Jura Gentium
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IV (2008), 1
La detenzione degli stranieri nelle carceri europee (*)
Lucia Re
1. La sovrarappresentazione dei migranti nelle carceri europee
Con il mio intervento intendo portare l'attenzione su un fenomeno solo in parte noto e spesso male interpretato dall'opinione pubblica a causa delle ricorrenti campagne allarmistiche sulla criminalità degli stranieri. Si tratta della forte presenza di detenuti stranieri nelle carceri dei principali paesi dell'Unione europea, in particolare di quelli occidentali e meridionali. Salvo qualche accenno, lascerò da parte la situazione dei paesi dell'Europa dell'Est da poco entrati nell'Unione europea che presentano caratteristiche piuttosto singolari per quanto attiene i fenomeni migratori, le legislazioni penali e penitenziarie e le condizioni di reclusione. Basti pensare che la Polonia ha un tasso di detenzione di 235 detenuti ogni 100.000 abitanti, che è più del doppio del tasso medio europeo, e una presenza di stranieri in carcere, minima, pari allo 0,7% della popolazione detenuta (1).
L'alta percentuale di detenuti stranieri è invece una delle principali caratteristiche dei sistemi penitenziari dell'Europa occidentale e mediterranea. Gli stranieri sono sovrarappresentati (cioè presenti in modo sproporzionato rispetto al numero di stranieri residenti) negli istituti penitenziari dei principali paesi europei. La percentuale media degli stranieri reclusi nelle carceri di questi paesi supera infatti il 30% della popolazione detenuta, mentre la presenza straniera sul territorio si aggira intorno al 7% della popolazione (è questo anche il dato italiano secondo l'ultimo rapporto sulle migrazioni dell'Ismu, appena pubblicato).
La percentuale della popolazione detenuta di nazionalità straniera è inferiore alla media europea in alcuni dei paesi europei di più antica immigrazione, ad esempio nel Regno Unito, ma nei penitenziari di questi stessi paesi vi è una percentuale elevata di cittadini, figli di genitori immigrati. Le amministrazioni penitenziarie europee - ad eccezione di quella britannica - non distinguono questa categoria di detenuti da quella dei cittadini di origine 'autoctona', per la comprensibile preoccupazione che tale distinzione possa avere effetti discriminatori. Tuttavia, così facendo, se da un lato si è formalmente corretti nei confronti dei cittadini di origine straniera, dall'altro si occulta un dato preoccupante: in molti paesi europei una percentuale elevata di detenuti è di origine o di nazionalità straniera. Non solo, ma, soprattutto nei paesi dell'Europa nord-occidentale, è di religione islamica e non è bianca (il profilo 'razziale' appare più importante di quanto comunemente si pensi).
I detenuti di nazionalità straniera sono particolarmente numerosi nei paesi in cui l'immigrazione è recente e nei paesi che confinano con le aree di emigrazione, ad esempio con l'Europa dell'Est. Si pensi alla Germania e, soprattutto, all'Austria, dove la presenza straniera in carcere è un record europeo ed è pari al 45% (2), o all'Estonia - nuovo membro dell'Unione che confina con la Federazione russa - dove la percentuale di detenuti stranieri è pari al 36,4% (3).
Nei paesi dell'Europa mediterranea, che riuniscono le due condizioni sopraccitate - immigrazione recente e contiguità geografica con paesi di emigrazione - la detenzione dei migranti appare persino essere un tratto caratterizzante dei sistemi penitenziari nazionali. In Grecia, in Italia, e in Spagna e a Malta i detenuti stranieri sono in media il 35% del totale (4) e provengono in maggioranza dai paesi della sponda sud e della sponda est del Mediterraneo. In Italia quasi la metà dei detenuti stranieri è originaria del continente africano (5). Mentre circa il 32% dei detenuti stranieri proviene da Balcani ed est europeo (Romania, Albania ed ex-jugoslavia) (6). Complessivamente, più del 70% dei detenuti stranieri nelle carceri italiane proviene da paesi che sono alla periferia dell'Unione europea e che sono i paesi di diretta emigrazione verso l'Italia.
