venerdì 23 maggio 2008

il divo giulio

Il divo

Regia: Paolo Sorrentino Con: Toni Servillo - Anna Bonaiuto - Giulio Bosetti - Flavio Bucci Anno: 2008
Media voto della critica4.8/5.00

Scheda FilmCritica
LocandinaTrailerFotogalleryAutore: Natalia AspesiNella solenne corte marmorea e vuota scendono a uno a uno dalle auto nere, e già quelle scarpe lucide che si appoggiano a terra paiono un segno di minaccia, a uno a uno sorridono, sistemano la giacca, buttano il petto in fuori, consci di sé, del loro potere: prima Cirino Pomicino, il più agile, poi Franco Evangelisti, il più gioviale, Giuseppe Ciarrapico, il più disinvolto, Vittorio Sbardella, detto lo Squalo, il Cardinale Angelini, il più severo. Poi tutti insieme, i potenti della più potente corrente democristiana, come un ilare mucchio selvaggio, vanno a rendere omaggio, nel suo studio, o meglio nel bagno dello studio dove il barbiere di Montecitorio sta rasando la sua pelle delicata, al loro nume, al loro signore, al Papa Nero, a Belzebù, al Divo Giulio. A Giulio Andreotti, come in una specie di levée du roi dei tempi di Luigi XIV. È una delle tante scene potenti, dinamiche, quasi da western, di Il divo, uno dei due film italiani invitati in concorso al Festival di Cannes, seguita da quella altrettanto disturbante del folto e vociante gruppo del nuovo governo in posa, tra marmi e nobili affreschi, davanti a una moltitudine di fotografi assatanati. È il 13 aprile 1991, dopo 21 mesi si è concluso il VI governo Andreotti e sta nascendo il VII, che finirà 12 mesi e 11 giorni dopo: e per il più indecifrabile politico della storia repubblicana, uomo di governo per più di 40 anni, che pareva destinato ad esserlo per sempre, sarà, a 74 anni, il suo ultimo. Il divo è il quarto film di Paolo Sorrentino, 38 anni il 31 maggio, napoletano, regista intelligente, visionario e bravo, appassionato di figure virili ambigue, inquietanti, inspiegabili: il mite pensionato che in realtà è un corriere della mafia di Le conseguenze dell´amore, l´usuraio dall´aspetto miserabile di L´amico di famiglia. «Ero indeciso se fare un film sul banchiere Cuccia o su Andreotti, poi ho deciso per il secondo che mi ha affascinato sin da bambino: con la mia famiglia divoravo i telegiornali, le tribune politiche, sentivo l´impatto della sua fisicità disturbante, di un suo mistero indecifrabile, volevo saperne di più. A 18 anni con un amico cercammo di farne un nostro piccolo film ma desistemmo perché non avevamo soldi per un trucco plausibile e al nostro Belzebù le orecchie finte cadevano in continuazione». Anche Paolo Cirino Pomicino ha sedotto Sorrentino: «Sono andato a trovarlo in ospedale dove era in attesa del trapianto cardiaco: molto intelligente, anzi forse il solo della corrente andreottiana, simpatico con sprazzi di antipatia di chi è abituato al comando perentorio, ma anche di una vitalità estrema: per questo gli ho dedicato una scena inventata ma plausibile». Eccola: quello che in quella legislatura è stato eletto ministro del Bilancio si ritrova solo in Transatlantico, la lunga sontuosa e silenziosa galleria di Montecitorio, e improvvisamente, come un bambino, la percorre tutta con un lungo scivolone, urlando, poi si ricompone in fretta, signorile come sempre. Sorrentino si è documentato per un anno, diventando una specie di enciclopedia andreottiana. «C´è un´aneddotica infinita su di lui da lui stesso alimentata con le sue celebri battute, che gli servono soprattutto per evitare autentiche risposte, verità, ragionamenti approfonditi. Lui resta ovviamente impenetrabile, e mi sono appoggiato per la politica alla consulenza di Giuseppe D´Avanzo