Presentato il grandioso e violentissimo filmche uscirà il 20 nelle sale Usa e in gennaio da noiGangs of New York di ScorseseStoria americana rosso sangueLa nascita degli Stati Uniti basata sulla sopraffazioneForse per questo fu bloccato dopo l'11 settembredal nostro inviato NATALIA ASPESI
NEW YORK - L'inizio è grande cinema spettacolare. Dentro a caverne, catacombe, cunicoli, pontili sospesi, spazi cupi e desolati, si muove una folla rumorosa e sporca, stracciata e minacciosa, una specie di esercito primitivo e sotterraneo, che brandisce armi che paiono preistoriche, asce e randelli, bastoni e falci, coltellacci e lance: con un colpo di mazza una porta viene abbattuta, e davanti a quei bruti si spalanca come fosse la terra promessa lo spazio immenso, silenzioso e candido di neve e di luce, di un villaggio di baracche cadenti. Siamo nell'inimmaginabile New York del 1846, nel miserabile quartiere del Lower East Side di Manhattan dove si ammassano i disperati, sospesi tra miseria e violenza, voglia di sopravvivenza e crimine.Di colpo quello spazio vuoto e quasi fiabesco si riempie di due eserciti di miserabili che si confrontano, come in una battaglia medioevale: da una parte gli uomini usciti da sottoterra, i nuovi arrivati, gli immigrati, gli intrusi, i cattolici irlandesi che non parlano inglese ma gaelico, con a capo una specie di sacerdote armato di una croce, Padre Vallon, (Liam Neeson) che tiene per mano il figlio bambino. Dall'altra i nativi, di origine olandese, inglese, gallese, però nati in America, di religione protestante, che si ritengono il solo popolo degno di quel paese e del sogno di democrazia e prosperità che promette. Straccioni pure loro, ma già protesi verso l'apparenza del benessere, con l'alto cappello a cilindro come quello dei borghesi dei quartieri alti, raccontati da Edith Wharton e Henry James.
Li comanda uno spaventoso gigante dai baffoni immensi, con un occhio di vetro su cui è incisa l'aquila americana (che ogni tanto fa tintinnare con la punta di un coltello) e quello che non può essere definito che ghigno satanico. E' Bill il Macellaio, (nella realtà un tale Bill Poole, ammazzato prima degli eventi cruciali del film) che squarta con la stessa ferocia maiali e umani, e però cita sempre la Bibbia e le poesie di Walt Whitman: ed è Daniel Day-Lewis, lo stesso che in un altro meraviglioso film di Martin Scorsese, "L'età dell'innocenza", ambientato più o meno nello stesso periodo, però in una New York aristocratica, era un divino giovanotto elegante e innamorato, che si conficcò coi suoi occhi ardenti nei cuori di molte spettatrici. Adesso, così conciato, meglio non sognarselo soprattutto di notte.Inizia il primo scontro di inguardabile ferocia, e da qui, per 165 minuti (prima erano 240, troppi), vedremo a ogni incontro di umani: teste spaccate vuoi con asce che con la testa, più dura, dell'avversario, facce dilaniate in due conficcando le dita in bocca oppure più modestamente sfregiate con lame incandescenti, mani di moribondi fracassate per impedirgli di tenersi stretti al figlio, poliziotti crocefissi, neri stritolati con massi oppure impiccati o anche bruciati vivi. Scontri individuali ma soprattutto di massa, massacri etnici e religiosi ma anche tra fazioni politiche, memorabile quella tra due squadre di pompieri rivali e corrotti, che anziché spegnere gli incendi si ammazzano tra loro. Fu soprattutto a causa di questa scena che il film non uscì un anno fa, dopo la tragedia dell'11 settembre in cui i veri eroi erano stati proprio i tanti pompieri intervenuti perdendo la vita.Nessun film violento di Martin Scorsese, neppure il ferocissimo "Cape Fear" che forse anche per questo ebbe gran successo, è violento come Le gang di New York, che esce il 20 dicembre negli Stati Uniti e in Italia in gennaio. E neppure la presenza della massima star Leonardo Di Caprio, e i suoi baci succulenti a una bella e brava Cameron Diaz, cameriera in casa aristocratica e borsaiola nei quartieri poveri, (che a pensarci era meglio il