La sovrarappresentazione degli stranieri è ancora maggiore con riguardo alle donne e ai minori. In Italia le donne straniere sono il 42% (7) della popolazione detenuta femminile (sul dato incide molto la presenza di donne rom) e i minori stranieri reclusi negli istituti penali per i minorenni sono il 54,5% del totale (8). Inoltre, le presenze in carcere di minori stranieri sono in continuo aumento, in particolare nei penitenziari del centro-nord. La percentuale di minori stranieri presenti nei principali istituti penali per i minorenni del centro-nord Italia (Milano, Bologna, Torino, Roma e Firenze) è pari quasi all'80% e ormai anche nei penitenziari del sud (esclusi Napoli e la Sicilia) la presenza straniera è superiore o pari alla metà dei detenuti (9). Il tutto a fronte di una progressiva diminuzione degli ingressi in carcere dei minori italiani, per i quali il ricorso alla pena detentiva è divenuto una extrema ratio. Per i minori, come per gli adulti, i principali paesi di provenienza sono quelli 'prossimi' all'Italia (10).
La percentuale di stranieri detenuti è in aumento in tutti i paesi dell'Unione europea e non è proporzionata al corrispondente aumento, pur verificatosi, della popolazione straniera presente sul territorio. In Italia in un solo anno, il 2002, si è registrato un vero e proprio boom dell'incarcerazione degli stranieri: la percentuale di detenuti stranieri è passata da 29,5% al 31-5-01 a quasi il 32% al 30-6-02. Da allora è rimasta sostanzialmente stabile. Le date non sono forse insignificanti, poiché coincidono con il periodo di vigenza della legge attuale sull'immigrazione, la cosiddetta Bossi- Fini, che ha riformato il T.U. sull'immigrazione.
Ecco alcuni dati in altri paesi europei:
Tabella 1. Detenuti stranieri in alcuni paesi UE (percentuale su tot. pop. det.) (11) Austria 45,1% al 1-11-2005 - molto aumentata negli ultimi 3 anni (Ministero della giustizia austriaco)
Grecia 41,7% al 16-12-2004 (Ministero della giustizia greco)
Italia 32% al 30-09-2006 - in lieve aumento dall'inizio degli anni duemila. -1% con l'approvazione dell'indulto (Ministero della giustizia)
Paesi Bassi 31,7% al 1-7-2006 - in lieve diminuzione (National Agency of Correctional Institutions)
Spagna 29,7% al 21-4-2006 - +4,3% dal 2002 (Direzione generale dell'amministrazione penit. spagnola)
Germania 28,2% al 31-3-2004 - stabile (Ministero della giustizia tedesco)
Svezia 26,2% al 1-10-2005 - aumentata di più dell'1% in un anno (Ministero della giustizia svedese) - solo definitivi.
Francia 21,1% al 1-4-2005 - in lieve diminuzione (Ministero della giustizia francese)
Portogallo 18,5% al 31-12-2005 - aumentata del 6% dal 2002 (Ministero della giustizia portoghese)
Uk-Inghilterra e Galles 13,6% al 31-10-2005 - +1,4% dal 2004 (Home Office Prison Service)
Finlandia 8,0% al 1-4-2006 - stabile negli ultimi anni (Ministero della giustizia finlandese)
2. Discriminazione e criminalizzazione degli stranieri
Alla base di queste percentuali vi sono diversi fattori fra loro connessi.
Negli ultimi anni una parte della sociologia, dei media e dell'opinione pubblica europea ha messo l'accento sulla devianza degli stranieri. I dati sulla presenza dei migranti nelle carceri europee sono stati interpretati da alcuni come un indice fedele del loro livello di devianza (Marzio Barbagli, Immigrazione e criminalità in Italia, Il mulino, Bologna1998). Altri autori li hanno invece considerati come il sintomo di una diffusa discriminazione, legata sia alle precarie condizioni di vita dei migranti, sia alle difficoltà che essi incontrano quando entrano in relazione con i sistemi giudiziari europei. Per questi autori la forte presenza di migranti in carcere è in primo luogo il frutto di un processo di criminalizzazione (fra gli studi italiani si vedano: S. Palidda, Devianza e criminalità tra gli immigrati, Fondazione Cariplo- ISMU, Milano1994; A. Dal Lago, Non-persone, Feltrinelli, Milano 1999; F. Quassoli,Immigrazione uguale criminalità: rappresentazioni di senso comune e pratiche degli operatori di diritto, in "Rassegna italiana di sociologia", 1, 1999, pp. 43-76).
