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DOCUMENTI
COSTITUZIONE DELL'URSS
(nota:prima Costituzione approvata dal V Congresso Panrusso dei Soviet il 10 luglio 1918)
TITOLO I
Dichiarazione dei diritti del popolo lavoratore e sfruttato
Capitolo I
1. - La Russia prende il nome di Repubblica dei Soviet dei deputati degli operai, dei contadini e dei soldati. Tutto il potere, centrale e locale, appartiene
ai Soviet.
2. - La Repubblica Sovietica russa viene costituita come Federazione di Repubbliche Sovietiche nazionali sulla base di una libera unione di nazioni libere.
Capitolo II
3. - Allo scopo fondamentale di sopprimere qualsiasi forma di sfruttamento
dell'uomo da parte dell'uomo, di abolire per sempre la divisione della società in classi, di reprimere senza pietà gli sfruttatori, di instaurare l'organizzazione socialista della società, e di assicurare infine la vittoria del socialismo in tutti i paesi, il III Congresso panrusso dei Soviet dei deputati degli operai, dei contadini e dei soldati, decreta ciò che segue:
a) Al fine di attuare la socializzazione del suolo, la proprietà privata su di esso è abolita e tutti i terreni vengono dichiarati proprietà nazionale e trasferiti ai lavoratori, senza indennizzo, sulla base del principio dell'uguaglianza di uso.
b) Tutti i boschi, le ricchezze del sottosuolo e le acque d'interesse nazionale, il bestiame e tutto ciò che è attinente ai terreni, tutte le fattorie modello e le aziende agricole moderne sono dichiarate proprietà pubblica.
e) Come primo passo verso il totale trasferimento nelle mani della Repubblica Sovietica operaia e contadina delle fabbriche, delle officine, delle miniere, delle ferrovie e degli altri mezzi di produzione o di trasporto, viene ratificata la legge sovietica sul controllo operaio e sul Consiglio Superiore dell'Economia nazionale, al fine di assicurare il potere dei lavoratori sui loro sfruttatori.
d) La legge del Soviet che annulla i debiti contratti dal governo dello Zar, dei feudali e della borghesia rappresenta un grave colpo infetto al capitale finanziario internazionale; è necessario avanzare risolutamente su questa strada fino alla vittoria completa della rivolta del proletariato internazionale contro il giogo del capitale.
e) Il trasferimento di tutte le banche nelle mani dello Stalo degli operai e dei contadini, è una delle condizioni dell'emancipazione dei lavoratori dal giogo capitalistico.
f) Al fine di distruggere gli elementi parassitàri della società e di organizzare l'economia nazionale, viene istituito per tutti il servizio obbligatorio del lavoro.
g) Per assicurare alle masse lavoratrici la totalità del potere e togliere di mezzo qualsiasi possibilità di restaurazione del potere degli sfruttatori, viene decretato l'armamento dei lavoratori, la formazione di un'Armata Rossa socialista degli operai e dei contadini, nonché il completo disarmo delle classi possidenti.
Capitolo III
4. - Manifestando la propria decisione di strappare l'umanità agli artigli del capitale finanziario e dell'imperialismo, che nel corso di questa guerra - la guerra più criminale che ci sia mai stata - hanno inondato la terra di sangue, il III Congresso panrusso dei Soviet approva la politica attuale del potere sovietico, che intende rifiutare i trattati segreti, stabilire la massima solidarietà tra gli operai e i contadini degli eserciti in guerra, ottenere ad ogni costo mediante misure rivoluzionarie una pace democratica senza annessioni o indennizzi, sulla base del diritto dei popoli a disporre di se stessi.
5. - Nello stesso spirito, il III Congresso panrusso dei Soviet insiste sulla necessità di una completa rottura con la barbara politica della civiltà borghese, che ha costruito il benessere degli sfruttatori in un esiguo numero di nazioni privilegiate sull'asservimento di centinaia di milioni di lavoratori, in Asia, nelle colonie in genere e nei paesi meno estesi.
6. - Il III Congresso panrusso dei Soviet approva vivamente la politica del Consiglio dei commissari del popolo, che ha proclamato la totale indipendenza della Finlandia, iniziato la ritirala delle truppe russe di stanza in Persia e concesso il diritto all'autodeterminazione all'Armenia.
Capitolo IV
7. - Il III Congresso panrusso dei Soviet dei deputati degli operai, dei contadini e dei soldati, ritiene che ora, nel momento della lotta decisiva del proletariato contro i suoi sfruttatori, non vi deve essere posto per questi ultimi negli organi del potere. Il potere deve appartenere unicamente ed interamente alle masse lavoratrici ed ai loro autentici organismi rappresentativi: i Soviet dei deputati degli operai, dei contadini e dei soldati.
8. - Al tempo stesso, cercando di realizzare una unione veramente libera, volontaria e completa, e perciò duratura e solida delle classi lavoratrici di tutte le nazioni della Russia, il III Congresso panrusso dei Soviet si limita a formulare i principi fondamentali della Federazione delle Repubbliche Sovietiche Russe, riconoscendo agli operai ed ai contadini di ogni nazione il diritto di decidere liberamente, nei propri congressi dei Soviet, se essi desiderano partecipare al Governo fcderaie ed alle altre istituzioni Sovietiche federali e quale forma essi ritengono che questa partecipazione debba assumere.
TITOLO II
Disposizioni generali della Costituzione della Repubblica Socialista Federativa Sovietica Russa
Capitolo V
9. - Nell'attuale periodo di transizione, la Costituzione della Repubblica Socialista federativa Sovietica Russa ha essenzialmente il compito di instaurare, nella forma di un forte potere sovietico panrusso, la dittatura dei lavoratori delle città e delle campagne e dei contadini più poveri, al fine di annientare totalmente la borghesia, di abolire lo sfruttamento dell'uomo da parte dell'uomo e di instaurare il socialismo, nel quale non vi saranno né divisioni di classe né potere statale.
10. - La Repubblica Russa è una libera comunità socialista di tutti i lavoratori della Russia. Tutto il potere entro i confini della Repubblica Socialista
federativa Sovietica Russa appartiene alla popolazione operaia del paese nella sua totalità, organizzata nei Soviet delle città e delle campagne.
11. -I Soviet delle regioni che hanno usanze particolari o una propria struttura nazionale possono associarsi in unioni regionali autonome, alla lesta delle quali, come nel caso di tutte le altre unioni regionali che potranno formarsi in futuro, si trovano i congressi regionali dei Soviet e i loro organi esecutivi. Queste unioni regionali autonome entrano nella Repubblica Socialista Federativa Sovietica Russa sulla base del principio federale.
12. - II potere supremo nella Repubblica Socialista Federativa Sovietica Russa appartiene al Congresso panrusso dei Soviet e, nell'intervallo fra i congressi, al Comitato Esecutivo Centrale panrusso dei Soviet.
13. - Al line di garantire ai lavoratori un'autentica libertà di coscienza, la Chiesa è separata dallo Stato e la scuola dalla Chiesa, e si riconosce a tutti i cittadini la libertà di propaganda religiosa ed antireligiosa.
14. -Allo scopo di assicurare ai lavoratori un'autentica libertà di esprimere le loro opinioni, la Repubblica Socialista Federativa Sovietica Russa sopprime la dipendenza della stampa nei confronti del capitale, trasmette nelle mani della classe operaia e dei contadini poveri tutti i mezzi tecnici e materiali necessari per la pubblicazione di giornali, libri ed altri prodotti di stampa, e garantisce la loro libera diffusione in tutto il paese.
15. - Per garantire ai lavoratori una vera libertà di riunione, la Repubblica Socialista Federativa Sovietica Russa, riconoscendo ai cittadini della Repubblica Sovietica il diritto di organizzare liberamente riunioni, comizi, cortei, ecc., mette a disposizione della classe operaia e dei contadini poveri tutti i locali necessari per organizzare riunioni popolari, con mobili, illuminazione e riscaldamento.
16. - Allo scopo di garantire ai lavoratori una vera libertà di associazione, la Repubblica Socialista Federativa Sovietica Russa, che ha spezzato il potere economico e politico delle classi possidenti togliendo cosi di mezzo lutti gli ostacoli che nella società borghese avevano finora impedito agli operai ed ai contadini di godere della libertà di organizzazione e di azione, offre agli operai ed ai contadini più poveri tutta la sua assistenza materiale e di altro genere affinché essi possano unirsi ed organizzarsi.
17. - Per garantire ai lavoratori il reale accesso alla cultura, la Repubblica Socialista Federativa Sovietica Russa si propone di dare l'istruzione campleta, generale e gratuita agli operai ed ai contadini più poveri.
18. - La Repubblica Socialista Federativa Sovietica Russa dichiara che il lavoro è obbligatorio per tutti i cittadini, e formula il principio «chi non lavora non
mangia».
19. -Al fine di proteggere con tutti i mezzi le conquiste della grande rivoluzione operaia e contadina, la Repubblica Socialista Federativa Sovietica Russa dichiara obbligatoria per tutti i cittadini della Repubblica la difesa della patria socialista ed istituisce il servizio militare generale. L'onore di difendere la rivoluzione con le armi in pugno appartiene solo ai lavoratori: coloro che non lavorano sono sottoposti ad altri obblighi militari.
20. - La Repubblica Socialista Federativa Sovietica Russa, in base al principio della solidarietà internazionalista tra i lavoratori di tutte le nazioni, la accorda i diritti politici dei cittadini russi agli stranieri che risiedono sui territorio della Repubblica Russa per ragioni di lavoro e che appartengono alla classe operaia od ai contadini che non vivono del lavoro altrui; riconosce, inoltre, ai Soviet locali il diritto di accordare a questi stranieri la cittadinanza russa senza altra
formalità.
21. - La Repubblica Socialista Federativa Sovietica Russa concede diritto di asilo a tutti gli stranieri perseguitati per delitti politici o religiosi.
22. - Riconoscendo l'eguaglianza di diritto dei cittadini, indipendentemente dalla loro razza o nazionalità, la Repubblica Socialista Federativa Sovietica Russa dichiara incompatibile con le leggi fondamentali della Repubblica la tolleranza dei privilegi e di qualsiasi genere di preferenza attribuita in base alla razza ed alla nazionalità, come pure l'oppressione delle minoranze nazionali o la limitazione della parità dei loro diritti.
23. - Rispecchiando gli interessi della classe operaia nel suo insieme, la Repubblica Socialista Federativa Sovietica Russa priva gli individui od i gruppi particolari di quei diritti il cui esercizio danneggerebbe gii interessi della rivoluzione socialista.
TITOLO III
Struttura del potere Sovietico
A. Organizzazione del potere centrale
Capitolo VI
Il Congresso panrusso dei Soviet dei deputati degli operai, soldati, contadini e cosacchi
24. - Il Congresso panrusso dei Soviet è il potere supremo della Repubblica Socialista Federativa Sovietica Russa.
25. - Il Congresso panrusso dei Soviet è composto dai rappresentanti dei Soviet di città, in ragione di un deputalo ogni 25000 elettori, e dei rappresentanti dei congressi dei Soviet provinciali, in ragione di un deputato ogni 125000 abitanti.
26. - Il Congresso panrusso dei Soviet viene convocato dal Comitato Esecutivo Centrale panrusso almeno due volte all'anno.
27. - Il Congresso panrusso dei Soviet straordinario viene convocato dal Comitato Esecutivo Centrale panrusso di propria iniziativa o su richiesta dei Soviet locali in rappresentanza di almeno due terzi della popolazione totale della Repubblica.
28. - Il Congresso panrusso dei Soviet elegge il Comitato Esecutivo Centrale panrusso dei Soviet, che non può comprendere più di 200 membri.
29. - II Comitato Esecutivo Centrale panrusso dei Soviet è responsabile di fronte al Congresso panrusso dei Soviet.
30. - Nell'intervallo dei congressi, il Comitato Esecutivo Centrale panrusso dei Soviet è il potere supremo della Repubblica.
Capitolo VII
Il Comitato Esecutivo Centrale panrusso dei Soviet
31. -Il Comitato Esecutivo Centrale panrusso dei Soviet è Porgano supremo di legislazione, amministrazione e controllo della Repubblica Socialista Federativa Sovietica Russa.
32. - Il Comitato Esecutivo Centrale panrusso dei Soviet fissa le direttive generali dell'attività del Governo operaio-contadino e di tutti gli organi del potere sovietico nel paese; coordina dal centro Pattività legislativa ed amministrativa e vigila affinché la Costituzione, i decreti del Congresso panrusso dei Soviet e degli organi centrali del potere Sovietico siano applicati.
33. - Il Comitato Esecutivo Centrale panrusso dei Soviet esamina e ratifica i progetti dei decreti ed altre proposte avanzate dal Consiglio dei Commissari del popolo o dai dipartimenti ministeriali; esso ha anche facoltà di emanare di propria iniziativa decreti ed ordinanze.
34. - Il Comitato Esecutivo Centrale panrusso dei Soviet convoca il Congresso panrusso dei Soviet, al quale rende conto della propria attività e trasmette, dei rapporti sulla politica generale e su questioni particolari.
35.- Il Comitato Esecutivo Centrale panrusso dei Soviet designa il Consiglio dei Commissari del popolo per l'amministrazione generale della Repubblica Socialista Federativa Sovietica Russa ed i Commissariati del popolo per la direzione dei differenti rami dell'amministrazione.
36. - 1 membri del Comitato Esecutivo Centrale panrusso dei Soviet operano nei Commissariati del popolo o eseguono missioni particolari su richiesta del Comitato stesso.
Capitolo VIII
Il Consiglio dei Commissari del popolo
37. -Al Consiglio dei Commissari del popolo spetta l'amministrazione generale della Repubblica Socialista Federativa Sovietica Russa.
38. - Nell'assolvimento di questi compiti, il Consiglio dei Commissari del popolo emana decreti, ordini ed istruzioni ed in generale prende tutti i provvedimenti necessari per una condotta regolare ed efficace degli Affari Pubblici.
39. - Il Consiglio dei Commissari del popolo comunica immediatamente tutti i propri decreti e le proprie deliberazioni al Comitato Esecutivo Centrale panrusso.
40. - Il Comitato Esecutivo Centrale panrusso può annullare i decreti e le deliberazioni del Consiglio dei Commissari del popolo o sospendere la loro esecuzione.
41. -Tutti i decreti e le deliberazioni del Consiglio dei Commissari del popolo su questioni politiche di interesse generale debbono essere sottoposte all'esame ed all'approvazione del Comitato Esecutivo Centrale panrusso dei Soviet.
42. - I membri del Consiglio dei Commissari del popolo dirigono i Commissariali del popolo.
43. - Vengono istituiti diciotto Commissariati del popolo, e precisamente, il Commissariato del popolo: a) agli Affari esteri, b) alla Difesa nazionale, e) alla Marina, d) agli Affari interni, e) alla Giustizia, f) al Lavóro, g) agli Affari sociali, h) all'Istruzione, i) alle Poste e Telegrafi, l) alle Nazionalità, m) agli Affari finanziari, n) alle Comunicazioni, o) all' Agricoltura, p) al Commercio e all'Industria, q) agli Approvvigionamenti alimentari, r) ai Controllo di Stato, s) al Consiglio Superiore dell'Economia Nazionale t) alla Sanità.
44. - Presso ogni Commissario del popolo, e sotto la sua presidenza, viene istituito un collegio, i cui membri sono confermati dal Consiglio dei Commissari del popolo.
45. - Il Commissario del popolo ha diritto di prendere di propria iniziativa decisioni sulle questioni di competenza del Commissariato corrispondente, segnalandole al collegio. Se il collegio non approva una certa decisione del Commissario del popolo, senza sospendere l'esecuzione della decisione, esso può portare la questione di fronte al Consiglio dei Commissari del popolo, o di fronte al Presidium del Comitato Esecutivo Centrale panrusso dei Soviet. Questo diritto di ricorso appartiene anche a ciascun membro del collegio.
46. - Il Consiglio dei Commissari del popolo è interamente responsabile di fronte al Congresso panrusso dei Soviet e al Comitato Esecutivo Centrale panrusso dei Soviet.
47. -I Commissari del popolo e i collegi annessi ai Commissariati del popolo sono interamente responsabili di fronte al Consiglio dei Commissari del popolo ed al Comitato Esecutivo Centrale panrusso dei Soviet.
48. - Il titolo di Commissario del popolo appartiene unicamente ai membri del Consiglio dei Commissari del popolo responsabili degli affari generali
della Repubblica Socialista Federativa Sovietica Russa: nessun altro rappresentante del potere, sia centrale che locale, può appropriarsene.
Capitolo IX
Attributi del Congresso punrusso dei Soviet e del Comitato Esecutivo Centrale punrusso dei Soviet
49. - E' di competenza del Congresso panrusso dei Soviet e del Comitato Esecutivo Centrale panrusso dei Soviet la soluzione di tulle le questioni d'interesse nazionale, come:
a) l'elaborazione della Costituzione della Repubblica Socialista Federativa Sovietica Russa e l'introduzione in essa di emendamenti;
b) la direzione generale di tutta la politica estera ed interna della Repubblica Socialista Federativa Sovietica Russa;
e ) l'istituzione e la revisione delle frontiere, nonché l'alienazione di una parte del territorio della Repubblica Socialista Federativa Sovietica Russa o la rinuncia ad alcuni diritti che le appartengono;
d) la determinazione delle frontiere e dell'ambito di competenza dei congressi regionali dei Soviet che fanno parte della Repubblica Socialista Federativa Sovietica Russa, nonché la soluzione dei conflitti che sorgono tra essi;
e) l'ammissione alla Repubblica Socialista Federativa Sovietica Russa di nuovi membri della Repubblica Sovietica ed il riconoscimento del diritto detenuto dalle sue parti costitutive di separarsi dalla Federazione russa;
f) la divisione amministrativa generale dei territori della Repubblica Socialista Federativa Sovietica Russa e l'approvazione dei raggruppamenti regionali;
g) l'instaurazione e la revisione del sistema dei pesi e delle misure, ed anche del sistema monetario, sul territorio della Repubblica Socialista Federativa Sovietica Russa;
h) i rapporti con gli stati stranieri, dichiarazioni di guerra e trattati di pace;
i) la conclusione di crediti, di accordi commerciali, doganali e finanziari;
1) la creazione delle basi e l'elaborazione del piano complessivo dell'economia nazionale e dei suoi diversi settori, sul territorio della Repubblica Socialista Federativa Sovietica Russa;
m) l'approvazione del bilancio della Repubblica Socialista Federativa Sovietica Russa;
n) l'istituzione di tasse e di imposte statali;
o) la creazione delle basi organizzative delle forze armate della Repubblica
Socialista Federativa Sovietica Russa;
p) la legislazione d'interesse nazionale, l'organizzazione della procedura
giudiziaria, della legislazione civile, penale, ecc.;
q) la nomina e la destituzione dei singoli membri del Consiglio dei Commissari
del popolo o del Consiglio dei Commissari del popolo nel suo insieme, nonché
l'approvazione della nomina del Presidente del Consiglio dei Commissari del
popolo;
r) l'emanazione di decreti generali concernenti l'acquisto o la perdita del diritto
di cittadinanza russa e i diritti degli stranieri sul territorio della Repubblica;
s) il diritto di amnistia generale o parziale.
50. - Oltre alle questioni sopraindicate, rientrano nella competenza del Congresso panrusso dei Soviet e del CEC panrusso dei Soviet tutte le questioni che essi ritengono di loro competenza.
51. - Il Congresso panrusso dei Soviet è l'unica autorità competente per: a) l'istituzione, la revisione e la modificazione dei principi fondamentali della Costituzione; b) la ratifica dei trattati di pace.
52. - Le questioni indicate ai punti e e h dell'articolo 49 vengono regolate dal Comitato Esecutivo Centrale panrusso dei Soviet solo quando non è possibile riunire il congresso panrusso dei Soviet.
