domenica 6 luglio 2008

furio colombo LE IMPRONTE DI BERLUSCONI

Editoriale
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Le impronte di Berlusconi
Furio Colombo


C’è una frase che viene ripetuta all’infinito fin dal tempo (che ormai abbiamo dimenticato) in cui Silvio Berlusconi ha incominciato a invelenire l’Italia, creando sempre nuovi nemici e invitando sempre più cittadini a combattersi o a cedere, ciascuno nel suo campo e secondo il suo mestiere. I giornalisti o lo servono o gli gettano fango. I magistrati o si piegano o sono eversivi. I politici o accettano di chiamare «dialogo» il suo monologo, o vengono denunciati come sinistra «distruttiva» e «radicale» (con buona pace del partito di Marco Pannella il cui nome viene continuamente usato e abusato). Ma ecco la frase che viene ripetuta all’infinito: «Non basta essere contro Berlusconi. Bisogna dire per cosa si è e quale progetto di società si indica». Consciamente o no, buona fede o no, la frase finisce per suonare come un invito a posticipare: prima il grande e compiuto disegno della società che vogliamo e poi l’impegno contro Berlusconi. Questa volta colgo la frase da una pubblicazione (la rivista Left) da un articolo (l’attività tuttora in corso dei «mille di Chianciano», riuniti intorno all’invito di Pannella di discutere di una nuova politica) e da una protagonista, Elettra Deiana, già deputata della Sinistra Arcobaleno, che non si prestano all’introduzione negativa che io ne ho fatto. Vedo per forza vera ansia, vera fatica, vera ricerca sul come venirne fuori. Sia nel come partecipare non inutilmente alla vita pubblica di ogni giorno; sia come disegno di quel grande e famoso progetto a cui - ci dicono - è doveroso lavorare. Ma ci sono situazioni e momenti in cui non puoi dedicarti per prima cosa al grande progetto. Per prima cosa i cittadini ti chiedono: e adesso? E oggi? E stamattina? Mi rendo conto che questa domanda segna una linea di demarcazione fra chi, facendo politica negli anni e nei decenni, ha maturato la persuasione che i tempi lunghi ci sono comunque e che le grandi costruzioni (e le grandi speranze) richiedono tempi lunghi; e chi, entrato passionalmente in politica in un momento di emergenza (o che viene vista e vissuta come emergenza) crede alla risposta impetuosa e immediata.

Pesano su questa demarcazione anche la persuasione, a volte spazientita, del vecchio militante (sapessi quante emergenze abbiamo vissuto!) e l’irritazione dei giovani strateghi che hanno un altro senso del tempo e vogliono essere lasciati lavorare nelle diverse e «articolate» strategie. E percepiscono la tendenza a drammatizzare come il gesto di urtare il gomito di uno che, sapendolo fare, sta disegnando. Qualche lettore potrebbe chiedermi: se vedi con chiarezza le obiezioni che ti riguardano perché continui a urtare il gomito del disegnatore paziente? Non sarà un fatto umorale, che in politica conta poco?


* * *


Umorale la mia reazione al pesante e devastante ritorno di Berlusconi un po’ lo è. È addirittura una questione di età. Avevo la stessa età dei bambini Rom che questo governo italiano vuole obbligare a premere il dito sul tampone d’inchiostro per prelevare le loro impronte digitali, mentre gli altri bambini non Rom stanno a guardare.

Avevo la stessa età dei piccoli e umiliati Rom di oggi quando gli «ispettori della razza», scuola per scuola, classe per classe, hanno cominciato a fare l’appello dei piccoli ebrei per espellerli.

Ho raccontato molte volte il senso di scandalo che ho provato (i bambini possono e sanno indignarsi) di fronte al silenzio degli insegnanti. Nella mia scuola la buona maestra che ci raccontava ogni giorno una puntata di Pinocchio se stavamo bravi, il buon maestro, mutilato di guerra, che narrava episodi di eroismo da lasciarci tesi e ammirati, lo scattante giovanotto della ginnastica e il direttore didattico da cui ti mandavano a discutere (lui discuteva benevolmente con i bambini) di presunte o vere mancanze, tutti sono rimasti impassibili e in silenzio mentre continuava il tremendo appello. E persino se non sapevamo che quello era già l’appello di Auschwitz, il silenzio è stato la prima agghiacciante esperienza di molte piccole vite.

