Una sentenza politica
E' vero che il processo riguarda soltanto il suo oggetto e cioè la persona o le persone che vengono chiamate a rispondere alla giustizia di loro atti. Ma se il processo riguarda una persona
pubblica, un senatore della Repubblica, il fondatore di una formazione politica che da quasi venti anni
è al potere in Italia, uno tra i massimi collaboratori del Presidente del Consiglio l'oggetto del processo ci riguarda ed interviene nella nostra vita nazionale. La storia d'Italia è costellata da processi e sentenze che hanno influito sulla vita pubblica. Ricordo per tutti il processo Notarbartolo e quello ai dirigenti dei Fasci Siciliani. Aveva ragione il procuratore Gatto a sottolineare la valenza storica della sentenza. Ma la Corte di Appello di Palermo gli ha dato una risposta negativa che indebolisce il prosieguo della lotta alla mafia perchè non contribuisce a fare chiarezza su quanto è accaduto in Italia dopo la stagione stragista. La limitazione allo spartiacque del 1992 del comparaggio di Dell'Utri con la mafia escluderebbe che la fondazione di Forza Italia sia avvenuta con il concorso di questa. Ma come si fa a stabilire se una persona cessa di essere nell'orbita della mafia ad una precisa data? E' la stessa domanda che ci eravamo posti per la sentenza Andreotti. Non viene spiegato come il soggetto cessa di essere invischiato con la criminalità. Che cosa è successo ? Quale è stato l'evento che ha convinto i giudici della fuoriuscita di Dell'Utri dalla orbita mafiosa? Quali atti, quali documenti, testimoniano di questa svolta nella sua vita?
La sentenza di ieri produce effetti negativi sulle indagini e sulla ricostruzione di quanto è accaduto tra il 1992 ed il 1994. Non suffraga le rivelazioni del pentito Spatuzza che sono state ritenute attendibili da tanti magistrati e sono state riscontrate. Se Dell'Utri non ha rapporti con la mafia dal 92 in poi tutto il capitolo di investigazioni faticosamente fatte nel corso di questi ultimi anni riguardanti la trattativa Stato-Mafia, responsabilità di servizi segreti e quant'altro stava emergendo dal mistero fondativo della Seconda Repubblica, viene indebolito. Ma, sebbene la sentenza abbia lanciato segnali di questo segno, io sono portato a condividere l'affermazione di Ingroia che prevede una continuazione delle indagini che non possono essere chiuse dalla lettura assolutoria che la sentenza ha fatto del post 1992.
Colpisce la spocchia, l'arroganza dell'atteggiamento di Dell'Utri a commento della sentenza. Ha mandato le sue "condoglianze" al procuratore Gatto. Ha espresso giudizi sulla Corte che a suo parere sarebbe stata onesta ma pavida ed ha glorificato la figura del mafioso Mangano, stalliere di Arcore, che da vero "omo di panza" non ha parlato e non ha raccontato nulla che potesse nuocere a lui o a Berlusconi. Questa esaltazione del silenzio omertoso del mafioso è una implicita condanna dei pentiti
che non sarebbero "eroi" come Mangano ma "infami" perchè collaborano con i magistrati.
Ma domani è un altro giorno. Dopo la sentenza Andreotti la lotta alla mafia non perse vigore e recuperò terreno. Spero che succeda lo stesso dopo la sentenza Dell'Utri. Lo Stato deve essere liberato dalla mafia. L'impresa non è facile e l'Italia di oggi non dà molto sostegno a quanti la combattono.
Pietro Ancona
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mercoledì 30 giugno 2010
martedì 29 giugno 2010
Una sentenza di assoluzione del berlusconismo
Una sentenza di assoluzione del berlusconismo
Il senatore Dell'Utri è stato condannato a sette anni di carcere per la sua collaborazione alla mafia precedente al 1992, anno fatidico e spartiacque politico della storia d'Italia. Dal 1992 inizia il ciclo di Forza Italia e del Berlusconismo che avrebbe rivoltato l'Italia "come un calzino" promessa fatta dal
grande leader e puntualmente mantenuta. In effetti, l'Italia è stata rivoltata, resa irriconoscibile: è oramai un immenso cimitero di rovine di ciò che fu una nazione con grandi tratti di civiltà e di modernità, seppur con le sue tare e le sue zone oscure. Ora siamo una una Repubblica controllata da un proprietario di televisioni come lo fu per qualche anno la città di Taranto, poi fallita, nella mani di un tale Giancarlo Cito, poi condannato a quattro anni per concorso esterno in associazione mafiosa. Non è da escludere che l'Italia, come Taranto, finisca con il fallire dopo essere stata depredata del suo patrimonio come sta avvenendo con il trasferimento alle Regioni dei suoi beni con il cosidetto federalismo demaniale. Intanto, una grossa corrente di destra alimentata dalle associazioni del padronato, è impegnata in una opera di demolizione della Costituzione e dei diritti dei lavoratori e delle persone ed una grassa Oligarchia bipartisan fatta da migliaia e migliaia di professionisti della politica e dai loro famuli divora fette sempre più grosse delle risorse del Paese e vive di privilegi inaccettabili.
In effetti si tratta di una assoluzione del Dell'Utri politico, fondatore di Forza Italia, referente della mafia e difensore dell'eroico stalliere di Arcore. Quello che ha fatto prima del 1992 può riguardare la giustizia e la cronaca giudiziaria. Non ci interessa se non come cronaca nera. Trattasi di relazioni di un cittadino qualsiasi, seppur influente, con la potente mafia siciliana. Interessa invece e moltissimo al Paese che cosa è stato Dell'Utri dal 1992 in poi e stabilire se è vero o no che alla base della formazione di Forza Italia ci sia stata una trattativa che avrebbe chiuso
il periodo stragista culminato nell'assassinio di Borsellino e Falcone e gli attentati al patrimonio artistico italiano. La sentenza ritiene il Senatore Dell'Utri innocente per quanto ha fatto nel corso degli ultimi venti anni che sono stati gli anni del grande potere berlusconiano. Insomma, non c'è niente di malavitoso e di mafioso nella sostanza del potere politico del ventennio trascorso e tutto va spiegato in chiave diversa
di come l'avevamo immaginato e, con buone ragioni, sospettato..
Ricordo la letizia della avvocatessa Bongiorno, oggi pezzo grosso del PDL e Presidente della Commissione Giustizia della Camera, nell'annunziare al senatore Andreotti l'esito del suo processo. Andreotti era stato condannato ma prescritto per le sue frequentazioni malavitose fino al 1982 ed assolto per tutto il periodo successivo. Anche Dell'Utri, come Andreotti, viene liberato dall'accusa che grava su di lui per tutta la sua lunga militanza politica. Una sentenza fotocopiata. Non andrà mai in galera e non si unirà ai settantamila infelici e disgraziati ristretti in carceri abominevoli che possono contenerne la metà. Non conoscerà mai questa terribile stazione del calvario di tante persone.
A quanti a sinistra sperano in un ribaltamento della sentenza in Cassazione osservo che trovo inaccettabile una giustizia con tre gradi di giudizio che possono esprimere tre sentenze diverse. Quello che conta è la constatazione di un sistema giudiziario in preda a spinte e pulsioni diverse e spesso opposte che non garantisce nessuno e che degrada a vista d'occhio e non solo per gli attacchi quasi quotidiani di Berlusconi e della destra.
Prendiamo atto che con la sentenza di oggi è stato mondato da ogni sospetto di radicamento nella mafia il movimento berlusconiano. Questo movimento da oggi è ancora di più legittimato a stravolgere quello che resta dell'ordinamento costituzionale italiano. Legittimato da una certificazione
antimafia rilasciata dalla Corte di Appello di Palermo.
Pietro Ancona
Il senatore Dell'Utri è stato condannato a sette anni di carcere per la sua collaborazione alla mafia precedente al 1992, anno fatidico e spartiacque politico della storia d'Italia. Dal 1992 inizia il ciclo di Forza Italia e del Berlusconismo che avrebbe rivoltato l'Italia "come un calzino" promessa fatta dal
grande leader e puntualmente mantenuta. In effetti, l'Italia è stata rivoltata, resa irriconoscibile: è oramai un immenso cimitero di rovine di ciò che fu una nazione con grandi tratti di civiltà e di modernità, seppur con le sue tare e le sue zone oscure. Ora siamo una una Repubblica controllata da un proprietario di televisioni come lo fu per qualche anno la città di Taranto, poi fallita, nella mani di un tale Giancarlo Cito, poi condannato a quattro anni per concorso esterno in associazione mafiosa. Non è da escludere che l'Italia, come Taranto, finisca con il fallire dopo essere stata depredata del suo patrimonio come sta avvenendo con il trasferimento alle Regioni dei suoi beni con il cosidetto federalismo demaniale. Intanto, una grossa corrente di destra alimentata dalle associazioni del padronato, è impegnata in una opera di demolizione della Costituzione e dei diritti dei lavoratori e delle persone ed una grassa Oligarchia bipartisan fatta da migliaia e migliaia di professionisti della politica e dai loro famuli divora fette sempre più grosse delle risorse del Paese e vive di privilegi inaccettabili.
In effetti si tratta di una assoluzione del Dell'Utri politico, fondatore di Forza Italia, referente della mafia e difensore dell'eroico stalliere di Arcore. Quello che ha fatto prima del 1992 può riguardare la giustizia e la cronaca giudiziaria. Non ci interessa se non come cronaca nera. Trattasi di relazioni di un cittadino qualsiasi, seppur influente, con la potente mafia siciliana. Interessa invece e moltissimo al Paese che cosa è stato Dell'Utri dal 1992 in poi e stabilire se è vero o no che alla base della formazione di Forza Italia ci sia stata una trattativa che avrebbe chiuso
il periodo stragista culminato nell'assassinio di Borsellino e Falcone e gli attentati al patrimonio artistico italiano. La sentenza ritiene il Senatore Dell'Utri innocente per quanto ha fatto nel corso degli ultimi venti anni che sono stati gli anni del grande potere berlusconiano. Insomma, non c'è niente di malavitoso e di mafioso nella sostanza del potere politico del ventennio trascorso e tutto va spiegato in chiave diversa
di come l'avevamo immaginato e, con buone ragioni, sospettato..
Ricordo la letizia della avvocatessa Bongiorno, oggi pezzo grosso del PDL e Presidente della Commissione Giustizia della Camera, nell'annunziare al senatore Andreotti l'esito del suo processo. Andreotti era stato condannato ma prescritto per le sue frequentazioni malavitose fino al 1982 ed assolto per tutto il periodo successivo. Anche Dell'Utri, come Andreotti, viene liberato dall'accusa che grava su di lui per tutta la sua lunga militanza politica. Una sentenza fotocopiata. Non andrà mai in galera e non si unirà ai settantamila infelici e disgraziati ristretti in carceri abominevoli che possono contenerne la metà. Non conoscerà mai questa terribile stazione del calvario di tante persone.
A quanti a sinistra sperano in un ribaltamento della sentenza in Cassazione osservo che trovo inaccettabile una giustizia con tre gradi di giudizio che possono esprimere tre sentenze diverse. Quello che conta è la constatazione di un sistema giudiziario in preda a spinte e pulsioni diverse e spesso opposte che non garantisce nessuno e che degrada a vista d'occhio e non solo per gli attacchi quasi quotidiani di Berlusconi e della destra.
Prendiamo atto che con la sentenza di oggi è stato mondato da ogni sospetto di radicamento nella mafia il movimento berlusconiano. Questo movimento da oggi è ancora di più legittimato a stravolgere quello che resta dell'ordinamento costituzionale italiano. Legittimato da una certificazione
antimafia rilasciata dalla Corte di Appello di Palermo.
Pietro Ancona
lunedì 28 giugno 2010
La tentazione della fuga
La tentazione della fuga
Non condivido le cose dette da Roberto Saviano alla giornalista di El Pais. Ha dichiarato che l'Italia è un paese feroce dal quale vorrebbe andarsene. E' vero che l'Italia è un paese feroce. Certo ognuno ha il diritto di pensare ad una vita diversa, non blindata, non oppressa dalle restrizioni imposte dalle minacce e dalla persecuzione della criminalità. Ricordo una malinconica fotografia di Giovanni Falcone affacciato alla finestra del retro
della sua abitazione dalla quale non poteva uscire se non protetto dalla scorta. Scorta che a volte non voleva disturbare per i suoi spostamenti non legati al suo ufficio. La vita blindata è dura, durissima specialmente quando si hanno meno di trenta anni e si ha diritto naturale alla più assoluta libertà. Certo l'Italia è un paese in gran parte controllato dalle mafie che hanno avuto e continuano ad avere tanto potere perchè complici ed alleate a grossi pezzi dello Stato. Nel governo italiano siede un sottosegretario inseguito da un mandato di cattura per collaborazione con la camorra che il Presidente del Consiglio appoggia ed un Parlamento protegge dall'arresto. Ed è anche vero che in Italia non c'è ricambio delle classi dirigenti come in altre democrazie. Ma questo perchè l'Italia non è più da molto tempo una democrazia. E' una Oligarchia controllata da un ceto di professionisti della politica che si è impadronito di tutte le cariche istituzionali ricavandone di che vivere lautamente. Tutte le amministrazioni pubbliche, dai consigli di quartiere al Senato, sono gestite da un ceto politico stipendiato e ricco di privilegi. Migliaia e migliaia di famuli di questo ceto sono diventati amministratori di società create ad hoc per loro o consulenti. Il peso del ceto politico e parapolitico sull'erario italiano è enorme ed aumenterà ancora con il federalismo. Inoltre ed è cosa che Saviano non rileva e forse non gli interessa l'Italia è nelle mani di una Confindustria che con la complicità dei sindacati ha spogliato i lavoratori di quasi tutti i loro diritti ed a Pomigliano voleva inaugurare l'era dell'operaio-mulo ridotto a macchinario vivente. L'Italia ha la legge Biagi per la quale sei milioni di giovani sono stati condannati alla infelicità del precariato e di bassi salari. Salari bassi fino all'infamia di pagare ad un giovane ingegnere o avvocato o meccanico salari di 400 euro al mese. Trattamenti che gridano vendette come dover lavorare a cottimo in un call center che è diventato il mattatoio di tante speranze giovanili e di tanti studi fatti con entusiasmo ora amaramente spento.
L'analisi che fa Saviano della realtà italiana è parziale, ma non importa. Ha dato un contributo importante diventando l'icona della lotta alla camorra. Proprio per questo, per il fatto di essere diventato una star massmediatica a livello mondiale , non ha il diritto di esprimersi come ha fatto con El Pais. Se vuole andarsene dall'Italia, vada pure ma senza annunziarlo a tutte le agenzia di stampa ed alle televisioni. Se ne vada in silenzio, sparisca dalla circolazione. Non lanci un messaggio di irredimibilità del Paese. Altri resteranno a fare battaglie. Tanti altri bravi e valorosi come lui ma senza i riflettori che lui ha quasi monopolizzato.
E' di questi giorni il coraggioso libro "Agenda Nera" di Vittorio Lo Bianco e Sandra Rizza che
esplora circostanze del perverso intreccio Mafia-Stato facendo nomi e cognomi. Nomi e cognomi che non si leggono in nessuna pagina del fortunatissimo romanzo "Gomorra". Una cosa è fare la guerra alla mafia ben altra cosa è fare la guerra al mafioso. La guerra al mafioso è sempre cruenta. La guerra alla mafia a volte si ed a volte no.
A nessuno si può chiedere di diventare eroe. Ma vorrei ricordare il martirio di giornalisti come
Giuseppe Fava, Giuseppe Impastato, Mauro Rostagno, Giancarlo Siani, Beppe Alfano. Tantissimi altri sono caduti per avere testimoniato la verità e lottato per una Italia libera dalla oppressione mafiosa.
Questi martiri per una Italia civile e libera che ancora non c'è hanno avuto il coraggio di intervenire su interessi specifici del potere mafioso! Non vorrei che per trattenere Roberto Saviano in Italia dobbiamo fare di lui un uomo politico. Magari per attivare il ricambio di classe dirigente che ha reclamato nell'intervista ad El Pais.
Vorrei chiudere ricordando la vita blindata di Roberto Scarpinato e di quanti assieme a lui conducono una lotta mortale alla mafia. Invito a leggere il suo bellissimo ed istruttivo libro "Il ritorno del principe" nel quale viene spiegato perché l'Italia é quella dalla quale oggi Saviano vorrebbe fuggire.
Pietro Ancona
http://medioevosociale-pietro.blogspot.com/
www.spazioamico.it
http://www.giornalettismo.com/archives/69989/saviano-pais-litalia-paese/?utm_source=feedburner&utm_medium=feed&utm_campaign=Feed%3A+Giornalettismoilcannocchialeit+
http://www.ojopelao.com/opinion/opinion/16824-lola-galan-qitalia-es-un-pais-malvado-para-vivirq.html
http://www.democrazialegalita.it/bonofiglio/bonofiglio_giornalisti%20Uccisi%20dalla%20MAFIA=01agosto2007.htm
Non condivido le cose dette da Roberto Saviano alla giornalista di El Pais. Ha dichiarato che l'Italia è un paese feroce dal quale vorrebbe andarsene. E' vero che l'Italia è un paese feroce. Certo ognuno ha il diritto di pensare ad una vita diversa, non blindata, non oppressa dalle restrizioni imposte dalle minacce e dalla persecuzione della criminalità. Ricordo una malinconica fotografia di Giovanni Falcone affacciato alla finestra del retro
della sua abitazione dalla quale non poteva uscire se non protetto dalla scorta. Scorta che a volte non voleva disturbare per i suoi spostamenti non legati al suo ufficio. La vita blindata è dura, durissima specialmente quando si hanno meno di trenta anni e si ha diritto naturale alla più assoluta libertà. Certo l'Italia è un paese in gran parte controllato dalle mafie che hanno avuto e continuano ad avere tanto potere perchè complici ed alleate a grossi pezzi dello Stato. Nel governo italiano siede un sottosegretario inseguito da un mandato di cattura per collaborazione con la camorra che il Presidente del Consiglio appoggia ed un Parlamento protegge dall'arresto. Ed è anche vero che in Italia non c'è ricambio delle classi dirigenti come in altre democrazie. Ma questo perchè l'Italia non è più da molto tempo una democrazia. E' una Oligarchia controllata da un ceto di professionisti della politica che si è impadronito di tutte le cariche istituzionali ricavandone di che vivere lautamente. Tutte le amministrazioni pubbliche, dai consigli di quartiere al Senato, sono gestite da un ceto politico stipendiato e ricco di privilegi. Migliaia e migliaia di famuli di questo ceto sono diventati amministratori di società create ad hoc per loro o consulenti. Il peso del ceto politico e parapolitico sull'erario italiano è enorme ed aumenterà ancora con il federalismo. Inoltre ed è cosa che Saviano non rileva e forse non gli interessa l'Italia è nelle mani di una Confindustria che con la complicità dei sindacati ha spogliato i lavoratori di quasi tutti i loro diritti ed a Pomigliano voleva inaugurare l'era dell'operaio-mulo ridotto a macchinario vivente. L'Italia ha la legge Biagi per la quale sei milioni di giovani sono stati condannati alla infelicità del precariato e di bassi salari. Salari bassi fino all'infamia di pagare ad un giovane ingegnere o avvocato o meccanico salari di 400 euro al mese. Trattamenti che gridano vendette come dover lavorare a cottimo in un call center che è diventato il mattatoio di tante speranze giovanili e di tanti studi fatti con entusiasmo ora amaramente spento.
L'analisi che fa Saviano della realtà italiana è parziale, ma non importa. Ha dato un contributo importante diventando l'icona della lotta alla camorra. Proprio per questo, per il fatto di essere diventato una star massmediatica a livello mondiale , non ha il diritto di esprimersi come ha fatto con El Pais. Se vuole andarsene dall'Italia, vada pure ma senza annunziarlo a tutte le agenzia di stampa ed alle televisioni. Se ne vada in silenzio, sparisca dalla circolazione. Non lanci un messaggio di irredimibilità del Paese. Altri resteranno a fare battaglie. Tanti altri bravi e valorosi come lui ma senza i riflettori che lui ha quasi monopolizzato.
E' di questi giorni il coraggioso libro "Agenda Nera" di Vittorio Lo Bianco e Sandra Rizza che
esplora circostanze del perverso intreccio Mafia-Stato facendo nomi e cognomi. Nomi e cognomi che non si leggono in nessuna pagina del fortunatissimo romanzo "Gomorra". Una cosa è fare la guerra alla mafia ben altra cosa è fare la guerra al mafioso. La guerra al mafioso è sempre cruenta. La guerra alla mafia a volte si ed a volte no.
A nessuno si può chiedere di diventare eroe. Ma vorrei ricordare il martirio di giornalisti come
Giuseppe Fava, Giuseppe Impastato, Mauro Rostagno, Giancarlo Siani, Beppe Alfano. Tantissimi altri sono caduti per avere testimoniato la verità e lottato per una Italia libera dalla oppressione mafiosa.
Questi martiri per una Italia civile e libera che ancora non c'è hanno avuto il coraggio di intervenire su interessi specifici del potere mafioso! Non vorrei che per trattenere Roberto Saviano in Italia dobbiamo fare di lui un uomo politico. Magari per attivare il ricambio di classe dirigente che ha reclamato nell'intervista ad El Pais.
Vorrei chiudere ricordando la vita blindata di Roberto Scarpinato e di quanti assieme a lui conducono una lotta mortale alla mafia. Invito a leggere il suo bellissimo ed istruttivo libro "Il ritorno del principe" nel quale viene spiegato perché l'Italia é quella dalla quale oggi Saviano vorrebbe fuggire.
Pietro Ancona
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http://www.giornalettismo.com/archives/69989/saviano-pais-litalia-paese/?utm_source=feedburner&utm_medium=feed&utm_campaign=Feed%3A+Giornalettismoilcannocchialeit+
http://www.ojopelao.com/opinion/opinion/16824-lola-galan-qitalia-es-un-pais-malvado-para-vivirq.html
http://www.democrazialegalita.it/bonofiglio/bonofiglio_giornalisti%20Uccisi%20dalla%20MAFIA=01agosto2007.htm
Commento alle spiegazioni date dal conduttore di Prima Pagina
Caro conduttore Campi,
lei si è mostrato scandalizzato per la profanazione delle tombe dei vescovi ed ha attribuito all'antipapismo della cultura protestante questo gesto. Naturalmente non gliene frega niente della profanazione dei corpi e della psiche dei bambini e delle bambine che sono stati violati in quantità industriali dai preti.
Dovrebbe avere rispetto per la cultura protestante che non è l'anacronistica religione-stato
che ci opprime in Italia.
Inoltre ha avuto parole sprezzanti per l'Iran che Israele si accinge a bombardare. L'Iran non ha mai aggredito nessuno e semmai è stato vittima per istigazione di Israele e degli USA della guerra mossagli dall'Iraq. l'Iran ha diritto alla bomba atomica perchè Israele ne ha un arsenale. Solo la bomba atomica iraniana potrà fare deterrenza di pace inducendo la bellicosa Israele a lasciare in pace i suoi vicini. Le ricordo il bombardamento di gaza e la distruzione del Libano.
Lei è giornalista embedded e lavora per un editore che è bene ammanigliato nel sistema di potere e di appalti italiani
Cordialità
Pietro Ancona
lei si è mostrato scandalizzato per la profanazione delle tombe dei vescovi ed ha attribuito all'antipapismo della cultura protestante questo gesto. Naturalmente non gliene frega niente della profanazione dei corpi e della psiche dei bambini e delle bambine che sono stati violati in quantità industriali dai preti.
Dovrebbe avere rispetto per la cultura protestante che non è l'anacronistica religione-stato
che ci opprime in Italia.
Inoltre ha avuto parole sprezzanti per l'Iran che Israele si accinge a bombardare. L'Iran non ha mai aggredito nessuno e semmai è stato vittima per istigazione di Israele e degli USA della guerra mossagli dall'Iraq. l'Iran ha diritto alla bomba atomica perchè Israele ne ha un arsenale. Solo la bomba atomica iraniana potrà fare deterrenza di pace inducendo la bellicosa Israele a lasciare in pace i suoi vicini. Le ricordo il bombardamento di gaza e la distruzione del Libano.
