lunedì 5 novembre 2007

poesie di zingari

Libero come la musica zigana

Sono nato sotto una tenda
in una notte d'estate
in un accampamento zingaro
ai margini della citta.
I grilli mi cantavano la ninna nanna
la luna mi fasciava di raggi d'oro
e le donne vestivano gonne fiorite.
Sono crescutio su un carro
dalle ruote scricchiolanti.
Eravamo ragazzi
senza ieri e senza domani
mendicavamo il pane nella pioggia e al sole
correvamo incontro ai nostri sogni
alle nostre fantasie nel bosco.

Ora sono diventato grande
la mia tenda e distrutta
il mio carro si e fermato.
Ma cammino ancora per essere libero
come il vento che scuote il bosco
come l'acqua che scorre verso il mare
come la musica di un violino zigano.




Alle porte della citta

Alle porte della citta
aspetto
un sorriso.
Tu hai ballato nel bagliore del fuoco,
con la musica del mio violino,
ma non hai visto
la mia tristezza.
Alle porte della citta
aspetto
una mano.
Sei venuto nella mia tenda,
ti sei riscaldato al fuoco,
ma non hai calmato
la mia fame.

Alle porte della citta
aspetto
una parola.
Hai scritto lunghi libri
hai posto mille domande,
ma non hai aperto
la mia anima.

Alle porte della citta
aspettano con me
molti zingari.




Súne fan térne džipén Sinténgre Sogno d'infanzia zingara

Dinkráo zénale ves
táli fan súni
smáka kafeiákri tassárla
kráčamen fan u rad
kuándo vúrdia džána veg
an u lámbsko drom.
Bindžeráo u ves
bindžeráo u drom
bindžeráo u fráiapen.
U ruk unt u bar
sikrésman vágane permísse
vágane bráuxa.
E vínta rakrés mánge
vágane gíja
fan bássapen sinténgro.
Kamáo u ves
kamáo u drom
kamáo u fráiapen.

U súni fan u térne džipén
svintíslo ha furt.
Kálča unt máuro
unt kher ápi húfka.
Bus jek drom
dživés man papáli.
Hóski lé mándar u ves
hóski lé mándar u drom
hóski lé mándar u fráiapen?
Ricordo verdi boschi
vallate di sogni
profumo di caffe al mattino
scricchiolio di ruote
alla partenza dei carri
cerso il lungo cammino.
Conosco il bosco
conosco la strada
conosco la liberta.
Gli alberi e i sassi
mi insegnavano storie antiche,
saggezza degli avi.
E il vento sussurrava
melodie lontane
di musiche zingare.
Amo il bosco
amo la strada
amo la liberta.

Il sogno dell'infanzia
e svanito per sempre.
Cemento e muro
e case ammucchiate.
E l'unica strada
mi porta indietro.
Perché mi togli il bosco
perché mi togli la strada
perché mi togli la liberta?





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"Hexo" Luciano Cari


Mancano notizie di carattere biografico su questo poeta. E' probabile che si tratti, data l'omonimia, di un parente di "Mauso" Olimpio Cari; quantomeno egli appartiene quasi certamente allo stesso gruppo dei Sinti estrekarja anche se le uniche due poesie, pubblicate oltre venti anni fa su Lacio Drom, non forniscono indicazioni in proposito essendo scritte solo in italiano.
Colpisce di questi componimenti il contenuto abbastanza atipico e privo di riferimenti diretti al mondo zingaro.






Il mare

Nacqui nel Nord, in pianura,
un giorno di nebbia
e da allora pianura
di nebbia e nebbia sono state catene.
Rare le evasioni
sempre breve l'estate
e troppo spesso
in fondo alla starda un muro.
Percio amo il mare
questo infinito giocattolo vivo
nel quale ritrovo i giorni piu belli
della mia infanzia e insieme
l'infanzia del mondo
e insieme le lunghe navi fenici e gli eroi
che ritornavano nel sole di ogni mattina
d'estate galoppando su bianchi cavalli
la dove l'onda si ritira e la rena
per un attimo alita strisce di luce.
Cosi nel mare ritrovo la mia vita piu vera
e che importa se dopo
su al Nord, nella terra d'esilio ove nacqui,
mi attendono ancora
le mie catene.




Sono un principe reale


Ero nel buio
e non vedevo mai
la luce del sole.
Ero incatenato,
poi
ho veduto la luce.
Andai via
con la mia nave
in mare.
E non notti
e non giorni.
Andai sempre avanti
per tanti anni,
poi
trovai la terra saggia,
un'isola deserta trovai.
Un giorno
combattei leale
per amore.
Sono un principe reale.




