sono tutte unite in una alleanza controllata dagli USA ed occupano militarmente nazioni come l'Irak e l'Afghanistan, tengono sotto tiro il Pakistan e si accingono ad aggredire la Siria e l'Iran. La Francia e gli USA hanno provocato in Siria un vero e proprio tumore fatto di rivoltosi che vorrebbero farne il cortile di casa di Israele e distruggerne la cultura e la sovranità. Non è possibile fregiarsi dei valori dell'89 per negarli con la violenza agli altri popoli che si vorrebbero sottomettere. La libertà e l'eguaglianza e la fraternità sono indivisibili dalla pace. Nessun popolo ha diritto di opprimere un altro popolo nè di insediarne la prosperità come sta accadendo con i paesi sottoposti alla speculazione finanziaria dei signori di Wall Street. Oggi i valori della Rivoluzione francese e della stessa Costituzione americana sono incarnati dalla resistenza dei popoli al colonialismo. Hanno un loro alfiere in Gheddafi, nei rivoluzionari egiziani, tunisini, palestinesi ed i loro eroi in martiri come Lumumba, nelle classi lavoratrici e nei partiti comunisti che lottano in Europa contro la regressione delle condizioni di civiltà conquistate con lunghi anni di lotte. Il capitalismo si è separato dalla democrazia e dai valori provenienti dalla rivoluzione dell'89. Non vuole libertà, eguaglianza e fraternità ma potere per se e nuova diseguaglianza dei ceti, una diseguaglianza pari a quella dei popolani parigini con i nobili dell'aristocrazia. Oggi tra il precario ed il suo datore di lavoro intercorre la differenza che c'era tra il contadino ed il suo nobile proprietario terriero. Una nuova rivoluzione è necessaria per inverare le aspirazioni dell'89.
Oggi se vogliamo davvero l'affermazione dei diritti individuali e collettivi voluti dalla Rivoluzione dobbiamo riferirci al pensiero di due grandissimi europei: Carlo Marx ed Emanuele Kant. Il diritto sociale che scaturisce dall'opera di Marx e quello delle nazioni e sulla pace di Kant dovrebbero essere il riferimento di una nuova sinistra progressista.
Pietro Ancona
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14 luglio 1789: La Bastiglia viene espugnata dai popolani francesi
non dimentichiamo il 14 luglio
14 LUGLIO 1789
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Oggi è l'anniversario della Rivoluzione Francese. La presa della Bastiglia fu l'annuncio di un uragano della storia che sarebbe durato dieci anni e che avrebbe sconvolto per sempre l'ordinamento politico e sociale dell'Europa, ordinamento che non sarebbe stato ripristinato neppure dal Congresso di Vienna del 1815 che restituì il trono alle case regnanti. Il regolamento dei conti dentro la Rivoluzione tra "proletari" e borghesi fu vinto da questi. Il Termidoro tagliando la testa di Robespierre volle simbolicamente decapitare
il corpus popolare e socialista della Rivoluzione per affidarlo alla borghesia con una ennesima rielaborazione della Carta Costituzionale e l'esclusione dal potere e dalle leggi del giocobinismo. Il 18 brumaio, con il colpo di stato napoleonico agevolato dalle forze predominanti della nuova Francia, l'assetto della Repubblica fu nuovamente sconvolto ma, pur dandosi un Imperatore al posto di un Presidente, lo spirito della Rivoluzione restò largamente presente e diffuso e destinato a durare ancora e impregnare di se la storia. La Francia di Napoleone fu una Repubblica con un Imperatore.
" Libertè, Egalitè e Fraternitè" fu la parola d'ordine della nuova Francia capace di impiccare la sua famiglia reale che non cessò di tramare un solo giorno per la sua rovina a riprova dell'internazionalismo e del mancato patriottismo di Luigi XVI. Alcune emanifestazioni della Rivoluzione come la Dea Ragione rappresentata da una ballerina installata sull'altare della Cattedrale di Notre Dame ebbero l'effetto salvifico di rompere con l'oscurantismo e l'ignoranza clericale e di valorizzare il pensiero umano.