I dati sulla criminalità, pur evidenziando alcune aree in cui gli stranieri sono particolarmente attivi (ad esempio la spaccio di sostanze stupefacenti e lo sfruttamento della prostituzione), non giustificano questa sovrarappresentazione degli stranieri in carcere. Dal Rapporto pubblicato dall'Istat nel 2004 su Gli stranieri e il carcere: aspetti della detenzione (Roma 2004) emerge ad esempio che fra il 1991 e il 1998 (anno di promulgazione del T.U. sull'immigrazione) gli stranieri in carcere sono aumentati molto più velocemente del numero di stranieri denunciati. Il ché per gli estensori del Rapporto è un chiaro segnale degli svantaggi che affliggono gli stranieri nell'iter processuale e nell'accesso alle misure alternative alla detenzione.
Difficile è poi negare che esiste un forte legame fra l'aumento degli stranieri detenuti e l'adozione di politiche restrittive in materia di immigrazione. Analogamente è evidente il collegamento fra carcerazione degli stranieri e difficoltà di inserimento e di vita nelle società di arrivo.
I paesi impegnati in un controllo quasi militare delle proprie coste, come la Grecia, l'Italia o la Spagna, sono anche quelli in cui il numero degli stranieri in carcere è più elevato, mentre la presenza di stranieri sul territorio dello Stato resta inferiore alla media dei paesi dell'Europa del nord. La detenzione in carcere è divenuta in questi paesi uno dei principali strumenti di controllo e di repressione della immigrazione 'clandestina'. In particolare, il sistema penitenziario nell'Europa mediterranea ha assunto un ruolo importante come strumento di limitazione della libertà di movimento dei migranti all'interno dell'Unione europea. In Italia, gli ingressi in carcere per violazione di disposizioni relative al Testo Unico sull'immigrazione sono in costante crescita: dal 2004 al 2006 si è passati da 2.469 ingressi così motivati a 11.116 (12), un vero e proprio boom. Si deve considerare che questo genere di reati riguarda esclusivamente stranieri ed è dunque uno dei fattori che contribuiscono alla sovrarappresentazione degli stranieri in carcere.
I reati cosiddetti di immigrazione sono solo uno dei fattori attraverso i quali si realizza la criminalizzazione degli stranieri, lo strumento detentivo appare agire in vari modi per realizzare il controllo della immigrazione. Si noti, che i dati sopraccitati si riferiscono solo alla detenzione penale - alle carceri - e non comprendono gli stranieri reclusi nei centri di permanenza temporanea, che sono strutture detentive a tutti gli effetti. CPT e carceri configurano un sistema integrato di istituti di reclusione preposti alla segregazione degli stranieri.
Vorrei soffermarmi brevemente su questo punto.
Le carceri dell'Europa del sud assomigliano sempre di più a centri di permanenza temporanea nei quali sono detenuti i migranti destinati ad essere espulsi. Questo perché la maggioranza degli stranieri reclusi in carcere sono irregolari, o perché lo erano al momento della reclusione o perché lo diventano una volta usciti di prigione, non potendo organizzarsi nuovamente una vita da 'regolari'. L'espulsione segue dunque sovente la detenzione in carcere, quando non è direttamente usata, come avviene nella legge italiana, come strumento alternativo o aggiuntivo alla carcerazione (13). Secondo sporadiche ricerche condotte dal Dap nei maggiori penitenziari italiani, nel 2004, l'80% dei detenuti stranieri non aveva permesso di soggiorno al momento dell'ingresso in carcere (Istat, op. cit., p. 8).