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"Spatzo" Vittorio Mayer Pasquale
Spatzo nella lingua dei Sinti Estrekárja significa "uccellino, passero", un soprannome che ci richiama al senso di quella libertŕ spesso rievocata da questo poeta che nel corso della sua vita ha conosciuto momenti di intensa sofferenza.
Attraverso le sue poesie, di fronte alle avversita della sorte, Spatzo ci dimostra di aver saputo conservare intatta quell'anima zingara fatta di cose semplici ed immediate.
Altre poesie di Spatzo sono pubblicate nella pagina principale di questo sito: italian.htm#Spatzo




Ap mar fénstri (alla mia finestra) Il lamento del prigioniero

Ap mar fénstri
jek tíkno čírklo
givéla.
Mur Herz an mánde
rovéla.
Hatsjóm jek blúma
ab i čik...
Duj suá diénla
i džibén.
Me hom har du
o blúma...
Vri fon i víza
meráva ! Sulla sbarra della finestra
un uccellino
canta.
Col suo canto
piange il mio cuore.
Ho trovato un fiore
per terra...
due lacrime la vita
gli han ridato.
Io sono come te
o fiorellino...
Fuori dal verde
prato muoio !



Deportazione

Cielo rosso di sangue,
di tutto il sangue dei Sinti
che a testa china e senza patria,
stracciati affamati scalzi,
venivano deportati,
perché amanti della pace e della libertŕ,
nei famigerati campi di sterminio.
Guerra che pesi
come vergogna eterna
sul cuore dei morti e dei vivi,
che tu sia maledetta.



T'nas velto har sinto Se non fossi nato zingaro

T'nas velto har sinto
na kamavas i lixta,
naj vaves but
u farvi fon u blumi.
T'na lajdiomes
naj kraves pre
u jis ap hofnuga,
na vaves baxtale
ti vap jek sinto.
Naj ohne kamlaben
na šunaves zorle
i frajda fon jek galin,
i šmaxta fon jek duxo,
ketne fon smajxla.
Ti na viomen srakardó
krat har sinto...
na vaves froh
ti vap jek rom sinto. Se non fossi nato zingaro
non amerei la luce,
non godrei appieno
i colori dei fiori.
Se non avessi sofferto
non potrei aprire
il cuore alla speranza,
non sarei felice
di essere zingaro.
Se non fossi stato senza amore
non sentirei cosi forte
la gioia di un abbraccio,
la potenza di un respiro,
l'intensita di una carezza.
Se non fossi stato calpestato
proprio perché zingaro...
non sarei felice
d'essere un uomo zingaro.

18/5/2005

Spatzo ci ha lasciati.

La malattia che lo aveva colpito negli ultimi mesi non lasciava speranza ma la notizia della scomparsa di una persona cara ci trova comunque sempre impreparati.
Chi, come me, ha avuto la fortuna di incontrarlo condividendo sentimenti, emozioni ed ideali piange oggi la perdita di un amico e di un fratello.

Egli stato un esempio di amore per la propria gente e per le sue tradizioni.
Latcho drom, pral! Tu tsches imar an mengre Herz!

S.F.




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"Joška" Michele Fontana


Sinto d'adozione, "Joška" Michele Fontana ha scritto diverse poesie nel dialetto dei Sinti Eftavagarja. Sul filo dei canti di Sicilia, dove e nato, fin da bambino sentiva urgere in sé la poesia e il desiderio del canto.




Har vijóm ap u vélto La mia nascita

Me, Joška Míkael Brúna,
díves deš-jek vijóm ap u vélto
deš-jek u mónto
krat i deš-jekákre.
Múlo, kaj,
har,
kána unt hóske?
Jek hi mur lánto,
jek kókro mur rai:
u grábo. Io, Ioška Michele Fontana,
nato il giorno undici
undici il mese
alle ore undici.
Morto, dove,
come,
quando e perché?
Una la mia patria,
uno solo il mio signore:
la tomba.



Tel mónto Tramonto

Lóli vólka
dur har jak.
I Sintítsa džála
mit péskro kráitso.
Vél-li pála, táisa? Nuvola rosata
lontana come fuoco.
La Zingarella va
con il suo mistero.
Tornerŕ domani?



Ho keráva? Cosa faro?