Il portato più importante della Rivoluzione fu la rottura del Potere assoluto e la sua tripartizione nelle funzioni dell'assemblea Legislativa, del Governo Esecutivo e dell'ordine giudiziario. Tutte le tirannie successive alla rivoluzione, in Europa e nel mondo, hanno tentato di riunificare in uno i tre poteri. Quando sono riuscite nel loro intento abbiamo conosciuto i periodi di grande barbarie giuridica e sociale dei fascismi e del nazismo.
Oggi, con le manipolazioni delle leggi elettorali e dei poteri del Parlamento, del Presidente e del Governo nonchè con l'assoggettamento della magistratura al Governo, si tenta una ricostituzione tirannica del Potere assoluto purtroppo favorita dallo stato confusionale della sinistra socialista e democratica. La democrazia è già diventata un involucro che contiene un regime sostanzialmente antidemocratico. Inoltre, la mutazione del liberalismo in liberismo e del mercato in oligopolio hanno portato all'acme la vittoria della borghesia ed annichilito nella sconfitta i ceti popolari ed il proletariato al quale non viene riconosciuta più neppure la dignità di classe sociale. Siamo nell'era del massimo potere dei ricchi e della loro predazione dei diritti non solo delle classi "subalterne" ma anche delle nazioni colonizzate o invase per le loro materie prime.
Diceva Marx nel Manifesto che il proletariato deve prendere in mano la bandiera lasciata cadere nel fango dalla borghesia, la bandiera dei diritti e delle libertà della Rivoluzione.
Ricordiamo quindi il 14 luglio come il giorno in cui è possibile cambiare il corso della storia del mondo. A due secoli ed oltre dalla presa della Bastiglia i grandi valori della liberazione delle masse oppresse continuano ad indicarci la strada maestra. Oggi gli eredi della Rivoluzione sono i vandeani che la combatterono e la negarono. Questi eredi sono riusciti ad inquinare con loro spirito reazionario tutto compresa gran parte di ciò che fu la sinistra. Ma la Rivoluzione ha avuto uno sviluppo nella Comune di Parigi e nel governo delle socialdemocrazie europee anche se non di tutte. Può rivivere e realizzarsi nella lotta per i diritti a cominciare di quello della dignità sociale che oggi è il più conculcato. Non è detto che i suoi valori non riprendano a brillare.
Pietro Ancona
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martedì 12 luglio 2011
note su facebook
Morire come v uole il Papa
Il Vaticano impone il modo come dobbiamo morire. Soffrendo come cani anche per anni attaccati ad una cannuccia di ossigeno,.Il Parlamento ha tradotto la volontà del Vaticano in legge per tutti. Se dovessi trovarmi nella condizione di essere prigioniero di un corpo che mi infligge sofferenze vorrei avere qualcuno che trovi il coraggio di sfidare questa terribile legge disumana e pretesca. L'opposizione in Parlamento
L'errore razzista delle generalizzazioni
Rousseau credeva che i climi caldi favoriscono popolazioni indolenti, Leopardi parla degli italiani inclini al malaffare, lombroso è arrivato financo a scoprire la criminalità nella grandezza della fronte o delle orecchie delle persone, Pasolini parla della piccola borghesia come un agglomerato di mlioni di porci. Non credo che nessuno di questi signori avesse ragione
" A nessuna nazione è dato il diritto di occuparne un'altra" dice il Leone del deserto al Generale Graziani". Sono parole di Emanuele Kant.
