domenica 18 novembre 2007

class action di Furio Colombo






Editoriale


Classe e azione di classe

Furio ColomboNon sempre la classe è un principio marxista. Per esempio nel diritto americano la parola classe serve a identificare un gruppo - a volte vastissimo - di cittadini che sono stati colpiti da una stessa ingiustizia o danno o negazione di diritto, da parte di un’unica parte ritenuta colpevole. La legge e la pratica dei tribunali americani ammettono tutti quei cittadini a partecipare alla causa non nel senso che ciascuno dovrà presentarsi in tribunale con un suo avvocato, ma perché, una volta dichiarata colpevole e responsabile la parte che ha causato il danno o violato il diritto, tutti coloro che quel danno o quella violazione hanno subito, beneficeranno dell’esito favorevole del processo.Ora, con un emendamento molto discusso, molto denigrato, però approvato l’altro ieri dal Senato, la «class action» o azione di classe, entra anche nel diritto italiano. Per capire la portata civile e democratica di un simile cambiamento della legge, potrà essere utile leggere - o rileggere - il bel libro-documento di Felice Casson «La fabbrica dei veleni. Storie e segreti di Porto Marghera» (Sperling & Kupfer).Casson è stato l’implacabile e appassionato pubblico ministero di quel processo: 157 morti, 120 discariche abusive, 5 milioni di metri cubi di discariche tossiche. Tutto ciò a opera del Petrolchimico di Porto Marghera, difeso tenacemente dal patto di silenzio sottoscritto dalle maggiori industrie chimiche mondiali per tenere segreta la pericolosità estrema del cloruro di vinile. Tutto in questo libro esemplare dimostra che, a parte pochi eroi, dal medico della fabbrica al pubblico accusatore, la tragedia delle vittime è stata una storia di isolamento e di solitudine all’interno di un territorio avvelenato ben presidiato da chi non voleva responsabilità o grane. A quel tempo, in Italia, la «class action» non c’era. Ora c’è. Da un giorno.Il Presidente della Confindustria, Luca Cordero di Montezemolo, senza sorridere, ha definito ieri la “class action” approvata al Senato tra le urla, l’ira, (in un caso persino il pianto) dei senatori di Forza Italia, una «legge all’amatriciana».Immagino che la maggior parte dei cittadini sia stata colta di sorpresa dal viso cupo dell’imprenditore capo. E si sia posta la domanda: che cosa è la “class action” e perché dovrebbe spingere alla indignazione il rappresentante delle imprese italiane?Chi ha deciso di battersi per l’introduzione della “class action” nei codici italiani (il senatore Manzione dell’Unione) lo ha fatto in un momento favorevole dal punto di vista di ciò che un po’ tutti sappiamo. Infatti possiamo arrivare senza linguaggio giuridico e senza molte complicazioni a capire di che cosa si tratta. Basta ricordare tre film popolari per la maggioranza del pubblico. Li elenco in ordine di date: «Erin Brockovich», protagonista Julia Roberts, storia di una lunga e vittoriosa battaglia, prima di un individuo e poi di una “classe” contro una potente azienda che inquina intere comunità con il deposito clandestino delle sue scorie; «Sicko» di e con Michael Moore, che racconta la spaventosa ingiustizia e prevaricazione delle compagnie di assicurazione contro i malati disperati e soli che credevano di essere protetti, e spiega che solo con una “azione di classe” si può sperare di vincere una causa contro quei potentati; e, in questi giorni, il bel film «Michael Clayton» in cui George Clooney, uno degli attori-registi più impegnati nel suo Paese, racconta di un avvocato ricco e maneggione che si stanca di vincere sempre le sue remuneratissime cause difendendo grandi aziende contro isolati cittadini, spinge quegli isolati cittadini a presentarsi insieme al processo (decine, centinaia, migliaia di cittadini danneggiati che da soli non ce la farebbero mai), dimostra che la “azione di classe” è la sola speranza di vincere.