giovedì 12 agosto 2010

Nando della Chiesa racconta la storia della Villa di Arcore

La villa della marchesina sedotta e bidonata
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La villa della marchesina sedotta e bidonata
di Nando Dalla Chiesa
Gli anni Settanta furono tumultuosi non solo sulle pubbliche vie, e non solo al sabato pomeriggio. Furono ricchi di tumulti, se così si può dire, privati. Anche di domenica. Ed era proprio una domenica di fine agosto del 1970 quando il marchese Camillo Casati Stampa, 43 anni, uccise con un fucile da caccia la moglie Anna Fallarino e il suo giovane amante, lo studente Massimo Minorenti, per poi uccidere se stesso. Fosse stato l’onore offeso, il caldo estivo o la impossibilità (allora) di divorziare, quale che sia stata insomma la causa scatenante del delitto, fatto sta che il mito di Arcore, dei luoghi sacri dell’era berlusconiana, nasce in quel mattino di sangue: a dimostrazione - ancora una volta - che ciò che dà fortuna a Silvio Berlusconi coincide sempre con una tragedia altrui. Il marchese infatti aveva proprietà immense, il cui valore venne stimato dai giornali intorno ai tre-quattrocento miliardi del tempo. E aveva una sola erede, la marchesina Annamaria, nata dal primo matrimonio. La sorella della signora Fallarino cercò di conquistare quel bendiddio per il proprio ramo, sperando di riuscire a dimostrare che la marchesa avesse esalato l’ultimo respiro dopo il marito omicida. Benché patrocinata in questo nobile tentativo da un giovane e valente avvocato calabrese, di nome Cesare Previti, ella non riuscì nel proprio intento. Poco male. Il giovane avvocato, dopo avere patrocinato le ragioni della parte rimasta a bocca asciutta, si offrì in soccorso alla parte vincente, ossia alla marchesina, appena 19enne. Che accettò. In parallelo però il Tribunale dei minori (allora essendo fissata la maggiore età ai 21 anni) affidò la giovane a un vecchio amico dei Casati, un senatore liberale di professione avvocato e di nome Giorgio Bergamasco. Costui, sul piano culturale, non è un alieno nella storia che stiamo raccontando. Si era distinto infatti per avere presentato più disegni di legge in materia finanziaria, tra cui uno sulle successioni e uno di amnistia per i reati finanziari. Fu lui a stendere la denuncia di successione. E lo fece coerentemente con lo spirito delle sue fatiche legislative: 231 pagine per descrivere immobili e terreni, titoli e gioielli, per un controvalore inferiore ai due miliardi. Lo stesso ministro delle finanze lo giudicò risibile. E aveva ragione se si pensa che alcuni piccoli lotti di terra nel comune di Cusago, nemmeno dettagliati in quella denuncia, sarebbero poi stati venduti a sei miliardi, ossia per un valore triplo dell’intero patrimonio. Tuttavia per rispetto dei morti e di una vicenda così dolorosa, non successe nulla. La marchesina rimase, con quel patrimonio a lei intestato, affidata alle sapienti mani del senatore Bergamasco e dell’avvocato Previti. Lo avrebbe ella gestito al meglio o lo avrebbe venduto (e forse svenduto) pezzo a pezzo? C’era nelle vicinanze una società interessata alle attività immobiliari e che brillava per dinamismo e trasparenza. La possedeva una delle primissime manager italiane, una signora tutta Bocconi e Boston, tale Maria Borsani, zia di Silvio Berlusconi, affiancata da un brillante finanziere di nome Giorgio Dell’Oglio, cognato dello stesso Berlusconi. Si chiamava Edilnord Centri Residenziali sas, la società. La quale mise gli occhi anche sulla tenuta di Arcore e sulla villa di San Martino. Venne così stipulata una convenzione di compravendita che fu stesa però in due successive versioni. Nella prima versione comprava la Edilnord. Nella seconda versione, invece, chissà perché, comprava la Società Generale Attrezzature, che abbiamo già citato in precedenza, che era guidata da Walter Donati, altro prestanome di prestigio di Silvio Berlusconi, e che come la Edilnord era collegata - indovina indovinello - con una finanziaria svizzera, la Cofinvest di Lugano. Prezzo di vendita: 750 milioni. Un valore reale o solo un po' più modesto del reale? Forse basta dire che poco tempo dopo la Cariplo erogherà, avendo tali beni in garanzia, un finanziamento per un valore dieci volte più alto. E d’altronde, giusto per soddisfare i più curiosi, si trattava di una tenuta di un milione di metri