La speculazione finanziaria come lotta di classe mondiale del capitalismo
la libertà ed il libero arbitrio delle nazioni sono finiti. Possono farti fare la loro politica minacciandoti di farti fallire, di farti perdere una guerra fatta di svalutazioni di titoli in borsa che volatilizzano i risparmi di diecine di milioni di famiglia. E' la dittatura del "mercato" cioè del capitalismo finanziario-
legge sugli insediamenti
Israele conferma la sua volontà di ingoiare il territorio della gisgiordania nonostante il collaborazionismo di Abu Maz
Il Vaticano impone il modo come dobbiamo morire. Soffrendo come cani anche per anni attaccati ad una cannuccia di ossigeno,.Il Parlamento ha tradotto la volontà del Vaticano in legge per tutti. Se dovessi trovarmi nella condizione di essere prigioniero di un corpo che mi infligge sofferenze vorrei avere qualcuno che trovi il coraggio di sfidare questa terribile legge disumana e pretesca. L'opposizione in Parlamento
L'errore razzista delle generalizzazioni
Rousseau credeva che i climi caldi favoriscono popolazioni indolenti, Leopardi parla degli italiani inclini al malaffare, lombroso è arrivato financo a scoprire la criminalità nella grandezza della fronte o delle orecchie delle persone, Pasolini parla della piccola borghesia come un agglomerato di mlioni di porci. Non credo che nessuno di questi signori avesse ragione
" A nessuna nazione è dato il diritto di occuparne un'altra" dice il Leone del deserto al Generale Graziani". Sono parole di Emanuele Kant.
La speculazione finanziaria come lotta di classe mondiale del capitalismo
la libertà ed il libero arbitrio delle nazioni sono finiti. Possono farti fare la loro politica minacciandoti di farti fallire, di farti perdere una guerra fatta di svalutazioni di titoli in borsa che volatilizzano i risparmi di diecine di milioni di famiglia. E' la dittatura del "mercato" cioè del capitalismo finanziario-
legge sugli insediamenti
Israele conferma la sua volontà di ingoiare il territorio della gisgiordania nonostante il collaborazionismo di Abu Maz
ancora coriandoli da Facebook pietro ancona
Valore sociale del ccnl
contratto di lavoro collettivo fa parte integrante e insostituibile della identità della classe operaia come soggetto sociale e storico. Non a caso si vuole abolire a vantaggio di accordi locali che poi diventeranno soltanto condizioni di ingaggio non contrattate. L'abolizione del contratto di lavoro è organica alla trasformazione del PD in partito della borghesia moderata e della Confindustria.
la Francia vorrebbe ritirarsi dalla guerra libica
Ma il popolo libico è stato bombardato e la sua pace violata per sempre.. Resteranno gli effetti dell'uranio impoverito a fare piangere le sue mamme ogni volta che partoriranno bambini deformi. Viva parigi la signora clinton ed anche il capo del partito della guerra in Italia Napoli
A chi dobbiamo la crisi?
Berlusconi ed il governo non c'entrano niente,. La crisi è una pressione politica del sistema capitalistico su se stesso per rastrellare risorse a danno delle popolazioni riducendo i welfare, l'occupazione ed i salari. Non nascondiamoci dietro l'antiberlusconismo. UN governo Bersani sarebbe attaccato lo stesso dalla speculazione,.
L'Italia ha un passato colonialista
La Costituzione italiana ignora il passato colonialista dell'Italia. Bisognerebbe richiamarvelo con una apposita modifica perchè l'antifascismo non basta bisogna aggiungere l'anticolonialismo. Nella cultura politica e sociale italiano non c'è l'anticolonialismo. Bisogna introdurlo.
L'Italia ademocratica e ascara di Napolitano e Berlusconi
Dieci anni fa a Genova si fecero le prove generali di una c ilezzazione dell'Italia con la supervisione di Fini e Castelli. La cosa non è riuscita del tutto ma l'Italia in questi dieci anni è quasi uscita dal sistema democratico.Le carceri scoppiano ed il Parlamento è ridotto alla larva di se stesso. Napolitano fa finta di niente.