Lei è giornalista embedded e lavora per un editore che è bene ammanigliato nel sistema di potere e di appalti italiani
Cordialità
Pietro Ancona
domenica 27 giugno 2010
il g20 per i miliardari
Il G20 per i miliardari
Effetto positivo dello scatenamento degli animals spirits del capitalismo che usano finanza, commercio e guerre per fare arricchire a dismisura la casta dei miliardari è la riscoperta del marxismo, del socialismo ed anche delle esperienze concrete del comunismo nei paesi nei quali si è realizzato. Il G20 riunito in Canada ed isolato dal mondo da uno scandaloso apparato di sicurezza costato oltre un miliardo di dollari ci fa sapere che nei prossimi due anni (?) si dovranno dimezzare i deficit statali, che la guerra in Afghanistan potrà durare altri cinque anni, che è assai probabile una aggressione di Israele all'Iran e che nessuna misura seria sarà presa per tagliare gli artigli agli speculatori della finanza, ai pirati che hanno messo in ginocchio il mondo intero inondandolo di titoli fasulli per migliaia di miliardi di euro. In quanto al disastro ecologico planetario provocato dalla multinazionale BP nel Golfo del Messico se n'é occupata una Corte di Giustizia che ha annullato il modestissimo intervento di Obama per una sospensiva di sei mesi delle perforazioni sottomarine. Non sia mai che i petrolieri non possano fare i loro comodi! I diritti del capitale valgono assai di più della buona salute del pianeta e dei suoi abitanti!
Per nostra disgrazia Russia e Cina si sono omologate al modello liberista e sono diventate collaborazioniste sia pure passive dei progetti aggressivi degli Usa. Hanno commesso l'errore di isolare l'iniziativa di Turchia e Brasile sul nucleare iraniano scoraggiando una possibile diplomazia di pace alternativa ai diktat USA.
Si illudono che i loro interessi possono essere meglio tutelati compiacendo il padrone americano che, però, è insaziabile e, mentre chiede il loro apporto per isolare l'Iran, prepara le sue pedine per insidiare la loro stessa sovranità con un enorme reticolo di basi militari e missilistiche attorno alla Russia e l'uso demagogico e distruttivo dell'indipendentismo dei monaci per il Tibet.
La riunione degli spocchiosi governi riuniti a Toronto è stata preceduta dall'allarme lanciato dal FMI per possibili trenta milioni di nuovi disoccupati. Il terrorismo del FMI serve a giustificare l'abbassamento del tenore di vita delle masse popolari, ad una americanizzazione di tutto l'Occidente con la dismissione dei tratti della civiltà europea dati dal welfare conquistato dalle socialdemocrazie nel secolo scorso. Nelle riunioni del gruppo di Bildelberg si erano tracciate le linee ideologiche e le scelte che saranno assunte dal G20. Attacco al ceto medio e guerre. Le enormi spese militari del G20 che sottraggono immense risorse alla gente non vengono neppure menzionate.
Il liberismo viene spinto al parossismo per produrre oggetti inquinanti che consumano una enorme quantità di energia. L'obiettivo di produrre una auto al minuto presuppone un mercato infinito di vendite contraddittorio ad una realtà di impoverimento e di crisi dei ceti medi. In ogni caso si prevede un futuro che riduce i consumi collettivi a vantaggio di quelli individuali, di distruzione della natura, di regimi fiscali sempre più oppressivi, di squilibri abissali tra gli esseri umani.
In questo scenario, soltanto alcune scelte del socialismo potrebbero salvare l'umanità. Oggi un famoso economista proponeva la nazionalizzazione delle banche ed il controllo della finanza mondiale. Certo non è possibile che gruppi di speculatori mettano in crisi le Nazioni come è successo con i titoli tossici e con le manovre contro i Pigs a cominciare dalla Grecia. Ma oltre alla banche c'è anche il problema delle merci che vengono prodotte. L'industria automobilistica ha bisogno di un piano a lunga scadenza per la sua riconversione. La corsa a produrre auto a costi sempre più contenuti non servirà a molto. Il costo della manodopera incide soltanto per il tre per cento del prodotto. Quanto potrà ancora essere compresso e spremuto il salario dell'operaio-robot? Quante auto potrà assorbire il mercato?
Il liberismo sta attaccando il ceto medio oltre che naturalmente la classe operaia. L'attacco alla scuola, alle università, agli statali, la sottomissione colonialista dell'agricoltura alle multinazionali della distribuzione, la distruzione dell'artigianato stanno producendo un disagio sociale sempre più esteso che potrebbe tradursi in conflitto liberatorio se la sinistra ritrovasse la sua anima ed avesse il coraggio di sostenere il socialismo come necessità assoluta dell'umanità.
Il G20 ha avuto qualche parola di comprensione e di compassione per l'Africa. Non è in grado di capire che questo approccio neocolonialista è offensivo e controproducente. Gli aiuti stanziati servono sopratutto alle aziende che saranno beneficiate e che si libereranno dei loro fondi di magazzino spesso scadute. Anche il ruolo delle ONG è tutto da discutere. I poveri del mondo si aiutano non sfruttandoli ed associandoli al commercio e sopratutto rivalutando il prezzo dei prodotti agricoli e liberando gli agricoltori dalla miseria che spesso li spinge al suicidio.
Pietro Ancona
http://medioevosociale-pietro.blogspot.com/
www.spazioamico.it
Effetto positivo dello scatenamento degli animals spirits del capitalismo che usano finanza, commercio e guerre per fare arricchire a dismisura la casta dei miliardari è la riscoperta del marxismo, del socialismo ed anche delle esperienze concrete del comunismo nei paesi nei quali si è realizzato. Il G20 riunito in Canada ed isolato dal mondo da uno scandaloso apparato di sicurezza costato oltre un miliardo di dollari ci fa sapere che nei prossimi due anni (?) si dovranno dimezzare i deficit statali, che la guerra in Afghanistan potrà durare altri cinque anni, che è assai probabile una aggressione di Israele all'Iran e che nessuna misura seria sarà presa per tagliare gli artigli agli speculatori della finanza, ai pirati che hanno messo in ginocchio il mondo intero inondandolo di titoli fasulli per migliaia di miliardi di euro. In quanto al disastro ecologico planetario provocato dalla multinazionale BP nel Golfo del Messico se n'é occupata una Corte di Giustizia che ha annullato il modestissimo intervento di Obama per una sospensiva di sei mesi delle perforazioni sottomarine. Non sia mai che i petrolieri non possano fare i loro comodi! I diritti del capitale valgono assai di più della buona salute del pianeta e dei suoi abitanti!
Per nostra disgrazia Russia e Cina si sono omologate al modello liberista e sono diventate collaborazioniste sia pure passive dei progetti aggressivi degli Usa. Hanno commesso l'errore di isolare l'iniziativa di Turchia e Brasile sul nucleare iraniano scoraggiando una possibile diplomazia di pace alternativa ai diktat USA.
Si illudono che i loro interessi possono essere meglio tutelati compiacendo il padrone americano che, però, è insaziabile e, mentre chiede il loro apporto per isolare l'Iran, prepara le sue pedine per insidiare la loro stessa sovranità con un enorme reticolo di basi militari e missilistiche attorno alla Russia e l'uso demagogico e distruttivo dell'indipendentismo dei monaci per il Tibet.
La riunione degli spocchiosi governi riuniti a Toronto è stata preceduta dall'allarme lanciato dal FMI per possibili trenta milioni di nuovi disoccupati. Il terrorismo del FMI serve a giustificare l'abbassamento del tenore di vita delle masse popolari, ad una americanizzazione di tutto l'Occidente con la dismissione dei tratti della civiltà europea dati dal welfare conquistato dalle socialdemocrazie nel secolo scorso. Nelle riunioni del gruppo di Bildelberg si erano tracciate le linee ideologiche e le scelte che saranno assunte dal G20. Attacco al ceto medio e guerre. Le enormi spese militari del G20 che sottraggono immense risorse alla gente non vengono neppure menzionate.
Il liberismo viene spinto al parossismo per produrre oggetti inquinanti che consumano una enorme quantità di energia. L'obiettivo di produrre una auto al minuto presuppone un mercato infinito di vendite contraddittorio ad una realtà di impoverimento e di crisi dei ceti medi. In ogni caso si prevede un futuro che riduce i consumi collettivi a vantaggio di quelli individuali, di distruzione della natura, di regimi fiscali sempre più oppressivi, di squilibri abissali tra gli esseri umani.
In questo scenario, soltanto alcune scelte del socialismo potrebbero salvare l'umanità. Oggi un famoso economista proponeva la nazionalizzazione delle banche ed il controllo della finanza mondiale. Certo non è possibile che gruppi di speculatori mettano in crisi le Nazioni come è successo con i titoli tossici e con le manovre contro i Pigs a cominciare dalla Grecia. Ma oltre alla banche c'è anche il problema delle merci che vengono prodotte. L'industria automobilistica ha bisogno di un piano a lunga scadenza per la sua riconversione. La corsa a produrre auto a costi sempre più contenuti non servirà a molto. Il costo della manodopera incide soltanto per il tre per cento del prodotto. Quanto potrà ancora essere compresso e spremuto il salario dell'operaio-robot? Quante auto potrà assorbire il mercato?
Il liberismo sta attaccando il ceto medio oltre che naturalmente la classe operaia. L'attacco alla scuola, alle università, agli statali, la sottomissione colonialista dell'agricoltura alle multinazionali della distribuzione, la distruzione dell'artigianato stanno producendo un disagio sociale sempre più esteso che potrebbe tradursi in conflitto liberatorio se la sinistra ritrovasse la sua anima ed avesse il coraggio di sostenere il socialismo come necessità assoluta dell'umanità.
Il G20 ha avuto qualche parola di comprensione e di compassione per l'Africa. Non è in grado di capire che questo approccio neocolonialista è offensivo e controproducente. Gli aiuti stanziati servono sopratutto alle aziende che saranno beneficiate e che si libereranno dei loro fondi di magazzino spesso scadute. Anche il ruolo delle ONG è tutto da discutere. I poveri del mondo si aiutano non sfruttandoli ed associandoli al commercio e sopratutto rivalutando il prezzo dei prodotti agricoli e liberando gli agricoltori dalla miseria che spesso li spinge al suicidio.
Pietro Ancona
http://medioevosociale-pietro.blogspot.com/
www.spazioamico.it
sabato 26 giugno 2010
lo scienziato Patrizio Di Nicola spiega cosa vuole la Fiat: operaio mulo e con nervi di acciaio
Pomigliano, la fabbrica secondo la Fiat
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La trasformazione del lavoro prevista dall’accordo renderà lo stabilimento del napoletano il più neofordista della galassia Fiat. Il modello Wcm e il sistema Ergo-Uas: la produttività massima da inculcare in ciascun operaio. Ossia: più fatica
di Patrizio Di Nicola
L’accordo Fiat di Pomigliano, al di là del risultato del referendum, apre allo studioso molti campi di riflessione. Il giurista, infatti, avrà di che ragionare attorno alla costituzionalità degli articoli 14 e 15 del testo, che prevedono che qualsiasi comportamento, collettivo o di singoli dipendenti contro l’accordo stesso (incluso quindi l’aderire a uno sciopero o proclamarlo), darà luogo a specifiche sanzioni: per i sindacati l’interruzione dei contributi e dei permessi sindacali, mentre per il lavoratore si potrà arrivare al licenziamento.
Gli esperti di relazioni industriali, invece, avranno molti punti da approfondire, primo fra tutti la disciplina degli straordinari e dei recuperi, che prevede lo svolgimento di tali attività anche al posto della pausa per il pasto, 30 minuti alla fine di ciascun turno. I critici dell’accordo fanno notare che ciò è in contrasto con la Direttiva europea sull’orario di lavoro del 2003 (che all’art. 4 prevede, per prestazioni superiori alle sei ore di lavoro consecutive, una pausa), oltre che con la legge 66 del 2003, che fa espresso riferimento a una pausa per la mensa.
Il sociologo del lavoro, dal canto suo, non potrà non concentrarsi sulla trasformazione dell’organizzazione di fabbrica che l’accordo prevede e che renderà lo stabilimento del napoletano il più neofordista della galassia Fiat. Su questo, dunque, ci concentreremo nei paragrafi successivi.
Il modello Wcm
L’articolo 5 dell’accordo, dal titolo “Organizzazione del lavoro” (scarica il testo), sancisce l’introduzione di un nuovo modello organizzativo, il Wcm (World Class Manufacturing) e il sistema Ergo-Uas (leggi l'allegato con la descrizione). Il primo termine indica una filosofia, nata dalla produzione snella e dal toyotismo, che prevede il coinvolgimento di tutti i lavoratori, dal manager all’operaio, nel processo di miglioramento continuo del prodotto. L’obiettivo è di produrre automobili sempre più soddisfacenti per i clienti, ai costi migliori (J. Todd, World-Class Manufacturing, McGraw-Hill, London, 1995). Il Wcm pone l’accento sul miglioramento ergonomico delle postazioni lavorative per aumentare la produttività, sulla riprogettazione delle postazioni di lavoro al fine di ridurre la necessità dell’operaio di spostarsi per prendere i pezzi da montare e ridurre in tal modo i tempi del ciclo produttivo, ma soprattutto sul lavoro in team, ai quali è demandata l’attività di problem solving.
Per essere produttori di classe mondiale ci vuole molta partecipazione da parte dei lavoratori: alla Toyota ogni anno arrivano circa un milione di proposte di miglioramento, tutte studiate con attenzione dalla direzione, spesso adottate e premiate. Non si può dire che in Fiat, almeno per ora, esista una filosofia comparabile.
L’Ergo-Uas, dal canto suo, costituisce una metodologia già sperimentata nello stabilimento di Mirafiori, per raggiungere gli obiettivi del Wcm. Il sistema, descritto nell’allegato 2 all’accordo, si basa sulla ridefinizione dei carichi ergonomici derivanti dai nuovi assetti delle postazioni di lavoro e su un sistema di studio dei tempi – peraltro molto simile concettualmente a quello propugnato dall’ingegner Taylor all’inizio del 900 – che grazie all’informatica permette di plasmare completamente il ciclo lavorativo e i gesti degli operai al fine di ottenere, almeno in linea di principio, la produttività massima. Taylor chiamava ciò la One Best Way, il modo migliore di lavorare, che andava inculcato in ciascun operaio.
Un’auto al minuto
Wcm e Ergo-Uas entreranno in funzione a Pomigliano solo tra due anni, quando lo stabilimento, dopo un lungo periodo di cassa integrazione, sarà stato completamente riconvertito per la produzione della Panda e il layout del sito rivoluzionato per ottenere l’obiettivo di produrre 280mila auto, una al minuto, su una singola linea di produzione. Ma l’accordo ha già deciso che le “soluzioni ergonomiche migliorative” che verranno implementate a fine ristrutturazione porteranno a una riduzione delle pause del 25% (anziché due di 20 minuti, tre di 10 minuti, guarda caso il valore minimo previsto dalla citata Direttiva europea). Quei 10 minuti generano un aumento di produzione di circa 6.500 auto l’anno. In teoria ciò si dovrebbe ottenere a parità di fatica, in quanto il sistema di metrica del lavoro “premia” l’operaio che svolge una attività più dura con un surplus di tempo di riposo, aggiunto all’operazione, che va dall’1 al 13% .
Ma le cose non paiono stare proprio così: un operaio di Mirafiori addetto alla produzione della MiTo, ove il metodo è in uso, intervistato da Repubblica, rivela che quasi tutte le lavorazioni che si svolgono in quella fabbrica prevedono il livello minimo di pausa dell’1% (con il vecchio sistema erano al 5%). La saturazione del lavoro, quindi, arriva nelle fasi attive al 99%: il rischio che la fatica aumenti è tutt’altro che teorico, e la fabbrica Wcm somiglia pericolosamente alle strutture tayloriste degli anni sessanta.
Un’inchiesta realizzata a Mirafiori, ad esempio, dimostra che il 60% degli operai svolge compiti ripetitivi, che si esauriscono in circa 60 secondi o poco più, mentre per l’80% delle donne il lavoro è ripetitivo e di estrema semplicità (si veda, ad esempio, F. Garibaldo, A company in transition: Fiat Mirafiori of Turin, in International Journal of Automotive Technology and Management, vol. 8, n. 2, 2008, pp. 185-193).
Taiichi Ohno
Alla base della partecipazione dei lavoratori, secondo le idee originali di Taiichi Ohno, l’ingegnere che negli anni 50 progettò il Toyota Production System, vi è il principio del Jidoka (traducibile con “autonomazione”), cioè l’automazione con un “tocco umano”: un sistema che attribuisce larga autonomia al lavoratore il quale, se si accorge che qualcosa non va nella produzione, può fermarla senza chiedere pareri o permessi. Solo così, infatti, si salvaguarda sempre la qualità del prodotto.
Una procedura kafkiana
Il principio dell’autonomazione non ha avuto sinora larga applicazione fuori del Giappone: nelle fabbriche occidentali fermare la produzione richiede l’intervento di livelli decisionali ben sopra l’operaio. Nella fabbrica che si candida a diventare eccellenza produttiva mondiale vi dovrebbe essere, per i lavoratori, la possibilità di migliorare l’organizzazione del lavoro, partecipando alla progettazione del sistema ergonomico della fabbrica. Dire la propria sul lavoro è un elemento di controllo, che permette di adeguare le mansioni alle persone. Ma la fabbrica Wcm “made in Torino” cerca l’esatto contrario, deve adeguare le persone al lavoro. È qui, in fin dei conti, che la proposta della Fiat si scopre smaccatamente taylor-fordista. Ai lavoratori, infatti, i tempi standard vengono imposti dall’esterno, sulla base di una ricostruzione delle mansioni e dei movimenti effettuati dalla direzione con sofisticati metodi informatici. L’unica partecipazione che viene lasciata agli operai consiste nella possibilità di avanzare un reclamo quando i tempi assegnati sono troppo stretti. Ma la procedura da seguire (descritta a pag. 19 dell’allegato tecnico all’accordo) pare kafkiana: il lavoratore deve dapprima lamentarsi con il proprio responsabile, il quale, se decide di prendere in considerazione la protesta, la passa all’ente preposto allo studio dei tempi, che eseguirà, entro sette giorni, un controllo dell’operazione contestata, comunicando il risultato per via gerarchica. Se la risposta non soddisfa l’operaio, questi può avanzare una nuova protesta, questa volta scritta, tramite un rappresentante della Rsu. Anche in tal caso si avrà una risposta scritta. Se anche questa seconda volta l’esito è negativo, allora il malcapitato potrà appellarsi ad una speciale commissione che deve decidere in cinque giorni. Comunque vada, in tutto questo periodo rimane in vigore il tempo assegnato dalla Fiat (che l’operaio da cui parte la protesta non riesce a rispettare, altrimenti perché si sarebbe imbarcato in tante vicissitudini?) e nessuno può intraprendere azioni “unilaterali”: il guidatore non va mai disturbato.
Più fatica
Nel libro Il tubo di cristallo: modello giapponese e fabbrica integrata alla Fiat auto, scritto nel 1993 da Giuseppe Bonazzi, l’autore si domandava in che modo l’azienda avrebbe potuto ottenere dagli operai la partecipazione necessaria a far funzionare il nuovo metodo produttivo. La chiave di volta veniva individuata nella riduzione dello sforzo fisico, una novità che assumeva anche un valore simbolico: attenuando la penosità tipica del lavoro operaio, se ne aumenta il decoro, la dignità e il comfort, attivando una volontà di partecipazione e di coinvolgimento nelle innovazioni.
Oggi questa esigenza non sembra più all’ordine del giorno, e lavorare nella nuova Pomigliano richiederà più fatica. Per dirla con Luciano Gallino, “occorre che le persone lavorino come robot, ma non possono essere sostituite da robot”.
Una storia che raccontava già Henry Ford nel 1917; solo che si pensava fosse ormai superata.
TAGS fiat pomigliano
25/06/2010 19:22
Note sul professor Patrizio Di Nicola
http://www.dinicola.it/currpat.htm
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La trasformazione del lavoro prevista dall’accordo renderà lo stabilimento del napoletano il più neofordista della galassia Fiat. Il modello Wcm e il sistema Ergo-Uas: la produttività massima da inculcare in ciascun operaio. Ossia: più fatica
di Patrizio Di Nicola
L’accordo Fiat di Pomigliano, al di là del risultato del referendum, apre allo studioso molti campi di riflessione. Il giurista, infatti, avrà di che ragionare attorno alla costituzionalità degli articoli 14 e 15 del testo, che prevedono che qualsiasi comportamento, collettivo o di singoli dipendenti contro l’accordo stesso (incluso quindi l’aderire a uno sciopero o proclamarlo), darà luogo a specifiche sanzioni: per i sindacati l’interruzione dei contributi e dei permessi sindacali, mentre per il lavoratore si potrà arrivare al licenziamento.
Gli esperti di relazioni industriali, invece, avranno molti punti da approfondire, primo fra tutti la disciplina degli straordinari e dei recuperi, che prevede lo svolgimento di tali attività anche al posto della pausa per il pasto, 30 minuti alla fine di ciascun turno. I critici dell’accordo fanno notare che ciò è in contrasto con la Direttiva europea sull’orario di lavoro del 2003 (che all’art. 4 prevede, per prestazioni superiori alle sei ore di lavoro consecutive, una pausa), oltre che con la legge 66 del 2003, che fa espresso riferimento a una pausa per la mensa.
Il sociologo del lavoro, dal canto suo, non potrà non concentrarsi sulla trasformazione dell’organizzazione di fabbrica che l’accordo prevede e che renderà lo stabilimento del napoletano il più neofordista della galassia Fiat. Su questo, dunque, ci concentreremo nei paragrafi successivi.
Il modello Wcm
L’articolo 5 dell’accordo, dal titolo “Organizzazione del lavoro” (scarica il testo), sancisce l’introduzione di un nuovo modello organizzativo, il Wcm (World Class Manufacturing) e il sistema Ergo-Uas (leggi l'allegato con la descrizione). Il primo termine indica una filosofia, nata dalla produzione snella e dal toyotismo, che prevede il coinvolgimento di tutti i lavoratori, dal manager all’operaio, nel processo di miglioramento continuo del prodotto. L’obiettivo è di produrre automobili sempre più soddisfacenti per i clienti, ai costi migliori (J. Todd, World-Class Manufacturing, McGraw-Hill, London, 1995). Il Wcm pone l’accento sul miglioramento ergonomico delle postazioni lavorative per aumentare la produttività, sulla riprogettazione delle postazioni di lavoro al fine di ridurre la necessità dell’operaio di spostarsi per prendere i pezzi da montare e ridurre in tal modo i tempi del ciclo produttivo, ma soprattutto sul lavoro in team, ai quali è demandata l’attività di problem solving.
Per essere produttori di classe mondiale ci vuole molta partecipazione da parte dei lavoratori: alla Toyota ogni anno arrivano circa un milione di proposte di miglioramento, tutte studiate con attenzione dalla direzione, spesso adottate e premiate. Non si può dire che in Fiat, almeno per ora, esista una filosofia comparabile.
L’Ergo-Uas, dal canto suo, costituisce una metodologia già sperimentata nello stabilimento di Mirafiori, per raggiungere gli obiettivi del Wcm. Il sistema, descritto nell’allegato 2 all’accordo, si basa sulla ridefinizione dei carichi ergonomici derivanti dai nuovi assetti delle postazioni di lavoro e su un sistema di studio dei tempi – peraltro molto simile concettualmente a quello propugnato dall’ingegner Taylor all’inizio del 900 – che grazie all’informatica permette di plasmare completamente il ciclo lavorativo e i gesti degli operai al fine di ottenere, almeno in linea di principio, la produttività massima. Taylor chiamava ciò la One Best Way, il modo migliore di lavorare, che andava inculcato in ciascun operaio.