Ora vi pare che prima di impegnarmi con tutta la forza, l’offesa, l’indignazione, l’opposizione di cui sono capace contro le impronte a cui vengono obbligati i bambini Rom (metà dei quali sono italiani), vi pare che possa ammonire me stesso ripetendo la frase: «non basta essere contro Berlusconi, bisogna prima dire per cosa si è e quale progetto di società si indica»?

La mia, intanto, è una società che non perseguita nessuno e tanto meno i bambini e tanto meno i bambini Rom che sono parte di uno dei due popoli per i quali nazisti e fascisti e «difensori della razza» avevano previsto lo sterminio.

Può darsi che non abbia ancora chiare tutte le regole socio-economiche della società umana ed equilibrata che dovrà venire. Come mi insegnano Zapatero e Sarkozy, Angela Merkel e Barack Obama, forse i punti di riferimento di una più vasta azione politica potranno essere un poco più a destra o alquanto più a sinistra. Più fondati sull’impegno individuale oppure sul solidarismo che protegge i più deboli. Ma, per prima cosa, dobbiamo restare dentro il percorso della civiltà. Il decreto Maroni che impone le impronte ai bambini e obbliga ciascun Rom a dichiarare la propria religione (moduli del genere, sull’intimo e delicato territorio della religione non sono mai apparsi nella pur spaventata America dopo l’11 settembre, così come neppure una sola Moschea, in quel Paese, è divenuta territorio di incursioni delle varie polizie anti-terrorismo) il decreto Maroni colpisce la civiltà nei suoi punti vitali e tende a far uscire il Paese Italia da decenti regole civili. Io che ho visto cominciare questo percorso fondato sulla selezione di un nemico da isolare e separare cominciando dai bambini, non ho nessuna intenzione di ritornare sul problema solo dopo avere disegnato un progetto di società. L’offesa avviene adesso e adesso va fermata.


* * *


Accadono in questa Italia che ho appena finito di descrivere con ansia e costernazione, alcuni fatti che voglio elencare qui di seguito perché hanno importanza per tutti.

1. Per la prima volta nella storia italiana un alto funzionario dello Stato incaricato di eseguire, dice no alle impronte digitali dei bambini. È il Prefetto di Roma, Carlo Mosca. Non è la cosa più facile del mondo per un prefetto dire no al ministro dell’Interno. Maroni è ostinato e sordo alle ragioni che gli vengono da tante parti del suo Paese (non parlo di parti politiche, parlo di Chiese e di cultura, della comunità di Sant’Egidio, di Famiglia Cristiana, praticamente di ogni prete o associazione che abbiamo lavorato con e accanto ai Rom, della Comunità Ebraica italiana, delle Comunità Valdesi) perché rappresenta la Padania (cioè uno stato mentale fondato sulla persecuzione degli «altri») in Italia. È ministro della Repubblica italiana con i voti (tanti voti, certo) di alcune tribù del Nord che continuano a minacciare la scissione dall’Italia quando non vengono zittiti in tempo dal Capo Bossi, unico governo da loro riconosciuto.

Uno così che fa il ministro e che deve offrire vittime alle superstizioni delle sue tribù, sarà fatalmente vendicativo.

Ma il Prefetto Mosca non ha cambiato idea. Chiedo che gli italiani ricordino il caso unico del no limpido e chiaro, in nome della civiltà comune, dell’unico alto funzionario del Paese Italia (più noto nel mondo, per il diffuso opportunismo, il «tengo famiglia», una certa viltà, il silenzio dei miei maestri elementari di bambino e dei miei colleghi giornalisti di adesso) che abbia osato pubblicamente dire no al ministro di cui è rappresentante.