Moleráva kaj rat?
na, na sunáva man!
Ho keráva?
Hi táusenti gedánki
platserdé an mur šéro.
Kíče vúnči
langréla u šéro?
Ferláika hi mol?
O mol kai keréla pré
u vúdar an džibén.
Haj vúnča von fráiben!
Kamáv te našél; te fligél,
le ap man fon káva
parapén kai traukarél man.
Hom jek Sínto!
Jek molári, jek džipáskro.
Ho keráva?
Lezaráva, šrajveráva:
hi fédar te rováv.
Nur u robén
laixteréla man?
Kaj rat?
Nína kája húnte
džála forbái.
U térno džibén
hi kúmi an mánde.
Kána déla čas
mur bókalo dži?
Kíno, kaméla
či ti čáva kaj:
dikáva súni?
1968
Dipingere questa sera?
No, non mi sento!
Che faro?
Sono mille pensieri
che occupano la mente.
Quanti desideri
arguisce la mente?
Forse e il vino?
Il vino, che apre
le porte al piacere.
Che desiderio di liberta!
Vorrei correre, volare,
liberarmi di questo peso
che mi opprime.
Sono uno Zingaro!
Un pittore, un tenore.
Che faro?
leggere, scrivere:
forse e meglio piangere.
Solo il pianto
potra acquietare l'onta?
ma questa notte?
Certo, anche questa
dovra passare.
Il furore della gioventu,
ancora sovrasta le fibre.
Quando ti acquieti
vorace mio cuore?
Stanco, e desideroso
qui non mi fermo:
forse sognero?



La mia alba

Nell'alba di quell'undici novembre
del millenovecento e fu trentuno,
di chiara luce brillava il firmamento:
ultimo raggio di fulgida luna.
Tra mare e cielo tinte di carminio,
risorge il sole di novella aurora.
Biancheggia l'onda fra nubi turchine,
all'orizzonte, mar che il sole indora.
Nell'aureo manto astro di sole
illumina il tuo raggio in puro cielo,
or che l'orsa volge all'altro polo
tutte le stelle della stratosfera.
Tu, che misteriosa illumini la via,
bacia gli amanti fidi nella sera.
Tra i campi verdi ed i giardini in fiore
lascia che io canti la mia poesia
nell'alba che rinnova
e da calore.
1969





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Silvio Tanoni


Nato a Pavia di Udine il 18 maggio 1902 e morto all'etŕ di 83 anni questo sinto marchigiano rappresenta un caso a sé nel panorama della letteratura zingara.
Artista di circo, di Luna Park e del teatro ambulante Silvio Tanoni fu regista di storie cavalleresche che rappresentava in giro per l'Italia. Componeva poesie che amava recitare ad amici e parenti e cio che di esse colpisce e un linguaggio estremamente colto che evoca reminescenze letterarie ottocentesche quando addirittura non epiche, frutto evidentemente della sua attivitŕ di teatrante e di animatore dello spettacolo viaggiante. Ad esso si associa inoltre un gusto per l'immagine, in cui citazioni classiche si inseriscono in un vivo sentimento della natura.




Al Belvedere

Nell'oscurita la mente abbraccia
Tutto cio che intorno ad ella volge
Di silenziosita la bruna faccia
Che cerchia intorno a sé e nulla scorge.
Se non del Belvedere la verde chioma
Che innalzasi dall'impavido colle
E da bellezza e l'attenzione chiama
Di color che passan nell'ubertosa valle.

Soggiorno di belta, verdi colline,
Sparso nell'erto suol pingue oliveto,
Mistico canto d'augellin sublime,
Loco ridente solitario e cheto.

Ecco dal Belveder i dolci raggi
Il molle sussurrar dell'onda appare,
Lucente riflettor di Febo i raggi
Nella distesa dell'immenso mare.

E quando il sol dispare e gia s'imbruna
L'opima valle, l'augellino tace
E s'addormenta nella verde cuna
Ov'e profonda silenziosa pace.




Da "Oggi 26 aprile 1952" (dal carcere)

Trabocco di dolor, il core e vinto
In questa tetra cella ove fui messo.
Serrato dentro e d'inferriate cinto
Lo stanco passo innanti e retro spesso.
Non piango dentro a me, bensi pietrisco
E tal mi serra il nodo della gola.
Miro dell'universo il largo disco
Ché innanzi agli occhi miei tutto si invola.

Le valli i colli l'alpe la pianura
I laghi i mari i fiumi ed i ruscelli
Mi toglie il bel veder quest'erto muro,
E il melodioso canto degli uccelli...

......

Mi sovvien dei versi del Divino
Poeta Dante, ove rammento
Gaddo Anselmuccio e il conte Ugolino,
Che per fame la loro vita fu spenta.