Un’auto al minuto
Wcm e Ergo-Uas entreranno in funzione a Pomigliano solo tra due anni, quando lo stabilimento, dopo un lungo periodo di cassa integrazione, sarà stato completamente riconvertito per la produzione della Panda e il layout del sito rivoluzionato per ottenere l’obiettivo di produrre 280mila auto, una al minuto, su una singola linea di produzione. Ma l’accordo ha già deciso che le “soluzioni ergonomiche migliorative” che verranno implementate a fine ristrutturazione porteranno a una riduzione delle pause del 25% (anziché due di 20 minuti, tre di 10 minuti, guarda caso il valore minimo previsto dalla citata Direttiva europea). Quei 10 minuti generano un aumento di produzione di circa 6.500 auto l’anno. In teoria ciò si dovrebbe ottenere a parità di fatica, in quanto il sistema di metrica del lavoro “premia” l’operaio che svolge una attività più dura con un surplus di tempo di riposo, aggiunto all’operazione, che va dall’1 al 13% .
Ma le cose non paiono stare proprio così: un operaio di Mirafiori addetto alla produzione della MiTo, ove il metodo è in uso, intervistato da Repubblica, rivela che quasi tutte le lavorazioni che si svolgono in quella fabbrica prevedono il livello minimo di pausa dell’1% (con il vecchio sistema erano al 5%). La saturazione del lavoro, quindi, arriva nelle fasi attive al 99%: il rischio che la fatica aumenti è tutt’altro che teorico, e la fabbrica Wcm somiglia pericolosamente alle strutture tayloriste degli anni sessanta.
Un’inchiesta realizzata a Mirafiori, ad esempio, dimostra che il 60% degli operai svolge compiti ripetitivi, che si esauriscono in circa 60 secondi o poco più, mentre per l’80% delle donne il lavoro è ripetitivo e di estrema semplicità (si veda, ad esempio, F. Garibaldo, A company in transition: Fiat Mirafiori of Turin, in International Journal of Automotive Technology and Management, vol. 8, n. 2, 2008, pp. 185-193).
Taiichi Ohno
Alla base della partecipazione dei lavoratori, secondo le idee originali di Taiichi Ohno, l’ingegnere che negli anni 50 progettò il Toyota Production System, vi è il principio del Jidoka (traducibile con “autonomazione”), cioè l’automazione con un “tocco umano”: un sistema che attribuisce larga autonomia al lavoratore il quale, se si accorge che qualcosa non va nella produzione, può fermarla senza chiedere pareri o permessi. Solo così, infatti, si salvaguarda sempre la qualità del prodotto.
Una procedura kafkiana
Il principio dell’autonomazione non ha avuto sinora larga applicazione fuori del Giappone: nelle fabbriche occidentali fermare la produzione richiede l’intervento di livelli decisionali ben sopra l’operaio. Nella fabbrica che si candida a diventare eccellenza produttiva mondiale vi dovrebbe essere, per i lavoratori, la possibilità di migliorare l’organizzazione del lavoro, partecipando alla progettazione del sistema ergonomico della fabbrica. Dire la propria sul lavoro è un elemento di controllo, che permette di adeguare le mansioni alle persone. Ma la fabbrica Wcm “made in Torino” cerca l’esatto contrario, deve adeguare le persone al lavoro. È qui, in fin dei conti, che la proposta della Fiat si scopre smaccatamente taylor-fordista. Ai lavoratori, infatti, i tempi standard vengono imposti dall’esterno, sulla base di una ricostruzione delle mansioni e dei movimenti effettuati dalla direzione con sofisticati metodi informatici. L’unica partecipazione che viene lasciata agli operai consiste nella possibilità di avanzare un reclamo quando i tempi assegnati sono troppo stretti. Ma la procedura da seguire (descritta a pag. 19 dell’allegato tecnico all’accordo) pare kafkiana: il lavoratore deve dapprima lamentarsi con il proprio responsabile, il quale, se decide di prendere in considerazione la protesta, la passa all’ente preposto allo studio dei tempi, che eseguirà, entro sette giorni, un controllo dell’operazione contestata, comunicando il risultato per via gerarchica. Se la risposta non soddisfa l’operaio, questi può avanzare una nuova protesta, questa volta scritta, tramite un rappresentante della Rsu. Anche in tal caso si avrà una risposta scritta. Se anche questa seconda volta l’esito è negativo, allora il malcapitato potrà appellarsi ad una speciale commissione che deve decidere in cinque giorni. Comunque vada, in tutto questo periodo rimane in vigore il tempo assegnato dalla Fiat (che l’operaio da cui parte la protesta non riesce a rispettare, altrimenti perché si sarebbe imbarcato in tante vicissitudini?) e nessuno può intraprendere azioni “unilaterali”: il guidatore non va mai disturbato.
Più fatica
Nel libro Il tubo di cristallo: modello giapponese e fabbrica integrata alla Fiat auto, scritto nel 1993 da Giuseppe Bonazzi, l’autore si domandava in che modo l’azienda avrebbe potuto ottenere dagli operai la partecipazione necessaria a far funzionare il nuovo metodo produttivo. La chiave di volta veniva individuata nella riduzione dello sforzo fisico, una novità che assumeva anche un valore simbolico: attenuando la penosità tipica del lavoro operaio, se ne aumenta il decoro, la dignità e il comfort, attivando una volontà di partecipazione e di coinvolgimento nelle innovazioni.
Oggi questa esigenza non sembra più all’ordine del giorno, e lavorare nella nuova Pomigliano richiederà più fatica. Per dirla con Luciano Gallino, “occorre che le persone lavorino come robot, ma non possono essere sostituite da robot”.
Una storia che raccontava già Henry Ford nel 1917; solo che si pensava fosse ormai superata.
TAGS fiat pomigliano
25/06/2010 19:22
Note sul professor Patrizio Di Nicola
http://www.dinicola.it/currpat.htm
l'aggressione diventa rissa
L'aggressione diventata rissa
Colpisce il comportamento della stampa italiana quando si occupa di questioni riguardanti gli ebrei o Israele. La verità viene subito manipolata e, quando non si può stravolgere del tutto, immediatamente si derubrica o si definisce diversamente il fatto come è accaduto ieri: una aggressione organizzata da un gruppo appartenente alla comunità ebraica di Roma è stata riportato come "rissa".
Secondo il nostro Codice Penale la rissa è un reato punibile dall'art.588 con una multa ed il carcere fino a cinque anni. Nella rissa le responsabilità sono di tutti i partecipanti e non può essere invocata la provocazione. Come nella notte tutti i gatti diventano neri così, così le responsabilità di quanto è accaduto ieri a Roma non sono attribuibili soltanto allo squadrismo di quegli ebrei romani che hanno fatto una spedizione punitiva contro i pacifisti colpevoli di voler ricordare accanto al soldato israeliano anche gli undicimila palestinesi chiusi nelle carceri da anni e dimenticati dall'opinione pubblica mondiale. Ricordo che tra queste undicimila persone che soffrono e spesso vengono torturate nelle carceri di Israele ci sono centinaia e centinaia di bambini.
Tra i pacifisti aggrediti un giovane è stato ricoverato all'ospedale per le percorse subite forse non a mani nude.
La Comunità Ebraica di Roma non è nuova ad episodi di squadrismo. Nel maggio del 2007 organizzò una spedizione punitiva a Teramo contro i professori Faurisson e Moffa . I due professori furono aggrediti in piazza, insolentiti, strattonati e picchiati. La loro colpa è stata quella di voler intervenire nel dibattito sui lagers nazisti e sull'Olocausto.
Sono stati subito criminalizzati dalla lobby ebraica che è assai influente in Italia. E' stato loro impedito di parlare e poi sono stati malmenati. L'anziano professore Faurisson ha subito un colpo al collo infertogli da un aggressore esperto di arti marziali.
L'episodio di ieri a Roma si inquadra nel clima di intolleranza e di violenza che si è incrudelito dopo la elezione di Alemanno a Sindaco. Roma è diventata teatro di violenze contro rom, omosessuali, extracomunitari. Insomma contro coloro che da sempre i fascisti considerano "diversi" da eliminare per ripulire la città dalla loro presenza. Anche i pacifisti sembrano ora rientrare nella categorie dei "diversi". Alemanno è stato recentemente in Israele a ritirare il premio istituito da un imprenditore di Tel Aviv. Israele non tollera neppure la più piccola critica del suo operato e concede alla sua amicizia soltanto a coloro che accettano senza discutere la sua politica militare. Quindi Alemanno è engageè e non è una cosa buona nè per Roma nè per l'Italia che dovrebbero sostenere le ragioni della pace e del rispetto della integrità fisica e della dignità umana di tutti. Sopratutto per i milioni di palestinesi che oggi vivono reclusi e privati di tutto a cominciare dall'acqua da bere. Israele si è infatti impossessata dei due terzi dei pozzi esistenti in Gisgiordania ed a Gaza lasciando a milioni di palestinesi soltanto quelli peggiori e di acqua salmastra.
La comunità ebraica dovrebbe riflettere su posizioni sempre più aggressive ed intolleranti di coloro che ne monopolizzano la rappresentanza. Ricordo con vero rammarico la stima ed anche l'affetto che
figure come Toaff e Zevi, che per moltissimi anni ne furono i portavoce, sapevano suscitare. Ora il tratto prevalente è l'intolleranza, lo squadrismo. Sono certo che non tutti gli ebrei italiani condividono la politica del governo di Israele e la crescente aggressività verso tutti coloro che si compenetrano nella infelice condizione dei palestinesi. Ma anche la stampa italiana che oggi protesta per la legge bavaglio dovrebbe riflettere sulla propria responsabilità nell'occultare la verità e nel criminalizzare ed isolare quanti difendono una popolazione oppressa dal militarismo colonialista israeliano.
Pietro Ancona
http://medioevosociale-pietro.blogspot.com/
www.spazioamico.it
http://www.viaroma100.net/notizia.php?id=10329
Colpisce il comportamento della stampa italiana quando si occupa di questioni riguardanti gli ebrei o Israele. La verità viene subito manipolata e, quando non si può stravolgere del tutto, immediatamente si derubrica o si definisce diversamente il fatto come è accaduto ieri: una aggressione organizzata da un gruppo appartenente alla comunità ebraica di Roma è stata riportato come "rissa".
Secondo il nostro Codice Penale la rissa è un reato punibile dall'art.588 con una multa ed il carcere fino a cinque anni. Nella rissa le responsabilità sono di tutti i partecipanti e non può essere invocata la provocazione. Come nella notte tutti i gatti diventano neri così, così le responsabilità di quanto è accaduto ieri a Roma non sono attribuibili soltanto allo squadrismo di quegli ebrei romani che hanno fatto una spedizione punitiva contro i pacifisti colpevoli di voler ricordare accanto al soldato israeliano anche gli undicimila palestinesi chiusi nelle carceri da anni e dimenticati dall'opinione pubblica mondiale. Ricordo che tra queste undicimila persone che soffrono e spesso vengono torturate nelle carceri di Israele ci sono centinaia e centinaia di bambini.
Tra i pacifisti aggrediti un giovane è stato ricoverato all'ospedale per le percorse subite forse non a mani nude.
La Comunità Ebraica di Roma non è nuova ad episodi di squadrismo. Nel maggio del 2007 organizzò una spedizione punitiva a Teramo contro i professori Faurisson e Moffa . I due professori furono aggrediti in piazza, insolentiti, strattonati e picchiati. La loro colpa è stata quella di voler intervenire nel dibattito sui lagers nazisti e sull'Olocausto.
Sono stati subito criminalizzati dalla lobby ebraica che è assai influente in Italia. E' stato loro impedito di parlare e poi sono stati malmenati. L'anziano professore Faurisson ha subito un colpo al collo infertogli da un aggressore esperto di arti marziali.
L'episodio di ieri a Roma si inquadra nel clima di intolleranza e di violenza che si è incrudelito dopo la elezione di Alemanno a Sindaco. Roma è diventata teatro di violenze contro rom, omosessuali, extracomunitari. Insomma contro coloro che da sempre i fascisti considerano "diversi" da eliminare per ripulire la città dalla loro presenza. Anche i pacifisti sembrano ora rientrare nella categorie dei "diversi". Alemanno è stato recentemente in Israele a ritirare il premio istituito da un imprenditore di Tel Aviv. Israele non tollera neppure la più piccola critica del suo operato e concede alla sua amicizia soltanto a coloro che accettano senza discutere la sua politica militare. Quindi Alemanno è engageè e non è una cosa buona nè per Roma nè per l'Italia che dovrebbero sostenere le ragioni della pace e del rispetto della integrità fisica e della dignità umana di tutti. Sopratutto per i milioni di palestinesi che oggi vivono reclusi e privati di tutto a cominciare dall'acqua da bere. Israele si è infatti impossessata dei due terzi dei pozzi esistenti in Gisgiordania ed a Gaza lasciando a milioni di palestinesi soltanto quelli peggiori e di acqua salmastra.
La comunità ebraica dovrebbe riflettere su posizioni sempre più aggressive ed intolleranti di coloro che ne monopolizzano la rappresentanza. Ricordo con vero rammarico la stima ed anche l'affetto che
figure come Toaff e Zevi, che per moltissimi anni ne furono i portavoce, sapevano suscitare. Ora il tratto prevalente è l'intolleranza, lo squadrismo. Sono certo che non tutti gli ebrei italiani condividono la politica del governo di Israele e la crescente aggressività verso tutti coloro che si compenetrano nella infelice condizione dei palestinesi. Ma anche la stampa italiana che oggi protesta per la legge bavaglio dovrebbe riflettere sulla propria responsabilità nell'occultare la verità e nel criminalizzare ed isolare quanti difendono una popolazione oppressa dal militarismo colonialista israeliano.
Pietro Ancona
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venerdì 25 giugno 2010
CGIL: terzo sciopero generale sprecato
Cgil: terzo sciopero generale sprecato
Oggi la CGIL chiama allo sciopero generale i lavoratori italiani per protestare contro la manovra del governo. E' il terzo sciopero generale indetto dalla Confederazione in meno di due anni che dovrebbe fare valere le ragioni dei penalizzati dalla crisi e dall'offensiva congiunta padronato-governo contro i diritti ed il welfare. Come i due scioperi precedenti, sarà una grande fiammata della protesta e dello sdegno di milioni di persone che mai, come oggi, si sono sentite tanto sole, abbandonate ed in balia di un tritacarne sociale che può colpire chiunque . Ma l'interprezione e la traduzione in atti concreti della protesta dei lavoratori giungerà nella alte stanze del potere edulcorata e sbiadita o non giungerà del tutto. L'intervista rilasciata da Susanna Camusso al Manifesto è assai istruttiva a proposito. La CGIL sostanzialmente non chiede niente. Si limita a commentare negativamente la "manovra" ed ad aggiungersi alle proteste del PD e delle Regioni che rimproverano al Governo rispettivamente di non sapere fare bene il suo mestiere e di tagliare i trasferimenti alle Regioni per i servizi. E' significativo che la Camusso attribuisca alla manovra il disagio dei precari senza mettere in discussione la legge Biagi che il ddl Nerozzi-Marini vorrebbe integrare con scelte respinte in Francia da un vigoroso e vittorioso sciopero. A proposito della Francia proprio ieri si è scioperato contro il progetto di portare a 62 anni l'età pensionabile. In Italia, con un minuetto messo in piedi con l'UE, il governo ha portato il pensionamento delle donne a 65 anni, senza registrare la benchè minima reazione delle nostre confederazioni che vantano oltre dieci milioni di iscritti e dovrebbero poter influire sulle scelte
di questioni essenziali per la vita delle persone come le pensioni.
La CGIL si presenta allo sciopero di oggi con una posizione reticente e discutibile sulla vicenda di Pomigliano d'Arco nella quale ha isolato la Fiom nella sua lotta contro il decreto Marchionne di soppressione dei diritti costituzionali e di riduzione dei metalmeccanici a macchinario vivente (WMC).
La CGIL non ha neppure le carte in regola in materia di difesa del ccnl perchè è firmataria degli accordi Alitalia e, secondo Bonanni, di numerosi altri accordi aziendali di deroga al ribasso che riguarderebbe decine di migliaia di persone. Partecipa alla contrapposizione lavoro-diritti quando insiste perchè la Fiat realizzi comunque il suo investimento. Non considera che la Fiat gioca a carte coperte e che ha strumentalizzato l'esito del referendum per forzare la situazione a scelte ancora più gravose e pesanti.
Si ha l'impressione che gli obiettivi del successore di Valletta siano diversi da quelli strombazzati come una delocalizzazione all'incontrario per raccogliere consensi ed applausi dei benpensanti.
Lo sciopero di oggi non intercetta la vittoriosa strategia confindustriale di uscita dalla crisi. Oggi la Confindustria comunica la fine della recessione che seppur a prezzo di altri 260 mila licenziamenti
approderà ad una ricrescita del PIL nel 2011. Una strategia basata sulla riduzione dei sindacati a pesci pilota (naucrates ductor) degli squali del capitalismo italiano che ridurrà in miseria e con meno diritti venti milioni di famiglie di lavoratori dipendenti e porterà alla cessione di un'altra fetta consistente del reddito nazionale al capitale ed alle banche. Il piagnucolio del documento che indice lo sciopero della CGIL non servirà a niente. Non esiste capitalismo compassionevole disposto a frenarsi
ed ad avere un po' di riguardo per chi affonda nella crisi ed è anche inseguito dall'aumento di tutti i servizi che servono a foraggiare le privatizzazioni e l'Oligarchia politica che sta divorando l'Italia. Il padronato italiano alza il tiro e vuole mettere al riparo di possibili sentenze della Corte Costituzionali le deroghe ai diritti estorte nelle aziende ed anche con leggi dello Stato. Vuole l'abolizione dell'art.41 della Costituzione per svincolare l'Azienda dagli obblighi sociali. Non pare che su questo punto incontri grandi resistenze in Parlamento. Nel PD si è creato un fortissimo partito confindustrialista ed iperliberista. Soltanto Rosy Bindi ha speso qualche parola in difesa dei diritti dei lavoratori di Pomigliano d'Arco. Tutti gli altri hanno isolato la Fiom ed appoggiato spudoratamente le pretese di Marchionne.
Sbaglia la sinistra a dare adesione acritica allo sciopero indetto dalla CGIL. Certo bisogna sostenere
i lavoratori nella loro lotta di oggi ma bisogna dire nello stesso tempo che la piattaforma rivendicativa della CGIL non cambia di una virgola la situazione attuale. Non basta lamentarsi che la manovra abbasserà il PIL. Bisogna aggiungere una richiesta di aumento generalizzato dei salari e delle pensioni
e la riconversione di grande parte della spesa pubblica dal parassitismo agli investimenti sociali. Diminuire di almeno il cinquanta per cento il costo della politica e destinare i cinquanta e più miliardi di ricavo al sostegno della ricostruzione delle zone terremotate ed a programmi di bonifica sociale nelle regioni del mezzogiorno o deindustrializzate. Chiedere norme che scoraggiano la fuga all'estero delle imprese. L'ultima moda è rappresentata dalla Tunisia che offre salari mensili a 125 euro. La CGIL dovrebbe inoltre abbandonare l'inerte provincialismo e chiedere la convocazione di una assemblea internazionale per il Salario Minimo Garantito e per un decalogo dei diritti che bandisca il sistema WMC causa di suicidi. L'operaio non è macchinario vivente, è un essere umano che, come dicono i credenti, è fatto ad immagine di Dio. Bisogna liberare Cristo nelle fabbriche lagers di tutto il mondo e riscoprire l'utopia internazionalista del movimento operaio e socialista. C'è una fortissima ideologia classista nell'internazionalismo dei liberisti che punta alla distruzione del ceto medio e sta omologando il welfare dell'Occidente al livello americano, il più basso. Bisogna contrapporre una strategia dei diritti che unisca l'operaio polacco a quello cinese a quello italiano.
La CGIL dovrebbe chiedere al Parlamento italiano di vietare l'introduzione della WMC nelle aziende italiane perchè lesiva della salute e dei diritti delle persone.
La CGIL accetta le scelte del capitalismo come leggi generali dell'economia. Sbaglia di grosso e danneggia il suo grande popolo di oltre cinquemilioni di lavoratori e pensionati che vorrebbero combattere piuttosto che inghiottire fiele e subire la prepotenza di gente come Marchionne da cinque milioni di euro l'anno...
Pietro Ancona
http://medioevosociale-pietro.blogspot.com/
www.spazioamico.it
Oggi la CGIL chiama allo sciopero generale i lavoratori italiani per protestare contro la manovra del governo. E' il terzo sciopero generale indetto dalla Confederazione in meno di due anni che dovrebbe fare valere le ragioni dei penalizzati dalla crisi e dall'offensiva congiunta padronato-governo contro i diritti ed il welfare. Come i due scioperi precedenti, sarà una grande fiammata della protesta e dello sdegno di milioni di persone che mai, come oggi, si sono sentite tanto sole, abbandonate ed in balia di un tritacarne sociale che può colpire chiunque . Ma l'interprezione e la traduzione in atti concreti della protesta dei lavoratori giungerà nella alte stanze del potere edulcorata e sbiadita o non giungerà del tutto. L'intervista rilasciata da Susanna Camusso al Manifesto è assai istruttiva a proposito. La CGIL sostanzialmente non chiede niente. Si limita a commentare negativamente la "manovra" ed ad aggiungersi alle proteste del PD e delle Regioni che rimproverano al Governo rispettivamente di non sapere fare bene il suo mestiere e di tagliare i trasferimenti alle Regioni per i servizi. E' significativo che la Camusso attribuisca alla manovra il disagio dei precari senza mettere in discussione la legge Biagi che il ddl Nerozzi-Marini vorrebbe integrare con scelte respinte in Francia da un vigoroso e vittorioso sciopero. A proposito della Francia proprio ieri si è scioperato contro il progetto di portare a 62 anni l'età pensionabile. In Italia, con un minuetto messo in piedi con l'UE, il governo ha portato il pensionamento delle donne a 65 anni, senza registrare la benchè minima reazione delle nostre confederazioni che vantano oltre dieci milioni di iscritti e dovrebbero poter influire sulle scelte
di questioni essenziali per la vita delle persone come le pensioni.
La CGIL si presenta allo sciopero di oggi con una posizione reticente e discutibile sulla vicenda di Pomigliano d'Arco nella quale ha isolato la Fiom nella sua lotta contro il decreto Marchionne di soppressione dei diritti costituzionali e di riduzione dei metalmeccanici a macchinario vivente (WMC).
La CGIL non ha neppure le carte in regola in materia di difesa del ccnl perchè è firmataria degli accordi Alitalia e, secondo Bonanni, di numerosi altri accordi aziendali di deroga al ribasso che riguarderebbe decine di migliaia di persone. Partecipa alla contrapposizione lavoro-diritti quando insiste perchè la Fiat realizzi comunque il suo investimento. Non considera che la Fiat gioca a carte coperte e che ha strumentalizzato l'esito del referendum per forzare la situazione a scelte ancora più gravose e pesanti.
Si ha l'impressione che gli obiettivi del successore di Valletta siano diversi da quelli strombazzati come una delocalizzazione all'incontrario per raccogliere consensi ed applausi dei benpensanti.
Lo sciopero di oggi non intercetta la vittoriosa strategia confindustriale di uscita dalla crisi. Oggi la Confindustria comunica la fine della recessione che seppur a prezzo di altri 260 mila licenziamenti
approderà ad una ricrescita del PIL nel 2011. Una strategia basata sulla riduzione dei sindacati a pesci pilota (naucrates ductor) degli squali del capitalismo italiano che ridurrà in miseria e con meno diritti venti milioni di famiglie di lavoratori dipendenti e porterà alla cessione di un'altra fetta consistente del reddito nazionale al capitale ed alle banche. Il piagnucolio del documento che indice lo sciopero della CGIL non servirà a niente. Non esiste capitalismo compassionevole disposto a frenarsi
ed ad avere un po' di riguardo per chi affonda nella crisi ed è anche inseguito dall'aumento di tutti i servizi che servono a foraggiare le privatizzazioni e l'Oligarchia politica che sta divorando l'Italia. Il padronato italiano alza il tiro e vuole mettere al riparo di possibili sentenze della Corte Costituzionali le deroghe ai diritti estorte nelle aziende ed anche con leggi dello Stato. Vuole l'abolizione dell'art.41 della Costituzione per svincolare l'Azienda dagli obblighi sociali. Non pare che su questo punto incontri grandi resistenze in Parlamento. Nel PD si è creato un fortissimo partito confindustrialista ed iperliberista. Soltanto Rosy Bindi ha speso qualche parola in difesa dei diritti dei lavoratori di Pomigliano d'Arco. Tutti gli altri hanno isolato la Fiom ed appoggiato spudoratamente le pretese di Marchionne.