B. Organizzazione del Potere locale
Capitolo X
I congressi dei Soviet
53. - Partecipano ai congressi dei Soviet (di governatorato, di distretto urbano e rurale) i rappresentanti di tutti i Soviet che si trovano nel territorio dell'unità amministrativa in questione ed i rappresentanti dei Soviet delle unità (villaggio, fabbrica, officina, ecc.) le cui questioni amministrative sono esaminate di fronte alle assemblee generali degli elettori in base alle norme seguenti:
a) il congresso di governatorato comprende i rappresentanti dei Soviet di città, i Soviet dei quartieri di fabbriche e di officine con più di 5000 abitanti, ed i rappresentanti dei Soviet rurali secondo le quote: congresso di mandamento: un deputato ogni 10000 abitanti; Soviet urbani. Soviet dei quartieri di fabbriche e di officine, Soviet di fabbriche e di officine al di fuori del territorio cittadino: un deputalo ogni 2000 elettori. Per tulio il governatorato, i deputati non debbono essere più di 300. Se prima del congresso del governatorato, vengono convocali direttamente i congressi di distretto, le elezioni nei mandamenti non avvengono mediante i congressi di mandamento ma mediante i congressi di distretto.
b) Il congresso di distretto comprende i rappresentanti di tutti i Soviet dei territorio, compreso il Soviet urbano di distretto, secondo le quote seguenti: un deputato ogni 1000 abitanti per i Soviet rurali; un delegato ogni 200 elettori per i Soviet dei quartieri o delle fabbriche e delle officine che si trovano al di fuori del territorio cittadino. Per lutto il distretto, i deputati non debbono essere più di 300.
c) Il congresso di mandamento comprende i rappresentanti di tutti i Soviet del territorio, secondo la quota: un deputato ogni 100 abitanti.
54. -I congressi dei Soviet sono convocati dagli organi esecutivi corrispondenti del potere sovietico (comitato esecutivo) su richiesta o per iniziativa dei Soviet locali in rappresentanza di almeno un terzo della popolazione della circoscrizione. In ogni caso, essi debbono riunirsi almeno una volta all'anno nelle regioni, nei governatorati e nei distretti ed almeno una volta ogni tre mesi nei mandamenti.
55. - Il congresso dei Soviet (della regione, del governatorato, dei distretti urbani e rurali) elegge il proprio organo esecutivo: il comitato esecutivo. Quest'ultimo non può comprendere più di 25 membri per i Soviet di regione e di governatorato; 20 membri per i Soviet di distretto urbano; 10 membri per i Soviet di distretto rurale.
Il comitato esecutivo è responsabile di fronte al Soviet che lo ha eletto.
56. - Nei limiti del suo ambito di competenza, il congresso dei Soviet (di regione, di governatorato, di distretto) è l'organo supremo del potere nel territorio considerato; tra due sessioni del congresso, lo stesso potere appartiene al comitato esecutivo.
Capitolo XI
I Soviet dei deputati
57. -I Soviet dei deputati sono organizzati: a) nelle città, secondo la quota di un deputato ogni 1000 abitanti; essi possono comprendere da un minimo di 50 ad un massimo di 100 membri; b) negli agglomerati rurali (villaggi, borgate, frazioni, città con meno di 10000 abitanti, villaggi del Caucaso, villaggi ucraini e delle sleppe), secondo la quota di un deputalo ogni 100 abitanti; essi possono comprendere da un minimo di 3 ad un massimo di 50 deputati per ogni agglomerato.
Il mandato ha una durata di tre mesi.
58. - Per lo svolgimento della propria attività normale, il Soviet dei deputati forma un organo esecutivo (comitato esecutivo), composto nei villaggi da 5 persone al massimo: nelle città si elegge un membro del comitato esecutivo ogni 50 deputati. Il numero dei membri non deve comunque essere inferiore a 3 e superiore a 15; per le città di Mosca e Leningrado il massimo è portato a 40. Il comitato esecutivo è responsabile di fronte al Soviet da cui è stato eletto.
59. - II Soviet dei deputati è convocato dal comitato esecutivo per iniziativa di quest'ultimo o su richiesta di almeno la metà dei suoi membri. In ogni caso, esso deve essere convocato almeno una volta alla settimana nelle città e due volte alla settimana nei villaggi.
60. - Nei limiti di loro competenza, il Soviet e l'assemblea generale degli elettori rappresentano, nei casi previsti dall'art. 57, il potere supremo del loro territorio.
Capitolo XII
Gli attributi degli organi locali del potere sovietico
61. - Gli organi del potere Sovietico regionali, di governatorato, dei distretti urbani e rurali, nonché i Soviet dei deputati, hanno facoltà di: a) applicare tutte le decisioni degli organi superiori corrispondenti del potere sovietico; b) prendere tutti i provvedimenti necessari per migliorare le condizioni culturali ed economiche del loro territorio; e) risolvere tutti i problemi di interesse puramente locale; d) coordinare tutta Cattività sovietica nei limiti del loro territorio.
62. -I congressi dei Soviet e i loro comitati hanno diritto di esercitare il controllo sull'attività dei Soviet locali. Pertanto gli organi sovietici regionali hanno diritto di controllo su tutti' i Soviet della loro regione, gli organi sovietici del governatorato su tutti i Soviet del governatorato, ad eccezione dei Soviet cittadini che non rientrano nel quadro dei congressi dei Soviet distrettuali, ecc. I congressi dei Soviet di regione, di governatorato e i loro comitati esecutivi hanno inoltre il diritto di abrogare le decisioni prese dai Soviet del territorio della loro circoscrizione. Nei casi di particolare importanza, essi devono informare di ciò le autorità sovietiche centrali.
63. - Per assolvere i compiti loro affidati, i Soviet (di città e di villaggio) e i comitati esecutivi (di regione, di governatorato, dei distretti urbani e rurali) creano i servizi necessari assegnando ad ognuno un direttore.
TITOLO IV
Il diritto elettorale attivo e passivo
Capitolo XIII
64. -Hanno diritto di elezione e di eleggibilità, indipendentemente dalla loro confessione, nazionalità o residenza, i cittadini sovietici della Repubblica Socialista Federativa Sovietista Russa di entrambi i sessi, che al momento delle elezioni abbiano compiuto diciotto anni ed appartengano alle seguenti categorie:
a) gli individui che traggono i loro mezzi di sussistenza dal lavoro produttivo e da un lavoro socialmente utile, nonché quelli che effettuano un lavoro domestico permettendo ai primi di compiere il loro lavoro produttivo, come gli operai e gli impiegati di qualsiasi categoria e di qualsiasi genere che lavorano nell'industria, nel commercio, nell'agricoltura e in altri settori, i contadini e i coltivatori kazaki che non si servono di salariati al fine di ottenere un profitto;
b) i soldati dell'esercito e della marina Sovietica;
e) i cittadini che rientrano nelle categorie definite al punto a) e b) del presente articolo e che hanno perduto, in misura maggiore o minore, la loro capacità lavorativa.
65. - Non eleggono e non possono essere eletti:
a) coloro che impiegano salariati al fine di ottenere un profitto;
b) coloro che fruiscono di redditi che non provengono dal loro lavoro, come gli interessi del capitale, i redditi delle aziende e delle proprietà immobiliari, ecc.:
e) i commercianti privati, i mediatori commerciali;
d) i monaci, gli ecclesiastici e tutti coloro che sono al servizio della Chiesa e dei culti religiosi;
e) i funzionari e gli agenti della vecchia polizia, del corpo speciale della gendarmeria e dei servizi di sicurezza, nonché i membri della casa regnante di Russia;
f) coloro che sono privi di capacità di intendere e di volere; g) coloro che sono stati condannati per furto e delitti infamanti, per il periodo stabilito dalla legge o dalle sentenze dei tribunali.
Capitolo XIV
II sistema elettorale
66. - Le elezioni avvengono conformemente ai metodi stabiliti ed alla data fissata dai Soviet locali.
67. - Le elezioni hanno luogo alla presenza della Commissione elettorale e dei rappresentanti del Soviet locale.
68. - Quando la partecipazione del rappresentante del potere sovietico risulla materialmente impossibile, egli viene sostituito dal presidente della Commissione elettorale o, in sua assenza, dal presidente del consiglio elettorale.
69. -1 risultati dello scrutinio vengono messi a verbale, e quest'ultimo viene firmato dai membri della Commissione elettorale e dal rappresentante del Soviet.
70. - Il regolamento elettorale e la partecipazione alle elezioni dei sindacati e di altre organizzazioni dei lavoratori sono fissati dal Soviet locale, secondo le istruzioni del Comitato Esecutivo Centrale panrusso.
Capitolo XV
La verifica e l'annullamento delle elezioni e la revoca dei deputati
71. - Tutta la documentazione relativa alle elezioni viene depositata presso il Soviet corrispondente.
72. Il Soviet designa una commissione dei mandati per verificare i risultati elettorali.
73. La commissione del mandati riferisce al Soviet sul risultati elettorali.
74. II Soviet decide la validità dei candidati contestali.
75. Se l'elezione di un candidato non risulta valida, il Soviet indice nuove elezioni.
76. Quando si verificano irregolarità generali nelle elezioni. Porgano gerarchicamente superiore del potere Sovietico prende in esame il loro annullamento.
77. Ultima istanza perciò che concerne l'annullamento delle elezioni sovietiche è il Comitato Esecutivo Centrale panrusso dei Soviet.
78. Gli elettori hanno diritto di revocare in qualsiasi momento il deputato da loro eletto e di procedere a nuove elezioni, in base alle disposizioni del regolamento generale.
Norme sul bilancio
Capitolo XVI
79. - Nella fase attuale della dittatura dei lavoratori, la politica finanziaria della Repubblica Socialista Federativa Sovietica Russa persegue essenzialmente il fine di espropriare la borghesia e di preparare le condizioni per l'eguaglianza di tulli i cittadini della Repubblica nel campo della produzione e della distribuzione dei beni. Pertanto essa si propone di assicurare al potere sovietico il diritto di disporre di tutti i mezzi necessari al soddisfacimento dei bisogni locali e generali della Repubblica Sovietica, senza arrestarsi di fronte al diritto di proprietà privata.
80. - Le entrate e le uscite della Repubblica Socialista Federativa Sovietica Russa compaiono nel bilancio generale di Stato.
81. - Il Congresso panrusso dei Soviet o il Comitato Esecutivo Centrale panrusso dei Soviet determina i redditi che debbono confluire nel bilancio nazionale e quelli che spettano ai Soviet locali; esso fissa la ripartizione delle imposte.
82. -I Soviet fissano la ripartizione delle imposte e dei proventi unicamente destinati a coprire i bisogni dell'economia locale. I bisogni generali dello Stato sono soddisfatti mediante le risorse provenienti dal tesoro pubblico.
83. - Si possono effettuare prelievi sulle risorse del tesoro pubblico solo mediante una assegnazione di credito nei conti delle spese e delle risorse, oppure in seguito a una particolare deliberazione del potere centrale.
84. - Per far fronte alle spese di interesse nazionale, i crediti necessari sono trasferiti dal tesoro pubblico ai Soviet locali attraverso i rispettivi Commissariati del popolo.
85. - Tulli i crediti del tesoro pubblico concessi ai Soviet, nonché i crediti destinati ai bisogni locali, debbono essere utilizzati secondo le disposizioni dei bilanci preventivi e non possono essere destinati al soddisfacimento di altri bisogni senza una speciale deliberazione del Comitato Esecutivo Centrale panrusso dei Soviet e del Consiglio dei Commissari del popolo.
86.-I Soviet locali elaborano i bilanci preventivi in corrispondenza ai bisogni locali. I bilanci dei Soviet rurali, distrettuali e cittadini che partecipano al congresso dei Soviet di distretto sono approvati rispettivamente sia dai congressi dei Soviet di governatorato o di regione, sia dai loro comitati esecutivi; i bilanci degli organi Sovietici del potere di città, di governatorato, di regione sono approvati dal Comitato Esecutivo Centrale panrusso dei Soviet e dal Consiglio dei Commissari del popolo.
87. - Per coprire tutte le spese non previste dal bilancio o rimediare all'insufficienza dei crediti di bilancio, i Soviet chiedono crediti addizionali ai Commissariati del popolo corrispondenti.
88. - Se le risorse locali risultano insufficienti per soddisfare i bisogni locali, il Comitato Esecutivo Centrale panrusso dei Soviet e il Consiglio dei Commissari del popolo possono autorizzare, per coprire le spese più urgenti, Passegnazione di anticipi o di prestiti provenienti dai fondi del tesoro pubblico.
TITOLO SESTO
Stemma e bandiere della Repubblica Socialista Federativa Sovietica Russa
Capitolo XVII
89. - Lo stemma della Repubblica Socialista Federativa Sovietica Russa è composto da una figura che rappresenta una falce ed un martello, con i manici incrociati e diretti verso il basso, circondata da una corona di spighe su fondo rosso, coperto dai raggi del sole, con le scritte: a) Repubblica Socialista Federativa Sovietica Russa; b) Proletari di tutti i paesi unitevi.
90. - La bandiera commerciale, marittima e militare della Repubblica Socialista Federativa Sovietica Russa è un drappo rosso che, al suo angolo superiore di sinistra, presso Fasta, porta la scritta dorata: REPUBBLICA SOCIALISTA FEDERATIVA SOVIETICA RUSSA o Repubblica Socialista Federativa Sovietica Russa.
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giovedì 27 ottobre 2011
il cappio al collo
Il cappio al collo
L'Europa ha accettato il documento dell'Italia sugli impegni che erano stati dettati dalla BCE per il risanamento e lo sviluppo. Berlusconi ritorna da Bruxelles con un successo per il suo governo e con il viatico a governare per i prossimi mesi per tradurre gli impegni assunti in provvedimenti concreti. Sarà possibile licenziare lavoratori a tempo indeterminato che è l'obiettivo che il padronato e la destra italiana si propongono inutilmente di raggiungere da molti anni. L'art.18 viene finalmente espugnato con l'intervento pesante e decisivo della Unione Europea. Ma la lettera contiene altre cose di primaria importanza come l'innalzamento dell'età pensionale e la mobilità del personale della pubblica amministrazione e la dismissione del patrimonio pubblico e le privatizzazioni. Inoltre cancella il referendum sull'acqua ed invita l'Italia a mettere sul mercato i servizi locali. Naturalmente la "letterina" come è stata definita con un assurdo sfottò dall'opposizione italiana non contiene niente che possa riguardare i patrimoni e l'evasione fiscale. Eppure da una tassa patrimoniale si potrebbero ricavare subito 200 miliardi di euro. Il taglio delle misure è rigorosamente classista, risparmia i ceti benestanti e l'oligarchia politica, risparmia le diecine di migliaia di consigli di amministrazione inutili e costosi costituiti dalle amministrazioni pubbliche per corrispondere stipendi alla pletora di individui della parapolitica. La decisione europea di ieri sulle proposte italiane ma suggerite dalla BCE è il punto più alto della lotta di classe contro i lavoratori italiani che si sia mai toccato. Tutte le misure proposte riducono o tolgono diritti e sono inutili o ininfluenti per la crescita. I licenziamenti facili serviranno a facilitare gli investimenti industriali? L'accettazione della lettera del governo Berlusconi è la prova della malafede e della strumentalità di una crisi sulla quale si è fatto molto terrorismo. Le misure suggerite ed approvate riguardano soltanto la cancellazione di diritti che la ossessiva ideologia liberista contagiata dai nocons ha imposto a quella che una volta fu la civile Europa. Si può dire che la loro realizzazione peggiorerà la crisi e renderà ancora più grave malata e debole la condizione dell'Italia. I mercati e le istituzioni internazionali sono diventati strumenti per cancellare quasi due secoli di lotte e di conquiste dei lavoratori. Si ritorna ai primordi di una società senza regole e senza diritti.
L'opposizione italiana che aveva accolto con frizzi e lazzi il documento del governo ora ha le mani nella tagliola. Dovrà approvare le misure su pressione del governo e del Presidente della Repubblica. Dovrà dire si a tutte le scelte fatte dalla destra italiana. Se dirà di no o farà resistenza sarà in contraddizione con se stessa. Si assumerà la responsabilità di fare fallire la "salvezza" dell'Italia. Neppure i sindacati confederali hanno le carte in regola. Faranno lo sciopero generale dopo avere lasciato maturare senza sostanzialmente ostacolare le scelte del governo. Sciopero scontato come un rito stanco ed ipocrita. Bisognerà che qualcuno proponga all'Italia una prospettiva diversa. L'Europa è diventata una trappola. La Costituzione italiana non conta più niente e dobbiamo ubbidire senza discutere. Siamo dentro un ordinamento autoritario. Meglio cominciare a pensare ad un altro modo di stare al mondo, ad una Italia che si affranchi dalle pesanti catene dei trattati europei.
Pietro Ancona
L'Europa ha accettato il documento dell'Italia sugli impegni che erano stati dettati dalla BCE per il risanamento e lo sviluppo. Berlusconi ritorna da Bruxelles con un successo per il suo governo e con il viatico a governare per i prossimi mesi per tradurre gli impegni assunti in provvedimenti concreti. Sarà possibile licenziare lavoratori a tempo indeterminato che è l'obiettivo che il padronato e la destra italiana si propongono inutilmente di raggiungere da molti anni. L'art.18 viene finalmente espugnato con l'intervento pesante e decisivo della Unione Europea. Ma la lettera contiene altre cose di primaria importanza come l'innalzamento dell'età pensionale e la mobilità del personale della pubblica amministrazione e la dismissione del patrimonio pubblico e le privatizzazioni. Inoltre cancella il referendum sull'acqua ed invita l'Italia a mettere sul mercato i servizi locali. Naturalmente la "letterina" come è stata definita con un assurdo sfottò dall'opposizione italiana non contiene niente che possa riguardare i patrimoni e l'evasione fiscale. Eppure da una tassa patrimoniale si potrebbero ricavare subito 200 miliardi di euro. Il taglio delle misure è rigorosamente classista, risparmia i ceti benestanti e l'oligarchia politica, risparmia le diecine di migliaia di consigli di amministrazione inutili e costosi costituiti dalle amministrazioni pubbliche per corrispondere stipendi alla pletora di individui della parapolitica. La decisione europea di ieri sulle proposte italiane ma suggerite dalla BCE è il punto più alto della lotta di classe contro i lavoratori italiani che si sia mai toccato. Tutte le misure proposte riducono o tolgono diritti e sono inutili o ininfluenti per la crescita. I licenziamenti facili serviranno a facilitare gli investimenti industriali? L'accettazione della lettera del governo Berlusconi è la prova della malafede e della strumentalità di una crisi sulla quale si è fatto molto terrorismo. Le misure suggerite ed approvate riguardano soltanto la cancellazione di diritti che la ossessiva ideologia liberista contagiata dai nocons ha imposto a quella che una volta fu la civile Europa. Si può dire che la loro realizzazione peggiorerà la crisi e renderà ancora più grave malata e debole la condizione dell'Italia. I mercati e le istituzioni internazionali sono diventati strumenti per cancellare quasi due secoli di lotte e di conquiste dei lavoratori. Si ritorna ai primordi di una società senza regole e senza diritti.
L'opposizione italiana che aveva accolto con frizzi e lazzi il documento del governo ora ha le mani nella tagliola. Dovrà approvare le misure su pressione del governo e del Presidente della Repubblica. Dovrà dire si a tutte le scelte fatte dalla destra italiana. Se dirà di no o farà resistenza sarà in contraddizione con se stessa. Si assumerà la responsabilità di fare fallire la "salvezza" dell'Italia. Neppure i sindacati confederali hanno le carte in regola. Faranno lo sciopero generale dopo avere lasciato maturare senza sostanzialmente ostacolare le scelte del governo. Sciopero scontato come un rito stanco ed ipocrita. Bisognerà che qualcuno proponga all'Italia una prospettiva diversa. L'Europa è diventata una trappola. La Costituzione italiana non conta più niente e dobbiamo ubbidire senza discutere. Siamo dentro un ordinamento autoritario. Meglio cominciare a pensare ad un altro modo di stare al mondo, ad una Italia che si affranchi dalle pesanti catene dei trattati europei.