Il caso italiano non è in controtendenza rispetto all'orientamento diffuso nel resto d'Europa. La configurazione dell'espulsione come alternativa alla pena per i clandestini è presente nelle legislazioni di molti paesi europei, tanto da far pensare che nell'Unione europea si stia creando un "sistema penale dei migranti" che si differenzia dal "sistema penale dei cittadini" e si integra invece nel più generale sistema di controllo e di repressione dell'immigrazione.
In Francia il dibattito sulla "doppia pena" - pena detentiva ed espulsione - che colpisce gli stranieri è stato molto acceso dalla seconda metà degli anni Novanta. L'espressione "doppia pena" fa riferimento sia all'espulsione amministrativa degli stranieri che finiscono di scontare una condanna penale, sia all'espulsione decisa in sede giudiziaria - "interdiction du territoire français" - contestualmente a una condanna penale.
In tutta Europa va affermandosi una nuova concezione della detenzione come strumento di incapacitazione per cui l'obiettivo non è reinserire i condannati, ma espellerli dalla società. Nel caso dei migranti l'espulsione è uno strumento più efficace e meno costoso della reclusione in carcere. Allo stesso tempo, la detenzione in carcere e la detenzione amministrativa nei Centri di permanenza temporanea tendono ad assomigliarsi: la prima perde il carattere trattamentale, mentre la seconda acquista i tratti propri di una pena inflitta al di fuori di sufficienti garanzie procedurali e scontata in condizioni spesso disumane (14).
Le legislazioni restrittive in materia di immigrazione giocano dunque un ruolo molto rilevante nella criminalizzazione dei migranti. In alcuni casi esse ne favoriscono direttamente l'ingresso in carcere; in altri esse sono determinanti nel rendere precarie le condizioni di vita degli stranieri inducendoli a impiegarsi nei mercati informali e in quelli illegali. Generalmente le politiche migratorie restrittive combinano entrambi questi aspetti. Accanto ad esse, altre caratteristiche delle società di arrivo favoriscono il coinvolgimento dei migranti nelle attività criminali. Una ricerca condotta da Luigi Maria Solivetti nel 2004 (15), confrontando i dati sulla carcerazione dei migranti e alcuni dati sulle società di arrivo in 18 paesi dell'Europa occidentale, ha ad esempio mostrato una correlazione positiva fra indice di carcerazione degli stranieri e incidenza dell'economia sommersa. Vi è invece una correlazione negativa con alcune variabili come: la spesa complessiva pro capite per la protezione sociale, la percentuale di popolazione diplomata, la certezza del diritto (misurata dalla BM). Infine, l'indice di carcerazione è tanto più elevato quanto più è alto l'indice di clandestinità.
I paesi dell'Europa mediterranea, che hanno le più alte percentuali di detenuti stranieri, sono caratterizzati da un benessere economico relativamente minore rispetto ai paesi dell'Europa nord-occidentale, da una certa instabilità economica, da una più iniqua distribuzione del reddito, da un modesto livello culturale e da una rapida crescita della popolazione straniera di origine extraeuropea. Più alta è la diffusione dell'economia sommersa, di comportamenti illegali, della corruzione, ecc. nelle società di arrivo, più alto è il numero degli stranieri in carcere.
Quest'ultimo rispecchia dunque in parte la devianza dei non-cittadini, tuttavia essa non sembra definibile come "criminalità degli immigrati". Come ha sostenuto Dario Melossi: le radici della devianza sono sempre interne alla società in cui la devianza si manifesta (D. Melossi, Stato, controllo sociale, devianza, Mondadori, Milano 2002, p. 283). Nel caso italiano, ad esempio: "le due attività centrali alle forme di devianza anche molto gravi di cui sono protagonisti gli immigrati - il mercato degli stupefacenti e quello della prostituzione di strada - (…) sono attività dirette a soddisfare bisogni che preesistevano all'immigrazione e che ancora oggi sono ampiamente definibili come italiani (…) Da questo punto di vista i criminali 'tunisini', 'marocchini', 'albanesi' e quanti altri non sono affatto tali, ma sono criminali a tutti gli effetti 'italiani'(…)" (D. Melossi, 2002, 283). I mercati illegali che soddisfano i bisogni di trasgressione e di svago dei cittadini europei necessitano di manodopera al pari degli altri mercati: essi creano quindi occasioni di emigrazione, che sono spesso più facili da cogliere e più fruttuose delle occasioni legali.