Sbaglia la sinistra a dare adesione acritica allo sciopero indetto dalla CGIL. Certo bisogna sostenere
i lavoratori nella loro lotta di oggi ma bisogna dire nello stesso tempo che la piattaforma rivendicativa della CGIL non cambia di una virgola la situazione attuale. Non basta lamentarsi che la manovra abbasserà il PIL. Bisogna aggiungere una richiesta di aumento generalizzato dei salari e delle pensioni
e la riconversione di grande parte della spesa pubblica dal parassitismo agli investimenti sociali. Diminuire di almeno il cinquanta per cento il costo della politica e destinare i cinquanta e più miliardi di ricavo al sostegno della ricostruzione delle zone terremotate ed a programmi di bonifica sociale nelle regioni del mezzogiorno o deindustrializzate. Chiedere norme che scoraggiano la fuga all'estero delle imprese. L'ultima moda è rappresentata dalla Tunisia che offre salari mensili a 125 euro. La CGIL dovrebbe inoltre abbandonare l'inerte provincialismo e chiedere la convocazione di una assemblea internazionale per il Salario Minimo Garantito e per un decalogo dei diritti che bandisca il sistema WMC causa di suicidi. L'operaio non è macchinario vivente, è un essere umano che, come dicono i credenti, è fatto ad immagine di Dio. Bisogna liberare Cristo nelle fabbriche lagers di tutto il mondo e riscoprire l'utopia internazionalista del movimento operaio e socialista. C'è una fortissima ideologia classista nell'internazionalismo dei liberisti che punta alla distruzione del ceto medio e sta omologando il welfare dell'Occidente al livello americano, il più basso. Bisogna contrapporre una strategia dei diritti che unisca l'operaio polacco a quello cinese a quello italiano.
La CGIL dovrebbe chiedere al Parlamento italiano di vietare l'introduzione della WMC nelle aziende italiane perchè lesiva della salute e dei diritti delle persone.
La CGIL accetta le scelte del capitalismo come leggi generali dell'economia. Sbaglia di grosso e danneggia il suo grande popolo di oltre cinquemilioni di lavoratori e pensionati che vorrebbero combattere piuttosto che inghiottire fiele e subire la prepotenza di gente come Marchionne da cinque milioni di euro l'anno...
Pietro Ancona
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mercoledì 23 giugno 2010
Movida e Ostalghia
Movida ed Ostalghia
La reazione di Marchionne e della Confindustria alla pesante sconfitta subita a Pomigliano è di stampo fascista. Marchionne dopo aver fatto sapere di essere "irritato" e di considerare l'ipotesi di ritirare l'investimento, di fare la Panda in Polonia ed anche di voler costituire quella che si chiama "newco", cioè di cambiare nome allo stabilimento "giovan battista Vico" per potere azzerare tutto ed assumere soltanto chi è disposto a tutto pur di portare a casa un pezzo di pane, ha fatto sapere che collaborerà con i sindacati che sono d'accordo con la Fiat e soltanto con loro. La Fiom (dei cobas non se ne parla nemmeno) viene esclusa da ogni possibile contatto e trattativa.
In effetti Marchionne ha motivo di essere deluso del referendum che ha voluto ad ogni costo sperando in un plebiscito che umiliasse la Fiom. "Prendere o lasciare" aveva detto. "Se non approvate il piano A, ho pronto il piano B." Insomma se non accetterete la mia proposta chiudo Pomigliano così come sto chiudendo Termini Imerese. Chi è andato a votare sapeva che la bocciatura del decreto Marchionne avrebbe comportato non una apertura del confronto ed un accordo diverso ma il licenziamento. Eppure il quaranta per cento ha detto no ed il sessanta per cento ha detto si soltanto perchè stretto per la gola e minacciato. La depressione sociale di Napoli e della Campania è stata usata per terrorizzare i votanti. Chi ha votato sapeva di non avere alternativa di un lavoro diverso. Il lavoro non c'è e quello che c'è ha il colore nero.
E' quindi eccezionale il valore ed il significato del voto espresso. Un valore inestimabile di resistenza democratica ad un progetto di schiavizzazione appoggiato dalle Confederazioni Sindacali, dalla Confindustria, dal Governo, dal PD, dalle istituzioni locali ed osteggiato soltanto dalla Fiom e dai Cobas, dalla sinistra comunista e dallo idv. Gli interventi a sostegno del progetto Marchionne sono stati numerosi, insistenti, martellanti. Sacconi, Tremonti, D'Alema, Bersani, i grossi papaveri della Confindustria, si sono esibiti più volte senza mai farsi carico di una sola delle tante giuste ragioni di opposizione della Fiom. Il sessanta per cento dei si al piano Marchionne è stato raccolto sotto ricatto
e quindi non ha lo stesso peso del quaranta per cento di no. Ha voglia di dire Bonanni che due terzi sono di più di un terzo. Il terzo ha votato anche per i due terzi nel senso che ha avuto coraggio per tutti. Non credo che nessuna persona civile, in condizioni di libertà, accetterebbe otto ore di lavoro a digiuno e con un controllo WMC che lo riduce a mero macchinario vivente.
Quanti già cantavano vittoria e pregustavano l'esportazione del modello Modigliano a tutto il mercato del lavoro italiano ieri hanno masticato amaro e hanno dato stura all'odio profondo verso la Fiom e quanti si oppongono all'idea di fare dell'Italia la Cina d'Europa.
Ieri pomeriggio Radio 24 della Confindustria ha fatto una astiosa analisi del voto. Ha scoperto che
mentre hanno votato si gli operai anziani provenienti dall'Alfa i giovani hanno votato no perchè culturalmente meno consapevoli delle loro responsabilità e sopratutto perchè non hanno inteso rinunziare alla movida, al sabato notte di divertimento. Radio 24 era scandalizzata di aver fatto questa scoperta e si è lasciata andare a sociologismi d'accatto sulle nuove generazioni come se non fosse un diritto dei giovani operai avere un poco di ricreazione a fine settimana magari contentandosi di una povera pizza ed una birra non potendo disporre come Briatore del panfilo e della discuteca di lusso in luoghi riservati alla grassa e corrotta borghesia gaudente italiana.
Che peccato questi ragazzi che non vogliono cedere tutta la loro vita alla fabbrica del signor Marchionne e che continuano a credere di aver diritto ad una notte di svago piuttosto che passarla alla catena di montaggio con il cronometrista che ti controlla!
E' iniziato l'assedio della Fiom che dovrà cedere ad ogni costo. Deve consentire quella che Sacconi chiama la svolta storica del mercato del lavoro italiano. L'assedio è terribile perchè la situazione italiana è anomala. Le forze politiche presenti in Parlamento sono quasi tutte con la Confindustria. La Fiom dovrà fare i conti con una CGIL che vuole accordarsi come a suo tempo si accordò per l'Alitalia. Mentre Marchionne chiude la Fiom in un lazzaretto si lavora intensamente dietro le quinte
per estorcere il consenso mancante o sostiturlo con un surrogato che coinvolga la CGIL e magari la minoranza della Fiom. Si arriva a tacciare di antipatriottismo i dissidenti. Il potere vuole che tutte le forze "istituzionali" note collaborino alla soluzione Marchionne. Non gli importa molto se Ferrero o Di Liberto o i Cobas si oppongono. Vuole che tutto il mondo delle istituzioni politiche e sindacali sia dalla sua parte perchè non è in grado di reggere ad una opposizione che si saldi con il terribile disagio e la crescente collera che dilagano nella società.
Ieri sera, rai-storia ha trasmesso un reportage dedicato alla nostalgia dei tedeschi dell'est per quello che ricordano come il loro paradiso perduto: la RDT. Unisco a questo scritto il reportage perchè vale la pena vedere in un documento della televisione italiana che cosa è stato il comunismo nei paesi dell'est. Qualche tempo fa hanno trasmesso un ampio documentario sulla vita in fabbrica nell'URSS
una fabbrica a misura d'uomo in cui i lavoratori venivano rispettati nella loro dignità e nei loro bisogni. Hanno mostrato come ogni luogo di lavoro era dotato di locali destinati alla ristorazione fisica e psichica dei lavoratori. Nel reportage di ieri, dopo aver ricordato le certezze che il comunismo dava alla gente cha dalla culla alla tomba godeva di eccellenti servizi di welfare confrontandole alle angosce
della società liberista ha messo l'accento sul rimpianto più grande del passato "regime": la solidarietà e la coesione umana dovuta alla mancanza di grandi differenze salariali tra le persone. Non c'era quasi differenza tra il dirigente e l'operaio ed il denaro non aveva molto valore.
Mi è venuto da pensare all'operaio che guadagna quindicimila euro l'anno a fronte dei cinque milioni di euro di Marchionne. Perchè Marchionne deve guadagnare quanto trecento o quattrocento suoi dipendenti? Una società che mercifica le persone e le seleziona per redditi non ha alcuna giustificazione naturale. Il nuovo medioevo sociale governato da un Olimpo di alcune migliaia di persone che da sole si impossessano della maggioranza delle risorse è ingiusta, contraria alla ragione,
specialmente quanto la maggioranza delle persone, indipendentemente dai meriti di ognuno, viene affamata e privata della speranza di un futuro.
La borghesia italiana farà di tutto per sconfiggere la resistenza della classe operaia a Pomigliano ed in Italia. Forzerà la situazione per piegarla ai suoi interessi. A sentire l'intervista di Epifani di oggi anche la CGIL parteciperà alla forzatura. Lo sciopero di domani della Cgil ignora la questione esplosa a Pomigliano e sarà soltanto un supporto molto ben misurato e blando alla blanda e misurata "opposizione" PD alla manovra.
Pietro Ancona
http://medioevosociale-pietro.blogspot.com/
www.spazioamico.it
http://www.radio24.ilsole24ore.com/main.php?dirprog=Focus economia
http://www.lastoriasiamonoi.rai.it/puntata.aspx?id=438
http://news.google.it/news/search?aq=0&pz=1&cf=all&ned=it&hl=it&q=pomigliano
La reazione di Marchionne e della Confindustria alla pesante sconfitta subita a Pomigliano è di stampo fascista. Marchionne dopo aver fatto sapere di essere "irritato" e di considerare l'ipotesi di ritirare l'investimento, di fare la Panda in Polonia ed anche di voler costituire quella che si chiama "newco", cioè di cambiare nome allo stabilimento "giovan battista Vico" per potere azzerare tutto ed assumere soltanto chi è disposto a tutto pur di portare a casa un pezzo di pane, ha fatto sapere che collaborerà con i sindacati che sono d'accordo con la Fiat e soltanto con loro. La Fiom (dei cobas non se ne parla nemmeno) viene esclusa da ogni possibile contatto e trattativa.
In effetti Marchionne ha motivo di essere deluso del referendum che ha voluto ad ogni costo sperando in un plebiscito che umiliasse la Fiom. "Prendere o lasciare" aveva detto. "Se non approvate il piano A, ho pronto il piano B." Insomma se non accetterete la mia proposta chiudo Pomigliano così come sto chiudendo Termini Imerese. Chi è andato a votare sapeva che la bocciatura del decreto Marchionne avrebbe comportato non una apertura del confronto ed un accordo diverso ma il licenziamento. Eppure il quaranta per cento ha detto no ed il sessanta per cento ha detto si soltanto perchè stretto per la gola e minacciato. La depressione sociale di Napoli e della Campania è stata usata per terrorizzare i votanti. Chi ha votato sapeva di non avere alternativa di un lavoro diverso. Il lavoro non c'è e quello che c'è ha il colore nero.
E' quindi eccezionale il valore ed il significato del voto espresso. Un valore inestimabile di resistenza democratica ad un progetto di schiavizzazione appoggiato dalle Confederazioni Sindacali, dalla Confindustria, dal Governo, dal PD, dalle istituzioni locali ed osteggiato soltanto dalla Fiom e dai Cobas, dalla sinistra comunista e dallo idv. Gli interventi a sostegno del progetto Marchionne sono stati numerosi, insistenti, martellanti. Sacconi, Tremonti, D'Alema, Bersani, i grossi papaveri della Confindustria, si sono esibiti più volte senza mai farsi carico di una sola delle tante giuste ragioni di opposizione della Fiom. Il sessanta per cento dei si al piano Marchionne è stato raccolto sotto ricatto
e quindi non ha lo stesso peso del quaranta per cento di no. Ha voglia di dire Bonanni che due terzi sono di più di un terzo. Il terzo ha votato anche per i due terzi nel senso che ha avuto coraggio per tutti. Non credo che nessuna persona civile, in condizioni di libertà, accetterebbe otto ore di lavoro a digiuno e con un controllo WMC che lo riduce a mero macchinario vivente.
Quanti già cantavano vittoria e pregustavano l'esportazione del modello Modigliano a tutto il mercato del lavoro italiano ieri hanno masticato amaro e hanno dato stura all'odio profondo verso la Fiom e quanti si oppongono all'idea di fare dell'Italia la Cina d'Europa.
Ieri pomeriggio Radio 24 della Confindustria ha fatto una astiosa analisi del voto. Ha scoperto che
mentre hanno votato si gli operai anziani provenienti dall'Alfa i giovani hanno votato no perchè culturalmente meno consapevoli delle loro responsabilità e sopratutto perchè non hanno inteso rinunziare alla movida, al sabato notte di divertimento. Radio 24 era scandalizzata di aver fatto questa scoperta e si è lasciata andare a sociologismi d'accatto sulle nuove generazioni come se non fosse un diritto dei giovani operai avere un poco di ricreazione a fine settimana magari contentandosi di una povera pizza ed una birra non potendo disporre come Briatore del panfilo e della discuteca di lusso in luoghi riservati alla grassa e corrotta borghesia gaudente italiana.
Che peccato questi ragazzi che non vogliono cedere tutta la loro vita alla fabbrica del signor Marchionne e che continuano a credere di aver diritto ad una notte di svago piuttosto che passarla alla catena di montaggio con il cronometrista che ti controlla!
E' iniziato l'assedio della Fiom che dovrà cedere ad ogni costo. Deve consentire quella che Sacconi chiama la svolta storica del mercato del lavoro italiano. L'assedio è terribile perchè la situazione italiana è anomala. Le forze politiche presenti in Parlamento sono quasi tutte con la Confindustria. La Fiom dovrà fare i conti con una CGIL che vuole accordarsi come a suo tempo si accordò per l'Alitalia. Mentre Marchionne chiude la Fiom in un lazzaretto si lavora intensamente dietro le quinte
per estorcere il consenso mancante o sostiturlo con un surrogato che coinvolga la CGIL e magari la minoranza della Fiom. Si arriva a tacciare di antipatriottismo i dissidenti. Il potere vuole che tutte le forze "istituzionali" note collaborino alla soluzione Marchionne. Non gli importa molto se Ferrero o Di Liberto o i Cobas si oppongono. Vuole che tutto il mondo delle istituzioni politiche e sindacali sia dalla sua parte perchè non è in grado di reggere ad una opposizione che si saldi con il terribile disagio e la crescente collera che dilagano nella società.
Ieri sera, rai-storia ha trasmesso un reportage dedicato alla nostalgia dei tedeschi dell'est per quello che ricordano come il loro paradiso perduto: la RDT. Unisco a questo scritto il reportage perchè vale la pena vedere in un documento della televisione italiana che cosa è stato il comunismo nei paesi dell'est. Qualche tempo fa hanno trasmesso un ampio documentario sulla vita in fabbrica nell'URSS
una fabbrica a misura d'uomo in cui i lavoratori venivano rispettati nella loro dignità e nei loro bisogni. Hanno mostrato come ogni luogo di lavoro era dotato di locali destinati alla ristorazione fisica e psichica dei lavoratori. Nel reportage di ieri, dopo aver ricordato le certezze che il comunismo dava alla gente cha dalla culla alla tomba godeva di eccellenti servizi di welfare confrontandole alle angosce
della società liberista ha messo l'accento sul rimpianto più grande del passato "regime": la solidarietà e la coesione umana dovuta alla mancanza di grandi differenze salariali tra le persone. Non c'era quasi differenza tra il dirigente e l'operaio ed il denaro non aveva molto valore.
Mi è venuto da pensare all'operaio che guadagna quindicimila euro l'anno a fronte dei cinque milioni di euro di Marchionne. Perchè Marchionne deve guadagnare quanto trecento o quattrocento suoi dipendenti? Una società che mercifica le persone e le seleziona per redditi non ha alcuna giustificazione naturale. Il nuovo medioevo sociale governato da un Olimpo di alcune migliaia di persone che da sole si impossessano della maggioranza delle risorse è ingiusta, contraria alla ragione,
specialmente quanto la maggioranza delle persone, indipendentemente dai meriti di ognuno, viene affamata e privata della speranza di un futuro.
La borghesia italiana farà di tutto per sconfiggere la resistenza della classe operaia a Pomigliano ed in Italia. Forzerà la situazione per piegarla ai suoi interessi. A sentire l'intervista di Epifani di oggi anche la CGIL parteciperà alla forzatura. Lo sciopero di domani della Cgil ignora la questione esplosa a Pomigliano e sarà soltanto un supporto molto ben misurato e blando alla blanda e misurata "opposizione" PD alla manovra.
Pietro Ancona
http://medioevosociale-pietro.blogspot.com/
www.spazioamico.it
http://www.radio24.ilsole24ore.com/main.php?dirprog=Focus economia
http://www.lastoriasiamonoi.rai.it/puntata.aspx?id=438
http://news.google.it/news/search?aq=0&pz=1&cf=all&ned=it&hl=it&q=pomigliano
L'abbaglio ideologico di Guido Viale
Il Manifesto
23/06/2010
| Guido Viale
L'abbaglio ideologico
Il Foglio di sabato scorso ha dedicato un'intera pagina a commentare un mio articolo sulla crisi della Fiat di Pomigliano corredando il servizio con il pugno di Lotta Continua, il gruppo in cui ho militato negli anni settanta e che si è dissolto 34 anni fa. Troppa grazia. La cosa ha offerto a molti miei critici l'occasione per dare la stura ai più triti stereotipi sugli anni 70 e sull'ambientalismo, quasi non avessero mai letto o sentito parlare prima di green economy o di riconversioni produttive.
Per Stefano Cingolani: «In certe assemblee gauchiste c'era chi si alzava proponendo che la Fiat fornisse brandine agli ospedali». Che assemblee avrà mai frequentato Cingolani in quegli anni? Non certo l'assemblea operai-studenti di Mirafiori, dove si parlava di cose molto serie, che hanno fatto la storia del paese. Scrive Sergio Soave: «Viale ripropone la tesi dell'imminente crollo del capitalismo». Ma quando mai? E riassume il mio pensiero così: «una nuova sintesi di deindustrializzazione e mangiatori di fragoline di bosco». Francesco Forte mi attribuisce «la teoria per cui il capitalismo è un imbroglio e l'economia di mercato una mistificazione». Magari lo penso; ma non l'ho certo scritto e non sta tra le premesse del mio discorso. Analogamente Gianni Riotta, sul Sole24ore, mi accusa di «dare del venduto a Cisl e Uil e quasi tutta la Cgil», e addirittura, al premio Nobel Paul Krugman, per aver scritto che per dar credito al piano della Fiat per Pomigliano bisogna essere in malafede o dementi. Sul dementi mi attengo al giudizio degli interessati. Ma si può essere in malafede senza essere venduti. Basta dar credito senza dare spiegazioni a cose che non lo meritano. E' quello che fa Riotta e, con lui, quasi tutti i sostenitori del piano Marchionne: non si chiedono se il piano è credibile. Su questo punto diamo la parola al Foglio.
Scrive Ernest Ferrari: «D'accordo, il piano di sviluppo targato Marchionne è irrealizzabile». Risponde Bruno Manghi: «Quella di Marchionne è una scommessa che nessuno può prevedere con certezza come finirà». Ammette Riccardo Ruggeri, uno che conosce la Fiat «dall'interno»: «Sui sei milioni di macchine Viale non ha tutti i torti». E aggiunge: «Magari tra non molto Marchionne chiederà altri sacrifici, perché il mercato non tira. Marchionne l'ha fatto capire più di una volta». Poi precisa: «ho paura che stia tornando la moda dei volumi (di vendite)piuttosto che dei talenti...anche alla Volkswagen hanno sposato la teoria dei volumi; ma ci hanno messo 15 anni, investendo una montagna di soldi». «Insomma, c'è aria di bluff?» chiede l'intervistatore. E lui risponde: «Marchionne fa quel che può».
Anche Cingolani si chiede: «Chi può garantire che le auto non restino sui piazzali? E quanto costeranno i modelli sfornati dalle catene di montaggio?» Domande senza risposta. Cingolani le affronta con un suo personale «piano B»; questo sì, datato agli anni '70: quando i cosiddetti paesi emergenti adottavano le tecnologie abbandonate dai paesi più industrializzati, e questi passavano a produzioni a più alto valore aggiunto (Era la teoria di Hirschmann delle "anatre volanti", che si alzano in volo in ordine, una dietro l'altra). Ma oggi Cina, India e Brasile hanno, sì, costi del lavoro e ambientali più bassi; ma anche livelli tecnologici paragonabili ai nostri e capacità di ricerca e sviluppo superiori (anche perché da noi scuola e ricerca sono state gettate alle ortiche). Inoltre, senza impianti di assemblaggio a portata di mano, l'innovazione tecnologica e organizzativa non ha verifiche. Quindi, perché il distretto automobilistico torinese possa mantenere i suoi atout in campo motoristico e dello styling, una parte del montaggio dovrà comunque restare in Italia. Ma non è detto che tocchi a Pomigliano. Nell'assemblaggio, più che altrove, a contare sono i costi. Lo conferma Michele Magno: «La sorte dello stabilimento campano è legata a un drastico abbassamento dei costi». L'unico a non nutrire dubbi sul piano Marchionne è Francesco Forte. E sapete perché? Perché «il piano è stato valutato positivamente dalle banche e dalla borsa»: due istituzioni che hanno raggiunto la credibilità più bassa della loro storia.
Fatto sta che, se è improbabile riuscire a vendere sei milioni di auto all'anno (un raddoppio della produzione) sui mercati di un'industria sovradimensionata e oggetto di una feroce concorrenza non solo tra gruppi industriali, ma anche tra Stati, l'aumento della produzione in Italia da 600mila a 1,4 milioni di vetture è ancora più improbabile; soprattutto perché questa produzione dovrebbe per due terzi essere smerciata in Europa. Le sorti di Pomigliano sono legate a questi obiettivi. Qualcuno ha provato a spiegare come raggiungerli? O si vuole far credere che l'unico vero problema è l'abnorme tasso di assenteismo e che un maggiore impegno contro di esso rimetterebbe le cose a posto?
Persino Riotta introduce qualche variabile in più. Oltre all'assenteismo, scrive «per giocare nella Coppa del mondo del lavoro» bisogna fare i conti con «clientele, performance scadenti, familismo amorale, raccomandazioni». A cui io aggiungerei doppio e triplo lavoro (ma non sarà un problema di salari insufficienti?), degrado del territorio, monnezza (da non dimenticare), sfacelo amministrativo, corruzione, collusioni politiche, camorra. Tutti problemi che non si sono certo fermati ai cancelli della fabbrica, ma che sono ben presenti al suo interno.
Nel management più ancora che tra le maestranze. Pensare di isolare la fabbrica dal territorio e di risolvere i suoi problemi con la disciplina del lavoro è utopia vana e crudele.