Pietro Ancona
mercoledì 26 ottobre 2011
lo sfottò sulla letterina
Lo sfottò sulla letterina
L'avventurismo e la mancanza di senso della Nazione delle opposizioni italiane sono davvero stupefacenti! Oggi sono tutti a sfottere il Governo per la "letterina" di risposta alle ingiunzioni dei mafiosi proprietari della Unione Europea Sarkozy e Merkel, tutti a criticare la mancanza di autorevolezza del Presidente del Consiglio che non sa imporsi alla lega . L'opposizione e i pennivendoli liberisti della stampa italiana sono ben rappresentati da Gramellini che fa una pesante satira sulla irrisolutezza e sulle difficoltà del governo. Avremmo dov uto ubbidire a tamburo battente, cedere subito le pensioni di anzianità, portare il limite magari a 70 anni. L'Italia quindi si trova presa tra due morse: le pedate e le ingiunzioni condite da risolini sarcastici della Francia e della Germania ed una opposizione che attacca da destra il governo per le difficoltà che sta frapponendo a cedere sulle pensioni fino a ieri considerate in equilibrio fino a dopo il 2050. I liberisti si sono inventati un altro punto di vista per attaccare le pensioni e cioè che assorbono il 15 per cento del PIL che il padronato, avendo prosciugato tutti i barili, vuole per se, per impadronirsi della grande risorsa INPS. Subito dopo attaccheranno l'INAIL il cui fondo fa gola alla Confindustria abituata a parassitarsi sulle risorse e sul patrimonio dello Stato ed ansiosa di avere nuova carne da spolpare assieme alle privatizzazioni dei beni pubblici da svendere. Hanno già l'acqualina in bo cca in molti a fronte della svendita dei terreni dello Stato che valgono otto o nove miliardi di euro. Si venderà anche la tenuta di San Rossore?
Sarkozy che ha un sistema pensionistico che costa più di quello italiano con un limite a 60 anni per le pensioni aspetta che si compia il misfatto in Italia per estenderlo al suo paese frenato soltanto dalla scadenza elettorale nella quale spero sarà soccombente. Ma in Francia i sindacati sono assai meno servili con il governo di quelli italiani.
Tutte le ricette della UE imposte con il terrorismo ed il ricatto non sono necessarie per il risanamento dei conti ma per abbassare il sistema sociale europeo a quello americano. Sono il frutto dell'Ideologia ossessiva dei neocon liberisti che ha contagiato anche l'opposizione italiana ed in particolare il PD. La fata turchina per convincere Pinocchio a bere la medicina fa entrare sei conigli che trasportano una bara. Pinocchio si arrende e poi guarisce. Ma la Merkel non è la fata turchina. La sua medicina accrescerà l'infelicità sociale dell'Italia senza aiutarla a guarire, a crescere, a prosperare. Non cresce un paese che tratta malissimo i suoi lavoratori ed i suoi pensionati e che ha precarizzato due generazioni di giovani con una legge orrenda. Tutta l'opposizione italiana vuole mostrarsi più pronta più servizievole di Berlusconi sia per le scelte economiche come per quelle militari. L'establiscement trova in questo la via per la sua salvezza a spese dei lavoratori e dei pensionati. Ma è meglio per l'Italia cominciare a pensare ad una alternativa a questa Europa che diventa sempre più tiranna, ingiusta, guerrafondaia.
Pietro Ancona
L'avventurismo e la mancanza di senso della Nazione delle opposizioni italiane sono davvero stupefacenti! Oggi sono tutti a sfottere il Governo per la "letterina" di risposta alle ingiunzioni dei mafiosi proprietari della Unione Europea Sarkozy e Merkel, tutti a criticare la mancanza di autorevolezza del Presidente del Consiglio che non sa imporsi alla lega . L'opposizione e i pennivendoli liberisti della stampa italiana sono ben rappresentati da Gramellini che fa una pesante satira sulla irrisolutezza e sulle difficoltà del governo. Avremmo dov uto ubbidire a tamburo battente, cedere subito le pensioni di anzianità, portare il limite magari a 70 anni. L'Italia quindi si trova presa tra due morse: le pedate e le ingiunzioni condite da risolini sarcastici della Francia e della Germania ed una opposizione che attacca da destra il governo per le difficoltà che sta frapponendo a cedere sulle pensioni fino a ieri considerate in equilibrio fino a dopo il 2050. I liberisti si sono inventati un altro punto di vista per attaccare le pensioni e cioè che assorbono il 15 per cento del PIL che il padronato, avendo prosciugato tutti i barili, vuole per se, per impadronirsi della grande risorsa INPS. Subito dopo attaccheranno l'INAIL il cui fondo fa gola alla Confindustria abituata a parassitarsi sulle risorse e sul patrimonio dello Stato ed ansiosa di avere nuova carne da spolpare assieme alle privatizzazioni dei beni pubblici da svendere. Hanno già l'acqualina in bo cca in molti a fronte della svendita dei terreni dello Stato che valgono otto o nove miliardi di euro. Si venderà anche la tenuta di San Rossore?
Sarkozy che ha un sistema pensionistico che costa più di quello italiano con un limite a 60 anni per le pensioni aspetta che si compia il misfatto in Italia per estenderlo al suo paese frenato soltanto dalla scadenza elettorale nella quale spero sarà soccombente. Ma in Francia i sindacati sono assai meno servili con il governo di quelli italiani.
Tutte le ricette della UE imposte con il terrorismo ed il ricatto non sono necessarie per il risanamento dei conti ma per abbassare il sistema sociale europeo a quello americano. Sono il frutto dell'Ideologia ossessiva dei neocon liberisti che ha contagiato anche l'opposizione italiana ed in particolare il PD. La fata turchina per convincere Pinocchio a bere la medicina fa entrare sei conigli che trasportano una bara. Pinocchio si arrende e poi guarisce. Ma la Merkel non è la fata turchina. La sua medicina accrescerà l'infelicità sociale dell'Italia senza aiutarla a guarire, a crescere, a prosperare. Non cresce un paese che tratta malissimo i suoi lavoratori ed i suoi pensionati e che ha precarizzato due generazioni di giovani con una legge orrenda. Tutta l'opposizione italiana vuole mostrarsi più pronta più servizievole di Berlusconi sia per le scelte economiche come per quelle militari. L'establiscement trova in questo la via per la sua salvezza a spese dei lavoratori e dei pensionati. Ma è meglio per l'Italia cominciare a pensare ad una alternativa a questa Europa che diventa sempre più tiranna, ingiusta, guerrafondaia.
Pietro Ancona
martedì 25 ottobre 2011
miscellanea da facebook
Miscellania da Facebook
Pensieri a tempo perso
rileggendo la storia dell'URSS e della sua sconcertante fine mi è capitato di pensare che questa sia cominciata subito dopo la morte di Stalin con il Rapporto Kruscev al XX Congresso ( 1956) che ha screditato e delegittimata la storia del comunismo. Kruscev è stato il portavoce di una linea di destra interna al PCUS che da lui è giunta a Gorbacev e che ha provocato il ...collasso del Partito e dello Stato. Non c'erano ragioni economiche o sociali perchè il comunismo decadesse e tuttora la forza della Russia di Putin consiste nel lascito industriale e tecnologico immenso della Unione Sovietica. Kruscev è stato il cancro e Gorbaciov la sua metastasi terribile. Ora i lavoratori di tutto il mondo sono nelle grinfie del padrone delle ferriere.
I perdenti
Mi ritrovo sempre dalla parte dei perdenti: Allende, Gheddafi, Milosevic, Sadam Hussein tutti assassinati per avere avuto la testa dura e per non avere assecondato i disegni degli scrocconi del mondo che ci controllano tutti in modo ossessivo ( a Niscemi hanno un immenso orecchio elettronico!). Ma è mille volte meglio perdere con i perdenti che vincere con i lugubri e vuoti adoratori del Dollaro!!
Putin e Gheddafi
Putin si rammarica della fine atroce di Gheddafi esposto al popolaccio (esiste anche il popolaccio) come le teste mozzate dei grandi capi pellerossa perchè il mondo tremi solo a sentir nominare gli USA e sappia che Obama o chi per lui non perdona. Dovrebbe percuotersi il petto per non avere fermato il crimine e pensare che il prossimo corpo martoriato esposto in una polleria potrebbe essere il suo!
Democrazia dei miliardari che non pagano tasse ed odiano lo Stato
In USA se non sei miliardario o marionetta dei miliardari sei escluso dalla competizione elettorale. Se sei eletto Presidente e non sei prontissimo a servire i miliardari ti fanno fuori come hanno fatto con i fratelli Kennedy! Una democrazia in cui le tasse le pagano soltanto i poveri e nella quale le Corporations hanno poteri assoluti anche sulla salute dei cittadini che si propone come modello mondiale!
Il Calvario di Cristo non finisce mai!
Il corpo straziato di Gheddafi esposto al sadismo del mondo quale trofeo della superpotenza americana e dei suoi alleati! Esposto nel frigorifero di una polleria quale estremo oltraggio verso il Grande Patriota. Esposto come Cristo sulla Croce alle ingiurie dei romani e della gentaglia!
Petulante piagnucolio a Capri dei giovani industriali
Petulante piagnucolio dell'aiutante della Marcegaglia verso il Governo: faccia le riforme strutturali! Chiede di portare la pensione a 70 anni, annientare il welfare, privatizzare i servizi, abolire ogni protezione sul lavoro. Non creare nuove risorse ma spostare risorse dal lavoro e dal welfare verso di loro! Il Paese più povero e gli industriali più ricchi.
Benedetto Croce che si lamenta del suo portinaio che alle urne conta quanto lui
Il disprezzo di Croce per il suo portinaio è l'aspetto rivoltante e razzista del liberalismo italiano. Magari il portinaio si fece anni di galera sotto il fascismo mentre Croce attraversava il ventennio dedicandosi a scrivere indigeribili tomi sulla Estetica ed a falsificare la storia d'Italia. Il voto del portinaio (una testa un voto) se mi posso permettere vale più del suo!
Pietro Ancona
Pensieri a tempo perso
rileggendo la storia dell'URSS e della sua sconcertante fine mi è capitato di pensare che questa sia cominciata subito dopo la morte di Stalin con il Rapporto Kruscev al XX Congresso ( 1956) che ha screditato e delegittimata la storia del comunismo. Kruscev è stato il portavoce di una linea di destra interna al PCUS che da lui è giunta a Gorbacev e che ha provocato il ...collasso del Partito e dello Stato. Non c'erano ragioni economiche o sociali perchè il comunismo decadesse e tuttora la forza della Russia di Putin consiste nel lascito industriale e tecnologico immenso della Unione Sovietica. Kruscev è stato il cancro e Gorbaciov la sua metastasi terribile. Ora i lavoratori di tutto il mondo sono nelle grinfie del padrone delle ferriere.
I perdenti
Mi ritrovo sempre dalla parte dei perdenti: Allende, Gheddafi, Milosevic, Sadam Hussein tutti assassinati per avere avuto la testa dura e per non avere assecondato i disegni degli scrocconi del mondo che ci controllano tutti in modo ossessivo ( a Niscemi hanno un immenso orecchio elettronico!). Ma è mille volte meglio perdere con i perdenti che vincere con i lugubri e vuoti adoratori del Dollaro!!
Putin e Gheddafi
Putin si rammarica della fine atroce di Gheddafi esposto al popolaccio (esiste anche il popolaccio) come le teste mozzate dei grandi capi pellerossa perchè il mondo tremi solo a sentir nominare gli USA e sappia che Obama o chi per lui non perdona. Dovrebbe percuotersi il petto per non avere fermato il crimine e pensare che il prossimo corpo martoriato esposto in una polleria potrebbe essere il suo!
Democrazia dei miliardari che non pagano tasse ed odiano lo Stato
In USA se non sei miliardario o marionetta dei miliardari sei escluso dalla competizione elettorale. Se sei eletto Presidente e non sei prontissimo a servire i miliardari ti fanno fuori come hanno fatto con i fratelli Kennedy! Una democrazia in cui le tasse le pagano soltanto i poveri e nella quale le Corporations hanno poteri assoluti anche sulla salute dei cittadini che si propone come modello mondiale!
Il Calvario di Cristo non finisce mai!
Il corpo straziato di Gheddafi esposto al sadismo del mondo quale trofeo della superpotenza americana e dei suoi alleati! Esposto nel frigorifero di una polleria quale estremo oltraggio verso il Grande Patriota. Esposto come Cristo sulla Croce alle ingiurie dei romani e della gentaglia!
Petulante piagnucolio a Capri dei giovani industriali
Petulante piagnucolio dell'aiutante della Marcegaglia verso il Governo: faccia le riforme strutturali! Chiede di portare la pensione a 70 anni, annientare il welfare, privatizzare i servizi, abolire ogni protezione sul lavoro. Non creare nuove risorse ma spostare risorse dal lavoro e dal welfare verso di loro! Il Paese più povero e gli industriali più ricchi.
Benedetto Croce che si lamenta del suo portinaio che alle urne conta quanto lui
Il disprezzo di Croce per il suo portinaio è l'aspetto rivoltante e razzista del liberalismo italiano. Magari il portinaio si fece anni di galera sotto il fascismo mentre Croce attraversava il ventennio dedicandosi a scrivere indigeribili tomi sulla Estetica ed a falsificare la storia d'Italia. Il voto del portinaio (una testa un voto) se mi posso permettere vale più del suo!
Pietro Ancona
riforma sistema finanziario e monetario proposta dalla Chiesa Cattolica
Testo integrale della nota del Pontificio Consiglio Giustizia e Pace
Pubblichiamo il testo integrale della nota del Pontificio Consiglio della Giustizia e della Pace intitolata "Per una riforma del sistema finanziario e monetario internazionale nella prospettiva di un’autorità pubblica a competenza universale":
Prefazione
« La situazione attuale del mondo esige un’azione d’insieme sulla base di una visione chiara di tutti gli aspetti economici, sociali, culturali e spirituali. Esperta in umanità, la Chiesa, lungi dal pretendere minimamente d’intromettersi nella politica degli Stati, “non ha di mira che un unico scopo: continuare, sotto l’impulso dello Spirito consolatore, la stessa opera del Cristo, venuto nel mondo per rendere testimonianza alla verità, per salvare, non per condannare, per servire, non per essere servito” ».
Con queste parole, Paolo VI, nella profetica e sempre attuale Enciclica Populorum progressio del 1967, tracciava in maniera limpida « le traiettorie » dell’intima relazione della Chiesa con il mondo: traiettorie che si intersecano nel valore profondo della dignità dell’uomo e nella ricerca del bene comune, e che pure rendono i popoli responsabili e liberi di agire secondo le proprie più alte aspirazioni.
La crisi economica e finanziaria che sta attraversando il mondo chiama tutti, persone e popoli, ad un profondo discernimento dei principi e dei valori culturali e morali che sono alla base della convivenza sociale. Ma non solo. La crisi impegna gli operatori privati e le autorità pubbliche competenti a livello nazionale, regionale e internazionale ad una seria riflessione sulle cause e sulle soluzioni di natura politica, economica e tecnica.
In tale prospettiva, la crisi, insegna Benedetto XVI, « ci obbliga a riprogettare il nostro cammino, a darci nuove regole e a trovare nuove forme di impegno, a puntare sulle esperienze positive e a rigettare quelle negative. La crisi diventa così occasione di discernimento e di nuova progettualità. In questa chiave, fiduciosa piuttosto che rassegnata, conviene affrontare le difficoltà del momento presente ».
Gli stessi leader del G20, nello Statement adottato a Pittsburgh nel 2009, hanno affermato come « The economic crisis demonstrates the importance of ushering in a new era of sustainable global economic activity grounded in responsibility ».
Raccogliendo l’appello del Santo Padre e, al tempo stesso, facendo proprie le preoccupazioni dei popoli – soprattutto di quelli che maggiormente soffrono il prezzo della situazione attuale – il Pontificio Consiglio della Giustizia e della Pace, nel rispetto delle competenze delle autorità civili e politiche, intende proporre e condividere la propria riflessione « Per una riforma del sistema finanziario e monetario internazionale nella prospettiva di un’autorità pubblica a competenza universale ».
Tale riflessione vuole essere un contributo ai responsabili della terra e a tutti gli uomini di buona volontà; un gesto di responsabilità non solo nei confronti delle generazioni presenti, ma soprattutto di quelle future; affinché non sia mai perduta la speranza di un futuro migliore e la fiducia nella dignità e nella capacità di bene della persona umana.
Ogni singola persona, ogni comunità di persone, è partecipe e responsabile della promozione del bene comune. Fedeli alla loro vocazione di natura etica e religiosa, le comunità di credenti devono per prime interrogarsi sull’adeguatezza dei mezzi di cui la famiglia umana dispone in vista della realizzazione del bene comune mondiale. La Chiesa, per parte sua, è chiamata a stimolare in tutti indistintamente « la volontà di partecipare a quell’ingente sforzo con il quale, nel corso dei secoli, [gli uomini] cercano di migliorare le proprie condizioni di vita, corrisponde[ndo così] alle intenzioni di Dio ».
1. Sviluppo economico e disuguaglianze
La grave crisi economica e finanziaria, che il mondo oggi attraversa, trova la sua origine in molteplici cause. Sulla pluralità e sul peso di queste cause persistono opinioni diverse: alcuni sottolineano anzitutto gli errori insiti nelle politiche economiche e finanziarie; altri insistono sulle debolezze strutturali delle istituzioni politiche, economiche e finanziarie; altri ancora le attribuiscono a cedimenti di natura etica intervenuti a tutti i livelli, nel quadro di un’economia mondiale sempre più dominata dall’utilitarismo e dal materialismo. Nei diversi stadi di sviluppo della crisi, si riscontra sempre una combinazione di errori tecnici e di responsabilità morali.
Nel caso di scambio di beni materiali e di servizi, sono la natura e la capacità produttiva, il lavoro in tutte le sue molteplici forme, che pongono un limite alle quantità determinando un insieme di costi e di prezzi che permette, sotto certe condizioni, un’allocazione efficiente delle risorse disponibili.
Ma in materia monetaria e finanziaria le dinamiche sono diverse. Negli ultimi decenni sono state le banche ad estendere il credito, il quale ha generato moneta, che a sua volta ha sollecitato un’ulteriore espansione del credito. Il sistema economico è stato in tale maniera spinto verso una spirale inflazionistica che inevitabilmente ha trovato un limite nel rischio sostenibile per gli istituti di credito, sottoposti ad un pericolo ulteriore di fallimento, con conseguenze negative per l’intero sistema economico e finanziario.
Dopo la Seconda Guerra Mondiale, le economie nazionali sono avanzate, sebbene con enormi sacrifici per milioni, anzi per miliardi di persone che avevano dato fiducia, con il loro comportamento di produttori e imprenditori da un lato, di risparmiatori e consumatori dall’altro, a un progressivo regolare sviluppo della moneta e della finanza in linea con le potenzialità di crescita reale dell’economia.
Dagli anni Novanta dello scorso secolo, si riscontra invece come la moneta e i titoli di credito a livello globale siano aumentati in misura molto più rapida della produzione del reddito, anche a prezzi correnti. Ne sono derivate la formazione di sacche eccessive di liquidità e di bolle speculative che poi si sono trasformate in una serie di crisi di solvibilità e di fiducia che si sono propagate e susseguite nel corso degli anni.
Una prima crisi si è verificata negli anni Settanta fino ai primi anni Ottanta, ed era relativa ai prezzi del petrolio. In seguito si sono avute una serie di crisi in vari Paesi in via di sviluppo. Si pensi alla prima crisi del Messico negli anni Ottanta, oppure a quelle del Brasile, della Russia e della Corea, quindi di nuovo del Messico negli anni Novanta, della Tailandia, dell’Argentina.
La bolla speculativa sugli immobili e la recente crisi finanziaria hanno la medesima origine nell’eccessivo ammontare di moneta e di strumenti finanziari a livello globale.
Mentre le crisi nei Paesi in via di sviluppo, che hanno rischiato di coinvolgere il sistema monetario e finanziario globale, sono state contenute con forme di intervento da parte dei Paesi più sviluppati, la crisi scoppiata nel 2008 è stata caratterizzata da un fattore decisivo e dirompente rispetto a quelle precedenti. Essa è stata generata nel contesto degli Stati Uniti, una delle aree più rilevanti per l’economia e la finanza mondiale, coinvolgendo la moneta
a cui fa tuttora capo la stragrande maggioranza degli scambi internazionali.
Un orientamento di stampo liberista – reticente rispetto ad interventi pubblici nei mercati – ha fatto propendere per il fallimento di un importante istituto finanziario internazionale, immaginando in tal modo di delimitare la crisi e i suoi effetti. Ne è derivata purtroppo una propagazione di sfiducia che ha spinto a mutare repentinamente atteggiamento, sollecitando interventi pubblici sotto varie forme, di enorme portata (oltre il 20% del prodotto nazionale) al fine di tamponare gli effetti negativi che avrebbero travolto tutto il sistema finanziario internazionale.