A questi fattori si devono aggiungere i diversi meccanismi di discriminazione razziale e/o etnica che sono presenti a tutti i livelli del sistema penale: dalle pratiche di polizia alla fase d'esecuzione della pena, passando per il processo. Queste discriminazioni sono solo in parte consapevoli: spesso derivano da scelte tecniche finalizzate a rendere efficiente in termini di risultati quantitativi l'operato delle forze di polizia o dipendono dalle caratteristiche proprie di un sistema penale e penitenziario pensato per i cittadini, che non si adatta allo status giuridico e sociale dei migranti,
I migranti sono spesso oggetto di attività di controllo discriminatorie: le polizie europee ricorrono a pratiche di controllo e di repressione che li penalizzano (16). Le strategie di contrasto al terrorismo tendono poi a favorire la pratica dell'arresto e della perquisizione selettiva dei cittadini di origine musulmana e dei migranti (17). All'indomani dell'attentato terroristico di Londra, così come del fallito attentato dell'estate scorsa, nei principali paesi dell'Unione europea si è discusso dell'opportunità di incentivare i controlli sugli immigrati e si è dato avvio a una serie di operazioni di polizia espressamente indirizzate verso le comunità musulmane, al di là delle esigenze di controllo imposte dalle indagini in corso.
Le organizzazioni non governative hanno più volte denunciato l'uso dell'"Ethnic profiling" - di criteri etnici per l'orientamento delle azioni di polizia e per la schedatura dei dati - da parte delle forze di polizia europee, soprattutto dopo l'11 settembre 2001 (18). A queste politiche di polizia si sommano le discriminazioni arbitrarie che si verificano nei casi in cui le forze di polizia si sentono legittimate a tenere comportamenti razzisti perché l'opinione pubblica richiede una risposta dura alla criminalità. Studi sociologici (19) e indagini giornalistiche hanno messo in luce i comportamenti razzisti tenuti dalle forze di polizia e dai tribunali penali, comportamenti che emergono ad esempio anche dalla lettura dei rapporti sulla detenzione dei migranti nell'Europa del sud stilati dal Comitato del Consiglio d'Europa per la prevenzione della tortura.
L'impressione è, tuttavia, che a esporre i migranti alla repressione penale, più che i consapevoli atteggiamenti discriminatori e razzisti di alcuni attori del sistema penale, siano, da una parte, la "discriminazione strutturale" (20) dovuta alla condizione sociale degli stranieri, dall'altra, la scelta di una politica di controllo selettiva che sceglie di concentrarsi sui migranti. Sotto quest'ultimo aspetto è evidente come le politiche adottate a partire dagli anni Novanta nella maggior parte dei paesi europei in materia di immigrazione abbiano condotto a un'intensificazione dei controlli nei confronti degli stranieri: le polizie nazionali hanno reso abituali operazioni finalizzate a mostrare l'impegno delle forze dell'ordine nel contrasto all'immigrazione clandestina. Gli stranieri, essendo oggetto di continui controlli, tendono ad accumulare denunce, imputazioni e condanne divenendo così dei plurirecidivi.
Fra le forme di discriminazione strutturale appare particolarmente grave quella che deriva dall'inadeguatezza di molti sistemi giudiziari europei a trattare i migranti come gli altri cittadini. L'esempio più illuminante è quello relativo all'uso di non concedere agli stranieri misure cautelari alternative alla custodia in carcere. Tale prassi, insieme all'analoga prassi di non concedere ai detenuti stranieri la sospensione condizionale della pena o altre pene alternative alla detenzione, è una delle cause principali dell'elevato numero di stranieri detenuti nei penitenziari europei. Vi è dunque l'esigenza di realizzare delle riforme strutturali e di fornire ai sistemi giudiziari europei le risorse umane ed economiche necessarie per assicurarne il corretto funzionamento anche nei confronti dei migranti, la cui comparizione di fronte ai tribunali e la cui presenza in carcere non può certo più considerarsi come un fatto eccezionale (21).
