La distanza abissale tra Bologna e Genova
Nella giornata di ieri due manifestazioni hanno animato la politica italiana: la conferenza del pd a Genova sul lavoro e la celebrazione del 110 anniversario della Fiom a Bologna che ha mobilitato la squadra di Santoro più Benigni più Teresa De Sio. Il successo della manifestazione della Fiom è stato enorme e reca il segno poderoso incisovi da Maurizio Landini che ha parlato come usava parlare Di Vittorio alla sua gente, ai lavoratori, al popolo. Mentre questa manifestazione suonava in piena armonia con la svolta avvenuta nella società italiana con le elezioni amministrative e sopratutto con i referendum la Conferenza di Genova è apparsa anacronistica, pensata per rassicurare il capitalismo italiano e convincerlo ad optare per il centro-sinistra. Si è parlato di un patto politico e sociale. In sostanza il PD forte della sua influenza decisiva sulla CGIL ma anche sulla Cisl e sulla Uil garantisce al capitalismo italiano che avrà la piena collaborazione dei sindacati per la realizzazione degli obiettivi di competitività e di flessibilità che costituiscono le paroline magiche che coprono una regressione all'era precontrattuale dell'economia italiana. Mentre la piazza di Bologna vibrava delle voci dei precari e di tanti rappresentanti della sofferenza sociale italiana (colpiva l'intervento sulle periferie milanesi e del movimento dei pastori sardi), a Bologna ci si rifugiava nelle stratosfere della macroeconomia e delle macropolitiche e si designava un approccio alla globalizzazione basato esclusivamente sulla mobilità e sui bassi salari e sulla cancellazione del welfare. Nessuna richiesta è stata fatta per la cancellazione della legge madre del precariato, la legge trenta o Biagi e la questione salariale ha avuto un approccio dal lato fiscale e basta come se fossero sufficienti i quattro spiccioli che si ricaverebbero da una riformicchia per sanare una situazione di salari che per venti milioni di lavoratori difficilmente superano la media di 1000 euro. Il PD si disegna come partito confindustrialista e non interclassista come era la vecchia DC o classista come il vecchio PCI. Il suo riferimento non è il lavoratore ma il lavoro. Una scelta equivoca dove per lavoro si intende tutto ma sopratutto l'impresa ed i suoi interessi che diventano interessi generali. L'operazione ideologica compiuta dal PD è davvero copernicana: non più la classe operaia come classe generale espressiva di interessi totalizzanti ma l'impresa. L'impresa diventa il centro dell'universo politico e gli industriali la nuova classe generale alla quale sono affidati i destini di tutti e della nazione.
Si tratta di una linea che giunge in ritardo ed in controcorrente con la spinta di rinnovamento che viene dalla Fiom, una linea anacronistica che tuttavia coincide con il disegno del potere capitalistico mondiale che usa il ricatto delle declassazioni delle agenzie di rating per spingere a pane ed acqua le classi lavoratrici e le popolazioni dell'intera Europa.
E' una linea perdente che punta alla buona salute delle aziende a costo della depressione dei lavoratori e delle loro famiglie e dello smantellamento dello stato sociale. Che vale se l'auto che si produce è competitiva se il prezzo è un operaio sfruttato come un limone, maltrattato nei diritti e con un salario con il quale non può campare la famiglia, mandare un figlio alla università, offrire un gelato alla famiglia la domenica?
Eppure questa linea liquidazionistica del patrimonio del movimento operaio italiano sembra ancora non sufficiente a gente come Ichino, Morandi ed altri che si riuniscono in un documento nel quale mostrano di essere più realisti del re, di chiedere più della stessa Confindustria.
Alla Conferenza del Lavoro di Genova naturalmente è stato suonato soltanto l'inno di Mameli. Potevano suonare l'Inno dei Lavoratori ad una assemblea partecipata da Confindustria, UGl, Cisl ed Uil? Non potevano!
Pietro Ancona
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