Nel 1968 la Fiat pensò di inquadrare con una disciplina di ferro 15mila nuovi assunti, messi al lavoro a Mirafiori tutti d'un colpo, senza preoccuparsi di che cosa sarebbe successo fuori della fabbrica: nel tessuto urbano di una città che tra l'altro era "sua", ma dove per i nuovi assunti non c'era nemmeno un posto per dormire. Ne nacque una lotta che ha sconvolto gli stabilimenti del gruppo per i successivi dodici anni. Adesso si pretende di mettere in riga, con un accordo sui turni e i ritmi di lavoro e con i limiti posti al diritto di scioperare e ammalarsi, uno stabilimento industriale i cui problemi nascono soprattutto dal degrado del tessuto sociale circostante. Non dice niente, per esempio, il fatto che a presidiare il gazebo installato a sostegno dell'accordo ci fosse il sottosegretario Cosentino, incriminato per camorra, ma "immunizzato" dal Pdl?
Nessuno, prima di Prodi, aveva ancora fatto notare che la "rieducazione" degli operai di Pomigliano - per usare il termine carcerario che ben si adatta al modo in cui l'establishment italiano, politico, sindacale, imprenditoriale e giornalistico, sta affrontando il loro futuro - è già stata tentata due anni fa: con la sospensione dell'attività lavorativa, l'invio forzato di tutte le maestranze a un corso di formazione, il riadeguamento degli impianti, la rimessa a nuovo dei capannoni. Senza risultati.
Chi può credere, allora, che Marchionne voglia ritentare l'esperimento, investendoci sopra 700 milioni? Rischiando anche di mettere in crisi i suoi rapporti con il partner polacco, che in questa fase è uno dei pochi atout a sua disposizione? Non è forse più sensato ritenere, o almeno ipotizzare, che Marchionne voglia sbarazzarsi di Pomigliano, oltre che di Termini Imerese; e non potendo farlo senza mettere in crisi i suoi rapporti con governo, opposizione, sindacati e maestranze - magari provocando anche una rivolta tra la popolazione - cerchi solo il modo per farne ricadere su altri la responsabilità? Se non sarà l'esito del referendum (verosimilmente non lo sarà) sarà la Fiom. Se non sarà la Fiom sarà l'iniziativa di base; o il "disordine" del territorio; o i contenziosi in tribunale; o un ricorso alla Corte Costituzionale. O, più semplicemente, il prossimo aggiornamento sulla situazione dei mercati. Intanto, a segnare un punto, è stata la politica antioperaia di tutto il governo.
Sembra però che la conversione ambientale dello stabilimento di Pomigliano, o di altre fabbriche in crisi, urti contro la centralità della produzione automobilistica (una volta la centralità era della classe operaia, ma i tempi sono cambiati). «E' indubbio - scrive Michele Magno - che il settore automobilistico, pur maturo sul piano merceologico e tecnologico, continui a incarnare lo spirito del tempo»; perché «continua a svolgere un ruolo cruciale sia nella formazione del Pil, sia nella dinamica occupazionale»; e perché «il cuore delle innovazioni organizzative...continua a pulsare qui».
Nessuno però ha proposto di chiudere il settore automobilistico dall'oggi al domani. Basterebbe non strafare con i volumi, come raccomanda anche Ruggero. E non gravare un gruppo già provato con un peso che probabilmente non può sostenere. «E' in gioco - continua Magno - il futuro di quel che resta della classe operaia meridionale». D'accordo. Ma, proprio per questo, non sarebbe bene pensare a delle alternative per uno stabilimento così a rischio?
Per verificare se è vero che l'azienda vorrebbe sbarazzarsi di Pomigliano bisognerebbe poterla mettere di fronte a una alternativa praticabile, esigendo impegni precisi a garanzia del processo di conversione. Non certo di assumerne la gestione, per la quale vanno comunque individuati soggetti, attori e culture aziendali differenti. Bensì la cessione degli impianti e il finanziamento della transizione. Ma oggi un'alternativa del genere non c'è. Nessuno ci ha pensato; e nessuno sembra neanche in grado o disposto a pensarci; anche se l'adozione di un'alternativa praticabile converrebbe sicuramente sia alla Fiat, che ai lavoratori, che al paese. E anche al pianeta.
Ma nessuno potrebbe mai pensare di avviare la riconversione di uno stabilimento industriale alla green economy con una semplice stretta della disciplina di fabbrica, come molti pensano - e sperano - che si possa fare invece trasferendo la Panda a Pomigliano. Perché una conversione produttiva di quella portata e con quelle finalità è proprio l'opposto di quell'idea "larvatamente autoritaria" di chi dice «Farò io il vostro bene» pensando di poter «pianificare le svolte dello sviluppo», come sostiene Bruno Manghi sul Foglio e Riotta ripete sul suo giornale.
Infatti, se non si può pensare di cambiare una fabbrica solo con la disciplina, occorre passare attraverso la mobilitazione delle forze sane del territorio, una discussione sulle ragioni della conversione, un coinvolgimento delle risorse intellettuali delle comunità interessate. Per poi procedere a verifiche di mercato, a progettazioni di massima, e alle battaglie per impegnare i diversi livelli del governo locale e nazionale. Sono cose che non si preparano né in un giorno né in un anno; c'erano però da anni molti motivi per cominciare a lavorarci. Ma non è mai troppo tardi. Perché se il piano Marchionne è un bluff, bisognerebbe evitare di ritrovarsi nella situazione di Termini Imerese, dove ogni giorno si escogitano altri bluff con il solo scopo di «tener buoni» gli operai lasciati sul lastrico.
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23/06/2010
| Guido Viale
L'abbaglio ideologico
Il Foglio di sabato scorso ha dedicato un'intera pagina a commentare un mio articolo sulla crisi della Fiat di Pomigliano corredando il servizio con il pugno di Lotta Continua, il gruppo in cui ho militato negli anni settanta e che si è dissolto 34 anni fa. Troppa grazia. La cosa ha offerto a molti miei critici l'occasione per dare la stura ai più triti stereotipi sugli anni 70 e sull'ambientalismo, quasi non avessero mai letto o sentito parlare prima di green economy o di riconversioni produttive.
Per Stefano Cingolani: «In certe assemblee gauchiste c'era chi si alzava proponendo che la Fiat fornisse brandine agli ospedali». Che assemblee avrà mai frequentato Cingolani in quegli anni? Non certo l'assemblea operai-studenti di Mirafiori, dove si parlava di cose molto serie, che hanno fatto la storia del paese. Scrive Sergio Soave: «Viale ripropone la tesi dell'imminente crollo del capitalismo». Ma quando mai? E riassume il mio pensiero così: «una nuova sintesi di deindustrializzazione e mangiatori di fragoline di bosco». Francesco Forte mi attribuisce «la teoria per cui il capitalismo è un imbroglio e l'economia di mercato una mistificazione». Magari lo penso; ma non l'ho certo scritto e non sta tra le premesse del mio discorso. Analogamente Gianni Riotta, sul Sole24ore, mi accusa di «dare del venduto a Cisl e Uil e quasi tutta la Cgil», e addirittura, al premio Nobel Paul Krugman, per aver scritto che per dar credito al piano della Fiat per Pomigliano bisogna essere in malafede o dementi. Sul dementi mi attengo al giudizio degli interessati. Ma si può essere in malafede senza essere venduti. Basta dar credito senza dare spiegazioni a cose che non lo meritano. E' quello che fa Riotta e, con lui, quasi tutti i sostenitori del piano Marchionne: non si chiedono se il piano è credibile. Su questo punto diamo la parola al Foglio.
Scrive Ernest Ferrari: «D'accordo, il piano di sviluppo targato Marchionne è irrealizzabile». Risponde Bruno Manghi: «Quella di Marchionne è una scommessa che nessuno può prevedere con certezza come finirà». Ammette Riccardo Ruggeri, uno che conosce la Fiat «dall'interno»: «Sui sei milioni di macchine Viale non ha tutti i torti». E aggiunge: «Magari tra non molto Marchionne chiederà altri sacrifici, perché il mercato non tira. Marchionne l'ha fatto capire più di una volta». Poi precisa: «ho paura che stia tornando la moda dei volumi (di vendite)piuttosto che dei talenti...anche alla Volkswagen hanno sposato la teoria dei volumi; ma ci hanno messo 15 anni, investendo una montagna di soldi». «Insomma, c'è aria di bluff?» chiede l'intervistatore. E lui risponde: «Marchionne fa quel che può».
Anche Cingolani si chiede: «Chi può garantire che le auto non restino sui piazzali? E quanto costeranno i modelli sfornati dalle catene di montaggio?» Domande senza risposta. Cingolani le affronta con un suo personale «piano B»; questo sì, datato agli anni '70: quando i cosiddetti paesi emergenti adottavano le tecnologie abbandonate dai paesi più industrializzati, e questi passavano a produzioni a più alto valore aggiunto (Era la teoria di Hirschmann delle "anatre volanti", che si alzano in volo in ordine, una dietro l'altra). Ma oggi Cina, India e Brasile hanno, sì, costi del lavoro e ambientali più bassi; ma anche livelli tecnologici paragonabili ai nostri e capacità di ricerca e sviluppo superiori (anche perché da noi scuola e ricerca sono state gettate alle ortiche). Inoltre, senza impianti di assemblaggio a portata di mano, l'innovazione tecnologica e organizzativa non ha verifiche. Quindi, perché il distretto automobilistico torinese possa mantenere i suoi atout in campo motoristico e dello styling, una parte del montaggio dovrà comunque restare in Italia. Ma non è detto che tocchi a Pomigliano. Nell'assemblaggio, più che altrove, a contare sono i costi. Lo conferma Michele Magno: «La sorte dello stabilimento campano è legata a un drastico abbassamento dei costi». L'unico a non nutrire dubbi sul piano Marchionne è Francesco Forte. E sapete perché? Perché «il piano è stato valutato positivamente dalle banche e dalla borsa»: due istituzioni che hanno raggiunto la credibilità più bassa della loro storia.
Fatto sta che, se è improbabile riuscire a vendere sei milioni di auto all'anno (un raddoppio della produzione) sui mercati di un'industria sovradimensionata e oggetto di una feroce concorrenza non solo tra gruppi industriali, ma anche tra Stati, l'aumento della produzione in Italia da 600mila a 1,4 milioni di vetture è ancora più improbabile; soprattutto perché questa produzione dovrebbe per due terzi essere smerciata in Europa. Le sorti di Pomigliano sono legate a questi obiettivi. Qualcuno ha provato a spiegare come raggiungerli? O si vuole far credere che l'unico vero problema è l'abnorme tasso di assenteismo e che un maggiore impegno contro di esso rimetterebbe le cose a posto?
Persino Riotta introduce qualche variabile in più. Oltre all'assenteismo, scrive «per giocare nella Coppa del mondo del lavoro» bisogna fare i conti con «clientele, performance scadenti, familismo amorale, raccomandazioni». A cui io aggiungerei doppio e triplo lavoro (ma non sarà un problema di salari insufficienti?), degrado del territorio, monnezza (da non dimenticare), sfacelo amministrativo, corruzione, collusioni politiche, camorra. Tutti problemi che non si sono certo fermati ai cancelli della fabbrica, ma che sono ben presenti al suo interno.
Nel management più ancora che tra le maestranze. Pensare di isolare la fabbrica dal territorio e di risolvere i suoi problemi con la disciplina del lavoro è utopia vana e crudele.
Nel 1968 la Fiat pensò di inquadrare con una disciplina di ferro 15mila nuovi assunti, messi al lavoro a Mirafiori tutti d'un colpo, senza preoccuparsi di che cosa sarebbe successo fuori della fabbrica: nel tessuto urbano di una città che tra l'altro era "sua", ma dove per i nuovi assunti non c'era nemmeno un posto per dormire. Ne nacque una lotta che ha sconvolto gli stabilimenti del gruppo per i successivi dodici anni. Adesso si pretende di mettere in riga, con un accordo sui turni e i ritmi di lavoro e con i limiti posti al diritto di scioperare e ammalarsi, uno stabilimento industriale i cui problemi nascono soprattutto dal degrado del tessuto sociale circostante. Non dice niente, per esempio, il fatto che a presidiare il gazebo installato a sostegno dell'accordo ci fosse il sottosegretario Cosentino, incriminato per camorra, ma "immunizzato" dal Pdl?
Nessuno, prima di Prodi, aveva ancora fatto notare che la "rieducazione" degli operai di Pomigliano - per usare il termine carcerario che ben si adatta al modo in cui l'establishment italiano, politico, sindacale, imprenditoriale e giornalistico, sta affrontando il loro futuro - è già stata tentata due anni fa: con la sospensione dell'attività lavorativa, l'invio forzato di tutte le maestranze a un corso di formazione, il riadeguamento degli impianti, la rimessa a nuovo dei capannoni. Senza risultati.
Chi può credere, allora, che Marchionne voglia ritentare l'esperimento, investendoci sopra 700 milioni? Rischiando anche di mettere in crisi i suoi rapporti con il partner polacco, che in questa fase è uno dei pochi atout a sua disposizione? Non è forse più sensato ritenere, o almeno ipotizzare, che Marchionne voglia sbarazzarsi di Pomigliano, oltre che di Termini Imerese; e non potendo farlo senza mettere in crisi i suoi rapporti con governo, opposizione, sindacati e maestranze - magari provocando anche una rivolta tra la popolazione - cerchi solo il modo per farne ricadere su altri la responsabilità? Se non sarà l'esito del referendum (verosimilmente non lo sarà) sarà la Fiom. Se non sarà la Fiom sarà l'iniziativa di base; o il "disordine" del territorio; o i contenziosi in tribunale; o un ricorso alla Corte Costituzionale. O, più semplicemente, il prossimo aggiornamento sulla situazione dei mercati. Intanto, a segnare un punto, è stata la politica antioperaia di tutto il governo.
Sembra però che la conversione ambientale dello stabilimento di Pomigliano, o di altre fabbriche in crisi, urti contro la centralità della produzione automobilistica (una volta la centralità era della classe operaia, ma i tempi sono cambiati). «E' indubbio - scrive Michele Magno - che il settore automobilistico, pur maturo sul piano merceologico e tecnologico, continui a incarnare lo spirito del tempo»; perché «continua a svolgere un ruolo cruciale sia nella formazione del Pil, sia nella dinamica occupazionale»; e perché «il cuore delle innovazioni organizzative...continua a pulsare qui».
Nessuno però ha proposto di chiudere il settore automobilistico dall'oggi al domani. Basterebbe non strafare con i volumi, come raccomanda anche Ruggero. E non gravare un gruppo già provato con un peso che probabilmente non può sostenere. «E' in gioco - continua Magno - il futuro di quel che resta della classe operaia meridionale». D'accordo. Ma, proprio per questo, non sarebbe bene pensare a delle alternative per uno stabilimento così a rischio?
Per verificare se è vero che l'azienda vorrebbe sbarazzarsi di Pomigliano bisognerebbe poterla mettere di fronte a una alternativa praticabile, esigendo impegni precisi a garanzia del processo di conversione. Non certo di assumerne la gestione, per la quale vanno comunque individuati soggetti, attori e culture aziendali differenti. Bensì la cessione degli impianti e il finanziamento della transizione. Ma oggi un'alternativa del genere non c'è. Nessuno ci ha pensato; e nessuno sembra neanche in grado o disposto a pensarci; anche se l'adozione di un'alternativa praticabile converrebbe sicuramente sia alla Fiat, che ai lavoratori, che al paese. E anche al pianeta.
Ma nessuno potrebbe mai pensare di avviare la riconversione di uno stabilimento industriale alla green economy con una semplice stretta della disciplina di fabbrica, come molti pensano - e sperano - che si possa fare invece trasferendo la Panda a Pomigliano. Perché una conversione produttiva di quella portata e con quelle finalità è proprio l'opposto di quell'idea "larvatamente autoritaria" di chi dice «Farò io il vostro bene» pensando di poter «pianificare le svolte dello sviluppo», come sostiene Bruno Manghi sul Foglio e Riotta ripete sul suo giornale.
Infatti, se non si può pensare di cambiare una fabbrica solo con la disciplina, occorre passare attraverso la mobilitazione delle forze sane del territorio, una discussione sulle ragioni della conversione, un coinvolgimento delle risorse intellettuali delle comunità interessate. Per poi procedere a verifiche di mercato, a progettazioni di massima, e alle battaglie per impegnare i diversi livelli del governo locale e nazionale. Sono cose che non si preparano né in un giorno né in un anno; c'erano però da anni molti motivi per cominciare a lavorarci. Ma non è mai troppo tardi. Perché se il piano Marchionne è un bluff, bisognerebbe evitare di ritrovarsi nella situazione di Termini Imerese, dove ogni giorno si escogitano altri bluff con il solo scopo di «tener buoni» gli operai lasciati sul lastrico.
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martedì 22 giugno 2010
sconfitta da Marchionne
Sconfitta di Marchionne (1673 no su 4642)
I no al decreto Marchionne sono stati numerosissimi, assai di più di quanto fosse lecito aspettarsi da un evento svoltosi in un clima di pesante intimidazione con il ricatto della chiusura dello stabilimento fonte del lavoro e della vita di cinquemila lavoratori e delle loro famiglie. Accanto alla Fiat si erano e sono tuttora schierati i massimi calibri del governo e della politica italiana da Bersani a D'Alema a Sacconi e la Confindustria non ha mancato di coprire tutta l'operazione non solo con intenso traccheggio con i partiti e i maggiorenti della Oligarchia ma anche con i ripetuti insulti della signora Marcegaglia ai lavoratori. Qualcuno dei pennivendoli più servizievoli della Fiat si è spinto financo a tacciare gli operai come ladri. I no sono oltre un terzo dei votanti: 1673 su 4642. Voti pesanti che valgono moltissimo perchè scaturenti da un convincimento profondo che ha permesso di
superare controcorrente una pressione enorme.Merito della Fiom e dei Cobas che hanno dato una indicazione di difesa della salute, della dignità e della libertà dei lavoratori e della città di Pomigliano che non può e non deve diventare sede di uno stabilimento-penitenziario di sperimentazione di una spaventosa riforma della organizzazione del lavoro.
L'introduzione del sistema WMC succede all'uomo albero di Gianni Agnelli che 40 anni orsono fece la sua comparsa alla Fiat di Termini Imerese. Era un operaio che da una buca scavata sotto la catena di montaggio era costretto a tenere alzate le mani per stringere bulloni. Il sistema WMC voluto da Marchionne e dai sindacati collaborazionisti ridurrebbe i lavoratori a mero macchinario vivente e spingerebbe molti di loro al suicidio come è accaduto dovunque è stato sperimentato dalla Cina alla Francia. La lunga lista di suicidi della Telecom francese si deve proprio ai principi di questo nuovo Verbo post taylorista. Il plebiscito reclamato da Marchionne è originato dalla preoccupazione di avere la piena malleabilità dell'intera manodopera. Si afferma che basterebbe un granello per inceppare il meccanismo produttivo. Il sistema richiede una manodopera che sia docile, ubbidiente, capace di produrre per tutti i secondi della sua giornata lavorativa che non deve essere disturbata dalla pausa pranzo. Otto ore consecutive di lavoro a digiuno per proseguire magari con altre quattro o cinque ore.
Insomma la differenza tra un robot meccanico ed un operaio deve ridursi al minimo. A questo sarà anche difficile svuotarsi la vescica e non gli sarà permesso un solo istante di distrazione. Sarà controllato intensamente.
Il sistema WMC introdotto con il decreto Marchionne a Pomigliano diventerà la Grande Svolta reazionaria e fascista del sistema economico italiano. Il padronato si è attrezzato per vincere tutte le resistenze e sollecita alla politica una svolta anticostituzionale. L'attacco all'art.41 della Costituzione
è in linea con il sibilo della frusta di Marchionne e della Marcegaglia. Con questa Costituzione il sistema WMC non può convivere. Il lavoro deve perdere ogni contenuto di umanità, dignità, libertà e questo potrà farsi con la collaborazione di sindacati "venduti" ma abbisogna di un nuovo contesto legislativo e costituzionale.
L'Italia dovrebbe diventare una vera e propria Caserma del lavoro militarizzato. E' il più grave attacco della lotta di classe del padronato contro i lavoratori che dovrebbero cedere la loro autonomia in cambio di una squallida ed infelice sopravvivenza fisica priva di diritti.
Ma a Pomigliano questa linea ha incontrato una fortissima resistenza. Si tenterà di aggirarla spingendo la CGIL a firmare l'accordo, si tenterà di mettere in crisi la Fiom additata ieri da D'Alema come isolata
e perdente. Bersani chiede il rispetto dell' "accordo" facendo capire alla Fiat che il PD lavorerà per piegare le resistenze.
A volte, chi troppo vuole o chi si sente talmente sicuro da fare lo spaccone, da svillaneggiare come ha fatto Marchionne in questi giorni, non ottiene i risultati che si prefigge. Avrebbe fatto bene Marchionne ad accettare il furbo suggerimento di Epifani di rinunziare a scioperi e malattia per fare passare il grosso della sua riforma. Si è incaponito ed ha permesso ai lavoratori ed alla sinistra italiana di scoprire la natura orribile del suo progetto, di rifletterci sopra, di parlarne con la gente che ha capito e si è allarmata.
Il terzo che ha votato contro convincerà i due terzi che hanno votato a favore appena il sistema sarà messo in funzione. Basteranno pochi giorni per fare capire agli abitanti dello stabilimento intestato al grande filosofo napoletano che è preferibile uccidersi piuttosto che ridursi ad ingranaggi
del profitto Fiat. L'uomo di Vico capace di pensare l'infinito non ha nulla da spartire con il robot di Marchionne. Ed è anche difficile cancellare un paio di secoli di continua emancipazione degli esseri umani dalla barbarie della violenza dei potenti e degli sfruttatori.
Pietro Ancona
http://medioevosociale-pietro.blogspot.com/
www.spazioamico.it
Il lavoro e la nostra reputazione di Furio Colombo
http://www.slaicobas.it/
I no al decreto Marchionne sono stati numerosissimi, assai di più di quanto fosse lecito aspettarsi da un evento svoltosi in un clima di pesante intimidazione con il ricatto della chiusura dello stabilimento fonte del lavoro e della vita di cinquemila lavoratori e delle loro famiglie. Accanto alla Fiat si erano e sono tuttora schierati i massimi calibri del governo e della politica italiana da Bersani a D'Alema a Sacconi e la Confindustria non ha mancato di coprire tutta l'operazione non solo con intenso traccheggio con i partiti e i maggiorenti della Oligarchia ma anche con i ripetuti insulti della signora Marcegaglia ai lavoratori. Qualcuno dei pennivendoli più servizievoli della Fiat si è spinto financo a tacciare gli operai come ladri. I no sono oltre un terzo dei votanti: 1673 su 4642. Voti pesanti che valgono moltissimo perchè scaturenti da un convincimento profondo che ha permesso di
superare controcorrente una pressione enorme.Merito della Fiom e dei Cobas che hanno dato una indicazione di difesa della salute, della dignità e della libertà dei lavoratori e della città di Pomigliano che non può e non deve diventare sede di uno stabilimento-penitenziario di sperimentazione di una spaventosa riforma della organizzazione del lavoro.
L'introduzione del sistema WMC succede all'uomo albero di Gianni Agnelli che 40 anni orsono fece la sua comparsa alla Fiat di Termini Imerese. Era un operaio che da una buca scavata sotto la catena di montaggio era costretto a tenere alzate le mani per stringere bulloni. Il sistema WMC voluto da Marchionne e dai sindacati collaborazionisti ridurrebbe i lavoratori a mero macchinario vivente e spingerebbe molti di loro al suicidio come è accaduto dovunque è stato sperimentato dalla Cina alla Francia. La lunga lista di suicidi della Telecom francese si deve proprio ai principi di questo nuovo Verbo post taylorista. Il plebiscito reclamato da Marchionne è originato dalla preoccupazione di avere la piena malleabilità dell'intera manodopera. Si afferma che basterebbe un granello per inceppare il meccanismo produttivo. Il sistema richiede una manodopera che sia docile, ubbidiente, capace di produrre per tutti i secondi della sua giornata lavorativa che non deve essere disturbata dalla pausa pranzo. Otto ore consecutive di lavoro a digiuno per proseguire magari con altre quattro o cinque ore.