e per il personaggio, come sintesi, al giudizio di due donne». Margaret Thatcher: «Sembrava decisamente contrario ai principi etici, ed era addirittura convinto che una persona di principi fosse destinata ad essere ridicola». E Oriana Fallaci: «Mi mette paura, ma perché?... A chi fa paura un malatino, a chi fa paura una tartaruga? Solo più tardi, molto tardi, mi resi conto che la paura mi veniva proprio da queste cose… Il vero potere ti strozza con nastri di seta, garbo, intelligenza». Il regista racchiude il suo film, costato 4 milioni di euro, dal ´91 al ´95, dall´ultimo breve governo Andreotti alla perdita fulminea di potere suo e della Dc, negli anni di Tangentopoli, della recrudescenza delittuosa della mafia e dei suoi grandi pentiti, che parlano e parlano, anche di Andreotti, sino all´inizio del processo di Palermo in cui era imputato di associazione mafiosa. C´è la sequenza che riassume la sua agognata, e mancata elezione alla Presidenza della Repubblica: è il 25 maggio del 1992, l´aula parlamentare è in tumulto, benissimo ricostruito dal regista, con quelli del Msi che si scagliano contro i Dc, mentre in una salone crepuscolare, attorno a un tavolo immenso, Giulio, Arnaldo, Paolo (loro si chiamano per nome) attendono in silenzio i risultati: sarà Scalfaro, e non il favorito ma ormai poco presentabile Andreotti, a salire al Quirinale. «È stato al potere, inamovibile, sfuggente, in un´Italia di sangue e caos, falciata da delitti legati al terrorismo, alla mafia ma anche alla politica, che in qualche caso lo hanno sfiorato: una sequela di morti ammazzati anche a lui vicini, Moro, e in questo caso gli attribuisco vero dolore e rimorso, Pecorelli, Ambrosoli, Calvi, Alberto Dalla Chiesa, Sindona, Salvo Lima, suo referente siciliano, i giudici Falcone e Borsellino. Per Andreotti ci furono in Parlamento 26 richieste di autorizzazione a procedere, tutte respinte anche col voto del Pci, tranne l´ultima, che riassumo in una veloce carrellata». Ecco il geniale Toni Servillo, un Andreotti sibillino e talvolta grottesco, davanti a chi lo deve giudicare: immobile come sempre («Come sempre seduto, mai uno sport, perché secondo lui tutti i suoi amici che lo facevano erano morti», dice Sorrentino), il collo incassato nelle spalle, lo sguardo sprezzante, chiuso, a volte feroce dietro le lenti, le mani sempre in movimento (una specie di codice che accompagna tutto il film) che dice ossessivamente «Non ricordo, non sapevo, non mi risulta, non c´ero». Tutti i personaggi sono interpretati da bravi attori (Moro è Paolo Graziosi, Evangelisti Flavio Bucci, Cirino Pomicino Carlo Buccirosso, la moglie Livia Anna Bonaiuto e la famosa segretaria Enea Piera Degli Esposti). C´è anche Giulio Bosetti nel ruolo di Eugenio Scalfari che fa un´intervista serrata a Andreotti: «Non è una delle sue, esemplari, l´ho inventata io, ma non ne posso parlare perché è un momento rivelatore del film. Lo si vedrà a Cannes». Il potere, almeno quello assoluto, è scivolato via da quello che è oggi un sereno, colto, senatore a vita, scagionato dall´accusa di associazione mafiosa (per prescrizione sino al 1980) e del delitto Pecorelli, dedito ai suoi studi alle sue battute e a una certa vita mondana. Per Sorrentino «il potere è cambiato, riguarda sempre meno la politica, forse in parte la finanza. Ma credo che il potere assoluto oggi lo abbia chi controlla la comunicazione, la telefonia, Internet, la televisione».
Le altre recensioni Natalia Aspesi (la Repubblica)
Lietta Tornabuoni (La Stampa)
Stenio Solinas (il Giornale)
Paolo Mereghetti (Il corriere della sera)
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