Le conseguenze sulla cosiddetta « economia reale », passando attraverso le gravi difficoltà di alcuni settori – in primo luogo dell’edilizia – e attraverso il diffondersi di aspettative sfavorevoli, hanno generato una tendenza negativa della produzione e del commercio internazionale, con gravi riflessi sull’occupazione, e con effetti che ancora non hanno probabilmente esaurito tutta la loro portata. I costi per milioni, anzi miliardi di persone, nei Paesi sviluppati ma anche soprattutto in quelli in via di sviluppo, sono rilevanti.
In Paesi ed aree dove mancano ancora i beni più elementari della salute, del cibo, del riparo dalle intemperie, oltre un miliardo di persone sono costrette a sopravvivere con un reddito medio di poco più di un dollaro al giorno.
Il benessere economico globale, misurato in primo luogo dalla produzione del reddito ed anche dalla diffusione delle capabilities, si è accresciuto, nel corso della seconda metà del XX secolo, in una misura e con una rapidità mai sperimentate nella storia del genere umano.
Ma sono anche aumentate enormemente le disuguaglianze all’interno dei vari Paesi e tra di essi. Mentre alcuni Paesi e aree economiche, quelle più industrializzate e sviluppate, hanno visto crescere notevolmente la produzione del reddito, altri Paesi sono stati di fatto esclusi dal miglioramento generalizzato dell’economia, e persino hanno peggiorato la loro situazione.
I pericoli di una situazione di sviluppo economico, concepito in termini liberistici, sono stati lucidamente e profeticamente denunciati da Paolo VI – per le conseguenze nefaste sugli equilibri mondiali e sulla pace – già nel 1967, dopo il Concilio Vaticano II, con l’Enciclica Populorum progressio. Il Pontefice indicò come condizioni imprescindibili, per la promozione di un autentico sviluppo, la difesa della vita e la promozione della crescita culturale e morale delle persone. Su tali basi, affermava Paolo VI lo sviluppo plenario e planetario « è il nuovo nome della pace ».
A quaranta anni di distanza, nel 2007, il Fondo Monetario Internazionale riconobbe, nel suo Rapporto annuale, la stretta connessione tra un processo di globalizzazione non adeguatamente governato da un lato, e le forti disuguaglianze a livello mondiale dall’altro. Oggi i moderni mezzi di comunicazione rendono evidenti a tutti i popoli, ricchi e poveri, le disuguaglianze economiche, sociali e culturali che si sono determinate a livello globale generando tensioni e imponenti movimenti migratori.
Tuttavia, va ribadito che il processo di globalizzazione con i suoi aspetti positivi è alla base del grande sviluppo dell’economia mondiale del XX secolo. Vale la pena di ricordare che tra il 1900 e il 2000 la popolazione mondiale si è quasi quadruplicata e che la ricchezza prodotta a livello mondiale è cresciuta in misura molto più rapida cosicché il reddito medio pro capite è fortemente aumentato. Allo stesso tempo, però, non è aumentata l’equa distribuzione della ricchezza, piuttosto, in molti casi essa è peggiorata.
Ma cosa ha spinto il mondo in questa direzione estremamente problematica anche per la pace?
Anzitutto un liberismo economico senza regole e senza controlli. Si tratta di una ideologia, di una forma di « apriorismo economico », che pretende di prendere dalla teoria le leggi di funzionamento del mercato e le cosiddette leggi dello sviluppo capitalistico esasperandone alcuni aspetti. Un’ideologia economica che stabilisca a priori le leggi del funzionamento del mercato e dello sviluppo economico, senza confrontarsi con la realtà, rischia di diventare uno strumento subordinato agli interessi dei Paesi che godono di fatto di una posizione di vantaggio economico e finanziario.
Regole e controlli, sia pure in maniera imperfetta, sono spesso presenti a livello nazionale e regionale; tuttavia, a livello internazionale tali regole e controlli fanno fatica a realizzarsi e a consolidarsi.
Alla base delle disparità e delle distorsioni dello sviluppo capitalistico c’è, in gran parte, oltre all’ideologia del liberismo economico, l’ideologia utilitarista, ossia quella impostazione teorico-pratica per cui: « l’utile personale conduce al bene della comunità ». È da notare che una simile « massima » contiene un’anima di verità, ma non si può ignorare che non sempre l’utile individuale, sebbene legittimo, favorisce il bene comune. In più di un caso è richiesto uno spirito di solidarietà che trascenda l’utile personale per il bene della comunità.
Negli anni venti del secolo scorso alcuni economisti avevano già messo in guardia dal dare eccessivamente credito, in assenza di regole e controlli, a quelle teorie oggi divenute ideologie e prassi dominanti a livello internazionale.
Un effetto devastante di queste ideologie, soprattutto negli ultimi decenni del secolo scorso e i primi anni del nuovo secolo, è stato lo scoppio della crisi nella quale il mondo si trova tuttora
immerso.
Benedetto XVI, nella sua enciclica sociale, ha individuato in maniera precisa la radice di una crisi che non è solamente di natura economica e finanziaria, ma prima di tutto di natura morale, oltre che ideologica. L’economia, infatti, – osserva il Pontefice – ha bisogno dell’etica per il suo corretto funzionamento, non di un’etica qualsiasi, bensì di un’etica amica della persona. Egli, poi, ha denunciato il ruolo svolto dall’utilitarismo e dall’individualismo, nonché le responsabilità di chi li ha assunti e diffusi come parametro per il comportamento ottimale di coloro – operatori economici e politici – che agiscono e interagiscono nel contesto sociale. Ma Benedetto XVI ha anche individuato e denunciato una nuova ideologia, l’ ideologia della tecnocrazia.
2. Il ruolo della tecnica e la sfida etica
Il grande sviluppo economico e sociale dello scorso secolo, certamente con le sue luci ma anche con i suoi gravi coni d’ombra, è dovuto anche al continuato sviluppo della tecnica e, nei decenni più recenti, ai progressi dell’informatica e alle sue applicazioni, all’economia e in primo luogo alla
finanza.
Per interpretare con lucidità l’attuale nuova questione sociale, occorre senz’altro, però, evitare l’errore, figlio anch’esso dell’ideologia neoliberista, di ritenere che i problemi da affrontare siano di ordine esclusivamente tecnico. Come tali, essi sfuggirebbero alla necessità di un discernimento e di una valutazione di tipo etico. Ebbene, l’enciclica di Benedetto XVI mette in guardia contro i pericoli dell’ideologia della tecnocrazia, ossia di quell’assolutizzazione della tecnica che « tende a produrre un’incapacità di percepire ciò che non si spiega con la semplice materia » ed a minimizzare il valore delle scelte dell’individuo umano concreto che opera nel sistema economico-finanziario, riducendole a mere variabili tecniche. La chiusura ad un « oltre », inteso come un di più rispetto alla tecnica, non solo rende impossibile trovare soluzioni adeguate per i problemi, ma impoverisce sempre più, sul piano materiale e morale, le principali vittime della crisi.
Anche nel contesto della complessità dei fenomeni la rilevanza dei fattori etici e culturali non può, dunque, essere trascurata o sottostimata. La crisi, di fatto, ha rivelato comportamenti di egoismo, di cupidigia collettiva e di accaparramento di beni su grande scala. Nessuno può rassegnarsi a vedere l’uomo vivere come « un lupo per l’altro uomo », secondo la concezione evidenziata da Hobbes. Nessuno, in coscienza, può accettare lo sviluppo di alcuni Paesi a scapito di altri. Se non si pone un rimedio alle varie forme di ingiustizia gli effetti negativi che ne deriveranno sul piano sociale, politico ed economico saranno destinati a generare un clima di crescente ostilità e perfino di violenza, sino a minare le stesse basi delle istituzioni democratiche, anche di quelle ritenute più solide.
Dal riconoscimento del primato dell’essere rispetto a quello dell’avere, dell’etica rispetto a quello dell’economia, i popoli della terra dovrebbero assumere, come anima della loro azione, un’etica della solidarietà, abbandonando ogni forma di gretto egoismo, abbracciando la logica del bene comune mondiale che trascende il mero interesse contingente e particolare. Dovrebbero, in definitiva, avere vivo il senso di appartenenza alla famiglia umana in nome della comune dignità di tutti gli esseri umani: « prima ancora della logica dello scambio degli equivalenti e delle forme di giustizia, […] che le sono proprie, esiste un qualcosa che è dovuto all’uomo perché è uomo, in forza della sua eminente dignità ».
Già nel 1991, dopo il fallimento del collettivismo marxista, il Beato Giovanni Paolo II aveva messo in guardia nei confronti del rischio di « un’idolatria del mercato, che ignora l’esistenza di beni che, per loro natura, non sono né possono essere semplici merci ». Oggi occorre senz’indugio accogliere il suo ammonimento e imboccare una strada più in sintonia con la dignità e con la vocazione trascendente della persona e della famiglia umana.
3. Il governo della globalizzazione
Nel cammino verso la costruzione di una famiglia umana più fraterna e giusta e, prima ancora, di un nuovo umanesimo aperto alla trascendenza, appare inoltre particolarmente attuale l’insegnamento del Beato Giovanni XXIII. Nella profetica Lettera enciclica Pacem in terris del 1963, egli avvertiva che il mondo si stava avviando verso una sempre maggiore unificazione. Prendeva quindi atto del fatto che, nella comunità umana, era venuta meno la rispondenza fra l’organizzazione politica « su piano mondiale e le esigenze obiettive del bene comune universale ». Per conseguenza auspicava la creazione, un giorno, di « un’Autorità pubblica mondiale ».
A fronte dell’unificazione del mondo, propiziata dal complesso fenomeno della globalizzazione; a fronte dell’importanza di garantire, oltre agli altri beni collettivi, quello rappresentato da un sistema economico-finanziario mondiale libero, stabile e a servizio dell’economia reale, oggi l’insegnamento della Pacem in terris appare ancor più vitale e degno di urgente concretizzazione.
Lo stesso Benedetto XVI, nel solco tracciato dalla Pacem in terris, ha espresso la necessità di costituire un’Autorità politica mondiale. Tale necessità appare del resto evidente, se si pensa al fatto che l’agenda delle questioni da trattare a livello globale diventa costantemente più ampia. Si pensi, ad esempio, alla pace e alla sicurezza; al disarmo e al controllo degli armamenti; alla promozione e alla tutela dei diritti fondamentali dell’uomo; al governo dell’economia e alle politiche di sviluppo; alla gestione dei flussi migratori e alla sicurezza alimentare; alla tutela dell’ambiente. In tutti questi ambiti risulta sempre più evidente la crescente interdipendenza tra Stati e regioni del mondo e la necessità di risposte, non solo settoriali e isolate, ma sistematiche e integrate, ispirate dalla solidarietà e dalla sussidiarietà e orientate al bene comune universale.
Come ricorda Benedetto XVI, se non si persegue questa strada anche « il diritto internazionale, nonostante i grandi progressi compiuti nei vari campi, rischierebbe di essere condizionato dagli equilibri di potere tra i più forti ».
Lo scopo dell’Autorità pubblica, rammentava già Giovanni XXIII nella Pacem in terris, è anzitutto quello di servire il bene comune. Essa, pertanto, deve dotarsi di strutture e meccanismi adeguati, efficaci, ossia all’altezza della propria missione e delle aspettative che in essa sono riposte. Questo è particolarmente vero all’interno di un mondo globalizzato, che rende persone e popoli sempre più interconnessi ed interdipendenti, ma che mostra anche il peso dell’egoismo e degli interessi settoriali, tra cui l’esistenza di mercati monetari e finanziari a carattere prevalentemente speculativo, dannosi per l’economia reale, specie dei Paesi più deboli.
È un processo complesso e delicato. Tale Autorità sovranazionale deve, infatti, avere un’impostazione realistica ed essere messa in atto con gradualità, con l’obiettivo di favorire anche l’esistenza di sistemi monetari e finanziari efficienti ed efficaci, ossia mercati liberi e stabili, disciplinati da un adeguato quadro giuridico, funzionali allo sviluppo sostenibile e al progresso sociale di tutti, ispirati ai valori della carità nella verità. Si tratta di un’Autorità dall’orizzonte planetario, che non può essere imposta con la forza, ma dovrebbe essere espressione di un accordo libero e condiviso, oltre che delle esigenze permanenti e storiche del bene comune mondiale e non frutto di coercizione o di violenze. Essa dovrebbe sorgere da un processo di maturazione progressiva delle coscienze e delle libertà, nonché dalla consapevolezza di crescenti responsabilità. Non possono, per conseguenza, essere tralasciati come superflui elementi quali la fiducia reciproca, l’autonomia e la partecipazione. Il consenso deve coinvolgere un sempre maggior numero di Paesi che aderiscono in maniera convinta, mediante quel dialogo sincero che non emargina, bensì valorizza le opinioni minoritarie. L’Autorità mondiale dovrebbe, dunque, coinvolgere coerentemente tutti i popoli, in una collaborazione in cui essi sono chiamati a contribuire con il patrimonio delle loro virtù e delle loro civiltà.
La costituzione di un Autorità politica mondiale dovrebbe essere preceduta da una fase preliminare di concertazione, dalla quale emergerà una istituzione legittimata, in grado di offrire una guida efficace e, al tempo stesso, di permettere a ciascun Paese di esprimere e di perseguire il proprio bene particolare. L’esercizio di una simile Autorità, posta al servizio del bene di tutti e di ciascuno, sarà necessariamente super partes, ossia al di sopra di ogni visione parziale e di ogni bene particolare, in vista della realizzazione del bene comune. Le sue decisioni non dovranno essere il risultato del pre-potere dei Paesi più sviluppati sui Paesi più deboli. Dovranno, invece, essere assunte nell’interesse di tutti, non solo a vantaggio di alcuni gruppi, siano essi formati da lobby private o da Governi nazionali.
Un’Istituzione sopranazionale, espressione di una « comunità delle Nazioni », non potrà peraltro durare a lungo, se le diversità dei Paesi, sul piano delle culture, delle risorse materiali ed immateriali, delle condizioni storiche e geografiche non sono riconosciute e pienamente rispettate. L’assenza di un consenso convinto, alimentato da un’incessante comunione morale della comunità mondiale, indebolirebbe l’efficacia della corrispettiva Autorità.
Ciò che vale a livello nazionale vale anche a livello mondiale. La persona non è fatta per servire incondizionatamente l’Autorità, il cui compito è quello di porsi al servizio della persona stessa, in coerenza con il valore preminente della dignità dell’uomo. Parimenti, i Governi non devono servire incondizionatamente l’Autorità mondiale. È piuttosto quest’ultima che deve mettersi al servizio dei vari Paesi membri, secondo il principio di sussidiarietà, creando, tra l’altro, quelle condizioni socio-economiche, politiche e giuridiche, indispensabili anche all’esistenza di mercati efficienti ed efficaci, perché non iperprotetti da politiche nazionali paternalistiche, perché non indeboliti da deficit sistematici delle finanze pubbliche e dei Prodotti nazionali, che di fatto impediscono ai mercati stessi di operare in un contesto mondiale come istituzioni aperte e concorrenziali.
Nella tradizione del Magistero della Chiesa, ripresa con vigore da Benedetto XVI, il principio di sussidiarietà deve regolare le relazioni tra Stato e comunità locali, tra Istituzioni pubbliche e Istituzioni private, non escluse quelle monetarie e finanziarie. Così, su un ulteriore livello, deve reggere le relazioni tra una eventuale futura Autorità pubblica mondiale e le istituzioni regionali e nazionali. Un tale principio è a garanzia sia della legittimità democratica sia dell’efficacia delle decisioni di coloro che sono chiamati a prenderle. Permette di rispettare la libertà delle persone e delle comunità di persone e, al tempo stesso, di responsabilizzarle rispetto agli obiettivi e ai doveri che loro competono.
Secondo la logica della sussidiarietà, l’Autorità superiore offre il suo subsidium, ovvero il suo aiuto, quando la persona e gli attori sociali e finanziari sono intrinsecamente inadeguati o non riescono a fare da sé quanto è loro richiesto. Grazie al principio di solidarietà, si costruisce un rapporto durevole e fecondo tra la società civile planetaria e un’Autorità pubblica mondiale, quando gli Stati, i corpi intermedi, le varie istituzioni – comprese quelle economiche e finanziarie – e i cittadini prendono le loro decisioni entro la prospettiva del bene comune mondiale, che trascende quello
nazionale.
« Il governo della globalizzazione » – si legge nella Caritas in veritate – « deve essere di tipo sussidiario, articolato su più livelli e su piani diversi, che collaborino reciprocamente ». Solo così si può evitare il pericolo dell’isolamento burocratico dell’Autorità centrale, che rischierebbe di essere delegittimata da un distacco troppo grande dalle realtà sulle quali si fonda, e potrebbe facilmente cadere in tentazioni paternalistiche, tecnocratiche, o egemoniche.
Un lungo cammino resta però ancora da percorrere prima di arrivare alla costituzione di una tale Autorità pubblica a competenza universale. Logica vorrebbe che il processo di riforma si sviluppasse avendo come punto di riferimento l’Organizzazione delle Nazioni Unite, in ragione dell’ampiezza mondiale delle sue responsabilità, della sua capacità di riunire le Nazioni della terra e della diversità dei suoi compiti e di quelli delle sue Agenzie specializzate. Il frutto di tali riforme dovrebbe essere una maggiore capacità di adozione di politiche e scelte vincolanti poiché orientate alla realizzazione del bene comune a livello locale, regionale e mondiale. Tra le politiche appaiono più urgenti quelle relative alla giustizia sociale globale: politiche finanziarie e monetarie che non danneggino i Paesi più deboli; politiche volte alla realizzazione di mercati liberi e stabili e ad un’equa distribuzione della ricchezza mondiale mediante anche forme inedite di solidarietà fiscale globale, di cui si dirà più avanti.
Nel cammino della costituzione di un’Autorità politica mondiale non si possono disgiungere le questioni della governance (ossia di un sistema di semplice coordinamento orizzontale senza un’Autorità super partes) da quelle di un shared government (ossia di un sistema che, oltre al coordinamento orizzontale, stabilisca un’Autorità super partes) funzionale e proporzionato al graduale sviluppo di una società politica mondiale. La costituzione di un’Autorità politica mondiale non può essere raggiunta senza la previa pratica del multilateralismo, non solo a livello diplomatico, ma anche e soprattutto nell’ambito dei piani per lo sviluppo sostenibile e per la pace. A un Governo mondiale non si può pervenire se non dando espressione politica a preesistenti interdipendenze e cooperazioni.
4. Verso una riforma del sistema finanziario e monetario internazionale rispondente alle esigenze di tutti i Popoli
In materia economica e finanziaria, le difficoltà più rilevanti derivano dalla carenza di un insieme efficace di strutture, in grado di garantire, oltre ad un sistema di governance, un sistema di government dell’economia e della finanza internazionale.
Che dire di questa prospettiva? Quali passi muovere in concreto?
Con riferimento all’attuale sistema economico e finanziario mondiale vanno sottolineati due fattori determinanti: il primo è il graduale venire meno dell’efficienza delle istituzioni di Bretton Woods, a partire dai primi anni Settanta. In particolare, il Fondo Monetario Internazionale ha perso un carattere essenziale per la stabilità della finanza mondiale, quello di regolare la creazione complessiva di moneta e di vegliare sull’ammontare di rischio di credito assunto dal sistema. In definitiva non si dispone più di quel « bene pubblico universale » che è la stabilità del sistema monetario mondiale.
Il secondo fattore è la necessità di un corpus minimo condiviso di regole necessarie alla gestione del mercato finanziario globale, cresciuto molto più rapidamente dell’economia reale, essendosi velocemente sviluppato per effetto, da un lato, dell’abrogazione generalizzata dei controlli sui movimenti di capitali e dalla tendenza alla deregolamentazione delle attività bancarie e finanziarie; e dall’altro, dei progressi della tecnica finanziaria favoriti dagli strumenti informatici.