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Note
*. Relazione presentata alle Giornate di studio sui diritti dei migranti, IV anno, Facoltà di Giurisprudenza dell'Università di Ferrara, 14/03/2007.
1. Ministero della giustizia polacco, dati aggiornati al 30.11.2006. Vedi International Centre for Prison Studies, World Prison Brief.
2. Dati del Ministero della Giustizia austriaco, al 1.11.2005. Vedi International Centre for Prison Studies, World Prison Brief.
3. Dati del Ministero della Giustizia estone, al 31.10.2005. Cfr. Ivi.
4. I dati sono i seguenti: 29,7% in Spagna, 32% in Italia, 35% a Malta e 41,7% in Grecia.
5. Al 30.06.2006 i marocchini erano il 20% dei detenuti stranieri, i tunisini il 9,7%, gli algerini il 6,3% e il 10,4% proveniva da altri paesi africani. L'indulto non ha significativamente mutato queste percentuali, nonostante una lieve flessione dei detenuti africani che sono passati dal 48,3% al 43,8% dei detenuti stranieri. Ministero della giustizia, dati riferiti al 31.12.2006
6. Dipartimento dell'amministrazione penitenziaria, popolazione detenuta e risorse dell'amministrazione penitenziaria, Ministero della giustizia, Roma 2006.
7. Mia elaborazione sui dati forniti dal Ministero della Giustizia che registrano la situazione al 30-6-02.
8. V. Belotti, "Doppia pena", reati e criminalizzazione, in V. Belotti, R. Maurizio, A. C. Moro, a cura di, Minori stranieri in carcere, Guerini e associati, Milano 2006, p. 101. Rielaborazione dati Istat e Ministero della giustizia riferiti al 2004.
9. Ivi, p. 102.
10. La Romania (31%), il Marocco (24%), la Serbia (16%) e l'Albania (9%).Ibid.
11. La maggioranza dei dati qui riportati è tratta da INTERNATIONAL CENTRE FOR PRISON STUDIES, World Prison Brief, cit.
12. Dipartimento dell'amministrazione penitenziaria, popolazione detenuta e risorse dell'amministrazione penitenziaria, cit.
13. La legge italiana sull'immigrazione prevede che ogni straniero entrato in carcere per uno dei reati previsti all'art. 380, commi primo e secondo, del codice di procedura penale e per qualsiasi reato attinente alla droga o alla libertà sessuale debba essere espulso una volta scontata la pena. L'art. 16 del Testo Unico sull'immigrazione, così come è stato modificato dal provvedimento del 2002, prevede inoltre l'utilizzo dell'espulsione come misura alternativa alla detenzione. Il magistrato di sorveglianza deve infatti procedere all'espulsione di tutti i detenuti stranieri irregolari che siano identificabili e abbiano meno di due anni di pena detentiva da scontare. La legge Bossi-Fini ha poi stabilito che gli immigrati che hanno commesso un reato per cui è previsto l'arresto in flagranza non possano ottenere il rinnovo del permesso di soggiorno e vadano dunque incontro all'espulsione. L'espulsione diviene così esplicitamente una pena, configurando un regime penale ad hoc per i migranti. La legge aveva infine previsto l'arresto obbligatorio dello straniero irregolare che non aveva ottemperato all'ordine di lasciare entro 5 giorni il territorio nazionale o che aveva violato l'obbligo di reingresso. L'arresto era finalizzato a renderne possibile l'immediata espulsione. La Corte costituzionale ha sancito l'incostituzionalità di questa norma. Il meccanismo sanzionatorio speciale è stato, tuttavia, ripristinato dalla legge n. 271 del 2004, che ha trasformato la violazione dell'ordine di lasciare il paese da contravvenzione in delitto, rendendo legittimo l'arresto obbligatorio in flagranza e permettendo che lo straniero sia prima arrestato e poi espulso. Espulsione e pena detentiva sono dunque state equiparate. In questo modo la funzione rieducativa della pena è definitivamente cancellata ed è esplicitamente istituito un sistema penale differenziato per gli stranieri.