Insomma la differenza tra un robot meccanico ed un operaio deve ridursi al minimo. A questo sarà anche difficile svuotarsi la vescica e non gli sarà permesso un solo istante di distrazione. Sarà controllato intensamente.
Il sistema WMC introdotto con il decreto Marchionne a Pomigliano diventerà la Grande Svolta reazionaria e fascista del sistema economico italiano. Il padronato si è attrezzato per vincere tutte le resistenze e sollecita alla politica una svolta anticostituzionale. L'attacco all'art.41 della Costituzione
è in linea con il sibilo della frusta di Marchionne e della Marcegaglia. Con questa Costituzione il sistema WMC non può convivere. Il lavoro deve perdere ogni contenuto di umanità, dignità, libertà e questo potrà farsi con la collaborazione di sindacati "venduti" ma abbisogna di un nuovo contesto legislativo e costituzionale.
L'Italia dovrebbe diventare una vera e propria Caserma del lavoro militarizzato. E' il più grave attacco della lotta di classe del padronato contro i lavoratori che dovrebbero cedere la loro autonomia in cambio di una squallida ed infelice sopravvivenza fisica priva di diritti.
Ma a Pomigliano questa linea ha incontrato una fortissima resistenza. Si tenterà di aggirarla spingendo la CGIL a firmare l'accordo, si tenterà di mettere in crisi la Fiom additata ieri da D'Alema come isolata
e perdente. Bersani chiede il rispetto dell' "accordo" facendo capire alla Fiat che il PD lavorerà per piegare le resistenze.
A volte, chi troppo vuole o chi si sente talmente sicuro da fare lo spaccone, da svillaneggiare come ha fatto Marchionne in questi giorni, non ottiene i risultati che si prefigge. Avrebbe fatto bene Marchionne ad accettare il furbo suggerimento di Epifani di rinunziare a scioperi e malattia per fare passare il grosso della sua riforma. Si è incaponito ed ha permesso ai lavoratori ed alla sinistra italiana di scoprire la natura orribile del suo progetto, di rifletterci sopra, di parlarne con la gente che ha capito e si è allarmata.
Il terzo che ha votato contro convincerà i due terzi che hanno votato a favore appena il sistema sarà messo in funzione. Basteranno pochi giorni per fare capire agli abitanti dello stabilimento intestato al grande filosofo napoletano che è preferibile uccidersi piuttosto che ridursi ad ingranaggi
del profitto Fiat. L'uomo di Vico capace di pensare l'infinito non ha nulla da spartire con il robot di Marchionne. Ed è anche difficile cancellare un paio di secoli di continua emancipazione degli esseri umani dalla barbarie della violenza dei potenti e degli sfruttatori.
Pietro Ancona
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la doppia truffa del referendum e del piano C
La doppia truffa del referendum e del piano C
Dalle otto di stamane si vota il decreto Marchionne nello stabilimento di Pomigliano d'Arco. Cinquemila operai sono stati precettati ed obbligati al voto dal momento che la Fiat considera quella di oggi giornata lavorativa ed ogni assenza dovrà essere giustificata da certificato medico.
Ieri sono intervenuti grossi calibri nazionali a sparare le loro munizioni a volte fatte di volgari contumelie contro la Fiom e la resistenza operaia diffusa in tutta la Fiat. La signora Marcegaglia si distingue per particolare ed aggressiva volgarità. Nelle fabbriche del suo gruppo qualcuno dei suoi dipendenti ci lascia le penne ma questo non la induce ad avvicinarsi alla categoria dei lavoratori che non hanno la fortuna che lei ha avuto di nascere ricca in ricca famiglia con il rispetto che si usa tra le persone civili nei paesi civili. Sacconi si dichiara convinto della sconfitta della Fiom ed anche questa è una stranezza, una anomalia di un paese che ha un Ministro del Lavoro di parte, embedded del padronato che impiega tutto il suo tempo a studiare con i suoi collaboratori come impedire l'accesso alle garanzie costituzionali agli operai, come rendere loro le leggi un groviglio inestricabile costoso ed inavvicinabile. Basti vedere l'allegato lavoro che è tutto un assedio leguleio all'art.18 disseminato di trappole per scoraggiare il ricorso alla Magistratura ed anche per impedire a questa di intervenire se lo volesse.
E' intervenuto il meridionalista Maroni per spiegare che è importante garantire alla Fiat di restare in loco e quindi che bisogna oggi votare si se si vuole "sicurezza nel territorio". Insomma chi non vota o vota a dispetto di Marchionne il no se proprio non è camorrista favorisce la camorra. Il fatto che il suo collega di governo, il sottosegretario Cosentino, inseguito da un mandato di cattura proprio per questioni di camorra, raccomandi come lui di non far dispiacere Marchionne non lo disturba. Si è mobilitata anche la Regione Campania con in testa il Presidente Caldoro, figlio d'arte, approdato dal craxismo alla destra berlusconiana e l'intero consiglio regionale. Gli oligarchi della regione, tra i politici più pagati del mondo con stipendi di senatori ed annesse prebende e privilegi vogliono che gli operai isolino la cattivissima Fiom, approvino il programma Fiat, si facciano carico della concorrenza estera che dobbiamo sconfiggere per piazzare le nostre belle Panda. La Regione Campana ha alle spalle venti anni di sperperi bassoliniani e bipartisan, ha creato tanti amministratori di società miste del tutto inutili da fondare una vera e propria nuova classe di redditieri, non si sa quanti consulenti di consulenze che nessuno vede o legge siano a suo carico, non ha uno straccio di progetto di risanamento e sviluppo del territorio ma ritiene di appoggiare una dura scelta di impoverimento e sfruttamento dei suoi lavoratori e magari di fare del territorio campano una sorta di zona franca per gli investitori allergici al rispetto dei contratti e delle leggi.
La Fiat e la Confindustria sono molto inquieti e temono di non fare il pieno, di non avere una sottomissione plebiscitaria nel rito di potere che con molta teatralità e tante minacce è stato messo in piedi. Vuole a tutti i costi l'adesione di tutti. La democrazia del cinquantuno per cento non gli basta. Vuole che la Fiom venga radicalmente delegittimata della sua rappresentatività e che non non ci siano voti difformi corrispondenti alla sua forza nella RSU. La posta in gioco non è il consenso al decreto già sottoscritto da quattro "sindacati" ma la sconfitta del sindacalismo autonomo e quando necessario conflittuale che oggi incarna la Fiom. Si deve sconfiggere la Fiom!! Delenda Fiom!! Si vuole fare del referendum un evento epocale, uno spartiacque tra ieri e domani. Da domani tutti i contratti nazionali di lavoro diventeranno carta straccia e si aprirà la stagione della Grande Deregulation. Ogni azienda presenterà il suo conto e pretenderà nuovi sacrifici ai suoi dipendenti.
Ma la Fiat è tentata da una operazione ancora più radicale. La cosidetta ipotesi C e cioè la cessazione dello attuale stabilimento ad una nuova società da lei stessa costituita che, come per l'Alitalia, azzererà la condizione di tutti i dipendenti e riassumerà le persone che le saranno gradite e che saranno disponibili alle sue voglie. Trattasi di vera e propria truffa, di un fumus che non regge
perchè a rigore di logica dovrebbe essere l'intera Fiat a dichiararsi fallita e non soltanto lo stabilimento di Pomigliano d'Arco e perchè non si può ripetere l'evento Alitalia soltanto per avere la comodità di
potere determinare le condizioni più vantaggiose per l'azienda. E' vero che la materia del diritto é assai flessibile e manipolabile ma ci sono dei limiti tra il lecito e la truffa. Il Piano C si configurerebbe come una truffa dal momento che la cordata dei nuovi proprietari sarebbe rappresentata soltanto dal signor Marchionne, da Montezemolo, dalla famiglia Agnelli. Fiat venderebbe a se stessa! Non si può fare entrare l'asino per la coda!
Torniamo al voto di oggi. Si svolgerà non solo in un clima di ricatto perchè è stato detto che il decreto vidimato dai sindacati "responsabili" non ha alternativa ma anche in condizioni di non trasparenza e senza garanzie. Il referendum sarà gestito dai firmatari dell'accordo che naturalmente hanno interesse ad un risultato che confermi il loro operato. Ci saranno scrutinatori ed osservatori indipendenti? Le schede come saranno infilate nell'urna ed in presenza di chi? Ci sono garanzie per la segretezza del voto? Il mio ricordo del referendum CGIL-CISL-UIL sugli accordi stipulati nel luglio 2007 è sconcertante. Si attribuirono alla Sicilia 700 mila votanti che io considero inverosimili. Per me avevano votato al massimo duecentomila persone, e forse neppure queste, ma nessuno ha potuto contestare la cifra ufficiale di votanti con l' ottanta per cento per il si dal momento che gli strumenti elettorali erano tutti e soltanto nelle mani dei promotori del referendum. L'Italia ha certamente bisogno di una legge che regoli questa materia ed in generale tutta la materia dell'art.39 della Costituzione a tutela dei lavoratori dal momento che i sindacati hanno assunto un ruolo che incide profondamente sui loro interessi che potrebbero, come spesso accade, non collimare con i loro.
Pietro Ancona
http://medioevosociale-pietro.blogspot.com/
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Dalle otto di stamane si vota il decreto Marchionne nello stabilimento di Pomigliano d'Arco. Cinquemila operai sono stati precettati ed obbligati al voto dal momento che la Fiat considera quella di oggi giornata lavorativa ed ogni assenza dovrà essere giustificata da certificato medico.
Ieri sono intervenuti grossi calibri nazionali a sparare le loro munizioni a volte fatte di volgari contumelie contro la Fiom e la resistenza operaia diffusa in tutta la Fiat. La signora Marcegaglia si distingue per particolare ed aggressiva volgarità. Nelle fabbriche del suo gruppo qualcuno dei suoi dipendenti ci lascia le penne ma questo non la induce ad avvicinarsi alla categoria dei lavoratori che non hanno la fortuna che lei ha avuto di nascere ricca in ricca famiglia con il rispetto che si usa tra le persone civili nei paesi civili. Sacconi si dichiara convinto della sconfitta della Fiom ed anche questa è una stranezza, una anomalia di un paese che ha un Ministro del Lavoro di parte, embedded del padronato che impiega tutto il suo tempo a studiare con i suoi collaboratori come impedire l'accesso alle garanzie costituzionali agli operai, come rendere loro le leggi un groviglio inestricabile costoso ed inavvicinabile. Basti vedere l'allegato lavoro che è tutto un assedio leguleio all'art.18 disseminato di trappole per scoraggiare il ricorso alla Magistratura ed anche per impedire a questa di intervenire se lo volesse.
E' intervenuto il meridionalista Maroni per spiegare che è importante garantire alla Fiat di restare in loco e quindi che bisogna oggi votare si se si vuole "sicurezza nel territorio". Insomma chi non vota o vota a dispetto di Marchionne il no se proprio non è camorrista favorisce la camorra. Il fatto che il suo collega di governo, il sottosegretario Cosentino, inseguito da un mandato di cattura proprio per questioni di camorra, raccomandi come lui di non far dispiacere Marchionne non lo disturba. Si è mobilitata anche la Regione Campania con in testa il Presidente Caldoro, figlio d'arte, approdato dal craxismo alla destra berlusconiana e l'intero consiglio regionale. Gli oligarchi della regione, tra i politici più pagati del mondo con stipendi di senatori ed annesse prebende e privilegi vogliono che gli operai isolino la cattivissima Fiom, approvino il programma Fiat, si facciano carico della concorrenza estera che dobbiamo sconfiggere per piazzare le nostre belle Panda. La Regione Campana ha alle spalle venti anni di sperperi bassoliniani e bipartisan, ha creato tanti amministratori di società miste del tutto inutili da fondare una vera e propria nuova classe di redditieri, non si sa quanti consulenti di consulenze che nessuno vede o legge siano a suo carico, non ha uno straccio di progetto di risanamento e sviluppo del territorio ma ritiene di appoggiare una dura scelta di impoverimento e sfruttamento dei suoi lavoratori e magari di fare del territorio campano una sorta di zona franca per gli investitori allergici al rispetto dei contratti e delle leggi.
La Fiat e la Confindustria sono molto inquieti e temono di non fare il pieno, di non avere una sottomissione plebiscitaria nel rito di potere che con molta teatralità e tante minacce è stato messo in piedi. Vuole a tutti i costi l'adesione di tutti. La democrazia del cinquantuno per cento non gli basta. Vuole che la Fiom venga radicalmente delegittimata della sua rappresentatività e che non non ci siano voti difformi corrispondenti alla sua forza nella RSU. La posta in gioco non è il consenso al decreto già sottoscritto da quattro "sindacati" ma la sconfitta del sindacalismo autonomo e quando necessario conflittuale che oggi incarna la Fiom. Si deve sconfiggere la Fiom!! Delenda Fiom!! Si vuole fare del referendum un evento epocale, uno spartiacque tra ieri e domani. Da domani tutti i contratti nazionali di lavoro diventeranno carta straccia e si aprirà la stagione della Grande Deregulation. Ogni azienda presenterà il suo conto e pretenderà nuovi sacrifici ai suoi dipendenti.
Ma la Fiat è tentata da una operazione ancora più radicale. La cosidetta ipotesi C e cioè la cessazione dello attuale stabilimento ad una nuova società da lei stessa costituita che, come per l'Alitalia, azzererà la condizione di tutti i dipendenti e riassumerà le persone che le saranno gradite e che saranno disponibili alle sue voglie. Trattasi di vera e propria truffa, di un fumus che non regge
perchè a rigore di logica dovrebbe essere l'intera Fiat a dichiararsi fallita e non soltanto lo stabilimento di Pomigliano d'Arco e perchè non si può ripetere l'evento Alitalia soltanto per avere la comodità di
potere determinare le condizioni più vantaggiose per l'azienda. E' vero che la materia del diritto é assai flessibile e manipolabile ma ci sono dei limiti tra il lecito e la truffa. Il Piano C si configurerebbe come una truffa dal momento che la cordata dei nuovi proprietari sarebbe rappresentata soltanto dal signor Marchionne, da Montezemolo, dalla famiglia Agnelli. Fiat venderebbe a se stessa! Non si può fare entrare l'asino per la coda!
Torniamo al voto di oggi. Si svolgerà non solo in un clima di ricatto perchè è stato detto che il decreto vidimato dai sindacati "responsabili" non ha alternativa ma anche in condizioni di non trasparenza e senza garanzie. Il referendum sarà gestito dai firmatari dell'accordo che naturalmente hanno interesse ad un risultato che confermi il loro operato. Ci saranno scrutinatori ed osservatori indipendenti? Le schede come saranno infilate nell'urna ed in presenza di chi? Ci sono garanzie per la segretezza del voto? Il mio ricordo del referendum CGIL-CISL-UIL sugli accordi stipulati nel luglio 2007 è sconcertante. Si attribuirono alla Sicilia 700 mila votanti che io considero inverosimili. Per me avevano votato al massimo duecentomila persone, e forse neppure queste, ma nessuno ha potuto contestare la cifra ufficiale di votanti con l' ottanta per cento per il si dal momento che gli strumenti elettorali erano tutti e soltanto nelle mani dei promotori del referendum. L'Italia ha certamente bisogno di una legge che regoli questa materia ed in generale tutta la materia dell'art.39 della Costituzione a tutela dei lavoratori dal momento che i sindacati hanno assunto un ruolo che incide profondamente sui loro interessi che potrebbero, come spesso accade, non collimare con i loro.
Pietro Ancona
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lunedì 21 giugno 2010
il Bluff dei piani A,B e C del padrone delle ferriere
Il bluff dei piani A, B e C del padrone delle ferriere
Colpiva ieri nel duello televisivo tra Landini e Sacconi l'atteggiamento velenoso del Ministro del Lavoro che si comportava come sostenitore delle ragioni della Fiat
e usava tutte le armi per intimorire e criminalizzare, il coraggioso ed appassionato segretario della Fiom. Se salterà l'investimento la colpa sarà della Fiom e non si capisce perchè dal momento che quattro sindacati su cinque hanno firmato in calce al decreto Marchionne. Perchè si vuole a qualsiasi costo il consenso della Fiom? Perchè Lucia Annunziata cercava di sapere sotto quale percentuale di no la Fiat ritirerà il suo impegno? A quanto pare a Marchionne non basta vincere il referendum. Vuole un plebiscito! Vuole che tutti aderiscano senza se e senza ma al suo diktat, alle sue condizioni. Il suo nervosismo è aumentato perchè nonostante la mobilitazione dei quattro sindacati collaborazionisti e l'impegno del Sindaco e dei maggiorenti pdl di Pomigliano capeggiati da Cosentino la manifestazione di implorazione alla Fiat è stata un fallimento. i telegiornali e la stampa hanno parlato di cinquemila partecipanti (cinquemila è il numero fatidico corrispondente ai dipendenti della fabbrica di Pomigliano) ma c'è chi afferma che si trattava di non più di duecento persone!
Le notizie che giungono dai vertici della Fiat confermano il sospetto che il piano B (la Panda in Polonia) sia stato e continui ad essere un bluff. Si parla di un piano C e cioè della fondazione di una nuova società che subentrerebbe nello stabilimento Giovanbattista Vico assumendo ex nuovo i lavoratori. Insomma si farebbe come all'Alitalia con la stipula di un contratto del tutto nuovo e la selezione rigorissima del personale più malleabile e più disponibile a soddisfare le voglie del management. Colpiscono le dichiarazioni di Marchionne sull'alta qualità dei prodotti Fiat realizzati all'estero contrapposta alle auto prodotte in Italia. In verità si ha l'impressione di assistere al gioco delle tre carte e che non siano chiari gli obiettivi veri della proprietà. Perchè questa provocazione a Napoli? In fondo la Fiom aveva aderito al suo progetto tranne che per gli aspetti chiaramente anticostituzionali. Epifani aveva detto che stralciando le due questioni del diritto di sciopero e della malattia l'accordo si poteva fare. Io non condivido l'adesione ad un progetto che vuole i lavoratori digiuni per otto ore e che sequestra la loro vita privata. Ma la disponibilità ad accettare qualsiasi sacrificio era stata data. Ed allora, perchè si vuole stravincere e si pretende la sottomissione a condizioni che cancellano tutti i diritti e stabiliscono obbligazioni per i lavoratori che li riducono a
soggetti passivi, a macchinario vivente? Credo che lo scopo riguardi non solo Pomigliano ma tutto il gruppo Fiat italiano che viene violentemente strattonato e ridotto a produzioni secondarie ed in via di esaurimento. Insomma si sta alzando un polverone per avere il pretesto di mettere tutto il gruppo Fiat italiano in un binario morto senza futuro. La situazione italiana è aggravata da diversi fattori politici assai preoccupanti. In primo luogo il governo non svolge il suo ruolo istituzionale super partes e di attenzione ai problemi strategici dell'industria italiana. Si limita a fiancheggiare con urla da stadio Marchionne. Tremonti ne esalta il profilo "riformista" mentre Sacconi lavora davanti e dietro le quinte per indebolire la Fiom ed isolarla. Il PD appoggia apertamente la Fiat di cui è da sempre il partito di riferimento e non solo a Torino. La CGIL ha un atteggiamento di pubblica ostilità verso la Fiom e la sua volontà viene espressa dalla minoranza Fiom che si dichiara disponibile ad accettare tutto dopo il referendum di domani. L'intervista di Epifani al Corriere della sera contiene affermazioni sconcertanti.
Lo scenario politico generale in cui si svolge la vicenda è di sfascio. Ieri a Pontida diversi Ministri tutti in divisa verde hanno minacciato la secessione del Nord. E' stato chiesto che i Ministeri si spostino da Roma a Milano, Venezia e Torino. Il federalismo è la via democratica alla separazione secondo Bossi ed altri autorevoli esponenti del Governo. Tra questi il Ministro agli Interni. La macellazione della bestia-Stato secondo la dottrina Tatcher-Reagan è in corso. I servizi i del welfare sono tutti in crisi mentre l'oligarchia politica diventa sempre più autoreferenziale e pensa ad arricchire se stessa. Gli scandali della cricca al governo dilagano oltre-tevere e viene meno anche la autorità morale della Chiesa che, in un paese cattolico, desta scandalo e disorientamento. I paesi colpiti dal terremoto o da disastri come L'Aquila ed i centri siciliani sono abbandonati a se stessi. Lo Stato non c'è e dove c'è pone grossi problemi di libertà e di democrazia nelle carceri, nelle scuole, dappertutto.
Infine non è accettabile che la vita della gente, la libertà, la democrazia dipendano da successo di mercato di una auto e dalla speranza che se ne consumino sempre di più. La competizione globale delle multinazionali dell'auto tende a peggiorare drammaticamente le condizioni degli operai-produttori per presentare un oggetto sempre più competitivo. Ma in questo c'è già una contraddizione mortale:
i produttori non possono essere ridotti in miseria senza uccidere il loro ruolo di consumatori. Se l'operaio non è in grado di comprare l'oggetto che produce le cose non andranno bene per nessuno.
Inoltre bisogna cominciare a ridiscutere gli oggetti che si producono e dove si producono. Il provincialismo dei sindacati italiani ha sottovalutato le ragioni dell'allergamento della UE voluto a suo tempo da Prodi e dalla borghesia capitalistica senza tenere conto delle condizioni di grande difficoltà di tanti paesi dell'Est europeo. Si è voluto mettere una grande zona di povertà a disposizione della industria occidentale per potere scorazzare liberamente ed indebolire e far regredire la condizione di vita di tutti i lavoratori che, nei paesi industrializzati, in tanti decenni di socialdemocrazia, avevano dato vita ad un sistema di vita civile, eccellente per molti aspetti (vedi sanità francese), invidiato dagli USA. Ma, nei paesi dell'Est europeo, c'è stata l'esperienza comunista rimpianta da un numero crescente di persone.Solidarnosc se confronta la condizione degli operai di oggi a quella esistente durante il comunismo si rende conto di quanto sia peggiorata financo sul piano della dignità delle persone. E questa è una contraddizione che non viene sanata da governi di destra.
E' giunto il momento di una iniziativa comune dei sindacati in Europa e creare un sindacalismo alternativo. E' necessaria una secessione dai sindacati collaborazionisti "moderati" per dare vita ad organizzazioni che siano sul il corrispettivo della Linke sul piano politico. Die Linke ha ereditato la cultura della socialdemocrazia europea. Un nuovo Sindacato deve ereditare la cultura
conflittuale che anche la CGIL ha smarrito. Un sindacato che non è fazioso, cioè, di parte è immorale! Non fa gli interessi dei suoi rappresentati. Se il Sindacato è moderato, si fa carico di tutto, contrasta non solo con gli interessi di cui è portatore ma chiude il futuro alla società. Il futuro si costruisce costringendo l'economia ad adattarsi a condizioni sempre migliori per i lavoratori. Queste condizioni danno splendore, lustro, prosperità a tutti. E' già accaduto in importanti decenni dominati dalla parola d'ordine densa di saggezza sociale: "il salario variabile indipendente! durante i quali l'Italia è cresciuta... Se dovessero essere i lavoratori ad adattarsi alle condizioni dell'economia il risultato sarà ed è già di regressione, di medioevo sociale!