Sul piano strutturale, nell’ultima parte del secolo scorso, la moneta e le attività finanziarie a livello globale sono cresciute molto più rapidamente della produzioni di beni e di servizi. In tale contesto, la qualità del credito ha teso a diminuire sino ad esporre gli istituti di credito ad un rischio maggiore di quello ragionevolmente sostenibile. Basti guardare alle sorti di grandi e piccoli istituti di credito nel contesto delle crisi che si sono manifestate negli anni Ottanta e Novanta del secolo scorso e infine nella crisi del 2008.
Sempre nell’ultima parte del XX scorso, si è sviluppata la tendenza a definire gli orientamenti strategici della politica economica e finanziaria all’interno di club e di gruppi più o meno estesi di Paesi più sviluppati. Pur non negando gli aspetti positivi di questo approccio, non si può non notare che esso non sembra rispettare pienamente il principio rappresentativo, in particolare dei Paesi meno sviluppati o emergenti.
La necessità di tener conto della voce di un maggiore numero di Paesi ha, ad esempio, indotto l’allargamento dei suddetti gruppi, passando così dal G7 al G20. Questa è stata un’evoluzione positiva, in quanto ha consentito di coinvolgere, negli orientamenti all’economia e alla finanza globale, la responsabilità di Paesi con più elevata popolazione, in via di sviluppo ed emergenti.
Nell’ambito del G20 possono pertanto maturare indirizzi concreti che, opportunamente elaborati nelle appropriate sedi tecniche, potranno orientare gli organi competenti a livello nazionale e regionale al consolidamento delle istituzioni esistenti e alla creazione di nuove istituzioni con appropriati ed efficaci strumenti a livello internazionale.
Gli stessi leader del G20, nella Dichiarazione finale di Pittsburgh del 2009, affermano del resto come « la crisi economica dimostra l’importanza di avviare una nuova era dell’economia globale fondata sulla responsabilità ». Per fare fronte alla crisi e aprire una nuova era « della responsabilità », oltre alle misure di tipo tecnico e di breve periodo, i leader avanzano la proposta di una « riforma dell’architettura globale per fare fronte alle esigenze del 21° secolo »; e quindi quella di « un quadro che consenta di definire le politiche e le misure comuni per generare uno sviluppo globale solido, sostenibile e bilanciato ».
Occorre quindi avviare un processo di profonda riflessione e di riforme, percorrendo vie creative e realistiche, tendenti a valorizzare gli aspetti positivi delle istituzioni e dei fora già esistenti.
Un’attenzione specifica andrebbe riservata alla riforma del sistema monetario internazionale e, in particolare, all’impegno per dar vita a qualche forma di controllo monetario globale, peraltro già implicita negli Statuti del Fondo Monetario Internazionale. È chiaro che, in qualche misura, questo equivale a mettere in discussione i sistemi dei cambi esistenti, per trovare modi efficaci di coordinamento e supervisione. È un processo che deve coinvolgere anche i Paesi emergenti e in via di sviluppo nel definire le tappe di un adattamento graduale degli strumenti esistenti.
Sullo sfondo si delinea, in prospettiva, l’esigenza di un organismo che svolga le funzioni di una sorta di « Banca centrale mondiale » che regoli il flusso e il sistema degli scambi monetari, alla stregua delle Banche centrali nazionali. Occorre riscoprire la logica di fondo, di pace, coordinamento e prosperità comune, che portarono agli Accordi di Bretton Woods, per fornire adeguate risposte alle questioni attuali. A livello regionale tale processo potrebbe essere praticato con la valorizzazione delle istituzioni esistenti, come ad esempio la Banca Centrale Europea. Ciò richiederebbe, tuttavia, non solo una riflessione sul piano economico e finanziario, ma anche e prima di tutto, sul piano politico, in vista della costituzione di istituzioni pubbliche corrispettive che garantiscano l’unità e la coerenza delle decisioni comuni.
Queste misure dovrebbero essere concepite come alcuni dei primi passi nella prospettiva di una Autorità pubblica a competenza universale; come una prima tappa di un più lungo sforzo della comunità mondiale di orientare le sue istituzioni alla realizzazione del bene comune. Altre tappe dovranno seguire, tenendo conto che le dinamiche che conosciamo possono accentuarsi, ma anche accompagnarsi a cambiamenti che oggi sarebbe vano tentare di prevedere.
In tale processo, occorre, recuperare il primato dello spirituale e dell’etica e, con essi, il primato della politica – responsabile del bene comune – sull’economia e la finanza. Occorre ricondurre queste ultime entro i confini della loro reale vocazione e della loro funzione, compresa quella sociale, in considerazione delle loro evidenti responsabilità nei confronti della società, per dare vita a mercati ed istituzioni finanziarie che siano effettivamente a servizio della persona, che siano capaci, cioè, di rispondere alle esigenze del bene comune e della fratellanza universale, trascendendo ogni forma di piatto economicismo e di mercantilismo performativo.
Sulla base di un tale approccio di tipo etico, appare, quindi, opportuno riflettere, ad esempio:
su misure di tassazione delle transazioni finanziarie, mediante aliquote eque, ma modulate con oneri proporzionati alla complessità delle operazioni, soprattutto di quelle che si effettuano nel mercato « secondario ». Una tale tassazione sarebbe molto utile per promuovere lo sviluppo globale e sostenibile secondo principi di giustizia sociale e della solidarietà; e potrebbe contribuire alla costituzione di una riserva mondiale, per sostenere le economie dei Paesi colpiti dalle crisi, nonché il risanamento del loro sistema monetario e finanziario;
su forme di ricapitalizzazione delle banche anche con fondi pubblici condizionando il sostegno a comportamenti « virtuosi » e finalizzati a sviluppare l’economia reale;
sulla definizione dell’ambito dell’attività di credito ordinario e di Investment Banking. Tale distinzione consentirebbe una disciplina più efficace dei « mercati-ombra » privi di controlli e di limiti.
Un sano realismo richiederebbe il tempo necessario per costruire consensi ampi, ma l’orizzonte del bene comune universale è sempre presente con le sue esigenze ineludibili. È pertanto auspicabile che tutti coloro che, nelle Università e nei vari Istituti, sono chiamati a formare le classi dirigenti di domani si dedichino a prepararle alle loro responsabilità di discernere e di servire il bene pubblico globale in un mondo in costante cambiamento. È necessario colmare il divario presente tra formazione etica e preparazione tecnica, evidenziando in particolar modo l’ineludibile sinergia tra i due piani della praxis e della poièsis.
Lo stesso sforzo è richiesto a tutti coloro che sono in grado di illuminare l’opinione pubblica mondiale, per aiutarla ad affrontare questo mondo nuovo non più nell’angoscia ma nella speranza e nella solidarietà.
Conclusioni
Nelle incertezze attuali, in una società capace di mobilitare mezzi ingenti, ma la cui riflessione sul piano culturale e morale rimane inadeguata rispetto al loro utilizzo in ordine al conseguimento di fini appropriati, siamo invitati a non arrenderci e a costruire soprattutto un futuro di senso per le generazioni a venire. Non bisogna temere di proporre cose nuove, anche se possono destabilizzare equilibri di forze preesistenti che dominano sui più deboli. Esse sono un seme gettato nella terra, che germoglierà e non tarderà a portare i suoi frutti.
Come ha esortato Benedetto XVI, sono indispensabili persone ed operatori a tutti i livelli – sociale, politico, economico, professionale –, mossi dal coraggio di servire e promuovere il bene comune mediante una vita buona. Solo loro riusciranno a vivere e a vedere oltre le apparenze delle cose, percependo il divario tra il reale esistente ed il possibile mai sperimentato.
Paolo VI ha sottolineato la forza rivoluzionaria dell’« immaginazione prospettica », capace di percepire nel presente le possibilità in esso inscritte, e di orientare gli uomini verso un futuro nuovo. Liberando l’immaginazione, l’uomo libera la sua esistenza. Mediante un impegno di immaginazione comunitaria è possibile trasformare non solo le istituzioni ma anche gli stili di vita, e suscitare un avvenire migliore per tutti i popoli.
Gli Stati moderni, nel tempo, sono divenuti insiemi strutturati, concentrando la sovranità all’interno del proprio territorio. Ma le condizioni sociali, culturali e politiche sono progressivamente mutate. È cresciuta la loro interdipendenza – sicché è divenuto naturale pensare ad una comunità internazionale integrata e retta sempre più da un ordinamento condiviso –, ma non è venuta meno una forma deteriore di nazionalismo, secondo cui lo Stato ritiene di poter conseguire in maniera autarchica il bene dei suoi cittadini.
Oggi tutto ciò appare surreale e anacronistico. Oggi tutte le nazioni, piccole o grandi, assieme ai loro Governi, sono chiamate a superare quello « stato di natura » che vede gli Stati in perenne lotta tra loro. Nonostante alcuni suoi aspetti negativi, la globalizzazione sta unificando maggiormente i popoli, sollecitandoli a muoversi verso un nuovo « stato di diritto » a livello sopranazionale, sostenuto da una collaborazione più intensa e feconda. Con una dinamica analoga a quella che in passato ha messo fine alla lotta « anarchica » tra clan e regni rivali, in ordine alla costituzione di Stati nazionali, l’umanità deve oggi impegnarsi nella transizione da una situazione di lotte arcaiche tra entità nazionali, a un nuovo modello di società internazionale più coesa, poliarchica, rispettosa delle identità di ciascun popolo, entro la molteplice ricchezza di un’unica umanità. Un tale passaggio, peraltro già timidamente in corso, assicurerebbe ai cittadini di tutti i Paesi – qualunque ne sia la dimensione o la forza – pace e sicurezza, sviluppo, mercati liberi, stabili e trasparenti. « Come all’interno dei singoli Stati […] il sistema della vendetta privata e della rappresaglia è stato sostituito dall’impero della legge » – avverte Giovanni Paolo II – « così è ora urgente che un simile progresso abbia luogo nella Comunità internazionale ».
I tempi per concepire istituzioni con competenza universale arrivano quando sono in gioco beni vitali e condivisi dall’intera famiglia umana, che i singoli Stati non sono in grado di promuovere e proteggere da soli.
Esistono, quindi, le condizioni per il definitivo superamento di un ordine internazionale « westphaliano », nel quale gli Stati sentono l’esigenza della cooperazione, ma non colgono l’opportunità di un’integrazione delle rispettive sovranità per il bene comune dei popoli.
È compito delle generazioni presenti riconoscere e accettare consapevolmente questa nuova dinamica mondiale verso la realizzazione di un bene comune universale. Certo, questa trasformazione si farà al prezzo di un trasferimento graduale ed equilibrato di una parte delle attribuzioni nazionali ad un’Autorità mondiale e alle Autorità regionali, ma questo è necessario in un momento in cui il dinamismo della società umana e dell’economia e il progresso della tecnologia trascendono le frontiere, che nel mondo globalizzato sono di fatto già erose.
La concezione di una nuova società, la costruzione di nuove istituzioni dalla vocazione e competenza universali, sono una prerogativa e un dovere per tutti, senza distinzione alcuna. È in gioco il bene comune dell’umanità e il futuro stesso.
In tale contesto, per ogni cristiano c’è una speciale chiamata dello Spirito ad impegnarsi con decisione e generosità, perché le molteplici dinamiche in atto si volgano verso prospettive di fraternità e di bene comune. Si aprono immensi cantieri di lavoro per lo sviluppo integrale dei popoli e di ogni persona. Come affermano i Padri del Concilio Vaticano II, si tratta di una missione al tempo stesso sociale e spirituale, che, « nella misura in cui può contribuire a meglio ordinare l’umana società, è di grande importanza per il regno di Dio ».
In un mondo in via di rapida globalizzazione, il riferimento ad un’Autorità mondiale diviene l’unico orizzonte compatibile con le nuove realtà del nostro tempo e con i bisogni della specie umana. Non va, però, dimenticato che questo passaggio, data la natura ferita degli uomini, non avviene senza angosce e senza sofferenze.
La Bibbia, con il racconto della Torre di Babele (Genesi 11,1-9) avverte come la « diversità » dei popoli possa trasformarsi in veicolo di egoismo e strumento di divisione. Nell’umanità è ben presente il rischio che i popoli finiscano per non capirsi più e che le diversità culturali siano motivo di contrapposizioni insanabili. L’immagine della Torre di Babele ci avverte anche che bisogna guardarsi da una « unità » solo di facciata, nella quale non cessano egoismi e divisioni, poiché non sono stabili le fondamenta della società. In entrambi i casi, Babele è l’immagine di ciò che i popoli e gli individui possono divenire, quando non riconoscono la loro intrinseca dignità trascendente e la loro fraternità.
Lo spirito di Babele è l’antitesi dello Spirito di Pentecoste (Atti 2, 1-12), del disegno di Dio per tutta l’umanità, vale a dire l’unità nella diversità. Solo uno spirito di concordia, che superi divisioni e conflitti, permetterà all’umanità di essere autenticamente un’unica famiglia, fino a concepire un nuovo mondo con la costituzione di un’Autorità pubblica mondiale, al servizio del bene comune.
Pubblichiamo il testo integrale della nota del Pontificio Consiglio della Giustizia e della Pace intitolata "Per una riforma del sistema finanziario e monetario internazionale nella prospettiva di un’autorità pubblica a competenza universale":
Prefazione
« La situazione attuale del mondo esige un’azione d’insieme sulla base di una visione chiara di tutti gli aspetti economici, sociali, culturali e spirituali. Esperta in umanità, la Chiesa, lungi dal pretendere minimamente d’intromettersi nella politica degli Stati, “non ha di mira che un unico scopo: continuare, sotto l’impulso dello Spirito consolatore, la stessa opera del Cristo, venuto nel mondo per rendere testimonianza alla verità, per salvare, non per condannare, per servire, non per essere servito” ».
Con queste parole, Paolo VI, nella profetica e sempre attuale Enciclica Populorum progressio del 1967, tracciava in maniera limpida « le traiettorie » dell’intima relazione della Chiesa con il mondo: traiettorie che si intersecano nel valore profondo della dignità dell’uomo e nella ricerca del bene comune, e che pure rendono i popoli responsabili e liberi di agire secondo le proprie più alte aspirazioni.
La crisi economica e finanziaria che sta attraversando il mondo chiama tutti, persone e popoli, ad un profondo discernimento dei principi e dei valori culturali e morali che sono alla base della convivenza sociale. Ma non solo. La crisi impegna gli operatori privati e le autorità pubbliche competenti a livello nazionale, regionale e internazionale ad una seria riflessione sulle cause e sulle soluzioni di natura politica, economica e tecnica.
In tale prospettiva, la crisi, insegna Benedetto XVI, « ci obbliga a riprogettare il nostro cammino, a darci nuove regole e a trovare nuove forme di impegno, a puntare sulle esperienze positive e a rigettare quelle negative. La crisi diventa così occasione di discernimento e di nuova progettualità. In questa chiave, fiduciosa piuttosto che rassegnata, conviene affrontare le difficoltà del momento presente ».
Gli stessi leader del G20, nello Statement adottato a Pittsburgh nel 2009, hanno affermato come « The economic crisis demonstrates the importance of ushering in a new era of sustainable global economic activity grounded in responsibility ».
Raccogliendo l’appello del Santo Padre e, al tempo stesso, facendo proprie le preoccupazioni dei popoli – soprattutto di quelli che maggiormente soffrono il prezzo della situazione attuale – il Pontificio Consiglio della Giustizia e della Pace, nel rispetto delle competenze delle autorità civili e politiche, intende proporre e condividere la propria riflessione « Per una riforma del sistema finanziario e monetario internazionale nella prospettiva di un’autorità pubblica a competenza universale ».
Tale riflessione vuole essere un contributo ai responsabili della terra e a tutti gli uomini di buona volontà; un gesto di responsabilità non solo nei confronti delle generazioni presenti, ma soprattutto di quelle future; affinché non sia mai perduta la speranza di un futuro migliore e la fiducia nella dignità e nella capacità di bene della persona umana.
Ogni singola persona, ogni comunità di persone, è partecipe e responsabile della promozione del bene comune. Fedeli alla loro vocazione di natura etica e religiosa, le comunità di credenti devono per prime interrogarsi sull’adeguatezza dei mezzi di cui la famiglia umana dispone in vista della realizzazione del bene comune mondiale. La Chiesa, per parte sua, è chiamata a stimolare in tutti indistintamente « la volontà di partecipare a quell’ingente sforzo con il quale, nel corso dei secoli, [gli uomini] cercano di migliorare le proprie condizioni di vita, corrisponde[ndo così] alle intenzioni di Dio ».
1. Sviluppo economico e disuguaglianze
La grave crisi economica e finanziaria, che il mondo oggi attraversa, trova la sua origine in molteplici cause. Sulla pluralità e sul peso di queste cause persistono opinioni diverse: alcuni sottolineano anzitutto gli errori insiti nelle politiche economiche e finanziarie; altri insistono sulle debolezze strutturali delle istituzioni politiche, economiche e finanziarie; altri ancora le attribuiscono a cedimenti di natura etica intervenuti a tutti i livelli, nel quadro di un’economia mondiale sempre più dominata dall’utilitarismo e dal materialismo. Nei diversi stadi di sviluppo della crisi, si riscontra sempre una combinazione di errori tecnici e di responsabilità morali.
Nel caso di scambio di beni materiali e di servizi, sono la natura e la capacità produttiva, il lavoro in tutte le sue molteplici forme, che pongono un limite alle quantità determinando un insieme di costi e di prezzi che permette, sotto certe condizioni, un’allocazione efficiente delle risorse disponibili.
Ma in materia monetaria e finanziaria le dinamiche sono diverse. Negli ultimi decenni sono state le banche ad estendere il credito, il quale ha generato moneta, che a sua volta ha sollecitato un’ulteriore espansione del credito. Il sistema economico è stato in tale maniera spinto verso una spirale inflazionistica che inevitabilmente ha trovato un limite nel rischio sostenibile per gli istituti di credito, sottoposti ad un pericolo ulteriore di fallimento, con conseguenze negative per l’intero sistema economico e finanziario.
Dopo la Seconda Guerra Mondiale, le economie nazionali sono avanzate, sebbene con enormi sacrifici per milioni, anzi per miliardi di persone che avevano dato fiducia, con il loro comportamento di produttori e imprenditori da un lato, di risparmiatori e consumatori dall’altro, a un progressivo regolare sviluppo della moneta e della finanza in linea con le potenzialità di crescita reale dell’economia.
Dagli anni Novanta dello scorso secolo, si riscontra invece come la moneta e i titoli di credito a livello globale siano aumentati in misura molto più rapida della produzione del reddito, anche a prezzi correnti. Ne sono derivate la formazione di sacche eccessive di liquidità e di bolle speculative che poi si sono trasformate in una serie di crisi di solvibilità e di fiducia che si sono propagate e susseguite nel corso degli anni.
Una prima crisi si è verificata negli anni Settanta fino ai primi anni Ottanta, ed era relativa ai prezzi del petrolio. In seguito si sono avute una serie di crisi in vari Paesi in via di sviluppo. Si pensi alla prima crisi del Messico negli anni Ottanta, oppure a quelle del Brasile, della Russia e della Corea, quindi di nuovo del Messico negli anni Novanta, della Tailandia, dell’Argentina.
La bolla speculativa sugli immobili e la recente crisi finanziaria hanno la medesima origine nell’eccessivo ammontare di moneta e di strumenti finanziari a livello globale.
Mentre le crisi nei Paesi in via di sviluppo, che hanno rischiato di coinvolgere il sistema monetario e finanziario globale, sono state contenute con forme di intervento da parte dei Paesi più sviluppati, la crisi scoppiata nel 2008 è stata caratterizzata da un fattore decisivo e dirompente rispetto a quelle precedenti. Essa è stata generata nel contesto degli Stati Uniti, una delle aree più rilevanti per l’economia e la finanza mondiale, coinvolgendo la moneta
a cui fa tuttora capo la stragrande maggioranza degli scambi internazionali.
Un orientamento di stampo liberista – reticente rispetto ad interventi pubblici nei mercati – ha fatto propendere per il fallimento di un importante istituto finanziario internazionale, immaginando in tal modo di delimitare la crisi e i suoi effetti. Ne è derivata purtroppo una propagazione di sfiducia che ha spinto a mutare repentinamente atteggiamento, sollecitando interventi pubblici sotto varie forme, di enorme portata (oltre il 20% del prodotto nazionale) al fine di tamponare gli effetti negativi che avrebbero travolto tutto il sistema finanziario internazionale.