È impossibile che Montezemolo non vada al cinema da dieci anni, e improbabile che consideri tre grandi storie processuali americane (tutte tratte da fatti veri) “all’amatriciana” cioè improvvisati, casalinghi e dunque - di fronte alla maestà delle leggi e alle esigenze del rigore giuridico- spregevoli.C’è un dato di meraviglia in più, in questo retrovia della vita giuridica e di quella parlamentare italiana. Il dato è che Montezemolo, che è avvocato in Italia, ha anche completato i suoi studi giuridici negli Stati Uniti. E dunque, nonostante l’insolito tono da capo-popolo (il popolo di molti suoi imprenditori, ma non dei migliori) che ha scelto di assumere, sa benissimo che cosa è, nella pratica giurisprudenziale americana , la “azione di classe”. Vuol dire che tutti coloro che possono dimostrare di essere parte lesa o danneggiata dalla azione di uno, tipicamente un’azienda responsabile di diffusione di massa di prodotti o iniziative pericolose, possono diventare istantaneamente, tutti insieme, controparte della causa. È uno dei momenti più alti e nitidi della democrazia americana. Là dove qualcuno, da solo, non conta niente e non può avere giustizia, “l’azione di classe” porta equilibrio di forze, dunque avvicina alla giustizia.Tutto ciò ci aiuta a capire che quando si dice, sia pure nell’ermetico linguaggio giuridico “azione di classe” la parola chiave non è nella parola Classe, che può provocare prontamente, e magari anche inconsciamente, rigurgiti ideologici. La parola è Democrazia. È la constatazione realistica che, in un dato confronto giudiziario, la dimensione, la potenza, la capacità di combattere di una corporation è immensamente più grande di quella di un individuo che - da solo - intenda far valere i suoi diritti negati o violati contro il gigante. La Democrazia è realista e sa che c’è differenza tra ricchi e poveri, tra grandi e piccoli e conosce pregi e limiti della sua azione fondata sui diritti alla pari. Ma poiché il pregio più grande della Democrazia è puntare sull’individuo e dotare ciascun individuo, anche il meno potente, della pienezza dei suoi diritti, ha permesso che si formasse nel diritto, nella giurisprudenza, qualcosa che si chiama “azione di classe” e che vuol dire: molte persone il cui stesso diritto è stato violato sono autorizzate ad agire insieme senza costringere ciascuno a costituirsi separatamente parte del processo con spese e avvocati.Un altro esempio. Ricordate quando Alberto Asor Rosa ha cercato di opporsi alla devastazione della sua valle in Toscana a causa della costruzione di centinaia di case a schiera insediate, con autorizzazione inclusa, da una grande impresa molto sensibile al bilancio e poco alla vallata? Nonostante il suo nome illustre, Asor Rosa era solo e senza la poderosa batteria di avvocati del costruttore. Una “azione di classe” avrebbe forse fermato lo scempio. Torniamo per un momento all’origine della “class action” italiana che è diventata - nella legge finanziaria approvata dal Senato due giorni fa - “l’emendamento Manzione”. Origina dalle iniziative del ministro Bersani che dice: «il consumatore (ma qui sarebbe meglio dire “il cittadino” n.d.r.) non può essere lasciato solo davanti a un torto».Torniamo all’obiezione detta e ripetuta: «che cosa c’entra l’azione di classe con la legge Finanziaria?». Qui la risposta viene ancora una volta dal buon senso americano. Proprio in questi giorni il Presidente Bush sta cercando di arginare le molte materie che deputati e senatori sono impegnati a inserire nella loro legge di bilancio, a volte perché quei provvedimenti sono necessari al Paese e non possono aspettare un altro veicolo legislativo, a volte perché la polarizzazione politica dei voti, che è tipica della legge di bilancio, rende più facile evitare lo sfarinamento fra troppi “distinguo” del consenso. A volte, anche, per rispondere all’impazienza degli elettori. E per