Pietro Ancona
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Colpiva ieri nel duello televisivo tra Landini e Sacconi l'atteggiamento velenoso del Ministro del Lavoro che si comportava come sostenitore delle ragioni della Fiat
e usava tutte le armi per intimorire e criminalizzare, il coraggioso ed appassionato segretario della Fiom. Se salterà l'investimento la colpa sarà della Fiom e non si capisce perchè dal momento che quattro sindacati su cinque hanno firmato in calce al decreto Marchionne. Perchè si vuole a qualsiasi costo il consenso della Fiom? Perchè Lucia Annunziata cercava di sapere sotto quale percentuale di no la Fiat ritirerà il suo impegno? A quanto pare a Marchionne non basta vincere il referendum. Vuole un plebiscito! Vuole che tutti aderiscano senza se e senza ma al suo diktat, alle sue condizioni. Il suo nervosismo è aumentato perchè nonostante la mobilitazione dei quattro sindacati collaborazionisti e l'impegno del Sindaco e dei maggiorenti pdl di Pomigliano capeggiati da Cosentino la manifestazione di implorazione alla Fiat è stata un fallimento. i telegiornali e la stampa hanno parlato di cinquemila partecipanti (cinquemila è il numero fatidico corrispondente ai dipendenti della fabbrica di Pomigliano) ma c'è chi afferma che si trattava di non più di duecento persone!
Le notizie che giungono dai vertici della Fiat confermano il sospetto che il piano B (la Panda in Polonia) sia stato e continui ad essere un bluff. Si parla di un piano C e cioè della fondazione di una nuova società che subentrerebbe nello stabilimento Giovanbattista Vico assumendo ex nuovo i lavoratori. Insomma si farebbe come all'Alitalia con la stipula di un contratto del tutto nuovo e la selezione rigorissima del personale più malleabile e più disponibile a soddisfare le voglie del management. Colpiscono le dichiarazioni di Marchionne sull'alta qualità dei prodotti Fiat realizzati all'estero contrapposta alle auto prodotte in Italia. In verità si ha l'impressione di assistere al gioco delle tre carte e che non siano chiari gli obiettivi veri della proprietà. Perchè questa provocazione a Napoli? In fondo la Fiom aveva aderito al suo progetto tranne che per gli aspetti chiaramente anticostituzionali. Epifani aveva detto che stralciando le due questioni del diritto di sciopero e della malattia l'accordo si poteva fare. Io non condivido l'adesione ad un progetto che vuole i lavoratori digiuni per otto ore e che sequestra la loro vita privata. Ma la disponibilità ad accettare qualsiasi sacrificio era stata data. Ed allora, perchè si vuole stravincere e si pretende la sottomissione a condizioni che cancellano tutti i diritti e stabiliscono obbligazioni per i lavoratori che li riducono a
soggetti passivi, a macchinario vivente? Credo che lo scopo riguardi non solo Pomigliano ma tutto il gruppo Fiat italiano che viene violentemente strattonato e ridotto a produzioni secondarie ed in via di esaurimento. Insomma si sta alzando un polverone per avere il pretesto di mettere tutto il gruppo Fiat italiano in un binario morto senza futuro. La situazione italiana è aggravata da diversi fattori politici assai preoccupanti. In primo luogo il governo non svolge il suo ruolo istituzionale super partes e di attenzione ai problemi strategici dell'industria italiana. Si limita a fiancheggiare con urla da stadio Marchionne. Tremonti ne esalta il profilo "riformista" mentre Sacconi lavora davanti e dietro le quinte per indebolire la Fiom ed isolarla. Il PD appoggia apertamente la Fiat di cui è da sempre il partito di riferimento e non solo a Torino. La CGIL ha un atteggiamento di pubblica ostilità verso la Fiom e la sua volontà viene espressa dalla minoranza Fiom che si dichiara disponibile ad accettare tutto dopo il referendum di domani. L'intervista di Epifani al Corriere della sera contiene affermazioni sconcertanti.
Lo scenario politico generale in cui si svolge la vicenda è di sfascio. Ieri a Pontida diversi Ministri tutti in divisa verde hanno minacciato la secessione del Nord. E' stato chiesto che i Ministeri si spostino da Roma a Milano, Venezia e Torino. Il federalismo è la via democratica alla separazione secondo Bossi ed altri autorevoli esponenti del Governo. Tra questi il Ministro agli Interni. La macellazione della bestia-Stato secondo la dottrina Tatcher-Reagan è in corso. I servizi i del welfare sono tutti in crisi mentre l'oligarchia politica diventa sempre più autoreferenziale e pensa ad arricchire se stessa. Gli scandali della cricca al governo dilagano oltre-tevere e viene meno anche la autorità morale della Chiesa che, in un paese cattolico, desta scandalo e disorientamento. I paesi colpiti dal terremoto o da disastri come L'Aquila ed i centri siciliani sono abbandonati a se stessi. Lo Stato non c'è e dove c'è pone grossi problemi di libertà e di democrazia nelle carceri, nelle scuole, dappertutto.
Infine non è accettabile che la vita della gente, la libertà, la democrazia dipendano da successo di mercato di una auto e dalla speranza che se ne consumino sempre di più. La competizione globale delle multinazionali dell'auto tende a peggiorare drammaticamente le condizioni degli operai-produttori per presentare un oggetto sempre più competitivo. Ma in questo c'è già una contraddizione mortale:
i produttori non possono essere ridotti in miseria senza uccidere il loro ruolo di consumatori. Se l'operaio non è in grado di comprare l'oggetto che produce le cose non andranno bene per nessuno.
Inoltre bisogna cominciare a ridiscutere gli oggetti che si producono e dove si producono. Il provincialismo dei sindacati italiani ha sottovalutato le ragioni dell'allergamento della UE voluto a suo tempo da Prodi e dalla borghesia capitalistica senza tenere conto delle condizioni di grande difficoltà di tanti paesi dell'Est europeo. Si è voluto mettere una grande zona di povertà a disposizione della industria occidentale per potere scorazzare liberamente ed indebolire e far regredire la condizione di vita di tutti i lavoratori che, nei paesi industrializzati, in tanti decenni di socialdemocrazia, avevano dato vita ad un sistema di vita civile, eccellente per molti aspetti (vedi sanità francese), invidiato dagli USA. Ma, nei paesi dell'Est europeo, c'è stata l'esperienza comunista rimpianta da un numero crescente di persone.Solidarnosc se confronta la condizione degli operai di oggi a quella esistente durante il comunismo si rende conto di quanto sia peggiorata financo sul piano della dignità delle persone. E questa è una contraddizione che non viene sanata da governi di destra.
E' giunto il momento di una iniziativa comune dei sindacati in Europa e creare un sindacalismo alternativo. E' necessaria una secessione dai sindacati collaborazionisti "moderati" per dare vita ad organizzazioni che siano sul il corrispettivo della Linke sul piano politico. Die Linke ha ereditato la cultura della socialdemocrazia europea. Un nuovo Sindacato deve ereditare la cultura
conflittuale che anche la CGIL ha smarrito. Un sindacato che non è fazioso, cioè, di parte è immorale! Non fa gli interessi dei suoi rappresentati. Se il Sindacato è moderato, si fa carico di tutto, contrasta non solo con gli interessi di cui è portatore ma chiude il futuro alla società. Il futuro si costruisce costringendo l'economia ad adattarsi a condizioni sempre migliori per i lavoratori. Queste condizioni danno splendore, lustro, prosperità a tutti. E' già accaduto in importanti decenni dominati dalla parola d'ordine densa di saggezza sociale: "il salario variabile indipendente! durante i quali l'Italia è cresciuta... Se dovessero essere i lavoratori ad adattarsi alle condizioni dell'economia il risultato sarà ed è già di regressione, di medioevo sociale!
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domenica 20 giugno 2010
l'assenteismo in Italia non esiste!
Pubblicato il 25/11/2009
Italia paese dell'assenteismo? Forse un mito da sfatare
Anna Giraldo* & Stefano Mazzuco**
Negli ultimi tempi, nel nostro paese, è molto acceso il dibattito sull'assenteismo e sul costo che esso ha per le casse statali. Sembra quasi unanime la volontà da parte delle forze politiche di ridurre quello che è indubbiamente un problema sociale ed economico per ogni nazione.
Tuttavia, in questo dibattito, scarsa attenzione è posta su un aspetto fondamentale, ovvero se l'assenteismo sia effettivamente ai massimi livelli in Italia rispetto al resto dell'Europa, come viene spesso dato per scontato.
Siamo davvero noi i campioni dell'assenteismo? La risposta potrebbe sorprendere: studiando la letteratura e e analizzando i dati è possibile mostrare quanto questo luogo comune sia lontano dalla realtà.
Lavoratori italiani? Presenti!
Considerando i dati dell'indagine sulle forze di lavoro, indagine che viene svolta periodicamente in Italia e in Europa, è possibile ottenere informazioni specifiche sulle assenze per malattia degli intervistati. A costoro viene chiesto se la settimana precedente all'intervista hanno lavorato o meno e, in caso di risposta negativa, il motivo che ha impedito loro di recarsi al lavoro. Possiamo, dunque, calcolare un tasso di assenza[1] come rapporto tra il numero di persone occupate, assenti per malattia nella settimana di riferimento, sul totale delle persone che in quella settimana risultavano occupate. Il risultato è riportato nel grafico a sinistra della figura 1.
Come si può vedere il valore del tasso è molto più alto in Francia (linea blu), Olanda (linea arancione) e Svezia (linea verde) piuttosto che in Italia (linea azzurra). Si potrebbe argomentare che queste differenze riflettono, in realtà, il cattivo stato di salute di francesi, olandesi e svedesi ma sappiamo da altre fonti che ciò non è vero. Ad esempio, l'health expectancy indicator calcolato da Eurostat[2] mostra che in realtà Francia, Olanda e Svezia hanno un livello medio di salute migliore dell'Italia (sia pur di poco), mentre chi ha un livello inferiore è la Lituania (linea rossa), paese nel quale il tasso di assenza per malattia è agli stessi livelli italiani. Una conferma ai nostri risultati viene, ad esempio, da uno studio effettuato con dati diversi da Gimeno et al. (2004) in cui questo andamento viene confermato. Alcuni autori hanno cercato di spiegare il fenomeno: la teoria più accreditata è che l'assenteismo aumenta laddove il sistema di protezione sociale è più “generoso” (si veda, ad esempio, Osterkamp e Röhn, 2007) e sappiamo che i sistemi di protezione sociale dei paesi nordici sono notoriamente generosi (si pensi che in Olanda, in caso di assenza, non è necessario il certificato medico) al contrario di quelli del Sud Europa.
Si potrebbe obbiettare che questi risultati dipendono dalla struttura del mercato del lavoro nei vari paesi e che se si analizzassero i tassi di assenza per i soli lavoratori della pubblica amministrazione, troveremmo una graduatoria ben diversa. Invece, quello che si ottiene, mostrato nel grafico a destra della figura 1, conferma quanto detto: Olanda, Francia e Svezia hanno livelli di assenteismo decisamente più elevati dell'Italia anche quando restringiamo l'analisi ai soli lavoratori della Pubblica Amministrazione.
Beh, ma almeno al Sud ...
Un altro mito forse da sfatare è che l'assenteismo in Italia sia maggiore al Sud piuttosto che al Nord. Un mito, in realtà, alimentato anche da qualche evidenza empirica: Ichino e Maggi (2000), analizzando i dati di una grande banca italiana mostrano che le assenze per malattia sono più frequenti nelle filiali del sud. Tuttavia, anche in questo caso, analizzando i dati delle forze di lavoro e in particolare i dati della Rilevazione continua sulle forze lavoro 2004–2007 e calcolando lo stesso tasso di assenza di cui sopra, troviamo risultati curiosi. Il Centro Italia mostra il tasso di assenza per malattia maggiore mentre stupisce che Nord-Est e Nord-Ovest abbiano mediamente più assenze per malattia di quanto rilevato nel Sud e Isole (si veda grafico a sinistra della figura 2). Per inciso, osservando i tassi regionali (non completamente affidabili dal punto di vista della significatività statistica e quindi non riportati qui) colpisce il fatto che il tasso di assenza sia superiore in Veneto rispetto alla Campania.
Come per i paesi europei, si potrebbe argomentare che le regioni hanno una struttura del mercato del lavoro diversa e che quindi i risultati per le tre aree geografiche sono frutto di una diversa distribuzione geografica di lavoratori pubblici e privati. Ma considerando il settore privato e il settore pubblico separatamente per Nord, Centro e Sud si ritrova, sostanzialmente, la stessa graduatoria (grafico a destra della figura 2). A differenza delle evidenze per l'Europa, supportate da numerosi studi che sembrano andare nella stessa nostra direzione, in Italia non vi sono studi che supportano queste “grezze” evidenze empiriche. Possiamo, però, dire che la situazione sembra essere ben diversa da quanto ci dicono i luoghi comuni.
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[1] Il tasso è standardizzato per età e sesso, cosicché le differenze calcolate non sono influenzate dalla diversa struttura per età dei vari paesi.
[2] È una stima del numero atteso di anni di vita in buona salute. Si veda: http://epp.eurostat.ec.europa.eu/portal/page/portal/statistics/search_database.
Riferimenti Bibliografici
Gimeno D., Benavides F. G., Benach J., Amick B. C. (2004) Distribution of sickness absence in the European Union countries, Occupational and Environmental Medicine, 61, 867-869.
Ichino A., Maggi G. (2000) Work environment and individual background: explaining regional shirking differentials in a large Italian firm, The Quarterly Journal of Economics, August 2000. 1057-1090.
Osterkamp R, Röhn O (2007) Being on sick leave: possible explanations for differences of sick-leave days across countries. CESifo Economic Studies, 53(1):97-114.
* Dipartimento di Scienze Statistiche, Università degli studi di Padova
** Dipartimento di Scienze Statistiche, Università degli studi di Padova
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6 commenti
Ringrazio tutti per i commenti ai quali provo dare risposte generali che soddisfino tutti. - I dati fanno riferimento alle assenze per malattia (malattia del rispondente e non del figlio o di un altro familiare) registrate dalle indagini sulle forze lavoro armonizzate da Eurostat. - I tassi sono calcolati sul totale dei lavoratori. e standardizzati per sesso ed età, quindi i confronti vengono fatti assumendo una struttura del mercato del lavoro per sesso ed età identica in tutte le regioni e in tutti i paesi europei coinvolti nell'analisi. - Gimeno et al. riportano, in realtà, anche i dati per l'Italia. Non riportato qui c'è anche l'articolo di Frick and Malo (2008) su Industrial Relations, Vol. 47, No. 4 (October 2008). In questi appare come l'Italia sia tra i paesi con il tasso di assenza per malattia tra i più bassi - L'ipotesi di un effetto "doppio lavoro" è in effetti plausibile, anche se non facile da verificare - Certamente molte differenze dipendono anche dalla disponibilità di servizi per l'infanzia. Ad esempio, una spiegazione del dato olandese (tasso di assenza per malattia molto elevato) può essere data anche dall'elevato costo dei servizi per l'infanzia in quel paese. Di contro ottenere un permesso per malattia in olanda è decisamente facile (si pensi che non è richiesto nessun certificato) e quindi appare normale che le famiglie ricorrano spesso a "finte" malattie per accudire i figli. - Non mi è chiaro qual è il collegamento con l'età al pensionamento delle donne in Europa, ma il fatto che i tassi siano standardizzati per sesso ed età dovrebbe rassicurare su possibili effetti distorcenti della diversa struttura del mercato del lavoro nei vari paesi
inserito da Stefano Mazzuco il 09/12/2009 - 16:48:38
Vi ringrazio per l' articolo che serve a contrastare i pregiudizi, mi piacerebbe conoscere anche i dati relativi all'età pensionabile delle donne in Europa considerando anche i periodi di assenza per maternità, perchè le cittadine europeee hanno ben altri diritti rispetto alle italiane, le inglesi ad esempio, possono restare a casa dopo la gravidanza fino a cinque anni di età del figlio e la ratio della norma è nel fatto che i bambini a quell'età in quel Paese possono frequentare la scuola dell'obbligo.Grazie e cordiali saluti.
inserito da Romana Mancini il 04/12/2009 - 11:19:12
Il dato del Sud potrebbe essere spiegato dal fatto che durante l'assenteismo si svolge un doppio lavoro e che questo è percepito come socialmente accettabile e quindi riferito nel corso dell'intervista? Un'altra considerazione. La comparazione per aree territoriali in Italia tiene conto della minore presenza di donne occupate nel Sud visto che, per le donne, molte assenze dal lavoro sono motivate da malattia dei figli e assenza di strutture di supporto?
inserito da Gabriella Sebastiani il 03/12/2009 - 17:11:22
Grazie per i complimenti e per il commento. In realtà, i tassi sono standardizzati anche per sesso (oltre che per età). Comunque, calcolando i tassi separatamente per i due sessi non emergono differenze significative se non una maggior propensione all'assenza per malattia da parte delle donne. Questa differenza è particolarmente marcata dove i sevizi di childcare sono particolarmente costosi (ad esempio, in Olanda). Non cambia, invece, la "graduatoria" tra i paesi, e le donne dei paesi nordici sono più assenti dal lavoro rispetto alle italiane, così come le donne del Sud Italia sono meno assenti dal lavoro rispetto a quelle del Nord Italia.
inserito da Stefano Mazzuco il 28/11/2009 - 15:37:39
non mi è chiaro quale è la vostra fonte di dati. Istat e similari a livelloEU? l'indagine non è mirata a capire l'assenteismo, la domanda del questionario non è mirata a questo problema. la letteratura comparativa che citate non ha l'italia perchè il dati italiano non è disponibile. Che il nord est e il centro abbiano i tassi più alti è noto a chi lavora sul problema italiano delle assenze. I microdati su cui stiamo lavorando confermano questo fenomeno. buon lavoro
inserito da alessandra del boca il 27/11/2009 - 14:26:21
intanto complimenti per l'articoletto agli autori! mi sonopermessa di fermarmi a leggerlo anche se oggi non sarebbe la giornata migliore. Ho un solo dubbio: poichè temo che ci siamo differenze di comportamento sul alvoro ancheper quanto riguarda il sesso, si può verificare se i risultati tengono anche qaundo si standardizza per sesso (immaginoper esempio che al sud o nei paesi nordici ci siano più donne nel mercato del lavoro; non so bene invece come posono oeprare gli effetti struttura per sesso per la pubblica amministrazione). Buon lavoro comunque.
inserito da fausta ongaro il 26/11/2009 - 12:36:10
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Struttura per età
Italia paese dell'assenteismo? Forse un mito da sfatare
Anna Giraldo* & Stefano Mazzuco**
Negli ultimi tempi, nel nostro paese, è molto acceso il dibattito sull'assenteismo e sul costo che esso ha per le casse statali. Sembra quasi unanime la volontà da parte delle forze politiche di ridurre quello che è indubbiamente un problema sociale ed economico per ogni nazione.
Tuttavia, in questo dibattito, scarsa attenzione è posta su un aspetto fondamentale, ovvero se l'assenteismo sia effettivamente ai massimi livelli in Italia rispetto al resto dell'Europa, come viene spesso dato per scontato.
Siamo davvero noi i campioni dell'assenteismo? La risposta potrebbe sorprendere: studiando la letteratura e e analizzando i dati è possibile mostrare quanto questo luogo comune sia lontano dalla realtà.
Lavoratori italiani? Presenti!
Considerando i dati dell'indagine sulle forze di lavoro, indagine che viene svolta periodicamente in Italia e in Europa, è possibile ottenere informazioni specifiche sulle assenze per malattia degli intervistati. A costoro viene chiesto se la settimana precedente all'intervista hanno lavorato o meno e, in caso di risposta negativa, il motivo che ha impedito loro di recarsi al lavoro. Possiamo, dunque, calcolare un tasso di assenza[1] come rapporto tra il numero di persone occupate, assenti per malattia nella settimana di riferimento, sul totale delle persone che in quella settimana risultavano occupate. Il risultato è riportato nel grafico a sinistra della figura 1.
Come si può vedere il valore del tasso è molto più alto in Francia (linea blu), Olanda (linea arancione) e Svezia (linea verde) piuttosto che in Italia (linea azzurra). Si potrebbe argomentare che queste differenze riflettono, in realtà, il cattivo stato di salute di francesi, olandesi e svedesi ma sappiamo da altre fonti che ciò non è vero. Ad esempio, l'health expectancy indicator calcolato da Eurostat[2] mostra che in realtà Francia, Olanda e Svezia hanno un livello medio di salute migliore dell'Italia (sia pur di poco), mentre chi ha un livello inferiore è la Lituania (linea rossa), paese nel quale il tasso di assenza per malattia è agli stessi livelli italiani. Una conferma ai nostri risultati viene, ad esempio, da uno studio effettuato con dati diversi da Gimeno et al. (2004) in cui questo andamento viene confermato. Alcuni autori hanno cercato di spiegare il fenomeno: la teoria più accreditata è che l'assenteismo aumenta laddove il sistema di protezione sociale è più “generoso” (si veda, ad esempio, Osterkamp e Röhn, 2007) e sappiamo che i sistemi di protezione sociale dei paesi nordici sono notoriamente generosi (si pensi che in Olanda, in caso di assenza, non è necessario il certificato medico) al contrario di quelli del Sud Europa.
Si potrebbe obbiettare che questi risultati dipendono dalla struttura del mercato del lavoro nei vari paesi e che se si analizzassero i tassi di assenza per i soli lavoratori della pubblica amministrazione, troveremmo una graduatoria ben diversa. Invece, quello che si ottiene, mostrato nel grafico a destra della figura 1, conferma quanto detto: Olanda, Francia e Svezia hanno livelli di assenteismo decisamente più elevati dell'Italia anche quando restringiamo l'analisi ai soli lavoratori della Pubblica Amministrazione.
Beh, ma almeno al Sud ...
Un altro mito forse da sfatare è che l'assenteismo in Italia sia maggiore al Sud piuttosto che al Nord. Un mito, in realtà, alimentato anche da qualche evidenza empirica: Ichino e Maggi (2000), analizzando i dati di una grande banca italiana mostrano che le assenze per malattia sono più frequenti nelle filiali del sud. Tuttavia, anche in questo caso, analizzando i dati delle forze di lavoro e in particolare i dati della Rilevazione continua sulle forze lavoro 2004–2007 e calcolando lo stesso tasso di assenza di cui sopra, troviamo risultati curiosi. Il Centro Italia mostra il tasso di assenza per malattia maggiore mentre stupisce che Nord-Est e Nord-Ovest abbiano mediamente più assenze per malattia di quanto rilevato nel Sud e Isole (si veda grafico a sinistra della figura 2). Per inciso, osservando i tassi regionali (non completamente affidabili dal punto di vista della significatività statistica e quindi non riportati qui) colpisce il fatto che il tasso di assenza sia superiore in Veneto rispetto alla Campania.
Come per i paesi europei, si potrebbe argomentare che le regioni hanno una struttura del mercato del lavoro diversa e che quindi i risultati per le tre aree geografiche sono frutto di una diversa distribuzione geografica di lavoratori pubblici e privati. Ma considerando il settore privato e il settore pubblico separatamente per Nord, Centro e Sud si ritrova, sostanzialmente, la stessa graduatoria (grafico a destra della figura 2). A differenza delle evidenze per l'Europa, supportate da numerosi studi che sembrano andare nella stessa nostra direzione, in Italia non vi sono studi che supportano queste “grezze” evidenze empiriche. Possiamo, però, dire che la situazione sembra essere ben diversa da quanto ci dicono i luoghi comuni.
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[1] Il tasso è standardizzato per età e sesso, cosicché le differenze calcolate non sono influenzate dalla diversa struttura per età dei vari paesi.
[2] È una stima del numero atteso di anni di vita in buona salute. Si veda: http://epp.eurostat.ec.europa.eu/portal/page/portal/statistics/search_database.
Riferimenti Bibliografici
Gimeno D., Benavides F. G., Benach J., Amick B. C. (2004) Distribution of sickness absence in the European Union countries, Occupational and Environmental Medicine, 61, 867-869.
Ichino A., Maggi G. (2000) Work environment and individual background: explaining regional shirking differentials in a large Italian firm, The Quarterly Journal of Economics, August 2000. 1057-1090.
Osterkamp R, Röhn O (2007) Being on sick leave: possible explanations for differences of sick-leave days across countries. CESifo Economic Studies, 53(1):97-114.