La democrazia è soltanto con il sistema elettorale proporzionale puro
IL sistema elettorale è fondamentale per il funzionamento della democrazia. Il sistema bipolare conduce ad una morte dei Parlamenti e della opposizione che tende as assomigliare alla maggioranza. Il proporzionale dovrebbe essere puro e con la possibilità di quattro preferenze.
La crisi permanente come politica
La crisi viene strumentalizzata per aggravare la crisi. Le misure di risparmio sulla spesa sociale e sui salari proposte e realizzate dappertutto in effetti deprimono i sistemi economici e li indeboliscono. E' una grossa novità questo uso dello spauracchio del crac per strangolare i movimenti progressisti e ridurli al silenzio.
Il leone del deserto
Ho visto ieri sera con il gruppo dei compagni al Centro Sociale Laboratorio Zeta di Palermo il bellissimo film "Il leone del deserto". Bisognerebbe farlo vedere in tutto le scuole italiane per educare all'anticolonialismo ed all'antirazzismo ed al rispetto delle culture diverse.
contratto di lavoro collettivo fa parte integrante e insostituibile della identità della classe operaia come soggetto sociale e storico. Non a caso si vuole abolire a vantaggio di accordi locali che poi diventeranno soltanto condizioni di ingaggio non contrattate. L'abolizione del contratto di lavoro è organica alla trasformazione del PD in partito della borghesia moderata e della Confindustria.
la Francia vorrebbe ritirarsi dalla guerra libica
Ma il popolo libico è stato bombardato e la sua pace violata per sempre.. Resteranno gli effetti dell'uranio impoverito a fare piangere le sue mamme ogni volta che partoriranno bambini deformi. Viva parigi la signora clinton ed anche il capo del partito della guerra in Italia Napoli
A chi dobbiamo la crisi?
Berlusconi ed il governo non c'entrano niente,. La crisi è una pressione politica del sistema capitalistico su se stesso per rastrellare risorse a danno delle popolazioni riducendo i welfare, l'occupazione ed i salari. Non nascondiamoci dietro l'antiberlusconismo. UN governo Bersani sarebbe attaccato lo stesso dalla speculazione,.
L'Italia ha un passato colonialista
La Costituzione italiana ignora il passato colonialista dell'Italia. Bisognerebbe richiamarvelo con una apposita modifica perchè l'antifascismo non basta bisogna aggiungere l'anticolonialismo. Nella cultura politica e sociale italiano non c'è l'anticolonialismo. Bisogna introdurlo.
L'Italia ademocratica e ascara di Napolitano e Berlusconi
Dieci anni fa a Genova si fecero le prove generali di una c ilezzazione dell'Italia con la supervisione di Fini e Castelli. La cosa non è riuscita del tutto ma l'Italia in questi dieci anni è quasi uscita dal sistema democratico.Le carceri scoppiano ed il Parlamento è ridotto alla larva di se stesso. Napolitano fa finta di niente.
La democrazia è soltanto con il sistema elettorale proporzionale puro
IL sistema elettorale è fondamentale per il funzionamento della democrazia. Il sistema bipolare conduce ad una morte dei Parlamenti e della opposizione che tende as assomigliare alla maggioranza. Il proporzionale dovrebbe essere puro e con la possibilità di quattro preferenze.
La crisi permanente come politica
La crisi viene strumentalizzata per aggravare la crisi. Le misure di risparmio sulla spesa sociale e sui salari proposte e realizzate dappertutto in effetti deprimono i sistemi economici e li indeboliscono. E' una grossa novità questo uso dello spauracchio del crac per strangolare i movimenti progressisti e ridurli al silenzio.