la convenienza di tagliare i tempi. I nostri colleghi del Senato e della Camera americana le chiamano “leggi omnibus”, treni veloci con alcuni vagoni aggiunti, espediente per far viaggiare in fretta materiali legislativi di varia natura.Bush vede il problema del passaggio in massa di varie leggi impaccate in una. Si oppone accanitamente non per amor di Patria o di buona pratica legislativa, ma perché in tal modo troppe cose sfuggono al suo controllo, ai suoi posti di blocco politici. Il congresso non è amico del Presidente e questo spiega lo stato di tensione.In Italia, Repubblica parlamentare, la tensione è interna al Senato che ha un minimo margine di consenso. Non solo l’opposizione perde se la legge viene approvata nonostante le grottesche denigrazioni. L’opposizione perde se la Finanziaria comprende norme moderne e necessarie che innovano, perché in tal modo si arricchisce il pacchetto di cose ben fatte del governo e si indebolisce la catastrofica profezia dell’opposizione, battuta due volte: non è crollato niente. E si è costruito qualcosa.Ma perché allora l’invettiva così curiosamente impropria di un presidente di Confindustria avvocato e, per giunta, avvocato internazionale? Perché usare con linguaggio generico, approssimativo, di colore (più adatto a un personaggio tipo Billè, già presidente dei commercianti, se lo ricordate) per un emendamento ispirato a un principio noto e adottato nel mondo? Una risposta la offre un illustre giurista, Carlo Federico Grosso: «le imprese non ci stanno perché oggi sono favorite» ovvero privilegiate. Infatti, spiega Grosso, «la situazione attuale italiana è tutta sbilanciata a favore delle imprese. Con la “class action”, Parmalat sarebbe stata un’altra cosa e lo sarebbero stati il caso Cirio e il caso Banca 121. La difesa del cittadino-consumatore è un interesse chiave da riconoscere fino in fondo» (la Repubblica, 17 novembre). Ma - come dimostrano i casi americani narrati dai film «Erin Brokovich», «Sicko», «Michael Clayton» (e anche, perché dimenticarlo, il bellissimo «Insider», in cui i cittadini sono ingannati non solo dal produttore di sigarette ma anche dai media più potenti, che censurano notizie varie e gravi in cambio di pubblicità) spesso non si tratta solo di salvare i diritti ma di salvare la vita. Ma su questo punto è interessante sfogliare il Sole 24 ore , il giorno dopo la nascita della “class action” in Italia.Il quotidiano della Confindustria apre in prima pagina (abbastanza in piccolo) con un parere negativo illustre (ma non più illustre del parere a favore espresso con entusiasmo da Carlo Federico Grosso). E poi dedica all’argomento tutta pagina 7, con tanti interventi critici ma circostanziati, limitati a dettagli, e solo un colonnino di 30 righe per “l’amatriciana” di Montezemolo.Interessante anche il fatto che il confronto fra l’ “emendamento Manzione” e altre leggi di Paesi industriali democratici, nella pagina de il Sole 24 ore, non include gli Stati Uniti, dove questo importante principio democratico è nato, forse per evitare di far notare che la soluzione italiana - pur incompleta - è vicina alla giurisprudenza americana più di ogni legislazione europea, inclusa la legge inglese.Incompleta, la “class action” italiana, lo è tuttavia quanto alla definizione chiara, definitiva, inequivoca, di chi ha diritto di partecipare, in modo da rendere ben visibile il passaggio da “tutela del consumatore” (riunito in associazioni che richiedono precisa e riconosciuta identificazione) a “tutela del cittadino”. E qui che si rivela, in tutta la sua portata umana e civile, la diversità di questa legislatura, di questo governo e di questo modo di rappresentare i cittadini. Una buona strada è iniziata e si poteva salutare in modo più cordiale. colombo_f@posta.senato.it
Pubblicato il 18.11.07


© l'Unità. Per la pubblicità su www.unita.it: System Comunicazione Pubblicitaria

Nessun commento: