Popolo rom perseguitato, i ladri di bambini siamo noi
Rina Gagliardi
«Stride la vampa! La folla indomita/ corre a quel foco lieta in
sembianza…Stride la vampa! Giunge la vittima/ nero vestita discinta e
scalza». Così, in uno dei più popolari melodrammi verdiani, Il
Trovatore , la zingara Azucena rievoca il rogo in cui era morta
bruciata sua madre. La musica, febbrile e nevrotica, riproduce
perfettamente lo scoppiettio che divora un corpo, e par quasi di
vedere i bagliori delle fiamme. Tutto Il Trovatore è, del resto, una
sorta di straordinaria epopea del fuoco (fino all'aria forse più
celebre di tutti i tempi, "Di quella pira"). Sì, anche quella storia
della Spagna antica parlava di zingari, e li rappresentava come una
comunità infida, ribelle, sovversiva - ma anche al tempo stesso
ammaliante, e perversamente fascinosa. E muoveva, la storia,
dalla «abietta zingarafosca vegliarda» sorpresa tanti anni prima a
rapire il piccolo figlio del Conte di Luna.
Vedete come la cronaca recente più dissennata, il pogrom di
Ponticelli, ha radici piantate nel passato, in leggende secolari, in
pregiudizi che nessun progresso sembra poter scalfire? Sono almeno
sei-sette secoli che si dice che i Rom - gli zingari - sono ladri.
Ladri di cose ma soprattutto di bambini. Rapitori di neonati. Nei
registri di polizia o negli atti giudiziari non esiste alcuna
sostanziosa documentazione che, quantomeno, incoraggi questa
opinione. Ma essa si trasmette nel tempo e nello spazio con la
vischiosità del senso comune e con il valore di una superstizione
che, in quanto tale, non abbisogna né di prove né di fatti. Quando
ero bambina, e gli zingari arrivavano ad ogni stagione, e le donne
portavano a loro, da riparare, le pentole e le padelle in rame
sconocchiate, ci si sussurrava di stare attenti, di non andare troppo
vicino a giocare all'accampamento sull'Arno, «perché gli zingari
portano via i bimbi». Non fu mai registrato, a mia memoria, alcun
caso di rapimento. Non ci furono neppure episodi di vera
intolleranza - in quegli anni il popolo "normale" e il popolo degli
zingari convivevano, alla fine, senza veri conflitti, soltanto con
una sotterranea e certo reciproca diffidenza. C'era sì la diversità -
la lingua incomprensibile, i vestiti lunghi, consunti e sgargianti,
l'odore forte, i fazzoletti in testa - che inquietava, incuriosiva,
allarmava. Ma non si andava oltre. Oggi, invece, è di nuovo il tempo
della ferocia. Dell'intolleranza. Della persecuzione.
***
In verità, se i criteri del "dare" e dell'"avere" regolassero davvero
i rapporti (e i bilanci storici) tra i popoli, è l'occidente ad aver
contratto un debito terribile nei confronti degli zingari. Da quando -
attorno al 1100 - questo popolo di origine indiana, poi sconfinato
in Persia, si è affacciato in Europa, per loro è cominciata, quasi
soltanto, una lunga storia di persecuzione, sofferenze, stermini. In
Romania furono subito resi schiavi: divisi in tre "categorie"
(zingari del principe", "zingari dei boiari", "zingari dei
monasteri"), divennero merce di scambio, o di "dono", e questa
condizione si protrasse fino alla metà dell'Ottocento. Dalla fine del
quindicesimo secolo in poi, quasi tutti gli stati europei (ad
eccezione dell'Impero ottomano) emanarono decreti di espulsione di
tutte le etnie rom, gitane, "gipsy" (Spagna, decreto delle Cortes del
1492, Francia, decreto di Francesco I nel 1523, Napoli nel 1555,
Stato pontificio nel 1566): volevano dire, queste leggi o bandi, che
chiunque fosse stato scoperto a girovagare per le strade e
riconosciuto come zingaro, poteva essere sull'istante ridotto in
schiavitù, o buttato per sempre in una prigione. Tra le mille
crudeltà che si potrebbero raccontare, spicca una grida milanese del
1693. Essa recita testualmente: «Ogni cittadino è libero di ammazzare
tutti gli zingari impune e di levar loro ogni sorta di robba, di
bestiame o di denari che trovasse».