14. Vedi la denuncia del giornalista Federico Gatti che, fingendosi migrante, è riuscito a entrare nel Centro di detenzione temporanea di Lampedusa (F. GATTI, Io clandestino a Lampedusa, "L'espresso", 40 (2005)). Gatti ha sostenuto che la sua presenza a Lampedusa, come quella di molti migranti entrati con lui nel Centro nella settimana fra il 24 e il 30 settembre 2005, non è mai stata convalidata dal giudice. Le condizioni igieniche del Centro sono secondo il giornalista gravissime. Inoltre, durante la sua reclusione, egli ha potuto assistere ai comportamenti razzisti di molti carabinieri in servizio nel Centro, a percosse e a forme di violenza psicologica nei confronti dei detenuti. Il tema dei Centri di permanenza temporanea meriterebbe di essere trattato approfonditamente. Qui si può solo accennare ad alcuni degli aspetti più gravi che riguardano la detenzione in questi centri. Per un esame della questione in chiave sia sociologica, sia filosofico-politica, vedi F. RAHOLA, Zone definitivamente provvisorie. Campi di internamento e diritti umani, Ombre Corte, Verona 2003.
15. L. M. Solivetti, Immigrazione, integrazione e crimine in Europa, Il mulino, Bologna 2004.
16. I dati relativi alle persone fermate e perquisite dalla polizia (secondo la tecnica di "stop and search") nel Regno Unito nell'anno 2003-2004, riportati dallo Home Office, mostrano che i neri sono stati fermati sei volte più dei bianchi e gli asiatici il doppio dei bianchi.
17. Nel marzo del 2005 il Ministro dell'interno britannico ha esplicitamente ammesso che le misure antiterrorismo sono destinate a colpire in prevalenza i musulmani, poiché la minaccia proviene dal mondo islamico.
18. Il tema è trattato esaustivamente nel dossier redatto dall'Open Society Justice Initiative (AA.VV., Ethnic Profiling by Police in Europe, Open Society Justice Initiative, London 2005). Secondo alcuni analisti la forza di polizia comunitaria, Europol, incaricata principalmente della prevenzione e della repressione del crimine organizzato, opera assumendo che la criminalità si organizza su basi etniche. L'opinione pubblica europea sostiene queste pratiche discriminatorie nella convinzione che siano efficaci a contrastare il terrorismo e la criminalità internazionale.
19. Vedi ad esempio F. QUASSOLI, Immigrazione uguale criminalità: rappresentazioni di senso comune e pratiche degli operatori del diritto, "Rassegna italiana di sociologia", 1 (1999).
20. Il termine richiama la sociologia di Pierre Bourdieu e fa riferimento alla discriminazione che deriva dalla povertà di capitale economico, sociale e culturale che caratterizza i migranti sospingendoli nella marginalità. Con questo termine mi riferisco tuttavia anche alla 'non-idoneità' degli stranieri a relazionarsi con un apparato penale che prevede garanzie pensate per i cittadini, ossia per soggetti ben inseriti nel tessuto sociale e dotati di strumenti economici, sociali e culturali di cui i migranti non dispongono.
21. Per chiudere con una nota minimamente ottimistica (o idealistica, dipende dai punti di vista) vorrei citare la proposta di riforma dell'ordinamento penitenziario attualmente giacente in parlamento. Si tratta di una riforma elaborata sotto il coordinamento di Alessandro Margara, già direttore del DAP, amico e collaboratore di Mario Gozzini, che provvede a rimuovere il più possibile le norme che discriminano gli stranieri nella fase esecutiva: dalla concessione dei permessi alle misure alternative, fino ai colloqui e alle telefonate. Se una simile riforma fosse approvata, l'Italia farebbe un grosso passo avanti nella eliminazione della "discriminazione strutturale" che contribuisce alla forte presenza di stranieri in carcere.
Jura Gentium, Rivista di filosofia del diritto internazionale e della politica
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