quadrati in cui sorgevano un edificio settecentesco con annesso parco, villa San Martino appunto, di circa 3.500 metri quadri, 147 stanze e contenente, oltre a una biblioteca da antiquariato, un bel po' di quadri del Quattrocento e del Cinquecento, tra cui dei Tiepolo e Tintoretto. Da qui la domanda che torna nella leggenda. La marchesina, incapace di intendere e di volere, fu forse indotta a svendere? Venne cioè, professionalmente, sedotta e bidonata? E se sì, perché e da chi? Oppure venne condotta una straordinaria operazione di compravendita in nero per realizzare una gigantesca evasione fiscale da una parte e dall’altra? Gli storici di quella speciale e moderna disciplina detta “economia politica dei misteri” si sono a lungo arrabattati intorno a queste diverse interpretazioni, in genere con punte di malizia francamente illiberali nei confronti dell’avvocato Cesare Previti e del “Dottore” (Silvio Berlusconi). Converrà dunque non cedere alle suggestioni e ai pregiudizi e attenersi il più possibile ai fatti effettivamente accaduti. Soprattutto sarà giusto riandare alle condizioni di compravendita. La proprietà, così si prevedeva, sarebbe stata acquistata in più rate, l’ultima delle quali (250 milioni) entro sei mesi dalla stipulazione del contratto, la cui data non era indicata, e comunque senza decorrenza di interessi. In compenso «il possesso e il godimento di quanto promesso in vendita si trasferiscono alla parte acquirente con effetto dalla data odierna». Insomma, ad Arcore dallo stesso giorno sarebbe stato di casa il vero referente di quell’incredibile coacervo di sigle e prestanomi acquirenti. Coacervo reso ancora più incredibile dal fatto che il rogito verrà finalmente firmato molti anni dopo, nel 1980, dal signor Giovanni Del Santo (siciliano poi indicato dalle forze dell’ordine in contatto con ambienti mafiosi), altro prestanome di Berlusconi. E non sarà firmato né per la Edilnord né per la Società Generale Attrezzature, ma per la Immobiliare Idra srl. Se il nome Idra, denso di evocazioni mitologiche, voglia essere una forma di rappresentazione programmatica della società, questo non lo si può sapere. Il fatto è che da essa restarono esclusi alcuni terreni del marchese, quelli dal quale dovevano essere sloggiati i contadini residenti al fine di realizzare nuove aree speculative. Quei terreni andarono infatti alla Immobiliare Briantea srl. Che sarebbe poi confluita nella Immobiliare Idra nel 1988, una volta compiuto l'ingrato compito di sloggiare i contadini. Dunque Silvio Berlusconi si installò nella villa di Arcore immediatamente, prima ancora di averla comprata. A sollecitarlo all’acquisto era stato proprio il giovane avvocato, Cesare Previti, il fiduciario della marchesina. Vediamo come le biografie autorizzate raccontano quel rapporto preferenziale attraverso le parole dell’avvocato calabrese, diventato romano di adozione: «Anna Maria Casati non voleva stare in quella villa dalle tragiche memorie, volle che la vendessi. Provai con dei brianzoli, degli speculatori che prima o poi l'avrebbero lottizzata. In quei giorni avevo avuto un lavoro dalla Edilnord di Silvio e gli dissi: Berlusconi, lei deve farmi un grande piacere, mi comperi la villa San Martino dei Casati Stampa, ad Arcore. Andammo a vederla e alla fine lui mi fece una proposta tipicamente sua: me la lasci provare, ci sono le vacanze di Pasqua, ci vado per qualche giorno e la provo. La provò e non se n’è più andato». Come sempre, dalle tragedie altrui alla propria felicità: ovvero dalle 'tragiche memorie' a una Pasqua da urlo. Le fonti dicono che ciò accadde nel 1973 (qualcuna insinua anche prima). Quanto alla marchesina, sparì letteralmente: nello stesso ’73 si trasferì in Brasile con il marito e da lì non avrebbe mai voluto parlare di quella vicenda. Fu intimidita da qualcuno, da qualcosa, si turbò per qualche notizia o parola? Supposizioni malevole, spazzatura. Forse, d’altronde, non lo sapeva nemmeno, al momento della partenza, che in quella villa di 'tragiche memorie' si era installato o si stava installando (le fonti sono discordi) anche Vittorio Mangano, boss emergente di Cosa Nostra. Partì e basta. (19 continua. Ha collaborato Francesca Maurri)

3 maggio 2004 pubblicato nell'edizione Nazionale (pagina 13) nella sezione "Interni" Versione in PDF

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