Il leone del deserto
Ho visto ieri sera con il gruppo dei compagni al Centro Sociale Laboratorio Zeta di Palermo il bellissimo film "Il leone del deserto". Bisognerebbe farlo vedere in tutto le scuole italiane per educare all'anticolonialismo ed all'antirazzismo ed al rispetto delle culture diverse.
domenica 10 luglio 2011
CORIANDOLI DI LUGLIO
PELLEGRINAGGIO
Bersani in pellegrinaggio ad Israele per tentare di salvare l'Italia dalla speculazione dei "mercati" (poteri sionisti) e non farla boccheggiare come la Grecia. Formalmente il viaggio è per dire alcune "ovvietà" filoisraeliane nel conflitto... con i palestinesi. Ma in sostanza il PD è terrorizzato per la speculazione contro l'Italia già in corso e che comincia a sgretolare la fiducia nei titoli di Stato. Tremonti ha commesso un errore grave tassando i Bot che sta spingendo i piccoli risparmiatori a convertire i Bot.
LA SIRIA FERITA
USA e Francia hanno inferto una profonda ferita alla Siria dove da settimane e settimane forze irregolari armatissime combattono per abbattere lo Stato e fare della Siria un cortile di casa di Israele. Ma troppi focolai di guerra contemporanei sono stati aperti nel Medio Oriente. Non è detto che l'imperialismo ed il sionismo siano sempre vincenti.
GHEDDAFI LIBERTATOR
Atrocità italiane in Libia dal 1911 al 1945. Gheddafi è stato il grande Libertator della Libia scacciando il traditore ascaro Re Idris e dandole dignità di nazione nel mondo!
http://www.storiain.net/arret/num153/artic3.asp
La sporca guerra di Libia (1911-1931)
www.storiain.net
CORRUZIONE SECOLARE ED ININTERROTTA
La borghesia italiana è la più corrotta d'Europa e forse del mondo. Dallo scandalo della Banca Romana ad oggi il denaro sottratto dalla corruzione è enorme. Come fa l'Italia a stare ancora in piedi?
OBAMA
Taglia dal poco che c'è del bilancio sociale degli americani per non toccare le mostruose spese militari e di mantenimento di oltre mille basi militari, una flotta di portaerei, diverse guerre appiccate sotto il culo del pianeta terra
Bersani in pellegrinaggio ad Israele per tentare di salvare l'Italia dalla speculazione dei "mercati" (poteri sionisti) e non farla boccheggiare come la Grecia. Formalmente il viaggio è per dire alcune "ovvietà" filoisraeliane nel conflitto... con i palestinesi. Ma in sostanza il PD è terrorizzato per la speculazione contro l'Italia già in corso e che comincia a sgretolare la fiducia nei titoli di Stato. Tremonti ha commesso un errore grave tassando i Bot che sta spingendo i piccoli risparmiatori a convertire i Bot.
LA SIRIA FERITA
USA e Francia hanno inferto una profonda ferita alla Siria dove da settimane e settimane forze irregolari armatissime combattono per abbattere lo Stato e fare della Siria un cortile di casa di Israele. Ma troppi focolai di guerra contemporanei sono stati aperti nel Medio Oriente. Non è detto che l'imperialismo ed il sionismo siano sempre vincenti.
GHEDDAFI LIBERTATOR
Atrocità italiane in Libia dal 1911 al 1945. Gheddafi è stato il grande Libertator della Libia scacciando il traditore ascaro Re Idris e dandole dignità di nazione nel mondo!
http://www.storiain.net/arret/num153/artic3.asp
La sporca guerra di Libia (1911-1931)
www.storiain.net
CORRUZIONE SECOLARE ED ININTERROTTA
La borghesia italiana è la più corrotta d'Europa e forse del mondo. Dallo scandalo della Banca Romana ad oggi il denaro sottratto dalla corruzione è enorme. Come fa l'Italia a stare ancora in piedi?
OBAMA
Taglia dal poco che c'è del bilancio sociale degli americani per non toccare le mostruose spese militari e di mantenimento di oltre mille basi militari, una flotta di portaerei, diverse guerre appiccate sotto il culo del pianeta terra
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