Le conseguenze sulla cosiddetta « economia reale », passando attraverso le gravi difficoltà di alcuni settori – in primo luogo dell’edilizia – e attraverso il diffondersi di aspettative sfavorevoli, hanno generato una tendenza negativa della produzione e del commercio internazionale, con gravi riflessi sull’occupazione, e con effetti che ancora non hanno probabilmente esaurito tutta la loro portata. I costi per milioni, anzi miliardi di persone, nei Paesi sviluppati ma anche soprattutto in quelli in via di sviluppo, sono rilevanti.
In Paesi ed aree dove mancano ancora i beni più elementari della salute, del cibo, del riparo dalle intemperie, oltre un miliardo di persone sono costrette a sopravvivere con un reddito medio di poco più di un dollaro al giorno.
Il benessere economico globale, misurato in primo luogo dalla produzione del reddito ed anche dalla diffusione delle capabilities, si è accresciuto, nel corso della seconda metà del XX secolo, in una misura e con una rapidità mai sperimentate nella storia del genere umano.
Ma sono anche aumentate enormemente le disuguaglianze all’interno dei vari Paesi e tra di essi. Mentre alcuni Paesi e aree economiche, quelle più industrializzate e sviluppate, hanno visto crescere notevolmente la produzione del reddito, altri Paesi sono stati di fatto esclusi dal miglioramento generalizzato dell’economia, e persino hanno peggiorato la loro situazione.
I pericoli di una situazione di sviluppo economico, concepito in termini liberistici, sono stati lucidamente e profeticamente denunciati da Paolo VI – per le conseguenze nefaste sugli equilibri mondiali e sulla pace – già nel 1967, dopo il Concilio Vaticano II, con l’Enciclica Populorum progressio. Il Pontefice indicò come condizioni imprescindibili, per la promozione di un autentico sviluppo, la difesa della vita e la promozione della crescita culturale e morale delle persone. Su tali basi, affermava Paolo VI lo sviluppo plenario e planetario « è il nuovo nome della pace ».
A quaranta anni di distanza, nel 2007, il Fondo Monetario Internazionale riconobbe, nel suo Rapporto annuale, la stretta connessione tra un processo di globalizzazione non adeguatamente governato da un lato, e le forti disuguaglianze a livello mondiale dall’altro. Oggi i moderni mezzi di comunicazione rendono evidenti a tutti i popoli, ricchi e poveri, le disuguaglianze economiche, sociali e culturali che si sono determinate a livello globale generando tensioni e imponenti movimenti migratori.
Tuttavia, va ribadito che il processo di globalizzazione con i suoi aspetti positivi è alla base del grande sviluppo dell’economia mondiale del XX secolo. Vale la pena di ricordare che tra il 1900 e il 2000 la popolazione mondiale si è quasi quadruplicata e che la ricchezza prodotta a livello mondiale è cresciuta in misura molto più rapida cosicché il reddito medio pro capite è fortemente aumentato. Allo stesso tempo, però, non è aumentata l’equa distribuzione della ricchezza, piuttosto, in molti casi essa è peggiorata.
Ma cosa ha spinto il mondo in questa direzione estremamente problematica anche per la pace?
Anzitutto un liberismo economico senza regole e senza controlli. Si tratta di una ideologia, di una forma di « apriorismo economico », che pretende di prendere dalla teoria le leggi di funzionamento del mercato e le cosiddette leggi dello sviluppo capitalistico esasperandone alcuni aspetti. Un’ideologia economica che stabilisca a priori le leggi del funzionamento del mercato e dello sviluppo economico, senza confrontarsi con la realtà, rischia di diventare uno strumento subordinato agli interessi dei Paesi che godono di fatto di una posizione di vantaggio economico e finanziario.
Regole e controlli, sia pure in maniera imperfetta, sono spesso presenti a livello nazionale e regionale; tuttavia, a livello internazionale tali regole e controlli fanno fatica a realizzarsi e a consolidarsi.
Alla base delle disparità e delle distorsioni dello sviluppo capitalistico c’è, in gran parte, oltre all’ideologia del liberismo economico, l’ideologia utilitarista, ossia quella impostazione teorico-pratica per cui: « l’utile personale conduce al bene della comunità ». È da notare che una simile « massima » contiene un’anima di verità, ma non si può ignorare che non sempre l’utile individuale, sebbene legittimo, favorisce il bene comune. In più di un caso è richiesto uno spirito di solidarietà che trascenda l’utile personale per il bene della comunità.
Negli anni venti del secolo scorso alcuni economisti avevano già messo in guardia dal dare eccessivamente credito, in assenza di regole e controlli, a quelle teorie oggi divenute ideologie e prassi dominanti a livello internazionale.
Un effetto devastante di queste ideologie, soprattutto negli ultimi decenni del secolo scorso e i primi anni del nuovo secolo, è stato lo scoppio della crisi nella quale il mondo si trova tuttora
immerso.
Benedetto XVI, nella sua enciclica sociale, ha individuato in maniera precisa la radice di una crisi che non è solamente di natura economica e finanziaria, ma prima di tutto di natura morale, oltre che ideologica. L’economia, infatti, – osserva il Pontefice – ha bisogno dell’etica per il suo corretto funzionamento, non di un’etica qualsiasi, bensì di un’etica amica della persona. Egli, poi, ha denunciato il ruolo svolto dall’utilitarismo e dall’individualismo, nonché le responsabilità di chi li ha assunti e diffusi come parametro per il comportamento ottimale di coloro – operatori economici e politici – che agiscono e interagiscono nel contesto sociale. Ma Benedetto XVI ha anche individuato e denunciato una nuova ideologia, l’ ideologia della tecnocrazia.
2. Il ruolo della tecnica e la sfida etica
Il grande sviluppo economico e sociale dello scorso secolo, certamente con le sue luci ma anche con i suoi gravi coni d’ombra, è dovuto anche al continuato sviluppo della tecnica e, nei decenni più recenti, ai progressi dell’informatica e alle sue applicazioni, all’economia e in primo luogo alla
finanza.
Per interpretare con lucidità l’attuale nuova questione sociale, occorre senz’altro, però, evitare l’errore, figlio anch’esso dell’ideologia neoliberista, di ritenere che i problemi da affrontare siano di ordine esclusivamente tecnico. Come tali, essi sfuggirebbero alla necessità di un discernimento e di una valutazione di tipo etico. Ebbene, l’enciclica di Benedetto XVI mette in guardia contro i pericoli dell’ideologia della tecnocrazia, ossia di quell’assolutizzazione della tecnica che « tende a produrre un’incapacità di percepire ciò che non si spiega con la semplice materia » ed a minimizzare il valore delle scelte dell’individuo umano concreto che opera nel sistema economico-finanziario, riducendole a mere variabili tecniche. La chiusura ad un « oltre », inteso come un di più rispetto alla tecnica, non solo rende impossibile trovare soluzioni adeguate per i problemi, ma impoverisce sempre più, sul piano materiale e morale, le principali vittime della crisi.
Anche nel contesto della complessità dei fenomeni la rilevanza dei fattori etici e culturali non può, dunque, essere trascurata o sottostimata. La crisi, di fatto, ha rivelato comportamenti di egoismo, di cupidigia collettiva e di accaparramento di beni su grande scala. Nessuno può rassegnarsi a vedere l’uomo vivere come « un lupo per l’altro uomo », secondo la concezione evidenziata da Hobbes. Nessuno, in coscienza, può accettare lo sviluppo di alcuni Paesi a scapito di altri. Se non si pone un rimedio alle varie forme di ingiustizia gli effetti negativi che ne deriveranno sul piano sociale, politico ed economico saranno destinati a generare un clima di crescente ostilità e perfino di violenza, sino a minare le stesse basi delle istituzioni democratiche, anche di quelle ritenute più solide.
Dal riconoscimento del primato dell’essere rispetto a quello dell’avere, dell’etica rispetto a quello dell’economia, i popoli della terra dovrebbero assumere, come anima della loro azione, un’etica della solidarietà, abbandonando ogni forma di gretto egoismo, abbracciando la logica del bene comune mondiale che trascende il mero interesse contingente e particolare. Dovrebbero, in definitiva, avere vivo il senso di appartenenza alla famiglia umana in nome della comune dignità di tutti gli esseri umani: « prima ancora della logica dello scambio degli equivalenti e delle forme di giustizia, […] che le sono proprie, esiste un qualcosa che è dovuto all’uomo perché è uomo, in forza della sua eminente dignità ».
Già nel 1991, dopo il fallimento del collettivismo marxista, il Beato Giovanni Paolo II aveva messo in guardia nei confronti del rischio di « un’idolatria del mercato, che ignora l’esistenza di beni che, per loro natura, non sono né possono essere semplici merci ». Oggi occorre senz’indugio accogliere il suo ammonimento e imboccare una strada più in sintonia con la dignità e con la vocazione trascendente della persona e della famiglia umana.
3. Il governo della globalizzazione
Nel cammino verso la costruzione di una famiglia umana più fraterna e giusta e, prima ancora, di un nuovo umanesimo aperto alla trascendenza, appare inoltre particolarmente attuale l’insegnamento del Beato Giovanni XXIII. Nella profetica Lettera enciclica Pacem in terris del 1963, egli avvertiva che il mondo si stava avviando verso una sempre maggiore unificazione. Prendeva quindi atto del fatto che, nella comunità umana, era venuta meno la rispondenza fra l’organizzazione politica « su piano mondiale e le esigenze obiettive del bene comune universale ». Per conseguenza auspicava la creazione, un giorno, di « un’Autorità pubblica mondiale ».
A fronte dell’unificazione del mondo, propiziata dal complesso fenomeno della globalizzazione; a fronte dell’importanza di garantire, oltre agli altri beni collettivi, quello rappresentato da un sistema economico-finanziario mondiale libero, stabile e a servizio dell’economia reale, oggi l’insegnamento della Pacem in terris appare ancor più vitale e degno di urgente concretizzazione.
Lo stesso Benedetto XVI, nel solco tracciato dalla Pacem in terris, ha espresso la necessità di costituire un’Autorità politica mondiale. Tale necessità appare del resto evidente, se si pensa al fatto che l’agenda delle questioni da trattare a livello globale diventa costantemente più ampia. Si pensi, ad esempio, alla pace e alla sicurezza; al disarmo e al controllo degli armamenti; alla promozione e alla tutela dei diritti fondamentali dell’uomo; al governo dell’economia e alle politiche di sviluppo; alla gestione dei flussi migratori e alla sicurezza alimentare; alla tutela dell’ambiente. In tutti questi ambiti risulta sempre più evidente la crescente interdipendenza tra Stati e regioni del mondo e la necessità di risposte, non solo settoriali e isolate, ma sistematiche e integrate, ispirate dalla solidarietà e dalla sussidiarietà e orientate al bene comune universale.
Come ricorda Benedetto XVI, se non si persegue questa strada anche « il diritto internazionale, nonostante i grandi progressi compiuti nei vari campi, rischierebbe di essere condizionato dagli equilibri di potere tra i più forti ».
Lo scopo dell’Autorità pubblica, rammentava già Giovanni XXIII nella Pacem in terris, è anzitutto quello di servire il bene comune. Essa, pertanto, deve dotarsi di strutture e meccanismi adeguati, efficaci, ossia all’altezza della propria missione e delle aspettative che in essa sono riposte. Questo è particolarmente vero all’interno di un mondo globalizzato, che rende persone e popoli sempre più interconnessi ed interdipendenti, ma che mostra anche il peso dell’egoismo e degli interessi settoriali, tra cui l’esistenza di mercati monetari e finanziari a carattere prevalentemente speculativo, dannosi per l’economia reale, specie dei Paesi più deboli.
È un processo complesso e delicato. Tale Autorità sovranazionale deve, infatti, avere un’impostazione realistica ed essere messa in atto con gradualità, con l’obiettivo di favorire anche l’esistenza di sistemi monetari e finanziari efficienti ed efficaci, ossia mercati liberi e stabili, disciplinati da un adeguato quadro giuridico, funzionali allo sviluppo sostenibile e al progresso sociale di tutti, ispirati ai valori della carità nella verità. Si tratta di un’Autorità dall’orizzonte planetario, che non può essere imposta con la forza, ma dovrebbe essere espressione di un accordo libero e condiviso, oltre che delle esigenze permanenti e storiche del bene comune mondiale e non frutto di coercizione o di violenze. Essa dovrebbe sorgere da un processo di maturazione progressiva delle coscienze e delle libertà, nonché dalla consapevolezza di crescenti responsabilità. Non possono, per conseguenza, essere tralasciati come superflui elementi quali la fiducia reciproca, l’autonomia e la partecipazione. Il consenso deve coinvolgere un sempre maggior numero di Paesi che aderiscono in maniera convinta, mediante quel dialogo sincero che non emargina, bensì valorizza le opinioni minoritarie. L’Autorità mondiale dovrebbe, dunque, coinvolgere coerentemente tutti i popoli, in una collaborazione in cui essi sono chiamati a contribuire con il patrimonio delle loro virtù e delle loro civiltà.
La costituzione di un Autorità politica mondiale dovrebbe essere preceduta da una fase preliminare di concertazione, dalla quale emergerà una istituzione legittimata, in grado di offrire una guida efficace e, al tempo stesso, di permettere a ciascun Paese di esprimere e di perseguire il proprio bene particolare. L’esercizio di una simile Autorità, posta al servizio del bene di tutti e di ciascuno, sarà necessariamente super partes, ossia al di sopra di ogni visione parziale e di ogni bene particolare, in vista della realizzazione del bene comune. Le sue decisioni non dovranno essere il risultato del pre-potere dei Paesi più sviluppati sui Paesi più deboli. Dovranno, invece, essere assunte nell’interesse di tutti, non solo a vantaggio di alcuni gruppi, siano essi formati da lobby private o da Governi nazionali.
Un’Istituzione sopranazionale, espressione di una « comunità delle Nazioni », non potrà peraltro durare a lungo, se le diversità dei Paesi, sul piano delle culture, delle risorse materiali ed immateriali, delle condizioni storiche e geografiche non sono riconosciute e pienamente rispettate. L’assenza di un consenso convinto, alimentato da un’incessante comunione morale della comunità mondiale, indebolirebbe l’efficacia della corrispettiva Autorità.
Ciò che vale a livello nazionale vale anche a livello mondiale. La persona non è fatta per servire incondizionatamente l’Autorità, il cui compito è quello di porsi al servizio della persona stessa, in coerenza con il valore preminente della dignità dell’uomo. Parimenti, i Governi non devono servire incondizionatamente l’Autorità mondiale. È piuttosto quest’ultima che deve mettersi al servizio dei vari Paesi membri, secondo il principio di sussidiarietà, creando, tra l’altro, quelle condizioni socio-economiche, politiche e giuridiche, indispensabili anche all’esistenza di mercati efficienti ed efficaci, perché non iperprotetti da politiche nazionali paternalistiche, perché non indeboliti da deficit sistematici delle finanze pubbliche e dei Prodotti nazionali, che di fatto impediscono ai mercati stessi di operare in un contesto mondiale come istituzioni aperte e concorrenziali.
Nella tradizione del Magistero della Chiesa, ripresa con vigore da Benedetto XVI, il principio di sussidiarietà deve regolare le relazioni tra Stato e comunità locali, tra Istituzioni pubbliche e Istituzioni private, non escluse quelle monetarie e finanziarie. Così, su un ulteriore livello, deve reggere le relazioni tra una eventuale futura Autorità pubblica mondiale e le istituzioni regionali e nazionali. Un tale principio è a garanzia sia della legittimità democratica sia dell’efficacia delle decisioni di coloro che sono chiamati a prenderle. Permette di rispettare la libertà delle persone e delle comunità di persone e, al tempo stesso, di responsabilizzarle rispetto agli obiettivi e ai doveri che loro competono.
Secondo la logica della sussidiarietà, l’Autorità superiore offre il suo subsidium, ovvero il suo aiuto, quando la persona e gli attori sociali e finanziari sono intrinsecamente inadeguati o non riescono a fare da sé quanto è loro richiesto. Grazie al principio di solidarietà, si costruisce un rapporto durevole e fecondo tra la società civile planetaria e un’Autorità pubblica mondiale, quando gli Stati, i corpi intermedi, le varie istituzioni – comprese quelle economiche e finanziarie – e i cittadini prendono le loro decisioni entro la prospettiva del bene comune mondiale, che trascende quello
nazionale.
« Il governo della globalizzazione » – si legge nella Caritas in veritate – « deve essere di tipo sussidiario, articolato su più livelli e su piani diversi, che collaborino reciprocamente ». Solo così si può evitare il pericolo dell’isolamento burocratico dell’Autorità centrale, che rischierebbe di essere delegittimata da un distacco troppo grande dalle realtà sulle quali si fonda, e potrebbe facilmente cadere in tentazioni paternalistiche, tecnocratiche, o egemoniche.
Un lungo cammino resta però ancora da percorrere prima di arrivare alla costituzione di una tale Autorità pubblica a competenza universale. Logica vorrebbe che il processo di riforma si sviluppasse avendo come punto di riferimento l’Organizzazione delle Nazioni Unite, in ragione dell’ampiezza mondiale delle sue responsabilità, della sua capacità di riunire le Nazioni della terra e della diversità dei suoi compiti e di quelli delle sue Agenzie specializzate. Il frutto di tali riforme dovrebbe essere una maggiore capacità di adozione di politiche e scelte vincolanti poiché orientate alla realizzazione del bene comune a livello locale, regionale e mondiale. Tra le politiche appaiono più urgenti quelle relative alla giustizia sociale globale: politiche finanziarie e monetarie che non danneggino i Paesi più deboli; politiche volte alla realizzazione di mercati liberi e stabili e ad un’equa distribuzione della ricchezza mondiale mediante anche forme inedite di solidarietà fiscale globale, di cui si dirà più avanti.
Nel cammino della costituzione di un’Autorità politica mondiale non si possono disgiungere le questioni della governance (ossia di un sistema di semplice coordinamento orizzontale senza un’Autorità super partes) da quelle di un shared government (ossia di un sistema che, oltre al coordinamento orizzontale, stabilisca un’Autorità super partes) funzionale e proporzionato al graduale sviluppo di una società politica mondiale. La costituzione di un’Autorità politica mondiale non può essere raggiunta senza la previa pratica del multilateralismo, non solo a livello diplomatico, ma anche e soprattutto nell’ambito dei piani per lo sviluppo sostenibile e per la pace. A un Governo mondiale non si può pervenire se non dando espressione politica a preesistenti interdipendenze e cooperazioni.
4. Verso una riforma del sistema finanziario e monetario internazionale rispondente alle esigenze di tutti i Popoli
In materia economica e finanziaria, le difficoltà più rilevanti derivano dalla carenza di un insieme efficace di strutture, in grado di garantire, oltre ad un sistema di governance, un sistema di government dell’economia e della finanza internazionale.
Che dire di questa prospettiva? Quali passi muovere in concreto?
Con riferimento all’attuale sistema economico e finanziario mondiale vanno sottolineati due fattori determinanti: il primo è il graduale venire meno dell’efficienza delle istituzioni di Bretton Woods, a partire dai primi anni Settanta. In particolare, il Fondo Monetario Internazionale ha perso un carattere essenziale per la stabilità della finanza mondiale, quello di regolare la creazione complessiva di moneta e di vegliare sull’ammontare di rischio di credito assunto dal sistema. In definitiva non si dispone più di quel « bene pubblico universale » che è la stabilità del sistema monetario mondiale.
Il secondo fattore è la necessità di un corpus minimo condiviso di regole necessarie alla gestione del mercato finanziario globale, cresciuto molto più rapidamente dell’economia reale, essendosi velocemente sviluppato per effetto, da un lato, dell’abrogazione generalizzata dei controlli sui movimenti di capitali e dalla tendenza alla deregolamentazione delle attività bancarie e finanziarie; e dall’altro, dei progressi della tecnica finanziaria favoriti dagli strumenti informatici.