2. I «gagè» di tutta Italia hanno scritto, firmato e fatto circolare un appello che dichiara il decreto Maroni una violazione della Carta dei diritti dell’uomo (Nazioni Unite) della Unione Europea e di tutte le Costituzioni nazionali a cominciare da quella italiana.

Chi sono i gagè? Nella lingua rom «gagè» sono le persone non Rom (come i «goyim» nella lingua yiddish, sono i cristiani o comunque i non ebrei). Ecco un brano del loro appello, che ho avuto da Dijana Pavlovic, la giovane attrice e attivista Rom che scrive per questo giornale.

«Noi gagè credevamo che, dopo la fine della seconda guerra mondiale e le scelte della comunità internazionale, non fosse più possibile rivedere nei nostri Paesi i fantasmi di un passato che volevamo bandito per sempre. La carta dei diritti dell’uomo, le costituzioni nazionali, i trattati della comunità europea impediscono ogni forma di razzismo e ogni atto che discrimini e segreghi una minoranza etnica o religiosa (...).

Non è lecito in un Paese civile schedare i bambini. Tanto meno è ammissibile, per l’intera comunità internazionale, che questa schedatura avvenga su base etnica. Ma non è così per il nostro governo. Il suo ministro dell’Interno, uno dei capi supremi delle camicie verdi che inneggiano alla secessione padana, alla cacciata dei Rom ed extracomunitari, che percorrono in ronde minacciose le città, ha dato disposizione che i bambini Rom siano schedati con il rilievo delle impronte digitali.

(...) Questo è il volto avvelenato del nostro Paese. Ma i veri colpevoli siamo noi, i gagè, che credono nella propria superiorità etnica, esportano con la forza le proprie idee,aggrediscono un popolo che non riconosce confini, non ha terre da difendere con guerre, non ha bandiere in nome delle quali massacrare i diversi da sé».

Propongo che tanti aggiungano le loro firme a questo manifesto (tra i primi a sottoscrivere, Moni Ovadia) che si conclude con la dichiarazione «ci rifiutiamo di essere diversi. Pretendiamo che siano prelevate le nostre impronte digitali».

3. Ecco le ragioni per cui alcuni di noi hanno deciso di promuovere e partecipare all’evento dell’8 luglio. Non è un partito preso o un frivolo accanimento in luogo di una normale, serena opposizione. Non c’è niente di normale e niente di sereno in un Parlamento ingorgato di provvedimenti personali salva-Berlusconi, in cui i lavori sono diretti da presidenti che in realtà sono capi-partito e come tali vanno insieme al Quirinale a dire non ciò che provano o sentono tutti i deputati e tutti i senatori, come richiede il loro ufficio. No, vanno al Quirinale - coperti da quelle cariche - per dire ciò che vogliono i loro partiti. Ovviamente ciò richiede più che mai di dare tutto il nostro sostegno, da cittadini, prima ancora che da politici, al Capo dello Stato.

Ecco le ragioni che spingono alcuni di noi, e certo molti cittadini, e certo il popolo Rom, a incontrarsi adesso, subito, mentre il cosiddetto «pacchetto sicurezza» viene imposto al nostro Paese, triste timbro di discriminazione e razzismo. Come le leggi razziali del fascismo, questa irresponsabile serie di decisioni ci umilia in Italia, ci isola in Europa, ci separa dalla nostra Costituzione, interrompe il rapporto con la grande eredità della Resistenza a cui si deve la nostra libertà.

La nostra libertà è unica. O è intatta o non lo è. O ci riguarda tutti o costruisce una odiosa apartheid.

È bene alzarsi e dirlo adesso, con tanti cittadini e tanti Rom che ci hanno detto «veniamo», e con il loro coordinatore, Alexian Santino Spinelli (professore all’Università di Trieste) che parlerà insieme a noi. E poi ci saremo tutti in autunno, nella manifestazione politica già annunciata da Walter Veltroni con il Pd. E ci siamo ogni giorno in Parlamento per dire ben chiaro il nostro no, per tentare di cancellare sul futuro dell’Italia le impronte di Berlusconi.

furiocolombo@unita.it



Pubblicato il: 06.07.08
Modificato il: 06.07.08 alle ore 10.01


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