lunedì 7 gennaio 2008

la paura del salario di bruno ugolini

S'ode a destra


La paura del salario

Bruno Ugolini
Era ormai una specie di tormentone. Tutti a parlare di salario e di operai sull'orlo della fame. Illustri accademici impietositi, banchieri compassionevoli. Lacrime sui funerali di Torino e sui nuovi morti che hanno inaugurato il 2008. Sembrava un grido di battaglia, su imitazione di Liza Minelli: "Money Money!". Magari ignorando che non di solo pane vive l'uomo. Ha bisogno anche di diritti. A cominciare da quelli che servono a tutelare la propria vita. Senza delegare a nessuno questo compito.
Ma il tormentone salariale è cominciato subito ad affievolirsi, a rincorrere tanti "se" e tanti "ma". Ci vuole la produttività, la flessibilità. Magari bisognerebbe lavorare come alla acciaieria torinese per dodici ore al giorno. Magari bisognerebbe dire che i soldi li prenderanno solo quelli che riescono a fare la contrattazione nella propria azienda. E le risorse? Qui si suggerisce un'operazione magica. Quale? Ridurre il peso del contratto nazionale. È semplice. Tanto le piccole aziende sono l'ottanta per cento delle imprese e qui la contrattazione aziendale non si fa perché non c'è nemmeno il sindacato. Certo si potrebbe spedire in quelle imprese un piccolo esercito di delegati imposti dal governo. Oppure fare un decreto che impone la contrattazione aziendale. Oppure costringere con mezzi leciti gli imprenditori recalcitranti a concludere accordi territoriali.
Nessuno pensa di fare come in Germania dove si discute di imporre un salario massimo ai manager e un salario minimo intanto per i postini, domani per gli altri. Demagogia diranno i nostri fautori del mercato, Dio assoluto. Nell'attesa agli operai non resta che sperare nelle misure fiscali promesse da Prodi e Damiano e cantare come Liza Minelli:
I work all night,I work all day,to pay the billsI have to pay.
http://ugolini.blogspot.com/
Pubblicato il 03.01.08


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