giovedì 6 marzo 2008

Statuto dei diritti dei lavoratori





  1. Ha quasi quarant’anni, ma funziona ancora

    Bruno Ugolini





  2. Ha quasi quarant’anni, ma funziona ancora

    Bruno UgoliniLo ha detto in modo sornione Silvio Berlusconi «bisognerebbe cambiare l’intero Statuto dei lavoratori». Una frase gettata lì, non racchiusa nei programmi ufficiali della destra. Quasi una minaccia, capace di far sobbalzare. Perché il ricordo va subito al 23 marzo del 2002, alla folla che occupava il Circo Massimo a Roma, attorno alla Cgil di Cofferati. Anche allora si parlava di norme moderne adeguate ai tempi. Presto si era però capito che l’unica cosa che si voleva colpire era il diritto dei lavoratori, nelle aziende con più di 15 dipendenti, a non essere licenziati senza una giusta ragione.“Ad nutum”, con un cenno del dito, come si scrisse allora. Era solo un articolo dello Statuto, il numero 18. Ora il tema torna a occupare la campagna elettorale. E attraverso quella frase, tutta al condizionale (“bisognerebbe”), s’intuisce che quel che sta a cuore non è certo una tutela più adeguata del mondo del lavoro. L’obiettivo è riscrivere lo Statuto, per cancellare alcune regole. Perché è vero che quella legge è vecchia. È nata il 20 maggio del 1970, attraverso ministri e studiosi come Giacomo Brodolini, Gino Giugni, Carlo Donat Cattin, ma prima ancora (nel 1952) era stata proposta da Giuseppe Di Vittorio. Quelle che oggi però appaiono inadeguate, non sono le tutele assegnate ai lavoratori dipendenti. È, invece, l’assenza o l’inadeguatezza di tutele per quell’esercito via via ingrossatosi dei lavoratori cosiddetti atipici. Sono i collaboratori coordinati continuativi, i lavoratori a progetto, i lavoratori in “associazione in partecipazione”, quelli con contratto a termine, gli interinali (oggi si chiamano “somministrati”). Molti di loro sono privi oltre che dell’articolo 18, di tutele primarie, come quella di poter aderire a un sindacato senza rischiare, o di potersi ammalare, o di partecipare ai corsi di formazione aziendale. Sono i figli del post fordismo, orfani di Statuto.Ma non è per loro che si batte la destra. Si muove contro i padri per intrappolare anche i figli. Non è su queste tematiche che è intervenuto il governo di centrodestra nei cinque anni prima di Romano Prodi. Ha operato per moltiplicare le possibilità di estendere le forme contrattuali flessibili e poi ha infierito sull’unico articolo che premeva: il diciotto, per ottenere i licenziamenti facili. Come se passasse da lì la ricetta capace di imprimere una svolta nell’assetto economico e sociale del Paese, impegnato nella gara della competitività internazionale. E invece il tema dovrebbe essere quello relativo a come costruire un capitale umano capace davvero di ridare slancio alla società e all’economia. Non certo togliendo o ridimensionando le grandi conquiste del 1970. Parliamo del diritto all’assemblea in azienda; il diritto a non subire indagini sulle proprie opinioni politiche, religiose o sindacali; il diritto quando si è studenti- lavoratori a turni agevolati; il diritto a non essere obbligati a fare gli straordinari; il diritto a svolgere attività sindacali. Nonché il divieto alla concessione di trattamenti economici di maggior favore aventi carattere discriminatorio. Sono conquiste di civiltà, sono alcuni aspetti di quel vituperato Statuto del resto non sempre rispettato.Uno Statuto che, ripeto, avrebbe bisogno di coinvolgere anche quella parte dimenticata del mondo del lavoro. Come? C’è una parte della sinistra ­ oggi rappresentata nella lista Arcobaleno ­ che giudica in sostanza l’esercito post-fordista solo frutto di una macroscopica truffa. Per cui tutti o quasi gli atipici sarebbero da ricondurre nell’esercito dei normali salariati a posto fisso. Negando così l’esistenza, sia pure parziale, di forme produttive e di nuove tecnologie collegate a esigenze di vera flessibilità (da risarcire con diritti e redditi adeguati) e non la conseguenza di un complotto. O l’esistenza di fasce di giovani lavoratori che non sognano il cartellino da timbrare tutte le mattine, preferiscono mirare a lavori di qualità, accumulando esperienze e culture anche queste, però, ricche di tutele. Un'altra parte della sinistra ­ quella confluita nel Pd ­ ha ipotizzato una “Carta dei diritti” (integrante lo Statuto) che desse una risposta a tali problematiche. Basti ricordare le elaborazioni di Tiziano Treu e Cesare Damiano al tempo dell’Ulivo, o alle prime misure varate dal governo Prodi. Ma altri prima - da Gino Giugni, a Massimo D’Antona, a Bruno Trentin - avevano lavorato attorno a questo tema.Ed ora che cosa succederà? È probabile che Berlusconi come il solito si rimangi quanto ha detto, spinto da preoccupazioni elettorali. Rimane un oscuro presagio. La vittoria di un governo di centrodestra, anzi di destra, porterebbe con sé il seme inquinante di nuovi scontri sociali. Non certo di soluzioni eque, costruttive e moderne. Un guaio per il Paese mentre si avvicina una tempesta dai connotati recessivi.
    Pubblicato il 06.03.08


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1 commento:

Anonimo ha detto...

Mi chiamo Andrea e viste le mie esperienze personali negative
non mi sembra che esista nessuna legge nè statuto che difenda i diritti dei lavoratori in Italia.
Anzi ho visto con i miei occhi datori di lavoro fare beati è candidi tutto quel cazzo che vogliono !
Beati è candidi li ho visti violare sempre impuniti anche il codice penale e quello civile.
Mi chiedo se mai è esistito il statuto dei lavoratori ?
Dal 1980 lavoro per la cronaca .