Al sesto di di loro prigionia
Spenti e scarni cadon ad uno ad uno
In quella terra che mai non si apria
Ove il dolor poté piu che il digiuno.

......

Senza movimento e senza lena
Tronche le membra e di forza privo
L'esausta forza mi riduce appena
A muovermi in branda semivivo.

E quivi passa in me tempo infinito
Chiuso come belva nella gabbia,
Che di dolore lancia il forte grido
Girando gli occhi di morbosa rabbia.

Chiudo questi versi e maledico
Il primo che invento pene e galera
Colui che rinserro il proprio amico,
Quell'anima malvagia e brulla e nera.




A te adorabile nipote

Idelma nel mio cor tu sei dipinta
E mai sapro scordar quel dolce nome
Il tuo bel viso e la fronte cinta
Di profumate e inanellate chiome.
Sei bella come quella primavera
Che alla natura da si belle cose
Angiol di bonta mite e sincera
Il tuo profumo sembra quel di rose.

Sei come farfallina svolazzante
Che vaga qua e la sotto il bel sole
E con le brune chiome al vento sparte
Di margherite in cerca e di viole.

Corri per i prati e per le valli
Al canto dell'augel che ti accompagna
E dalle cime e ghiacciate spalle
Cala il ruscel che la pianura bagna.




Dal "Dialogo fra Dio e San Pietro"

Vantan diritti ed io non ne so nulla
Uguali li creai fin dalla culla
E sono re perché gli altri son balordi.




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Santino Spinelli


Santino Spinelli, Rom Abruzzese, in arte Alexian, e nato a Pietrasanta di Lucca il 21 Luglio 1964 e risiede a Lanciano (Chieti). E' musicista, cantautore, polistrumentista. Dirige il Centro didattico musicale italiano di Lanciano. Fondatore e principale animatore, insieme alla moglie Daniela dell'associazione culturale rom "Them romanó" che pubblica l'omonimo giornale ed organizza ogni anno il concorso letterario "Amico Rom".
Alcune delle poesie di Santino nascono come testi di canzoni o lo diventano. Esse sono interessanti, oltre che per il contenuto e l'espressivitŕ, anche sotto il profilo linguistico essendo il romanés abruzzese uno tra i dialetti zingari italiani piů antichi.

Sito Internet di Santino Spinelli (in arte Alexian): http://web.tiscalinet.it/themromano




Gilurí Piccola poesia

Čijómmete upré
ndre i rat ta li čilinjá
a kirjommete.
Tu sinjan i gilí kju šukár
prisó vakirés tru jiló.
Su kirés ki ni gilí?
Dep ku tem.
Dža anglé! Gilurí,
de u lav ku jiló di li vavér
sar kirián ki mants;
pe li lav kju nguldé,
ta sa ki kulá ta rovén.
Dža! De ki li čavé
li lav di li dat
ta či ndre tem
u dživibbé romanés! Ti ho inventata,
tra la notte e l'alba
ti ho creata.
Sei la poesia piu bella
perché parli dal profondo del cuore.
Cosa farsene di una poesia?
la si dona al mondo.
Va' oltre! Piccola poesia,
inebria il cuore di altri
come hai fatto col mio;
sussurra le parole piu dolci,
sorridi a coloro che soffrono.
Vai! Reca ai figli
le parole dei padri
e scolpisci nel tempo
l'esistenza zingara!



Bučvibbé Serenata zingara

Džaratí si ni rat di bučimé
ta di sabbé;
ni bučvibbé mi šti džal
ki ni čajurí.
Bašavén bašaddé, violín
ta mundulín da i rat,
ta sa li džiné ta karjé
giljavén ta kilén tilár ki dut
tri čon ta di li dutjá
ka čen ndre u tem kaló.
I da ta u dat tru čavó tarnó
den mas ta mol kutár ta katár;
sinnél u širó sapanó
pru sabbé ta u pibbé.
Li džuvvjá ningirén tsoxá lunk
di kulur ka lel li kjá,
ni pitnés pru širó
ta u sunaká ta miliklé.
Li rom ačén ki ni kring
ta vakirén ku glas di mol
ndre li vast
ta u sabbé pru muj.
Tri giljá arrisén ndre li kan
tri giljá tarní,
čangvéppe tru suvibbé
ki ni sabburó pri li vust
ta ni dabburindró u jiló.
Du giljá ankór así pi li parént,
ka štién tru voddré
ta vakirenappéng.
na džanep ta den u lav,
ma pi džaratí li bašaddé
bašavén, bašavén...
bašavén. Questa notte e una notte di divertimento
e di allegria;
una serenata zingara avra luogo
per una giovane fanciulla.
Suoneranno fisarmoniche, violini
e mandolini tutta la notte,
mentre tutti gli invitati
canteranno e danzeranno al chiaror
della luna e delle stelle
che brillano nel cielo scuro.
I genitori del giovane zingaro
offrono carne e vino a destra e a manca;
hanno la fronte bagnata
per l'allegria e per il vino.
Le donne indossano lunghe vesti
sgargianti che abbagliano gli occhi,
un fermaglio per le trecce
e oro e preziosi.
Gli uomini sono disposti a gruppi
e chiacchierano recando in mano
un bicchiere di vino
e sul viso una gioia.
Tre suonate arrivano alle orecchie
della giovane fanciulla,
che si desta dal sonno
con un sorriso sulle labbra
e un palpito nel cuore.
Due suonate ancora per i suoi parenti,
che si destano dal letto
e iniziano le consultazioni.
Non si sa se accoglieranno la proposta,
ma per questa notte gli strumenti
suoneranno, suoneranno...
suoneranno.



