domenica 6 novembre 2011

Ucciso il capo della opposizone armata colombiana

CON L’UCCISIONE DEL COMANDANTE ALFONSO CANO, IL REGIME COLOMBIANO CONFERMA LA PROPRIA ESSENZA GUARRAFONDAIA

Di Darko Ramírez*

Nelle ultime ore i media colombiani e internazionali, per bocca dei propri direttori, “opinionisti” e pennivendoli vari, stanno celebrando l’uccisione in combattimento del Comandante in Capo delle FARC-EP, Alfonso Cano, avvenuta ieri nel dipartimento meridionale del Cauca.
Il trionfalismo della iena Santos, del ministro della Difesa Pinzón e degli altri carnefici del popolo colombiano al governo è pari soltanto a quello registrato quando un bombardamento in territorio ecuadoregno dell’aviazione statunitense, supportata da truppe colombiane, mise fine alla parabola resistente del Comandante Raúl Reyes il 1 marzo 2008, o quando il Comandante Jorge Briceño venne seppellito da tonnellate di bombe scagliate sul suo accampamento insorgente da oltre una sessantina fra aerei ed elicotteri da guerra, nel settembre del 2010.
Come allora, anche oggi i corifei del regime, i lustrascarpe dell’imperialismo ed i complici di ogni sorta del terrorismo di Stato gridano “vittoria!”, promettono (da Santos in giù) ai guerriglieri “carcere o tomba”, e annunciano con squilli di trombe la “fine definitiva delle FARC e del conflitto”. Riferendosi all’organizzazione guerrigliera più antica e poderosa delle Americhe, vomitano termini quali “decapitata”, “allo sbando”, “in preda ad una crisi di leadership”, e via discorrendo, per poi lanciarsi in squallide elucubrazioni su chi sarà il successore di Alfonso Cano, ovviamente non senza assicurare che la “successione sarà piena di tensioni e lotte intestine”.
Lorsignori dimenticano che le FARC, con quasi mezzo secolo di lotta rivoluzionaria alle spalle, hanno accumulato esperienza, capacità combattente e solidità organica che, sommate ad una compattezza ideologica e a una chiarezza politica fuori dal comune, le predispongono strutturalmente ad assorbire i colpi, seppur duri come questo, a rendere immediatamente esecutiva la sostituzione dei compagni morti (già prevista con abbondante anticipo) e a dare continuità politica e militare ai piani di lavoro di tutte le unità combattenti e militanti.
Con la morte di un quadro politico-militare storico del calibro del Comandante Alfonso Cano, che dalla Gioventù e dal Partito Comunista era passato alle file guerrigliere per evitare di essere trucidato dal terrorismo di Stato al pari degli oltre 5000 dirigenti e militanti dell’Unión Patriótica, il popolo colombiano perde uno dei suoi migliori figli, un rivoluzionario che ha lottato senza cedimenti per la pace con giustizia sociale e che si è sacrificato per un futuro migliore per il suo popolo.
Il regime oligarchico-mafioso capeggiato da Santos, che alcuni sprovveduti e miopi affermano erroneamente essere diverso da quello uribista, sguazza nell’orgia di sangue succhiato al popolo colombiano e conferma la propria essenza guerrafondaia. Un regime putrefatto, infinitamente pluriomicida e cronicamente affetto dal morbo della menzogna, che lo porta a ripetere come un grammofono inceppato che uccidendo qualche comandante insorgente si potrà sterminare il progetto rivoluzionario; e ad ignorare che, fino a quando impereranno la fame, la miseria, lo sfruttamento, l’ingiustizia e la disuguaglianza sociali, il latifondo, il narcoparamilitarismo, la dittatura del gran capitale, le privatizzazioni, la svendita della sovranità nazionale e il terrorismo di Stato, compendiati dal rifiuto di dialogare con l’insorgenza per arrivare ad una soluzione politica del conflitto, le ragioni storiche, politiche, economiche e sociali che hanno partorito la guerriglia saranno più attuali che mai, e questa continuerà a nutrirsi con sempre maggior intensità della linfa vitale che alimenta ogni progetto di trasformazione radicale dell’esistente, vale a dire le masse popolari.


*Politologo ed analista ecuadoregno
http://www.nuovacolombia.net



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