Perché non solo di persecuzione e sterminio nei confronti di un
popolo "asociale"si tratta. Man mano che ci si inoltra nell'era della
modernità, il pregiudizio, la diffidenza, o la paura nei confronti
degli zingari, diventa persecuzione razziale. Gli zingari come razza
non solo inferiore, "subumana" ma dannosa, e come tale da cancellare,
stroncare. Gli zingari come «razza delinquenziale», predisposta
geneticamente al crimine e alla destabilizzazione sociale, secondo la
definizione (1841) del (socialista) Cesare Lombroso. Le pratiche di
sterilizzazione forzata cominciarono agli inizi del `900, non appena
la scienza mise a disposizione gli strumenti adeguati e l'eugenetica
cominciava a trionfare - ed ebbero nei Paesi scandinavi, dalla Svezia
alla Danimarca, a partire dal 1934, il loro apogeo. Ma un secolo
prima aveva cominciato la grande imperatrice d'Austria Maria Teresa -
proprio lei, l'illuminata, la riformatrice - ad avviare una politica
di vero e proprio sterminio etnico-culturale: la proibizione dei
matrimoni tra Rom, la sistematica sottrazione dei piccoli ai loro
genitori, l'assimilazione forzata per chi ce la faceva, la scomparsa
nel nulla, o la morte, per tutti gli altri.
Vedete chi sono davvero i ladri di bambini? Noi, il civile occidente.
Non sapremo mai quanti piccoli rom sono stati rapiti, sequestrati,
rubati, nel corso dei secoli. Riusciamo a conoscere soltanto qualche
episodio, quando qualche pagina buia della storia viene
improvvisamente rischiarata da lunghe, tenaci pazienti ricerche. Come
l'incredibile vicenda di un altro civilissimo e ordinatissimo Paese:
la Svizzera. Tra le due guerre mondiali del XX secolo, il governo
elvetico promosse, ed attuò con successo, il programma di
cancellazione degli jenisches - comunità nomade, fatta in prevalenza
di artigiani, che allora assommava a circa trentamila persone. Fu il
dottor Alfred Siegfried, scienziato stimatissimo, un po' come molti
medici tedeschi che collaborarono poi ai mostruosi esperimenti
scientifici del nazismo, a dirigere l'operazione, diretta dal centro
nazionale "Pro Juventute" e denominata "Enfants de la grande route":
sulla base della convinzione che gli zingari, come sosteneva il
dottor Siegfried, sono «inferiori, psicopatici e mentalmente
ritardati», insomma non sono esseri umani, migliaia di bambini furono
sequestrati d'autorità, staccati per sempre dalle loro famiglie,
avviati al lavoro (divennero cioè forzalavoro, apprendisti,
domestiche, a bassissimo costo). Oggi in Svizzera la comunità
jenische è ridotta a 5mila unità. C'è voluta una lunga battaglia per
squarciare il velo della vergogna. Un velo che è durato - pensate un
po' - fino agli anni '90 del `900!
