mercoledì 13 febbraio 2008

nostalgie coloniali al Corriere della sera

Lettere al Corriere
sergio romano
La lettera del giorno Mercoledi' 13 Febbraio 2008

UN VIAGGIO ALL'ASMARA NELL'ARCHITETTURA ITALIANA
Torno da un piacevole viaggio in Eritrea. Dopo pochi minuti sembra di non aver lasciato Fiumicino: il clima di Asmara, così fresco e asciutto, parole italiane assimilate dalla lingua tigrigna, le strade di Asmara, ma non solo, con palazzi, case, piazze, viali e scorci che ricordano le cittadine di alcuni anni fa. Il caffè o il cappuccino, ottimi, sorseggiati da belle figure di ogni età in caffè eleganti e curati. Non sto parlando di turisti (non ce ne sono) ma di eritrei, che non disdegnano, anzi ti invitano, a parlare italiano. E ti portano a vedere, con orgoglio, ciò che è stato costruito dagli italiani, il ponte in cemento armato a unica campata, o l'impianto urbanistico della città, o l'ardita pensilina di una fabbrica; e con orgoglio ti mostrano i lavori per restituire questi edifici o infrastrutture al loro originale aspetto e decoro.Siamo noi che probabilmente non abbiamo saputo superare il periodo coloniale. Dovremmo invece voltare pagina e parlare a voce alta di questo Paese, in cui vivono profonde radici italiane: è un Paese povero, non produce petrolio ma è giovane, orgoglioso. Aveva chiesto inutilmente di ripristinare la ferrovia Massaua-Asmara distrutta dagli inglesi, e noi stiamo per costruire l'autostrada Tripoli-Bengasi a un Paese ricco produttore di petrolio. Una proposta semplice: il prossimo 4 novembre il ministro della Difesa si rechi a rendere onore alle centinaia di tombe degli ascari nel cimitero militare di Cheren: sono tutti ignoti!Alberto Spaziani , alb.spaziani@tiscali.it

risponde Sergio Romano

Caro Spaziani, L e farà piacere apprendere che tre anni fa il World Monuments Fund (una fondazione privata, impegnata nella conservazione) ha incluso il centro di Asmara, insieme ad altri siti architettonici, nella lista dei monumenti degni di essere restaurati e conservati. Le farà altrettanto piacere, inoltre, apprendere che esiste un libro pubblicato dall'editore Merrell nel 2003 e intitolato «Asmara: Africa's Secret Modernist City ». L'Eritrea fu la prima colonia italiana, quella con cui tutti i nostri governi, sino alla Seconda guerra mondiale, ebbero uno speciale legame affettivo. Il suo nome, tratto dall'antica denominazione greca del Mar Rosso (mare Eritreo), venne suggerito a Francesco Crispi da Carlo Dossi, uno scrittore molto amato da Dante Isella che fu il maggiore rappresentante della Scapigliatura lombarda, ma anche diplomatico e collaboratore dello statista siciliano soprattutto per i rapporti con la Chiesa. Alla fine degli anni Novanta dell'Ottocento la colonia ebbe un buon governatore, Ferdinando Martini, giornalista, critico letterario, narratore, per due anni ministro della Pubblica istruzione, ancora ricordato per due libri sull'Africa e una «Relazione sulla colonia Eritrea», apparsa nel 1913. Martini volle cha la capitale fosse ad Asmara, anziché a Massaua, fece costruire una ferrovia fra le due città e lasciò una colonia complessivamente bene ammini-strata di cui tutti i governi, da allora, s'impegnarono ad abbellire la capitale. La sinagoga, in stile neoclassico, risale al 1906; l'albergo Hamasian e la Banca d'Italia, in stile eclettico, furono costruiti rispettivamente nel 1920 e nel 1926. E la cattedrale ortodossa, costruita nel 1930, sembra la versione razionalista di un elegante fortilizio medioevale. Ma lo sforzo maggiore fu compiuto nella seconda metà degli anni Trenta quando Asmara divenne una vetrina del colonialismo italiano e una sorta di laboratorio sperimentale dell'architettura moderna. Furono aperti nuovi viali. Furono costruiti il cinema Impero, decorato con sculture e bassorilievi, e numerosi «palazzi del regime». Furono costruite una prigione che divenne più tardi la Banca d'Eritrea, una moschea, una cattedrale copta e un'autofficina Fiat disegnata da Giuseppe Pettazzi secondo i canoni dell'architettura futurista, subito battezzata «l'aeroplano». Questa Asmara era una città dei «bianchi» con quartieri residenziali destinati ai «colonizzatori ». Ma all'inizio degli anni Novanta, dopo la lunga guerra contro l'Etiopia, a cui l'Eritrea era stata assegnata dall'Onu come provincia autonoma, la città degli architetti italiani divenne la capitale del nuovo Stato. E poiché il passato remoto del dominio coloniale era assai meglio del passato prossimo del dominio etiopico, la città costruita dagli italiani divenne per i suoi abitanti, come lei ha osservato nel corso del suo viaggio, una ragione di fierezza e di compiacimento.
Commento di Pietro Ancona
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Assieme ai quadretti del suo sentimentalismo colonialistico dovrebbe anche mettere le diecine di migliaia di eritrei ed etiopi uccisi dalle truppe di occupazione italiana, torturati, impalati, fatti morire di fame, di stenti e di malattie nei lager.