Bušibbé romanó Maledizione zingara

Šurdé vašt kalé šdiné ku them,
paní milaló ačarél u širó
sa tritimmé,
ni luk ašunép pandindó,
nikt ašunél.
Džiné bi nafél
ku mirribbé ngirdé,
nikt a dikkjá
nikt a varikiá.
Mulé ridždžiddé
andré u paní milaló,
xalé muj anlál ku kham,
u ngustó a sinnl
angiál ki kon
a kwit ačiló. Gelide mani nere rivolte al cielo,
la palude ricopre la testa
schiacciata,
un grido soffocato si eleva,
nessuno ascolta.
Un popolo inerme
al massacro condotto,
nessuno ha visto
nessuno ha parlato.
cadaveri risorti
dalla palude,
orribili visi mostrati al sole,
il dito puntato
verso chi ha taciuto.





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Bruno Morelli
Bruno Morelli, Rom Abruzzese nativo di Avezzano, e persona di grande talento. Egli esprime la propria sensibilita e rivive le proprie esperienze di vita innanzitutto attraverso la pittura. In principio il suo lavoro ha inizio come autodidatta e successivamente, dopo aver ottenuto la Maturita Artistica nel IV Liceo Artistico di Roma, consegue il diploma in pittura presso l'Accademia di Belle arti dell'Aquila.
Essendo Rom, Bruno Morelli riporta nella pittura le influenze della sua cultura d'appartenenza. Egli e anche autore di alcune brevi poesie che si affiancano ai suoi dipinti.

Quelli che seguono sono versi inediti tratti dal catalogo della mostra "L'io o duo? Sentieri non praticabili del grande bosco" pubblicato in occasione dell'iniziativa "Incontro con la cultura romaní, l'altra faccia della medaglia: l'arte" che ha avuto luogo ad Avezzano nell'agosto del 1996.
I dipinti di Bruno Morelli sono pubblicati su questo sito nelle pagine a lui dedicate: morelli.htm



Li Rom I Rom

Li maččé andré u paní,
li čiliklé pru ruk,
li sap andré i bar,
li karmušé andré i xev.
Li Rom a kisté ki bravál
a si xulai tar u them. I pesci nell'acqua,
gli uccelli sull'albero,
i serpenti nella siepe,
i topi nella buca.
Gli Zingari a cavallo del vento
sono padroni del mondo.



I Braval Il Vento

I bravál a čingardél zuraré
a si šil
u kam a muló
na dikepp nikt avrí.
Čoruró sar ni džuv a sinjóm
na nem ništ ta dav tumend.
André kavá them
me sinjom u ruk
ta i Braval a gjavél
andré mand. Il Vento grida forte
e freddo
il sole e morto
non si vede nessuno in giro.
Sono povero come un pidocchio
non ho niente da dare agli altri.
In questo modo
io sono un albero
e il vento canta
dentro di me.



Mur dat Mio padre

Mur dat
Šung tar u grašt.
Šdinó, šukkó, bokkaló.
André li kja tiré
u sabbé, šukuár.
Tu kammián
kavá čavó tiró.
Dikkáv andré
i murtí tirí
u Rom, u džinó
u papú, li mulé mengr. Profumo di cavallo.
Alto, magro, affamato.
Dentro i tuoi occhi
il sorriso, bello.
Tu hai voluto
questo tuo figlio.
Vedo dentro
la crosta della tua pelle
un Rom, un uomo
il nonno, i nostri morti.




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