Sul piano strutturale, nell’ultima parte del secolo scorso, la moneta e le attività finanziarie a livello globale sono cresciute molto più rapidamente della produzioni di beni e di servizi. In tale contesto, la qualità del credito ha teso a diminuire sino ad esporre gli istituti di credito ad un rischio maggiore di quello ragionevolmente sostenibile. Basti guardare alle sorti di grandi e piccoli istituti di credito nel contesto delle crisi che si sono manifestate negli anni Ottanta e Novanta del secolo scorso e infine nella crisi del 2008.
Sempre nell’ultima parte del XX scorso, si è sviluppata la tendenza a definire gli orientamenti strategici della politica economica e finanziaria all’interno di club e di gruppi più o meno estesi di Paesi più sviluppati. Pur non negando gli aspetti positivi di questo approccio, non si può non notare che esso non sembra rispettare pienamente il principio rappresentativo, in particolare dei Paesi meno sviluppati o emergenti.
La necessità di tener conto della voce di un maggiore numero di Paesi ha, ad esempio, indotto l’allargamento dei suddetti gruppi, passando così dal G7 al G20. Questa è stata un’evoluzione positiva, in quanto ha consentito di coinvolgere, negli orientamenti all’economia e alla finanza globale, la responsabilità di Paesi con più elevata popolazione, in via di sviluppo ed emergenti.
Nell’ambito del G20 possono pertanto maturare indirizzi concreti che, opportunamente elaborati nelle appropriate sedi tecniche, potranno orientare gli organi competenti a livello nazionale e regionale al consolidamento delle istituzioni esistenti e alla creazione di nuove istituzioni con appropriati ed efficaci strumenti a livello internazionale.
Gli stessi leader del G20, nella Dichiarazione finale di Pittsburgh del 2009, affermano del resto come « la crisi economica dimostra l’importanza di avviare una nuova era dell’economia globale fondata sulla responsabilità ». Per fare fronte alla crisi e aprire una nuova era « della responsabilità », oltre alle misure di tipo tecnico e di breve periodo, i leader avanzano la proposta di una « riforma dell’architettura globale per fare fronte alle esigenze del 21° secolo »; e quindi quella di « un quadro che consenta di definire le politiche e le misure comuni per generare uno sviluppo globale solido, sostenibile e bilanciato ».
Occorre quindi avviare un processo di profonda riflessione e di riforme, percorrendo vie creative e realistiche, tendenti a valorizzare gli aspetti positivi delle istituzioni e dei fora già esistenti.
Un’attenzione specifica andrebbe riservata alla riforma del sistema monetario internazionale e, in particolare, all’impegno per dar vita a qualche forma di controllo monetario globale, peraltro già implicita negli Statuti del Fondo Monetario Internazionale. È chiaro che, in qualche misura, questo equivale a mettere in discussione i sistemi dei cambi esistenti, per trovare modi efficaci di coordinamento e supervisione. È un processo che deve coinvolgere anche i Paesi emergenti e in via di sviluppo nel definire le tappe di un adattamento graduale degli strumenti esistenti.
Sullo sfondo si delinea, in prospettiva, l’esigenza di un organismo che svolga le funzioni di una sorta di « Banca centrale mondiale » che regoli il flusso e il sistema degli scambi monetari, alla stregua delle Banche centrali nazionali. Occorre riscoprire la logica di fondo, di pace, coordinamento e prosperità comune, che portarono agli Accordi di Bretton Woods, per fornire adeguate risposte alle questioni attuali. A livello regionale tale processo potrebbe essere praticato con la valorizzazione delle istituzioni esistenti, come ad esempio la Banca Centrale Europea. Ciò richiederebbe, tuttavia, non solo una riflessione sul piano economico e finanziario, ma anche e prima di tutto, sul piano politico, in vista della costituzione di istituzioni pubbliche corrispettive che garantiscano l’unità e la coerenza delle decisioni comuni.
Queste misure dovrebbero essere concepite come alcuni dei primi passi nella prospettiva di una Autorità pubblica a competenza universale; come una prima tappa di un più lungo sforzo della comunità mondiale di orientare le sue istituzioni alla realizzazione del bene comune. Altre tappe dovranno seguire, tenendo conto che le dinamiche che conosciamo possono accentuarsi, ma anche accompagnarsi a cambiamenti che oggi sarebbe vano tentare di prevedere.
In tale processo, occorre, recuperare il primato dello spirituale e dell’etica e, con essi, il primato della politica – responsabile del bene comune – sull’economia e la finanza. Occorre ricondurre queste ultime entro i confini della loro reale vocazione e della loro funzione, compresa quella sociale, in considerazione delle loro evidenti responsabilità nei confronti della società, per dare vita a mercati ed istituzioni finanziarie che siano effettivamente a servizio della persona, che siano capaci, cioè, di rispondere alle esigenze del bene comune e della fratellanza universale, trascendendo ogni forma di piatto economicismo e di mercantilismo performativo.
Sulla base di un tale approccio di tipo etico, appare, quindi, opportuno riflettere, ad esempio:
su misure di tassazione delle transazioni finanziarie, mediante aliquote eque, ma modulate con oneri proporzionati alla complessità delle operazioni, soprattutto di quelle che si effettuano nel mercato « secondario ». Una tale tassazione sarebbe molto utile per promuovere lo sviluppo globale e sostenibile secondo principi di giustizia sociale e della solidarietà; e potrebbe contribuire alla costituzione di una riserva mondiale, per sostenere le economie dei Paesi colpiti dalle crisi, nonché il risanamento del loro sistema monetario e finanziario;
su forme di ricapitalizzazione delle banche anche con fondi pubblici condizionando il sostegno a comportamenti « virtuosi » e finalizzati a sviluppare l’economia reale;
sulla definizione dell’ambito dell’attività di credito ordinario e di Investment Banking. Tale distinzione consentirebbe una disciplina più efficace dei « mercati-ombra » privi di controlli e di limiti.
Un sano realismo richiederebbe il tempo necessario per costruire consensi ampi, ma l’orizzonte del bene comune universale è sempre presente con le sue esigenze ineludibili. È pertanto auspicabile che tutti coloro che, nelle Università e nei vari Istituti, sono chiamati a formare le classi dirigenti di domani si dedichino a prepararle alle loro responsabilità di discernere e di servire il bene pubblico globale in un mondo in costante cambiamento. È necessario colmare il divario presente tra formazione etica e preparazione tecnica, evidenziando in particolar modo l’ineludibile sinergia tra i due piani della praxis e della poièsis.
Lo stesso sforzo è richiesto a tutti coloro che sono in grado di illuminare l’opinione pubblica mondiale, per aiutarla ad affrontare questo mondo nuovo non più nell’angoscia ma nella speranza e nella solidarietà.
Conclusioni
Nelle incertezze attuali, in una società capace di mobilitare mezzi ingenti, ma la cui riflessione sul piano culturale e morale rimane inadeguata rispetto al loro utilizzo in ordine al conseguimento di fini appropriati, siamo invitati a non arrenderci e a costruire soprattutto un futuro di senso per le generazioni a venire. Non bisogna temere di proporre cose nuove, anche se possono destabilizzare equilibri di forze preesistenti che dominano sui più deboli. Esse sono un seme gettato nella terra, che germoglierà e non tarderà a portare i suoi frutti.
Come ha esortato Benedetto XVI, sono indispensabili persone ed operatori a tutti i livelli – sociale, politico, economico, professionale –, mossi dal coraggio di servire e promuovere il bene comune mediante una vita buona. Solo loro riusciranno a vivere e a vedere oltre le apparenze delle cose, percependo il divario tra il reale esistente ed il possibile mai sperimentato.
Paolo VI ha sottolineato la forza rivoluzionaria dell’« immaginazione prospettica », capace di percepire nel presente le possibilità in esso inscritte, e di orientare gli uomini verso un futuro nuovo. Liberando l’immaginazione, l’uomo libera la sua esistenza. Mediante un impegno di immaginazione comunitaria è possibile trasformare non solo le istituzioni ma anche gli stili di vita, e suscitare un avvenire migliore per tutti i popoli.
Gli Stati moderni, nel tempo, sono divenuti insiemi strutturati, concentrando la sovranità all’interno del proprio territorio. Ma le condizioni sociali, culturali e politiche sono progressivamente mutate. È cresciuta la loro interdipendenza – sicché è divenuto naturale pensare ad una comunità internazionale integrata e retta sempre più da un ordinamento condiviso –, ma non è venuta meno una forma deteriore di nazionalismo, secondo cui lo Stato ritiene di poter conseguire in maniera autarchica il bene dei suoi cittadini.
Oggi tutto ciò appare surreale e anacronistico. Oggi tutte le nazioni, piccole o grandi, assieme ai loro Governi, sono chiamate a superare quello « stato di natura » che vede gli Stati in perenne lotta tra loro. Nonostante alcuni suoi aspetti negativi, la globalizzazione sta unificando maggiormente i popoli, sollecitandoli a muoversi verso un nuovo « stato di diritto » a livello sopranazionale, sostenuto da una collaborazione più intensa e feconda. Con una dinamica analoga a quella che in passato ha messo fine alla lotta « anarchica » tra clan e regni rivali, in ordine alla costituzione di Stati nazionali, l’umanità deve oggi impegnarsi nella transizione da una situazione di lotte arcaiche tra entità nazionali, a un nuovo modello di società internazionale più coesa, poliarchica, rispettosa delle identità di ciascun popolo, entro la molteplice ricchezza di un’unica umanità. Un tale passaggio, peraltro già timidamente in corso, assicurerebbe ai cittadini di tutti i Paesi – qualunque ne sia la dimensione o la forza – pace e sicurezza, sviluppo, mercati liberi, stabili e trasparenti. « Come all’interno dei singoli Stati […] il sistema della vendetta privata e della rappresaglia è stato sostituito dall’impero della legge » – avverte Giovanni Paolo II – « così è ora urgente che un simile progresso abbia luogo nella Comunità internazionale ».
I tempi per concepire istituzioni con competenza universale arrivano quando sono in gioco beni vitali e condivisi dall’intera famiglia umana, che i singoli Stati non sono in grado di promuovere e proteggere da soli.
Esistono, quindi, le condizioni per il definitivo superamento di un ordine internazionale « westphaliano », nel quale gli Stati sentono l’esigenza della cooperazione, ma non colgono l’opportunità di un’integrazione delle rispettive sovranità per il bene comune dei popoli.
È compito delle generazioni presenti riconoscere e accettare consapevolmente questa nuova dinamica mondiale verso la realizzazione di un bene comune universale. Certo, questa trasformazione si farà al prezzo di un trasferimento graduale ed equilibrato di una parte delle attribuzioni nazionali ad un’Autorità mondiale e alle Autorità regionali, ma questo è necessario in un momento in cui il dinamismo della società umana e dell’economia e il progresso della tecnologia trascendono le frontiere, che nel mondo globalizzato sono di fatto già erose.
La concezione di una nuova società, la costruzione di nuove istituzioni dalla vocazione e competenza universali, sono una prerogativa e un dovere per tutti, senza distinzione alcuna. È in gioco il bene comune dell’umanità e il futuro stesso.
In tale contesto, per ogni cristiano c’è una speciale chiamata dello Spirito ad impegnarsi con decisione e generosità, perché le molteplici dinamiche in atto si volgano verso prospettive di fraternità e di bene comune. Si aprono immensi cantieri di lavoro per lo sviluppo integrale dei popoli e di ogni persona. Come affermano i Padri del Concilio Vaticano II, si tratta di una missione al tempo stesso sociale e spirituale, che, « nella misura in cui può contribuire a meglio ordinare l’umana società, è di grande importanza per il regno di Dio ».
In un mondo in via di rapida globalizzazione, il riferimento ad un’Autorità mondiale diviene l’unico orizzonte compatibile con le nuove realtà del nostro tempo e con i bisogni della specie umana. Non va, però, dimenticato che questo passaggio, data la natura ferita degli uomini, non avviene senza angosce e senza sofferenze.
La Bibbia, con il racconto della Torre di Babele (Genesi 11,1-9) avverte come la « diversità » dei popoli possa trasformarsi in veicolo di egoismo e strumento di divisione. Nell’umanità è ben presente il rischio che i popoli finiscano per non capirsi più e che le diversità culturali siano motivo di contrapposizioni insanabili. L’immagine della Torre di Babele ci avverte anche che bisogna guardarsi da una « unità » solo di facciata, nella quale non cessano egoismi e divisioni, poiché non sono stabili le fondamenta della società. In entrambi i casi, Babele è l’immagine di ciò che i popoli e gli individui possono divenire, quando non riconoscono la loro intrinseca dignità trascendente e la loro fraternità.
Lo spirito di Babele è l’antitesi dello Spirito di Pentecoste (Atti 2, 1-12), del disegno di Dio per tutta l’umanità, vale a dire l’unità nella diversità. Solo uno spirito di concordia, che superi divisioni e conflitti, permetterà all’umanità di essere autenticamente un’unica famiglia, fino a concepire un nuovo mondo con la costituzione di un’Autorità pubblica mondiale, al servizio del bene comune.
giovedì 20 ottobre 2011
EUROGENFOR, per una Europa fascistizzata dai banchieri e dalla destra
EUROGENDFOR - La Nuova Polizia con Poteri Illimitati
La Nuova Polizia con Poteri Illimitati
di A. Mannino
Alzi la mano chi sa cos’è il trattato di Velsen. Domanda retorica: nessuno. Eppure in questa piccola città olandese è stato posto in calce un tassello decisivo nel mosaico del nuovo ordine europeo e mondiale. Una tappa del processo di smantellamento della sovranità nazionale, portato avanti di nascosto, nel silenzio tipico dei ladri e delle canaglie.
Il Trattato Eurogendfor venne firmato a Velsen il 18 ottobre 2007 da Francia, Spagna, Paesi Bassi, Portogallo e Italia. L’acronimo sta per Forza di Gendarmeria Europea (EGF): in sostanza è la futura polizia militare d’Europa. E non solo. Per capire esattamente che cos’è, leggiamone qualche passo.
I compiti: «condurre missioni di sicurezza e ordine pubblico; monitorare, svolgere consulenza, guidare e supervisionare le forze di polizia locali nello svolgimento delle loro ordinarie mansioni, ivi comprese l’attività di indagine penale; assolvere a compiti di sorveglianza pubblica, gestione del traffico, controllo delle frontiere e attività generale di intelligence; svolgere attività investigativa in campo penale, individuare i reati, rintracciare i colpevoli e tradurli davanti alle autorità giudiziarie competenti; proteggere le persone e i beni e mantenere l’ordine in caso di disordini pubblici» (art. 4).
Il raggio d’azione: «Eurogendfor potrà essere messa a disposizione dell’Unione Europea (UE), delle Nazioni Unite (ONU), dell’Organizzazione per la Sicurezza e la Cooperazione in Europa (OSCE), della Organizzazione del Trattato del Nord Atlantico (NATO) e di altre organizzazioni internazionali o coalizioni specifiche» (art. 5).
La sede e la cabina di comando: «la forza di polizia multinazionale a statuto militare composta dal Quartier Generale permanente multinazionale, modulare e proiettabile con sede a Vicenza (Italia). Il ruolo e la struttura del QG permanente, nonché il suo coinvolgimento nelle operazioni saranno approvati dal CIMIN – ovvero - l’Alto Comitato Interministeriale. Costituisce l’organo decisionale che governa Eurogendfor» (art. 3).
Ricapitolando: la Gendarmeria europea assume tutte le funzioni delle normali forze dell’ordine (carabinieri e polizia), indagini e arresti compresi; la Nato, cioè gli Stati Uniti, avranno voce in capitolo nella sua gestione operativa; il nuovo corpo risponde esclusivamente a un comitato interministeriale, composto dai ministri degli Esteri e della Difesa dei paesi firmatari. In pratica, significa che avremo per le strade poliziotti veri e propri, che non si limitano a missioni militari, sottoposti alla supervisione di un’organizzazione sovranazionale in mano a una potenza extraeuropea cioè gli Usa, e che, come se non bastasse, è svincolata dal controllo del governo e del parlamento nazionali.
Ma non è finita. L’EGF gode di una totale immunità: inviolabili locali, beni e archivi (art. 21 e 22); le comunicazioni non possono essere intercettate (art. 23); i danni a proprietà o persone non possono essere indennizzati (art. 2; i gendarmi non possono essere messi sotto inchiesta dalla giustizia dei paesi ospitanti (art. 29). Come si evince chiaramente, una serie di privilegi inconcepibili in uno Stato di diritto.
Il 14 maggio 2010 la Camera dei Deputati della Repubblica Italiana ratifica l’accordo. Presenti 443, votanti 442, astenuti 1. Hanno votato sì 442: tutti, nessuno escluso. Poco dopo anche il Senato dà il via libera, anche qui all’unanimità. Il 12 giugno il Trattato di Velsen entra in vigore in Italia. La legge di ratifica n° 84 riguarda direttamente l’Arma dei Carabinieri, che verrà assorbita nella Polizia di Stato, e questa degradata a polizia locale di secondo livello.
Come ha fatto notare il giornalista che ha scovato la notizia, il freelance Gianni Lannes (uno con due coglioni così, che per le sue inchieste ora gira con la scorta), non soltanto è una vergogna constatare che i nostri parlamentari sanciscano una palese espropriazione di sovranità senza aver neppure letto i 47 articoli che la attestano, ma anche che sia passata inosservata un’anomalia clamorosa. Il quartiere generale europeo è insediato a Vicenza nella caserma dei carabinieri “Chinotto” fin dal 2006. La ratifica è dell’anno scorso. E a Vicenza da decenni ha sede Camp Ederle, a cui nel 2013 si affiancherà la seconda base statunitense al Dal Molin che è una sede dell’Africom, il comando americano per il quadrante mediterraneo-africano.
La deduzione è quasi ovvia: aver scelto proprio Vicenza sta a significare che la Gestapo europea dipende, e alla luce del sole, dal Pentagono. Ogni 25 Aprile i patetici onanisti della memoria si scannano sul fascismo e sull’antifascismo, mentre oggi serve un’altra Liberazione: da questa Europa e dal suo padrone, gli Stati Uniti.
Articolo pubblicato sul sito La Voce del Ribelle e riportato sul sito Senza Soste
Link diretti:
http://www.ilribelle.com/
http://www.senzasoste.it/istituzioni-totali/eurogendfor-la-nuova-polizia-europea-con-poteri-illimitati
La Nuova Polizia con Poteri Illimitati
di A. Mannino
Alzi la mano chi sa cos’è il trattato di Velsen. Domanda retorica: nessuno. Eppure in questa piccola città olandese è stato posto in calce un tassello decisivo nel mosaico del nuovo ordine europeo e mondiale. Una tappa del processo di smantellamento della sovranità nazionale, portato avanti di nascosto, nel silenzio tipico dei ladri e delle canaglie.
Il Trattato Eurogendfor venne firmato a Velsen il 18 ottobre 2007 da Francia, Spagna, Paesi Bassi, Portogallo e Italia. L’acronimo sta per Forza di Gendarmeria Europea (EGF): in sostanza è la futura polizia militare d’Europa. E non solo. Per capire esattamente che cos’è, leggiamone qualche passo.
I compiti: «condurre missioni di sicurezza e ordine pubblico; monitorare, svolgere consulenza, guidare e supervisionare le forze di polizia locali nello svolgimento delle loro ordinarie mansioni, ivi comprese l’attività di indagine penale; assolvere a compiti di sorveglianza pubblica, gestione del traffico, controllo delle frontiere e attività generale di intelligence; svolgere attività investigativa in campo penale, individuare i reati, rintracciare i colpevoli e tradurli davanti alle autorità giudiziarie competenti; proteggere le persone e i beni e mantenere l’ordine in caso di disordini pubblici» (art. 4).
Il raggio d’azione: «Eurogendfor potrà essere messa a disposizione dell’Unione Europea (UE), delle Nazioni Unite (ONU), dell’Organizzazione per la Sicurezza e la Cooperazione in Europa (OSCE), della Organizzazione del Trattato del Nord Atlantico (NATO) e di altre organizzazioni internazionali o coalizioni specifiche» (art. 5).
La sede e la cabina di comando: «la forza di polizia multinazionale a statuto militare composta dal Quartier Generale permanente multinazionale, modulare e proiettabile con sede a Vicenza (Italia). Il ruolo e la struttura del QG permanente, nonché il suo coinvolgimento nelle operazioni saranno approvati dal CIMIN – ovvero - l’Alto Comitato Interministeriale. Costituisce l’organo decisionale che governa Eurogendfor» (art. 3).