Cosi' la sua nostalgia dell'italiano che lascia tracce nell'architettura e nella parlata degli eritrei sarebbe davvero completa ed esaltante!
Pietro Ancona

Post scriptum

a parziale documentazione di quanto ho scritto vi invio questo squarcio delle prodezze del genio italiano in Eritrea ed Etiopia, quel genio che vi fa rimpiangere i quartieri bianchi degli insediamenti coloniali.......
Spero che vi vergognerete del vostro aperto rimpianto del colonialismo.....
Pietro Ancona


Dal 22 dicembre al 18 gennaio 1936 vengono lanciati sul fronte nord duemila quintali di bombe, per una parte rilevante caricate a gas tra cui l'iprite (solfuro di etile biclorurato), che provoca leucopenia.
Sul fronte sud Graziani decide di utilizzare in modo massiccio l'aviazione, ottenendo da Mussolini stesso libertà d'azione per l'uso dei gas asfissianti.
Nella testimonianza di ras Destà all'imperatore si racconta:

« Dal 17 dicembre gli italiani gettano anche bombe a gas, le quali piovono come la grandine... Le lesioni, anche leggere, prodotte da tale gas gonfiano sempre più sino a diventare, per infezioni delle grandi piaghe. »
Successivi attacchi conducono persino ad un bombardamento di tende e automezzi di un ospedale da campo svedese con i contrassegni della Croce Rossa provocando morti e feriti. La notizia farà il giro del mondo.
Il 10 febbraio Badoglio inizia l'offensiva sull'Amba Aradam durante la quale vengono sparate molte granate caricate con arsine. Nello stesso luogo vengono catturati due europei al servizio del negus, il medico polacco Belau e il suo assistente che verranno torturati perché ritrattino la dichiarazione inviata alla Società delle Nazioni, che denunciavano il bombardamento indiscriminato di Dessiè.
Il 3 e 4 marzo Badoglio, vedendo fuggire il grosso dell'esercito del ras Immirù verso i guadi del Tacazzè, ordina all'aviazione di proseguire da sola la battaglia. Verrà così unitizzata ancora una volta iprite. I piloti che scendono a volo radente per mitragliare i superstiti rilevano notevoli masse nemiche abbattute e grande quantità di uomini e di quadrupedi trasportati dalla corrente.
Il 29 marzo è lo stesso Mussolini a rinnovare l'autorizzazione per l'uso di gas di qualunque specie.
Il 4 aprile gli scampati alla battaglia di Mau Ceu verranno bombardati con 700 quintali di bombe, di cui molte ad iprite. Hailè Selassiè racconta:

« Per gli aviatori italiani non era più guerra era un gioco. Quale era il rischio nel mitragliare dei cadaveri e dei morenti i cui occhi erano bruciati dai gas? »

1 commento:

Anonimo ha detto...

Io non voglio discutere con le osservazioni del signor Ancona, ma vorrei ricordare alcune cose.
Il Senegal, paese che ha affrontato parecchie rivolte anti-francesi durante la sua storia, ha comunque avuto un presidente come Léopold Sédar Senghor, grande scrittore (in francese)nonché presidente per alcune stagioni della Francophonie, una sorta di commonwealth francese. Questo non gli ha mai inpedito di essere marxista e di guidare il suo paese nel 1960, con tutte le complicazioni che ci possono essere in uno stato appena decolonizzato.
E' come se qualcuno, ogni volta che cita le opere di Senghor, dovesse obbligatoriamente ricordare anche gli orrori del colonialismo francese -- che nell'Africa Equatoriale fruttò (in 40 anni) la diminiuizione della popolazione di ben 2|3, come ricorda un articolo di "Le Scienze" di due anni fa.

Alessio da Genova