contrario), distolgono dal raccapriccio: anche se, pur sottoposto a vere e proprie torture orribili e apparentemente mortali dal Macellaio, tale e quale il Gambadilegno dell'antico Topolino, il nostro eroe, come fosse il gatto Silvestro, in parecchie scene pare morto, tutto tagliuzzato e gonfio e pieno di lividi e sangue e rotto e bruciato e le scene dopo torna bello come un fiore, con i capelli sporchi a treccine e il faccino non più adolescente spruzzato di barbina e con guanciotte forse un po' più rotonde dell'auspicabile.Di Caprio è Amsterdam, l'orfanello che ha visto ammazzare il padre-prete e torna 16 anni dopo dal riformatorio per vendicarlo, mettendosi a capo dei suoi compagni irlandesi della gang dei Dead Rabbits, in una foresta di gang (Bowery Boys, Broadway Boys, bianchi, Fly Boys, neri, i Plug Uglies, nativi, ecc). Nasce come è ovvio una specie di legame padre e figlio tra lui e il Macellaio, ma poi sarà tutto un cercare di farsi fuori, mentre attorno gli stati americani sudisti e nordisti si fanno fuori nella guerra di Secessione e le gang di New York nel famoso luglio del 1863 smettono di farsi fuori tra loro per farsi far fuori dai cinque reggimenti dell'esercito mandati a far rispettare la coscrizione obbligatoria voluta dal presidente Lincoln.Martin Scorsese sogna di fare questo film da trent'anni, forse troppi, da quando gli capitò di leggere "Le gang di New York", un resoconto pignolo pubblicato nel 1928 (in italiano recentemente da Garzanti) da un giornalista, Herbert Asbury, specialista di nera, che scrisse anche sulle gang di Chicago, di San Francisco, di New Orleans, il che fa temere eventuali sequel di uguale o superiore ferocia. Dentro, con la collaborazione dello storico del crimine Luc Sante, autore di un saggio interessante, "Low Life", il sessantenne regista ci ha messo tutta la sua maestria di grande autore, la sua cinefilia, le sue ossessioni, i suoi incubi, i suoi ricordi infantili, una visione grandiosa, epica, da western, e costosissima (105 milioni di dollari) della storia della sua città con l'aiuto magnifico delle scenografie ricostruite a Cinecittà e un Dante Ferretti da Oscar, e di un esercito di comparse addestrate alla brutalità, quasi tutto ripreso dal vero e con pochi effetti speciali.A chi, e sono in tanti, anche americani, poco o nulla sapeva di questa primitiva New York miserabile e nera, a pochi isolati dalle magioni miliardarie degli Astor e dei Vanderbilt, il film insegna cose istruttive, che fanno pensare. Per esempio: il crimine, la prostituzione, la corruzione, la ferocia, le stragi, devastarono New York molto prima che arrivasse la Mafia italiana, cui Scorsese ha dedicato suoi film bellissimi come "Mean Streets" o "Goodfellas". Tammany Hall, il partito democratico, conviveva beatamente col crimine (come capita anche adesso ad altri partiti e in altri paesi): nel film Jim Broadbent impersona William Marcy Tweed, un boss politico realmente esistito che difendeva i criminali, nominava gli amministratori della città, i direttori di giornali, i giudici e rubò 275 milioni di dollari, prima di essere fu arrestato. C'è riferibile anche all'oggi italiano, il rifiuto dei nuovi poveri, degli immigrati in cerca di lavoro e sopravvivenza, di chi è di diversa etnia e professa una diversa religione: e a voler essere blasfemi verso un attore così prestigioso come Daniel Day-Lewis, il suo Bill il Macellaio ci ricorda, con spavento, i nostri Borghezio e compagnia. Viene in mente che anni fa, un gran bel film di Cimino, "I cancelli del cielo", fu un disastro perché gli americani rifiutarono di sapere la violenza tremenda delle origini del loro paese. Forse oggi i tempi sono cambiati, e sapersi eredi di criminali incalliti e di corrotti e corruttori, non fa più effetto a nessuno.(7 dicembre 2002)
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"Gangs", parlanoregista e attori
DALL'ARCHIVIOdi Repubblica.it
"Gangs of New York"la storia Usasecondo Scorsese
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