Ricapitolando: la Gendarmeria europea assume tutte le funzioni delle normali forze dell’ordine (carabinieri e polizia), indagini e arresti compresi; la Nato, cioè gli Stati Uniti, avranno voce in capitolo nella sua gestione operativa; il nuovo corpo risponde esclusivamente a un comitato interministeriale, composto dai ministri degli Esteri e della Difesa dei paesi firmatari. In pratica, significa che avremo per le strade poliziotti veri e propri, che non si limitano a missioni militari, sottoposti alla supervisione di un’organizzazione sovranazionale in mano a una potenza extraeuropea cioè gli Usa, e che, come se non bastasse, è svincolata dal controllo del governo e del parlamento nazionali.
Ma non è finita. L’EGF gode di una totale immunità: inviolabili locali, beni e archivi (art. 21 e 22); le comunicazioni non possono essere intercettate (art. 23); i danni a proprietà o persone non possono essere indennizzati (art. 2; i gendarmi non possono essere messi sotto inchiesta dalla giustizia dei paesi ospitanti (art. 29). Come si evince chiaramente, una serie di privilegi inconcepibili in uno Stato di diritto.
Il 14 maggio 2010 la Camera dei Deputati della Repubblica Italiana ratifica l’accordo. Presenti 443, votanti 442, astenuti 1. Hanno votato sì 442: tutti, nessuno escluso. Poco dopo anche il Senato dà il via libera, anche qui all’unanimità. Il 12 giugno il Trattato di Velsen entra in vigore in Italia. La legge di ratifica n° 84 riguarda direttamente l’Arma dei Carabinieri, che verrà assorbita nella Polizia di Stato, e questa degradata a polizia locale di secondo livello.
Come ha fatto notare il giornalista che ha scovato la notizia, il freelance Gianni Lannes (uno con due coglioni così, che per le sue inchieste ora gira con la scorta), non soltanto è una vergogna constatare che i nostri parlamentari sanciscano una palese espropriazione di sovranità senza aver neppure letto i 47 articoli che la attestano, ma anche che sia passata inosservata un’anomalia clamorosa. Il quartiere generale europeo è insediato a Vicenza nella caserma dei carabinieri “Chinotto” fin dal 2006. La ratifica è dell’anno scorso. E a Vicenza da decenni ha sede Camp Ederle, a cui nel 2013 si affiancherà la seconda base statunitense al Dal Molin che è una sede dell’Africom, il comando americano per il quadrante mediterraneo-africano.
La deduzione è quasi ovvia: aver scelto proprio Vicenza sta a significare che la Gestapo europea dipende, e alla luce del sole, dal Pentagono. Ogni 25 Aprile i patetici onanisti della memoria si scannano sul fascismo e sull’antifascismo, mentre oggi serve un’altra Liberazione: da questa Europa e dal suo padrone, gli Stati Uniti.
Articolo pubblicato sul sito La Voce del Ribelle e riportato sul sito Senza Soste
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http://www.ilribelle.com/
http://www.senzasoste.it/istituzioni-totali/eurogendfor-la-nuova-polizia-europea-con-poteri-illimitati
lunedì 17 ottobre 2011
Prime riflessioni su ieri a Roma
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Prime riflessioni su ieri a Roma
Le manifestazioni degli indignati si sono svolte in mille città del mondo in un modo pacifico che non ha impegnato l'intervento della Polizia. Hanno avuto particolari restrizioni negli USA dove i corpi di polizia addestrati alla guerriglia urbana arrestano la gente anche per una piccola infrazione alle disposizioni che hanno impartito sui percorsi e sulle modalità dei cortei. Le parole d'ordine che si leggevano in tutti i cartelli del mondo erano più o meno le stesse: denunzia del ruolo nefasto del capitale finanziario, assenza di futuro, precariato, richiesta di forme nuove e davvero partecipate di democrazia, no alle spese militari, lotta alla diseguaglianza sociale ed alla distribuzione iniqua della ricchezza, lotta alle privatizzazioni, lotta alle spese militari ed alle guerre.recupero dei welfare indeboliti e ridimensionati dalle misure di austerità. A Varsavia spiccavano nei cortei diverse gigantografie di Carlo Marx. Dappertutto le manifestazioni hanno avuto uno svolgimento positivo e pacifico tranne a Roma che aveva la più grande manifestazione del mondo dove si è innestata sul corteo una prolungata guerriglia con scontri ripetuti con la polizia e devastazioni dell'arredo urbano attacco a vetrine ed ad uffici pubblici. Automezzo della polizia è stato incendiato, una chiesa invasa, devastata una madonna ed un crocifisso. Molti feriti ed arresti. Non si escludere che arriveranno presto tante comunicazioni giudiziarie.
Mentre la trasgrande maggioranza dei partecipanti ai cortei non si è lasciata coinvolgere nella violenza sembra che una massa di migliaia di incappucciati hanno dato vita al disordini con una tecnica di mordi fuggi e ritorno nel corteo che a quanto pare ha dato i suoi risultati.
Il corteo non aveva l'esperienza per fronteggiare la situazione che si è creata. Non aveva servizi d'ordine. Era alla sua prima seppur riuscitissima uscita pubblica. Non escludo che i disordini siano il frutto della convergenza di gruppi diversi. Gruppi di provocatori organizzati addestrati alle tecniche di lotta di strada che hanno trascinato altri gruppi di ragazzi certamente molto decisi ma che probabilmente si sarebbero fermati a lasciare qualche segno soltanto nei luoghi del Potere come le Banche e forse i Supermercati e gli Uffici delle tasse ma che sono stati attirati e coinvolti in azioni di guerriglia urbana.
Mi domando perchè in tutto il mondo non è successo niente tranne che in Italia e la risposta che mi do è questa: la condizione dei giovani italiani è la peggiore in assoluto. A differenza dei francesi dei tedeschi e di tanti altri non hanno un salario minimo garantito dalla legge che li metta a riparo dagli splafonamenti salariali, non hanno dnessun aiuto post laurea per l'inserimento come il Salario Sociale almeno per un anno, sono regolati dalla mostruosa legge Biagi che ha fatto diventare legale l'illegalità ed il reato, non hanno futuro nè lavorando nè da disoccupati. In Italia gli indignatosi sono inoltre molto isolati dalle Confederazioni Sindacali e sostenuti soltanto da partiti di sinistri ridotti all'estraparlamentarismo. La gravità della condizione di milioni e milioni di giovani è alla base della esasperazione ed anche di forme di disperazione della protesta.
Faccio un peccato di pensiero e dico che i tafferugli sono stati fatti scoppiare da un Potere che vuole mettere in cattiva luce l'Italia e soltanto l'Italia a livello internazionale. L'Italia dà una immagine di disordini e di marasma che abbassa la sua credibilità e la sua affidabilità per i "mercati". Mi convinco che c'è una regia di coloro che v ogliono il declassamento dell'Italia se non un suo vero e proprio default. Questo effetto di offuscamento della credibilità dell'Italia è stato calcolato e voluto da coloro che usano le agenzkie di rating per crocifiggerci.
Pietro Ancona
Prime riflessioni su ieri a Roma
Le manifestazioni degli indignati si sono svolte in mille città del mondo in un modo pacifico che non ha impegnato l'intervento della Polizia. Hanno avuto particolari restrizioni negli USA dove i corpi di polizia addestrati alla guerriglia urbana arrestano la gente anche per una piccola infrazione alle disposizioni che hanno impartito sui percorsi e sulle modalità dei cortei. Le parole d'ordine che si leggevano in tutti i cartelli del mondo erano più o meno le stesse: denunzia del ruolo nefasto del capitale finanziario, assenza di futuro, precariato, richiesta di forme nuove e davvero partecipate di democrazia, no alle spese militari, lotta alla diseguaglianza sociale ed alla distribuzione iniqua della ricchezza, lotta alle privatizzazioni, lotta alle spese militari ed alle guerre.recupero dei welfare indeboliti e ridimensionati dalle misure di austerità. A Varsavia spiccavano nei cortei diverse gigantografie di Carlo Marx. Dappertutto le manifestazioni hanno avuto uno svolgimento positivo e pacifico tranne a Roma che aveva la più grande manifestazione del mondo dove si è innestata sul corteo una prolungata guerriglia con scontri ripetuti con la polizia e devastazioni dell'arredo urbano attacco a vetrine ed ad uffici pubblici. Automezzo della polizia è stato incendiato, una chiesa invasa, devastata una madonna ed un crocifisso. Molti feriti ed arresti. Non si escludere che arriveranno presto tante comunicazioni giudiziarie.
Mentre la trasgrande maggioranza dei partecipanti ai cortei non si è lasciata coinvolgere nella violenza sembra che una massa di migliaia di incappucciati hanno dato vita al disordini con una tecnica di mordi fuggi e ritorno nel corteo che a quanto pare ha dato i suoi risultati.
Il corteo non aveva l'esperienza per fronteggiare la situazione che si è creata. Non aveva servizi d'ordine. Era alla sua prima seppur riuscitissima uscita pubblica. Non escludo che i disordini siano il frutto della convergenza di gruppi diversi. Gruppi di provocatori organizzati addestrati alle tecniche di lotta di strada che hanno trascinato altri gruppi di ragazzi certamente molto decisi ma che probabilmente si sarebbero fermati a lasciare qualche segno soltanto nei luoghi del Potere come le Banche e forse i Supermercati e gli Uffici delle tasse ma che sono stati attirati e coinvolti in azioni di guerriglia urbana.
Mi domando perchè in tutto il mondo non è successo niente tranne che in Italia e la risposta che mi do è questa: la condizione dei giovani italiani è la peggiore in assoluto. A differenza dei francesi dei tedeschi e di tanti altri non hanno un salario minimo garantito dalla legge che li metta a riparo dagli splafonamenti salariali, non hanno dnessun aiuto post laurea per l'inserimento come il Salario Sociale almeno per un anno, sono regolati dalla mostruosa legge Biagi che ha fatto diventare legale l'illegalità ed il reato, non hanno futuro nè lavorando nè da disoccupati. In Italia gli indignatosi sono inoltre molto isolati dalle Confederazioni Sindacali e sostenuti soltanto da partiti di sinistri ridotti all'estraparlamentarismo. La gravità della condizione di milioni e milioni di giovani è alla base della esasperazione ed anche di forme di disperazione della protesta.
Faccio un peccato di pensiero e dico che i tafferugli sono stati fatti scoppiare da un Potere che vuole mettere in cattiva luce l'Italia e soltanto l'Italia a livello internazionale. L'Italia dà una immagine di disordini e di marasma che abbassa la sua credibilità e la sua affidabilità per i "mercati". Mi convinco che c'è una regia di coloro che v ogliono il declassamento dell'Italia se non un suo vero e proprio default. Questo effetto di offuscamento della credibilità dell'Italia è stato calcolato e voluto da coloro che usano le agenzkie di rating per crocifiggerci.
Pietro Ancona
domenica 16 ottobre 2011
La violenza del potere cieco e sordo
La violenza del potere sordo e cieco.
Il Gen.Charles De Gaulle, durante il maggio francese, indusse il suo primo ministro Pompidou a trattare con i sindacati e concludere gli accordi di Grenelle e così rispose al movimento rivoluzionario che da settimane bloccava la Francia assecondando una uscita negoziata della grande crisi sociale e politica della Francia moderna.
Anche i governi di centro-sinistra degli anni settanta che affrontarono le grandi tensioni sociali e politiche del maggio italiano e dell'autunno caldo trattarono e diedero alla luce importanti fondamentali provvedimenti: lo Statuto dei diritti dei Lavoratori e la riforma della scuola.
Insomma il potere ha dialogato e trattato con i movimenti. Non si è chiuso a riccio e non ha derubricato la questione sociale a questione di ordine pubblico. Questo succedeva in una realtà sociale e politica in cui esistono vere opposizioni politiche in Parlamento che sostenevano e truducevano in provvedimenti legislativi le rivendicazioni degli studenti, degli operai, degli insegnanti. A far da sfondo a questa realtà c'era l'URSS con la sua Costituzione e la sua gestione socialista di tutti i beni della società, una URSS la cui esistenza costringeva le classi dirigenti dell'Occidente a non tirare troppo la corda, ad offrire una qualche risposta alla domanda di diritti e di rinnovamento.
Ma oramai, da molti anni, le cose non stanno più così. I governi ignorano la protesta delle masse. Vanno avanti per la loro strada fatta di tagli ai salari al welfare e di finanziamenti delle guerre colonialiste.
In molti, anche a sinistra, hanno osservato che le violenze degli estremisti a Roma hanno rovinato una grande manifestazione pacifica fatta di almeno trecentomila persone. E' vero. Ma è anche vero che nessuna risposta sarebbe stata data nè sarà data ai pacifici come ai bellicosi, ai miti come ai violenti. Il potere è sorto e cieco. Lo abbiamo già visto. Migliaia di manifestazioni di protesta dei precari della scuola con stiliti, scioperi delle fame e quant'altro non hanno prodotto neppure un incontro tra il Ministro Gelmini ed il personale della scuola. La scuola è stata spogliata di nove miliardi della sua dotazione e ridotta a classi-pollaio con trenta o quaranta alunni. Il potere non si è fatto raggiungere da nessuna invocazione, da nessuna protesta. E' andato avanti per la sua strada.
Ora per giorni i massmedia si occuperanno delle violenze romane che finiscono con il riverberarsi su tutto il movimento degli indignati inceppandolo e mettendolo sulla difensiva, nella necessità di difendersi dalle accuse che arrivano a sfiorare financo il terrorismo. Ma il governo non farà assolutamente niente e l'imbelle opposizione presente in Parlamento si preoccuperà sopratutto della propria "rispettabilità" e farà a gara con i Gasparri ed i La Russa a chi si distanzia di più dai movimenti rivendicativi.
Basterebbero alcuni segnali di apertura del Parlamento e del Governo per rispondere, nei limiti di una situazione difficilissima, in modo civile e democratico a Piazza san Giovanni, alla piazza dei miti ed a quella dei rivoltosi: Un Salario Sociale della durata di un anno per i giovani laureati in cerca di prima occupazione; Un Salario Minimo Garantito ai giovani biagizzati oggi brutalmente sfruttati con retribuzioni meschine inferiori financo a 500 euro mensili. Un aiuto straordinario alle famiglie monoreddito che non riescono più a galleggiare nella crisi.
Non si farà niente di tutto questo e si parlerà soltanto della violenza di Piazza San Giovanni.Ci si inquadrerà nelle decisioni del G20 che vogliono drenare tutte le risorse verso il sistema finanziario e spogliare le popolazioni di tutto dal salario al welfare. I banchieri passati dalla derisione dello cham pagne bevuto in faccia agli indignati di WallStreet alla pietà pelosa ed alla condivisione ipocrita ed insincera del segretario al tesoro USA Geithner, di Soros, di Passera, di Draghi, di altri marpioni della finanza.
L'Italia non è la Grecia. E' la quinta potenza economica del mondo con il 3,3 per cento di produzione del Pil. Può aprirsi alle richieste degli indignati guadagnandoci in possibilità di crescita. La paralisi italiana è dovuta anche alla precarietà ed al disagio sociale enorme.
Una classe dirigente se si limita a criminalizzare la violenza senza dare risposte ai movimenti si dimostra non credibile ed in malafede. Una classe dirigente deve dare risposte anche alla violenza dimostrandone l'arbitrarietà in un sistema democratico funzionante. Ma non è funzionante un sistema che ignora sistematicamente il malessere e si chiude in se stesso e continua a produrre altre cause di malessere.
Pietro Ancona
Il Gen.Charles De Gaulle, durante il maggio francese, indusse il suo primo ministro Pompidou a trattare con i sindacati e concludere gli accordi di Grenelle e così rispose al movimento rivoluzionario che da settimane bloccava la Francia assecondando una uscita negoziata della grande crisi sociale e politica della Francia moderna.
Anche i governi di centro-sinistra degli anni settanta che affrontarono le grandi tensioni sociali e politiche del maggio italiano e dell'autunno caldo trattarono e diedero alla luce importanti fondamentali provvedimenti: lo Statuto dei diritti dei Lavoratori e la riforma della scuola.
Insomma il potere ha dialogato e trattato con i movimenti. Non si è chiuso a riccio e non ha derubricato la questione sociale a questione di ordine pubblico. Questo succedeva in una realtà sociale e politica in cui esistono vere opposizioni politiche in Parlamento che sostenevano e truducevano in provvedimenti legislativi le rivendicazioni degli studenti, degli operai, degli insegnanti. A far da sfondo a questa realtà c'era l'URSS con la sua Costituzione e la sua gestione socialista di tutti i beni della società, una URSS la cui esistenza costringeva le classi dirigenti dell'Occidente a non tirare troppo la corda, ad offrire una qualche risposta alla domanda di diritti e di rinnovamento.
Ma oramai, da molti anni, le cose non stanno più così. I governi ignorano la protesta delle masse. Vanno avanti per la loro strada fatta di tagli ai salari al welfare e di finanziamenti delle guerre colonialiste.
In molti, anche a sinistra, hanno osservato che le violenze degli estremisti a Roma hanno rovinato una grande manifestazione pacifica fatta di almeno trecentomila persone. E' vero. Ma è anche vero che nessuna risposta sarebbe stata data nè sarà data ai pacifici come ai bellicosi, ai miti come ai violenti. Il potere è sorto e cieco. Lo abbiamo già visto. Migliaia di manifestazioni di protesta dei precari della scuola con stiliti, scioperi delle fame e quant'altro non hanno prodotto neppure un incontro tra il Ministro Gelmini ed il personale della scuola. La scuola è stata spogliata di nove miliardi della sua dotazione e ridotta a classi-pollaio con trenta o quaranta alunni. Il potere non si è fatto raggiungere da nessuna invocazione, da nessuna protesta. E' andato avanti per la sua strada.
Ora per giorni i massmedia si occuperanno delle violenze romane che finiscono con il riverberarsi su tutto il movimento degli indignati inceppandolo e mettendolo sulla difensiva, nella necessità di difendersi dalle accuse che arrivano a sfiorare financo il terrorismo. Ma il governo non farà assolutamente niente e l'imbelle opposizione presente in Parlamento si preoccuperà sopratutto della propria "rispettabilità" e farà a gara con i Gasparri ed i La Russa a chi si distanzia di più dai movimenti rivendicativi.
Basterebbero alcuni segnali di apertura del Parlamento e del Governo per rispondere, nei limiti di una situazione difficilissima, in modo civile e democratico a Piazza san Giovanni, alla piazza dei miti ed a quella dei rivoltosi: Un Salario Sociale della durata di un anno per i giovani laureati in cerca di prima occupazione; Un Salario Minimo Garantito ai giovani biagizzati oggi brutalmente sfruttati con retribuzioni meschine inferiori financo a 500 euro mensili. Un aiuto straordinario alle famiglie monoreddito che non riescono più a galleggiare nella crisi.
Non si farà niente di tutto questo e si parlerà soltanto della violenza di Piazza San Giovanni.Ci si inquadrerà nelle decisioni del G20 che vogliono drenare tutte le risorse verso il sistema finanziario e spogliare le popolazioni di tutto dal salario al welfare. I banchieri passati dalla derisione dello cham pagne bevuto in faccia agli indignati di WallStreet alla pietà pelosa ed alla condivisione ipocrita ed insincera del segretario al tesoro USA Geithner, di Soros, di Passera, di Draghi, di altri marpioni della finanza.
L'Italia non è la Grecia. E' la quinta potenza economica del mondo con il 3,3 per cento di produzione del Pil. Può aprirsi alle richieste degli indignati guadagnandoci in possibilità di crescita. La paralisi italiana è dovuta anche alla precarietà ed al disagio sociale enorme.
Una classe dirigente se si limita a criminalizzare la violenza senza dare risposte ai movimenti si dimostra non credibile ed in malafede. Una classe dirigente deve dare risposte anche alla violenza dimostrandone l'arbitrarietà in un sistema democratico funzionante. Ma non è funzionante un sistema che ignora sistematicamente il malessere e si chiude in se stesso e continua a produrre altre cause di malessere.
Pietro Ancona
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