***
Così come ci sono voluti trent'anni per rompere il lungo silenzio che
per quasi tutto il dopoguerra aveva rimosso lo sterminio dei rom, nei
lager nazisti. Cinquecentomila, secondo molti accreditati studiosi,
sono gli zingari uccisi nei campi di Auschwitz (le 32 baracche
apposite dette Zigeneurlager), Ravensbruck, Dachau, Birkenau,
Treblinka - e tanti altri. Ma se anche fossero trecentomila, o
duecentomila, che differenza farebbe? E che senso ha la discussione
su quanto è lecito paragonare questo specifico tentativo di genocidio
alla shoah degli ebrei? Nella sua ultima fase, quando la guerra era
perduta, in tutta evidenza, e gli schiavi dei campi di lavoro non
erano più "utilizzabili" a fini produttivi, i nazisti adottarono per
tutti i loro prigionieri la soluzione "finale", lo sterminio di
massa: questo è la sola verità storica che interessa. Questa è la
follia di cui furono gli ebrei le grandi vittime sacrificali, perché
l'hitlerismo era nato e cresciuto sulla base di un programma
privilegiato, l'eliminazione del "pericolo ebraico". Ma per questa
follia scattarono tanti altri eccidi di massa : gli omosessuali, i
comunisti, gli slavi, i disabili - tutti i diversi, tutti i
variamente "asociali", tutti coloro che erano considerati
incompatibili con l'ordine costituito. Come i rom. Contro i quali,
già nel 1938, Himmler aveva lanciato l'offensiva finale («lotta per
cancellare la piaga degli zingari», 8 dicembre). Come le donne rom, a
Ravensbruck, ridotte a cavie dagli esprimenti sulla cancrena del
dottor Gebhardt, morte tra atroci dolori e lunghe agonie. Come i
ragazzini rom, caduti nelle mani del famigerato dottor Mengele per le
sue indagini sullo sconosciuto morbo "Noma".
***
Sì, bisognerà scriverla, al più presto, una storia dell'infinita
crudeltà che l'occidente cristiano ha riservato a questo
popolo, "arianissimo" e per lo più cristiano. Una crudeltà reiterata
nei secoli, ma mai davvero affiorata alla coscienza, e quindi mai
affrontata, elaborata, discussa, in qualche modo e per qualche via
superata. In compenso, però, il popolo zingaro ha alimentato la
nostra letteratura e la nostra musica, spesso come protagonista
indiscusso: il melodramma, di cui dicevamo, che ha decine e decine di
opere a centralità gitana, come la Carmen , la donna seduttrice così
libera che preferisce farsi ammazzare piuttosto che tornare con un
uomo che non ama più; la letteratura, che ci offre, nell'Hemingway di
Per chi suona la campana , la splendida figura di Pilar e, nel
grandissimo Victor Hugo, l'epopea di Esmeralda ( Notre Dame de
Paris ), morta per amore, per fedeltà, tra le torture, Che cos'è
questa mitizzazione degli zingari e delle zingare, questa scoperta
letteraria della loro umanità e del loro fascino, questo tributo reso
alla loro fierezza, al loro senso indomito di libertà? Forse, una
riduzione folkloristica, tutta e solo di comodo, tutta e solo per
alimentare comunque stereotipi e vaghe mitologie libertarie ( «Questo
è il canto di chi non conosce frontiera/ è l'ardente preghiera del
gitano che va» cantava Dalida nei primi anni '60). Forse, un
tentativo di risarcimento, di riscatto dal senso di colpa. Forse,
chissà, la manifestazione di un rapporto che è sempre stato
intimamente contradditorio. Come se il popolo zingaro, nella
irriducibilità della sua esistenza, nella sua alterità, nella sua
supposta "inadattabilità", rappresentasse l'inquietante limite alla
superiorità altrimenti indiscutibile della nostra civiltà e dei
nostri modelli di vita. Come se ci rinviasse, dunque, l'immagine
plastica di un'altra chance umana.
Ma forse anche queste sono riflessioni tutte interne ad un
immaginario - il nostro - che, buoni o cattivi che siamo, resta
l'immaginario dei colonizzatori. E, oggi, dei colonizzatori
impauriti, intolleranti di ogni diversità, bisognosi di scaricare
addosso al Nemico di turno tutte le loro frustrazioni e le loro
angosce per un futuro che non si vede più.
Questo è il pericolo gravissimo che oggi incombe sull'Occidente
declinante: la vendetta, i pogrom, la voluttà della cancellazione
dell'altro. I rom, oggi, sono un Nemico perfetto - anche perché lo
sono sempre stati e sempre ci siamo rifiutati di conoscerli. E' tempo
di fare qualcosa, prima che sia troppo tardi. Prima che la crisi di
civiltà diventi irreversibile.
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