* Dipartimento di Scienze Statistiche, Università degli studi di Padova
** Dipartimento di Scienze Statistiche, Università degli studi di Padova
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6 commenti
Ringrazio tutti per i commenti ai quali provo dare risposte generali che soddisfino tutti. - I dati fanno riferimento alle assenze per malattia (malattia del rispondente e non del figlio o di un altro familiare) registrate dalle indagini sulle forze lavoro armonizzate da Eurostat. - I tassi sono calcolati sul totale dei lavoratori. e standardizzati per sesso ed età, quindi i confronti vengono fatti assumendo una struttura del mercato del lavoro per sesso ed età identica in tutte le regioni e in tutti i paesi europei coinvolti nell'analisi. - Gimeno et al. riportano, in realtà, anche i dati per l'Italia. Non riportato qui c'è anche l'articolo di Frick and Malo (2008) su Industrial Relations, Vol. 47, No. 4 (October 2008). In questi appare come l'Italia sia tra i paesi con il tasso di assenza per malattia tra i più bassi - L'ipotesi di un effetto "doppio lavoro" è in effetti plausibile, anche se non facile da verificare - Certamente molte differenze dipendono anche dalla disponibilità di servizi per l'infanzia. Ad esempio, una spiegazione del dato olandese (tasso di assenza per malattia molto elevato) può essere data anche dall'elevato costo dei servizi per l'infanzia in quel paese. Di contro ottenere un permesso per malattia in olanda è decisamente facile (si pensi che non è richiesto nessun certificato) e quindi appare normale che le famiglie ricorrano spesso a "finte" malattie per accudire i figli. - Non mi è chiaro qual è il collegamento con l'età al pensionamento delle donne in Europa, ma il fatto che i tassi siano standardizzati per sesso ed età dovrebbe rassicurare su possibili effetti distorcenti della diversa struttura del mercato del lavoro nei vari paesi
inserito da Stefano Mazzuco il 09/12/2009 - 16:48:38
Vi ringrazio per l' articolo che serve a contrastare i pregiudizi, mi piacerebbe conoscere anche i dati relativi all'età pensionabile delle donne in Europa considerando anche i periodi di assenza per maternità, perchè le cittadine europeee hanno ben altri diritti rispetto alle italiane, le inglesi ad esempio, possono restare a casa dopo la gravidanza fino a cinque anni di età del figlio e la ratio della norma è nel fatto che i bambini a quell'età in quel Paese possono frequentare la scuola dell'obbligo.Grazie e cordiali saluti.
inserito da Romana Mancini il 04/12/2009 - 11:19:12
Il dato del Sud potrebbe essere spiegato dal fatto che durante l'assenteismo si svolge un doppio lavoro e che questo è percepito come socialmente accettabile e quindi riferito nel corso dell'intervista? Un'altra considerazione. La comparazione per aree territoriali in Italia tiene conto della minore presenza di donne occupate nel Sud visto che, per le donne, molte assenze dal lavoro sono motivate da malattia dei figli e assenza di strutture di supporto?
inserito da Gabriella Sebastiani il 03/12/2009 - 17:11:22
Grazie per i complimenti e per il commento. In realtà, i tassi sono standardizzati anche per sesso (oltre che per età). Comunque, calcolando i tassi separatamente per i due sessi non emergono differenze significative se non una maggior propensione all'assenza per malattia da parte delle donne. Questa differenza è particolarmente marcata dove i sevizi di childcare sono particolarmente costosi (ad esempio, in Olanda). Non cambia, invece, la "graduatoria" tra i paesi, e le donne dei paesi nordici sono più assenti dal lavoro rispetto alle italiane, così come le donne del Sud Italia sono meno assenti dal lavoro rispetto a quelle del Nord Italia.
inserito da Stefano Mazzuco il 28/11/2009 - 15:37:39
non mi è chiaro quale è la vostra fonte di dati. Istat e similari a livelloEU? l'indagine non è mirata a capire l'assenteismo, la domanda del questionario non è mirata a questo problema. la letteratura comparativa che citate non ha l'italia perchè il dati italiano non è disponibile. Che il nord est e il centro abbiano i tassi più alti è noto a chi lavora sul problema italiano delle assenze. I microdati su cui stiamo lavorando confermano questo fenomeno. buon lavoro
inserito da alessandra del boca il 27/11/2009 - 14:26:21
intanto complimenti per l'articoletto agli autori! mi sonopermessa di fermarmi a leggerlo anche se oggi non sarebbe la giornata migliore. Ho un solo dubbio: poichè temo che ci siamo differenze di comportamento sul alvoro ancheper quanto riguarda il sesso, si può verificare se i risultati tengono anche qaundo si standardizza per sesso (immaginoper esempio che al sud o nei paesi nordici ci siano più donne nel mercato del lavoro; non so bene invece come posono oeprare gli effetti struttura per sesso per la pubblica amministrazione). Buon lavoro comunque.
inserito da fausta ongaro il 26/11/2009 - 12:36:10
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Struttura per età
sabato 19 giugno 2010
Barbarie del decreto-ricatto Marchionne
Barbarie del decreto-ricatto Marchionne
Marchionne, il grande stratega planetario, il salvatore della Fiat come lo ha definito sbavando di ammirazione Piero Fassino, è molto nervoso per il fatto che al suo schioccar di frusta il Sindacato non sia tutto accorso ai suoi piedi. Certo, Cisl,Uil, UGL,e Fismic (?) hanno firmato senza discutere il suo decreto e, tanto per salvare la faccia, hanno pietito ed ottenuto la cosidetta "clausola di raffreddamento" una norma che dà un minimo di procedura alle punizioni della Fabbrica-Caserma ma non ne corregge la fondamentale lesione del diritto costituzionale. Ma il Sindacato che incarna le ragioni dei lavoratori è la Fiom e la sua resistenza innervosisce la Fiat ed il padronato italiano. Resiste la Fiom nonostante l'assedio sempre più duro e petulante di tutto il benpensantismo nazionale, di una CGIL imbarazzata che preferirebbe trovarsi altrove e di un PD che è il partito Fiat più affidabile che la famiglia Agnelli abbia in Italia. Pd affidabile assai di più del PdL che è sempre stato ostile alla Fiat e capeggiato dal parvenu Berlusconi a suo tempo gli fece sfregio di presentarsi ad un incontro sgommando su possenti BMV e Audi. Fassino ha quasi intimato ieri agli operai di accettare l'accordo riconoscendo che è duro e che è fuori legge versandovi sopra la maramaldesca criminalizzazione dell'addebito della scarsa produttività degli operai.
Se le cose Fiat vanno male non è perchè le auto prodotte non siano il meglio o perchè c'è una burocrazia dei piani alti dell'azienda degna di un ministero sovietico ma perchè gli operai sono assenteisti e magari, come si è permesso di scrivere Statera, rubano....
Il PD pencola fortemente dalla parte di Marchionne. Il portavoce per i problemi del lavoro Fassina
e l'ineffabile Letta junior si affrettano a rassicurare che "l'accordo di Pomigliano non sarà un precedente o um modello....perchè si rendono conto di quanto sia indigesto e velenoso e lo vogliono far passare fingendo di criticarlo....
Marchionne si sta comportando stupidamente.La stupidità di una persona che vive fuori dal mondo, nel chiuso del suo regno di managers e supermanagers che guadagnano milioni di euro e che non sanno più come e dove vive la gente. Managers che si servono di specialisti, professori universitari che
studiano come fare dell'operaio la parte vivente del macchinario di fabbrica e stabiliscono il numero di
movimenti che si debbono fare in un giorno magari saltando il pasto e con un cronometrista alle calcagna anzi incorporato della stessa linea di produzione. Ieri il Nostro è stato assai incauto ed ha attaccato a testa bassa gli operai di Termini Imerese già licenziati seppur con data appena differita offendendoli e consegnandoli alla canea di pennivendoli che non attendono di meglio per mettere alla gogna i fannulloni ed i ladri difesa dalla Fiom. Lo stesso Bonanni che ha quattro palmi di pelo sullo stomaco si è allarmato per l'errore di "comunicazione" di Marchionne ed è intervenuto invitandolo ad "avere pazienza", ad essere meno fremente, più cauto. Bonanni sa come fare per spezzare le reni alla resistenza operaia e confida in un quadro generale della politica che si muove in senso favorevole alle pretese Fiat. La stessa idea della fiaccolata degli imploranti che avrebbe dovuto
ripetere la grande marcia dei quarantamila che invocarono il ritorno al lavoro a Torino trenta anni fa
è stata un errore. La manifestazione non è riuscita e nonostante la probabile mobilitazione della camorra per il suo successo. Sappiamo che la camorra ha interessi che oggi coincidono con quelli
del successo della sfida Marchionne.
Ma il piatto della partita Marchionne è troppo indigesto e tuttora non si riesce a costruire un clima di isolamento della Fiom, di criminalizzazione degli operai, di sostegno alle "innovazioni", alla "modernità" del nuovo catechismo della vita in Fiat. La tesi del conservatorismo dei sindacalisti della Fiom, del loro non farsi carico delle problematiche della globalizzazione, stenta a penetrare una opinione pubblica che, questa volta, non si è lasciata infinocchiare dagli Ichino, dai Boeri e della falsa "saggezza" del gruppo dirigente del PD. La cultura dei costituzionalisti democratici è entrata in campo accanto agli operai ed alla Fiom dando splendore, lucidità e forza di argomentazione giuridica alle loro tesi.
L'entità del pericolo che incombe su venti milioni di lavoratori italiani è stato avvertito. Anche se il cosidetto referendum darà una maggioranza ai si, la convinzione di essere trascinato all'indietro nel gorgo di una barbarie premoderna persiste e resterà nell'aria. I si sono obbligati da uno stato di necessità, dalla responsabilità dei lavoratori verso le loro famiglie sfruttata cinicamente contro di loro.
L'ordito della Fiat contro i diritti è riscontrato da una accelerazione degli attacchi del governo alla Costituzione. Fino a quando resterà questa Costituzione anche se
l'accordo sarà attuato nessuno potrà garantire nè la Fiat nè il capitalismo italiano da un pronunciamento della Corte, da una sentenza del Giudice. Per questo la destra italiana
con i suoi immumerevoli consiglieri e specialisti è impegnata freneticamente nelle riforme politiche. Questa destra non viene contrastata dal PD dove tutto il gruppo dirigente a cominciare dai torinesi Chiapparino e Fassino si è schierato con la Fiat e con il nuovo Vangelo del Capitalismo italiano e della sua Ideologia di dominio.
Pomigliano D'Arco è il grimaldello scelto dal capitalismo per imporre la sua definitiva supremazia sui lavoratori che vengono spogliati dei diritti contrattuali e costituzionali e privati del sindacato come loro rappresentante collettivo. Non a caso è stato scelto come terreno di scontro
un territorio affollatissimo ed in preda ad una profonda crisi economica e sociale
punto importante del lavoro nero. Le nuove prescrizioni dettate da Marchionne sebbene firmate da quattro sindacati non sono state oggetto di trattativa. La firma sindacale è una presa d'atto, una risposta al ricatto "prendere o lasciare". Se la Fiom dovesse firmare firmerebbe la condanna a morte del diritto dei lavoratori di avere un Sindacato, un soggetto collettivo che li rappresenta e ne tutela gli interessi. Non sarà mai più come oggi e sarà come se ogni singolo lavoratore accettasse a titolo personale il suo nuovo status. Il Sindacato come soggetto collettivo e conflittuale, elemento di una dialettica degli opposti, scompare per dare posto alla "americanizzazione" agiuridica del lavoro, alla solitudine del singolo lavoratore anche se presta la sua attività assieme a migliaia di suoi colleghi. La nuova fabbrica sarà un lager dove il peso della gerarchia diventerà assai più incombente di quanto non lo sia oggi.
Non è vero quanto affermano dirigenti del PD come Letta che il decreto Marchionne di Pomigliano resterà una eccezione. Niente di quanto si distrugge del diritto è una eccezione. Non si torna indietro dalle nuove norme. Non lo è stata la legge Biagi che fu confermata dal governo Prodi e consacrata dagli accordi del 2007 la quale continua a produrre precariato che si aggiunge agli infelici sei o sette milioni di schiavi cocopro e similibus. Non lo sarà l'allegato lavoro che attacca alle spalle l'art.18 ed apre la strada alla abrogazione dello Statuto dei Diritti dei Lavoratori. La fabbrica Marchionne diventerà la Nuova fabbrica italiana. Non a caso Ichino ne parla come di una cosa da mostrare agli investitori esteri perchè vedano in Italia la Cina d'Europa.
Non è neanche detto che la produzione della Panda abbia un futuro luminoso, un mercato in espansione nei prossimi anni. Se dovesse andare male ci troveremo senza lavoro e senza diritti, ci ritroveremmo riportati indietro nel tempo. La proposta "giudiziosa" di coloro che invitano a stringere i denti
ed accettare perchè in futuro le cose potranno migliorare e finchè c'è vita c'è speranza per il meglio
è molto debole perchè l'industria automobilistica non ha un brillante futuro e sarebbe meglio cominciare a pensare ad una industria diversa ed ad un modello di sviluppo basato sui consumi collettivi e su una diversa priorità nell'uso delle risorse. Inoltre l''asiatizzazione dell'Italia è difficile da realizzare dal momento che le famiglie operaie hanno costi incomprimibili e crescenti imposti dalla privatizzazione dei servizi e dal deperimento del welfare. Il lavoratore italiano non si può portare al livello dell'ex contadino cinese, espulso dalla sua terra ed arruolato come schiavo di un mostruoso PIL che deve gonfiarsi ogni anno. Meglio adattare l'industria italiana al livello dei salari europei senza la follia di continui abbassamenti che fomenterebbero tensioni incontenibili e puntare verso una coesione sociale in cui gli italiani tornano ad essere una nazione che costruisce solidarmente il suo cammino nel mondo. Meglio nessuna fabbrica al posto della fabbrica lager di Marchionne che accelererà la decomposizione della unità nazionale e della sua civiltà proprio nel 150 anniversario della fondazione dello Stato. Se dovesse perdere il referendum la Fiat scoprirebbe il suo bluff. Non tornerebbe in Polonia. Non è in grado di deteriorare i suoi rapporti con l'Italia specialmente dopo la condanna a morte di Termini Imerese ed il ridimensionamento dei suoi impianti del Nord. Dovrà rinunziare alla soverchieria. Mi auguro che la Fiom abbia un cuore fortissimo, capace di reggere la tensione enorme che si accumula sui suoi dirigenti. Finora il dopo Rinaldini appare una prosecuzione
intelligente, colta e motivata della sua tradizione.
Pietro Ancona
http://medioevosociale-pietro.blogspot.com/
www.spazioamico.it
http://www.rainews24.it/it/news.php?newsid=141939
Marchionne, il grande stratega planetario, il salvatore della Fiat come lo ha definito sbavando di ammirazione Piero Fassino, è molto nervoso per il fatto che al suo schioccar di frusta il Sindacato non sia tutto accorso ai suoi piedi. Certo, Cisl,Uil, UGL,e Fismic (?) hanno firmato senza discutere il suo decreto e, tanto per salvare la faccia, hanno pietito ed ottenuto la cosidetta "clausola di raffreddamento" una norma che dà un minimo di procedura alle punizioni della Fabbrica-Caserma ma non ne corregge la fondamentale lesione del diritto costituzionale. Ma il Sindacato che incarna le ragioni dei lavoratori è la Fiom e la sua resistenza innervosisce la Fiat ed il padronato italiano. Resiste la Fiom nonostante l'assedio sempre più duro e petulante di tutto il benpensantismo nazionale, di una CGIL imbarazzata che preferirebbe trovarsi altrove e di un PD che è il partito Fiat più affidabile che la famiglia Agnelli abbia in Italia. Pd affidabile assai di più del PdL che è sempre stato ostile alla Fiat e capeggiato dal parvenu Berlusconi a suo tempo gli fece sfregio di presentarsi ad un incontro sgommando su possenti BMV e Audi. Fassino ha quasi intimato ieri agli operai di accettare l'accordo riconoscendo che è duro e che è fuori legge versandovi sopra la maramaldesca criminalizzazione dell'addebito della scarsa produttività degli operai.
Se le cose Fiat vanno male non è perchè le auto prodotte non siano il meglio o perchè c'è una burocrazia dei piani alti dell'azienda degna di un ministero sovietico ma perchè gli operai sono assenteisti e magari, come si è permesso di scrivere Statera, rubano....
Il PD pencola fortemente dalla parte di Marchionne. Il portavoce per i problemi del lavoro Fassina
e l'ineffabile Letta junior si affrettano a rassicurare che "l'accordo di Pomigliano non sarà un precedente o um modello....perchè si rendono conto di quanto sia indigesto e velenoso e lo vogliono far passare fingendo di criticarlo....
Marchionne si sta comportando stupidamente.La stupidità di una persona che vive fuori dal mondo, nel chiuso del suo regno di managers e supermanagers che guadagnano milioni di euro e che non sanno più come e dove vive la gente. Managers che si servono di specialisti, professori universitari che
studiano come fare dell'operaio la parte vivente del macchinario di fabbrica e stabiliscono il numero di
movimenti che si debbono fare in un giorno magari saltando il pasto e con un cronometrista alle calcagna anzi incorporato della stessa linea di produzione. Ieri il Nostro è stato assai incauto ed ha attaccato a testa bassa gli operai di Termini Imerese già licenziati seppur con data appena differita offendendoli e consegnandoli alla canea di pennivendoli che non attendono di meglio per mettere alla gogna i fannulloni ed i ladri difesa dalla Fiom. Lo stesso Bonanni che ha quattro palmi di pelo sullo stomaco si è allarmato per l'errore di "comunicazione" di Marchionne ed è intervenuto invitandolo ad "avere pazienza", ad essere meno fremente, più cauto. Bonanni sa come fare per spezzare le reni alla resistenza operaia e confida in un quadro generale della politica che si muove in senso favorevole alle pretese Fiat. La stessa idea della fiaccolata degli imploranti che avrebbe dovuto
ripetere la grande marcia dei quarantamila che invocarono il ritorno al lavoro a Torino trenta anni fa
è stata un errore. La manifestazione non è riuscita e nonostante la probabile mobilitazione della camorra per il suo successo. Sappiamo che la camorra ha interessi che oggi coincidono con quelli
del successo della sfida Marchionne.
Ma il piatto della partita Marchionne è troppo indigesto e tuttora non si riesce a costruire un clima di isolamento della Fiom, di criminalizzazione degli operai, di sostegno alle "innovazioni", alla "modernità" del nuovo catechismo della vita in Fiat. La tesi del conservatorismo dei sindacalisti della Fiom, del loro non farsi carico delle problematiche della globalizzazione, stenta a penetrare una opinione pubblica che, questa volta, non si è lasciata infinocchiare dagli Ichino, dai Boeri e della falsa "saggezza" del gruppo dirigente del PD. La cultura dei costituzionalisti democratici è entrata in campo accanto agli operai ed alla Fiom dando splendore, lucidità e forza di argomentazione giuridica alle loro tesi.
L'entità del pericolo che incombe su venti milioni di lavoratori italiani è stato avvertito. Anche se il cosidetto referendum darà una maggioranza ai si, la convinzione di essere trascinato all'indietro nel gorgo di una barbarie premoderna persiste e resterà nell'aria. I si sono obbligati da uno stato di necessità, dalla responsabilità dei lavoratori verso le loro famiglie sfruttata cinicamente contro di loro.
L'ordito della Fiat contro i diritti è riscontrato da una accelerazione degli attacchi del governo alla Costituzione. Fino a quando resterà questa Costituzione anche se
l'accordo sarà attuato nessuno potrà garantire nè la Fiat nè il capitalismo italiano da un pronunciamento della Corte, da una sentenza del Giudice. Per questo la destra italiana
con i suoi immumerevoli consiglieri e specialisti è impegnata freneticamente nelle riforme politiche. Questa destra non viene contrastata dal PD dove tutto il gruppo dirigente a cominciare dai torinesi Chiapparino e Fassino si è schierato con la Fiat e con il nuovo Vangelo del Capitalismo italiano e della sua Ideologia di dominio.
Pomigliano D'Arco è il grimaldello scelto dal capitalismo per imporre la sua definitiva supremazia sui lavoratori che vengono spogliati dei diritti contrattuali e costituzionali e privati del sindacato come loro rappresentante collettivo. Non a caso è stato scelto come terreno di scontro
un territorio affollatissimo ed in preda ad una profonda crisi economica e sociale
punto importante del lavoro nero. Le nuove prescrizioni dettate da Marchionne sebbene firmate da quattro sindacati non sono state oggetto di trattativa. La firma sindacale è una presa d'atto, una risposta al ricatto "prendere o lasciare". Se la Fiom dovesse firmare firmerebbe la condanna a morte del diritto dei lavoratori di avere un Sindacato, un soggetto collettivo che li rappresenta e ne tutela gli interessi. Non sarà mai più come oggi e sarà come se ogni singolo lavoratore accettasse a titolo personale il suo nuovo status. Il Sindacato come soggetto collettivo e conflittuale, elemento di una dialettica degli opposti, scompare per dare posto alla "americanizzazione" agiuridica del lavoro, alla solitudine del singolo lavoratore anche se presta la sua attività assieme a migliaia di suoi colleghi. La nuova fabbrica sarà un lager dove il peso della gerarchia diventerà assai più incombente di quanto non lo sia oggi.
Non è vero quanto affermano dirigenti del PD come Letta che il decreto Marchionne di Pomigliano resterà una eccezione. Niente di quanto si distrugge del diritto è una eccezione. Non si torna indietro dalle nuove norme. Non lo è stata la legge Biagi che fu confermata dal governo Prodi e consacrata dagli accordi del 2007 la quale continua a produrre precariato che si aggiunge agli infelici sei o sette milioni di schiavi cocopro e similibus. Non lo sarà l'allegato lavoro che attacca alle spalle l'art.18 ed apre la strada alla abrogazione dello Statuto dei Diritti dei Lavoratori. La fabbrica Marchionne diventerà la Nuova fabbrica italiana. Non a caso Ichino ne parla come di una cosa da mostrare agli investitori esteri perchè vedano in Italia la Cina d'Europa.
Non è neanche detto che la produzione della Panda abbia un futuro luminoso, un mercato in espansione nei prossimi anni. Se dovesse andare male ci troveremo senza lavoro e senza diritti, ci ritroveremmo riportati indietro nel tempo. La proposta "giudiziosa" di coloro che invitano a stringere i denti
ed accettare perchè in futuro le cose potranno migliorare e finchè c'è vita c'è speranza per il meglio
è molto debole perchè l'industria automobilistica non ha un brillante futuro e sarebbe meglio cominciare a pensare ad una industria diversa ed ad un modello di sviluppo basato sui consumi collettivi e su una diversa priorità nell'uso delle risorse. Inoltre l''asiatizzazione dell'Italia è difficile da realizzare dal momento che le famiglie operaie hanno costi incomprimibili e crescenti imposti dalla privatizzazione dei servizi e dal deperimento del welfare. Il lavoratore italiano non si può portare al livello dell'ex contadino cinese, espulso dalla sua terra ed arruolato come schiavo di un mostruoso PIL che deve gonfiarsi ogni anno. Meglio adattare l'industria italiana al livello dei salari europei senza la follia di continui abbassamenti che fomenterebbero tensioni incontenibili e puntare verso una coesione sociale in cui gli italiani tornano ad essere una nazione che costruisce solidarmente il suo cammino nel mondo. Meglio nessuna fabbrica al posto della fabbrica lager di Marchionne che accelererà la decomposizione della unità nazionale e della sua civiltà proprio nel 150 anniversario della fondazione dello Stato. Se dovesse perdere il referendum la Fiat scoprirebbe il suo bluff. Non tornerebbe in Polonia. Non è in grado di deteriorare i suoi rapporti con l'Italia specialmente dopo la condanna a morte di Termini Imerese ed il ridimensionamento dei suoi impianti del Nord. Dovrà rinunziare alla soverchieria. Mi auguro che la Fiom abbia un cuore fortissimo, capace di reggere la tensione enorme che si accumula sui suoi dirigenti. Finora il dopo Rinaldini appare una prosecuzione
intelligente, colta e motivata della sua tradizione.
Pietro Ancona
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